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La nonviolenza e' in cammino. 334



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 334 del 6 gennaio 2002

Sommario di questo numero:
1. Nanni Salio, L'eredita' di Gandhi
2. Norberto Bobbio, un'ispirazione comune
3. Luigi Pintor, meno di nulla
4. Silvia Macchi, un diario di "Action for peace" (parte prima)
5. "Chiama l'Africa news" del 4 gennaio
6. Il 12-13 gennaio a Reggio Emilia in cammino sulla strada della
nonviolenza
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. NANNI SALIO: L'EREDITA' DI GANDHI
[Il testo seguente di Nanni Salio, uno dei piu' prestigiosi studiosi ed
amici della nonviolenza, costituisce la prefazione alla nuova edizione del
libro di scritti di Mohandas K. Gandhi, La forza della nonviolenza, che esce
in questi giorni per la Emi di Bologna. Ringraziamo di cuore padre Ottavio
Raimondo e gli altri amici della Emi per averci trasmesso il testo di Salio
autorizzandoci a riprodurlo. Per contattare la benemerita casa editrice, tra
le piu' impegnate per una cultura della pace, della solidarieta', della
nonviolenza, tel. 051326027, fax 051327552, e-mail: sermis@emi.it, sito:
www.emi.it.
Nanni Salio e' nato a Torino, segretario dell'IPRI (Italian Peace Research
Institute), si occupa da diversi anni di ricerca, educazione e azione per la
pace, e' tra le voci piu' autorevoli della nonviolenza in Italia. Opere di
Giovanni Salio: Difesa armata o difesa popolare nonviolenta?, Movimento
Nonviolento, Perugia; Scienza e guerra (con Antonino Drago), EGA, Torino
1982; IPRI, Se vuoi la pace educa alla pace, EGA, Torino 1983; Le centrali
nucleari e la bomba, EGA, Torino 1984; IPRI, I movimenti per la pace, EGA,
Torino 1986-1989; Progetto di educazione alla pace, EGA, Torino 1985-1991;
Le guerre del Golfo, EGA, Torino 1991; Il potere della nonviolenza, EGA,
Torino 1995. Per contatti: Centro Studi "Domenico Sereno Regis", via
Garibaldi 13, 10122 Torino, e-mail: regis@arpnet.it
Mohandas Gandhi è il fondatore della nonviolenza. Nato a Portbandar in India
nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui
divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati
indiani ed elaborò le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 tornò in India e
divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la
liberazione dal colonialismo britannico. Guidò grandi lotte politiche e
sociali affinando sempre più la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando
precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale
ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti
ed è tale la grandezza di quest'uomo che una volta di più occorre ricordare
che non va  mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti e
contraddizioni, che pure vi sono, della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verità. In
italiano l'antologia migliore è Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi;
si vedano anche: La forza della verità, vol. I, Sonda, Torino-Milano 1991;
Villaggio e autonomia, LEF; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita
per la libertà, Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civiltà occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, LEF. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunità: la nota e
discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio:
Tempio di verità; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente
Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verità. Altri volumi ancora
sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della
drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati
pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?,
in "Micromega" n. 2 del 1991. Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R.
Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M.
Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi,
Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo
Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i
volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con
Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti.
Una importante testimonianza è quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro,
Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma
Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna.
Altri libri utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto,
William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa,
Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione è quella di
Ernesto Balducci, Gandhi, ECP. Una interessante sintesi recente è quella di
Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma. Tra gli studi piu'
persuasivi su Gandhi e la nonviolenza vi sono ovviamente quelli,
semplicemente fondamentali, di Giuliano Pontara]
"Le generazioni future faticherannoprobabilmente a credere che un uomo
simile si sia mai realmente aggirato in carne ed ossa su questa terra"
(Albert Einstein)
Quando sono nel dubbio, quando la violenza e la follia che imperversano nel
mondo sembrano crescere oltre ogni limite, cancellando la speranza in un
futuro migliore, cerco rifugio e ispirazione negli scritti di Gandhi e
sinora ho sempre trovato conforto, aiuto, saggezza, consigli su cosa fare e
su cosa dire ad altri che si sentono anch'essi smarriti.
Gandhi e' il Buddha e il Gesu' Cristo del XX secolo, che ci permette di
rivivere, ripensare e riproporre il messaggio della nonviolenza attiva nel
contesto sociale e politico attuale.
* Ahimsa e satyagraha
La scelta dei vocaboli, l'uso intelligente e attento del linguaggio, la
capacita' di mantenere il  controllo delle parole per evitare di usarle come
"pietre" (Carlo Levi), la chiarezza e la precisione concettuale, sono
condizioni essenziali della comunicazione nonviolenta.
Ahimsa (letteralmente, nonviolenza, ma secondo altre sfumature anche
"non-nuocere", "in-nocentia") e' un termine antichissimo della cultura
induista, a tal punto che il "canone del jainismo" e' considerato "la piu'
antica dottrina della nonviolenza" (Sri Jinandra Varni e Sargamal Jain, a
cura di, Sannan Suttam, Mondadori, Milano 2001).
Ma Gandhi va oltre. Egli ritiene insufficiente per il compito che si e'
proposto, la trasformazione nonviolenta della societa', il concetto di
ahimsa, che spesso viene confuso con un atteggiamento passivo, e introduce
un altro vocabolo, satyagraha, che riassume meglio la sua filosofia di
azione politica diretta nonviolenta.
La raccolta di scritti presentata in questo testo, che nell'edizione
originale porta l'impegnativo titolo di "scienza del satyagraha", e' una
introduzione a questo aspetto centrale del pensiero di Gandhi. Si potrebbe
dire che tutta la sua vita, come egli stesso ha piu' volte ribadito, e'
stata una incessante serie di "esperimenti" sulla via del satyagraha.
Letteralmente, questo termine puo' essere tradotto come "forza della
verita'". Ma lo si puo' anche rendere con altri significati, usati da Gandhi
stesso: "persistere nella verita'", "ricerca della verita'", "forza
dell'animo", "forza che deriva dalla adesione alla verita'", "dire la
verita'". In quest'ultima accezione e' usato frequentemente nel mondo
anglosassone con la frase "speaks truth to power", dire la verita' al potere
o, meglio ancora, ai potenti.
La strada del satyagraha tracciata da Gandhi e' molto impegnativa, come si
evince chiaramente da queste pagine. Coloro che intendono seguirne
l'insegnamento debbono addestrarsi a una rigorosa autodisciplina del corpo e
della mente, perfezionandola costantemente al fine di raggiungere una totale
capacita' di autocontrollo che consenta di agire con coraggio, assoluta
determinazione e com-passione.
* La ricerca della verita'
Il termine verita' e' quanto di piu' impegnativo ci sia tanto sul piano
filosofico quanto su quello scientifico, religioso e sociale. Nel linguaggio
di Gandhi, questo vocabolo ricorre frequentemente, ma egli e' consapevole
del fatto che la nostra condizione umana ci porta a una ricerca senza fine,
a una continua approssimazione alla verita'. In altre parole, la sua e' una
concezione di verita' relativa, non di verita' assoluta, come chiarisce bene
Giuliano Pontara nella sua ampia introduzione a una ormai classica antologia
di scritti gandhiani (Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1996). Gandhi stesso ha intitolato la sua autobiografia "esperimenti con la
verita'", una espressione suggestiva, di grande saggezza e modernita', che
permette di capire perche' si possa parlare di "scienza del satyagraha e
della nonviolenza". Se la scienza moderna e' una continua ricerca della
verita' per "prove ed errori", anche il metodo seguito da Gandhi, su un
terreno diverso, quello dell'etica, della ricerca interiore (l'"entronauta"
anziche' l'"astronauta") si richiama allo stesso principio, ben presente
nella lunga tradizione speculativa filosofica delle cultura indiana. (Non a
caso, l'ultimo capitolo del gia' citato "canone del jainismo" si intitola
"La teoria jainista della relativita' conoscitiva").
Vista in questa prospettiva, l'apparente rigidita' di Gandhi nell'applicare
la disciplina del satyagraha sembra assumere lo stesso significato che per
uno scienziato ha "il controllo delle variabili" nel corso di un
esperimento. Cosi' come per svelare le "leggi della natura" occorre tenere
sotto controllo le variabili del sistema sul quale si sta indagando, anche
per scoprire le "leggi della natura umana" e' necessario controllare le
variabili del nostro comportamento.
* Un approccio religioso
Quasi tutti i grandi maestri della nonviolenza hanno tratto la loro
ispirazione da un approccio di natura religioso inteso in senso aperto e non
confessionale, secondo uno spirito che richiama quello della "religione
aperta" di Aldo Capitini. Gandhi sostiene esplicitamente che tutte le
religioni sono come i rami di uno stesso albero che affonda le radici nella
nonviolenza. E il satyagraha, oltre a una modalita' di azione, e' una
ricerca della verita' che conduce a Dio. Ma quello di Gandhi e' un dio
interiore, una divinita' che e' presente in noi stessi, quella che lui
chiama la "voce interiore", la voce della coscienza che dobbiamo ascoltare e
mantenere vigile. E' una visione tolstoiana del "regno di Dio che e' in voi"
e al tempo stesso una visione che comprende anche le cosiddette "religioni
atee", il buddhismo e il jainismo.
Gandhi sostiene inoltre che e' meglio dire che "la verita' e' Dio", e non
viceversa, perche' nella continua ricerca lungo la quale siamo incamminati
ci possiamo accostare sempre piu' alla verita', e di conseguenza a una
concezione del divino inteso come somma conoscenza, senza tuttavia
raggiungere mai pienamente la meta.
* Un approccio laico
Se da un lato il messaggio piu' profondo comune a tutte le religioni e'
quello della nonviolenza, dall'altro  constatiamo che assai sovente i testi
sacri sono stati interpretati e usati per giustificare la guerra. La stessa
esperienza di Gandhi e' stata pesantemente segnata dall'enorme tragedia del
conflitto tra indu' e musulmani, sfociato nel terribile massacro della
"pulizia etnica" durante la spartizione che ha dato origine al Pakistan. E'
una tragedia che continua tuttora, segnata da integralismi, fondamentalismi
e terrorismi sotto l'incubo della guerra nucleare.
L'ambiguita' dei testi sacri di quasi tutte le religioni e' uno dei dilemmi
piu' gravi e difficili da risolvere di ogni macrocultura. Basti pensare a
Gerusalemme, che molti considerano citta' della pace per eccellenza e che
invece e' lacerata da oltre mezzo secolo di guerre. I grandi testi, Bibbia,
Corano, Torah, Bhagavad Gita, si prestano a letture contrapposte di
giustificazione della guerra (guerra santa, guerra giusta) oppure di totale
negazione. Persino alcune scuole del buddhismo (considerato da molti la
macrocultura piu' aliena dal fenomeno guerra, come sostiene Johan Galtung in
Buddhismo. Una via per la pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994) sono
state pesantemente implicate nella guerra e nella sua giustficazione, come
ha documentato in modo impressionante Brian Victoria (Lo zen alla guerra,
Sensibili alle foglie, Dogliani 2001).
E' questa una delle ragioni che puo' indurre ad aprire un'altra linea di
ricerca: un approccio laico alla nonviolenza. Ma se da un lato alcuni
osservano (Barbara Spinelli), non certo con piacere, che duemila anni di
cristianesimo non sono stati sufficienti a insegnare agli uomini la cultura
della nonviolenza e dell'amore, dall'altro si deve altrettanto amaramente
constatare che neppure l'approccio laico e' approdato a risultati
significativi. Anzi, la ricerca scientifica e tecnologica e' stata piegata
agli interessi del complesso militare-industriale con esiti devastanti e
spaventosi. La stessa democrazia, prima approssimazione della nonviolenza,
e' in grave crisi proprio in quei paesi di piu' lunga tradizione
democratica. Accanto agli integralismi e ai fondamentalismi di natura
religiosa, ne sono sorti altri, di matrice laica: il FMI (ironicamente
definito fondamentalismo monetario internazionale), che e' uno dei
principali strumenti di un economicismo fine a se stesso; il nuclearismo e
la incessante corsa agli armamenti, che portano alle estreme conseguenze la
follia sfrenata del militarismo.
Questa cultura laica si trova oggi in una impasse non dissimile da quella
degli integralismi religiosi. L'unica autentica alternativa e' offerta dalla
ricerca aperta dai maestri della nonviolenza.
* La trasformazione nonviolenta dei conflitti
L'approccio scientifico alla nonviolenza che puo' contribuire a unificare e
a far crescere sia l'approccio religioso sia quello laico si chiama oggi
"trasformazione nonviolenta dei conflitti". (Si veda a tale proposito il
testo, con questo stesso titolo, di Johan Galtung, nelle Edizioni Gruppo
Abele, Torino 2000). Un considerevole numero di ricercatori e di operatori
di pace lavorano in questo campo, con approcci disciplinari molteplici e
seguendo un'ampia gamma di metodologie. I risultati ottenuti sia sul piano
teorico sia nell'esperienza sul campo tendono sostanzialmente a confermare
le intuizioni dei grandi maestri, in particolare quelle espresse da Gandhi
nella sua "scienza del satyagraha".
I lavori pionieristici di Gene Sharp, di Johan Galtung, di Theodor Ebert,
che hanno permesso di fondare la teoria della difesa popolare nonviolenta,
sono alla base degli sviluppi successivi nel campo della mediazione, della
interposizione e dell'intervento nonviolento in situazioni di conflitto
acuto.
Contrariamente a quanto sostengono i fautori del "realismo politico", oggi
il vero realismo e' quello di coloro che considerano il conflitto come una
caratteristica specifica della condizione umana dalla quale non si puo'
prescindere, ma che non e' sinonimo ne' di violenza ne' tantomeno di guerra.
L'arte e la scienza che dobbiamo continuare ad apprendere e a sviluppare
sono proprio quelle del satyagraha inteso come modalita' di gestione,
risoluzione e trasformazione nonviolenta del conflitto. E' questa la piu'
preziosa eredita' che Gandhi ci ha lasciato e di cui dobbiamo fare tesoro.
* Kamikaze e satyagrahi
Non possiamo parlare di nonviolenza senza fare almeno un cenno alla
condizione che si e' venuta a creare dopo gli attentati dell'11 settembre
scorso e la "guerra al terrorismo" che ne e' seguita. Che cosa ci insegna la
nonviolenza, che cosa ci direbbe Gandhi a tale proposito? Ce lo ricorda uno
dei suoi nipoti, Arun Gandhi, in un breve testo su "terrorismo e
nonviolenza", con le seguenti parole: "Quando sono disperato mi ricordo che
lungo tutta la storia la via della verita' e dell'amore ha sempre vinto; ci
sono sempre stati tiranni e assassini, e per qualche tempo essi possono
sembrare invincibili, ma alla fine cadono sempre" (in "Azione Nonviolenta",
ottobre 2001). Se, come afferma Gandhi, "la nonviolenza e' antica come le
colline", anche il terrorismo non e' da meno. Egli stesso ha dovuto
confrontarsi con questi problemi sin dal 1929, in seguito a un attentato
compiuto nei confronti dell'allora vicere' inglese da parte di un gruppo di
terroristi indiani dell'Hindustan Socialist Republican Association, noto
peraltro per aver pubblicato uno dei piu' significativi documenti sul
terrorismo del secolo scorso, The Philosophy of the Bomb (Questo testo,
disponibile all'indirizzo www.punjabilok.com/misc/freedom/phil_ofbomb1.htm ,
e' segnalato da Chaiwat Satha-Anand in "Comprendere il terrore e fare la
scelta giusta", www.arpnet.it/regis). Non ci si deve inoltre dimenticare che
sia Gandhi sia Martin Luther King sono stati entrambi uccisi nel corso di
azioni di stampo sostanzialmente terrorista.
A questo punto, e' necessario confrontarsi con un aspetto fondamentale della
nonviolenza che Gandhi affronta e approfondisce in questo testo e piu' in
generale in tutta la sua opera: l'atteggiamento del satyagrahi di fronte
alla morte. E' il grande tabu' della cultura occidentale: la rimozione della
morte (si veda in proposito un ottimo articolo: Beppe Sebaste, "Sara' cosi'
lasciare la vita?", L'Unita', 6 ottobre 2001). Gandhi ribadisce e ripete
piu' volte con sfumature diverse il seguente concetto: la nonviolenza del
forte, del coraggioso, implica il superamento della paura della morte, la
capacita' di fronteggiare a mani nude la potenziale violenza omicida
dell'avversario, la disponibilita' al sacrificio estremo della propria vita
senza mettere e repentaglio quella altrui, anzi addirittura per difenderla.
C'e' in questa concezione una straordinaria e stupefacente simmetria con
quella che potremmo chiamare "l'etica del kamikaze", e che si puo'
rappresentare in maniera piu' evidente mediante lo schema in figura [che non
riportiamo qui, date le caratteristiche grafiche e di trasmissione del
nostro notiziario - ndr]. Il kamikaze ha in comune con il satyagrahi la
disponibilita' a morire, ma ne differisce radicalmente perche' il primo si
immola per uccidere, il secondo mette a disposizione la propria vita in un
gesto estremo di amore e riconciliazione.
Lo schema interpretativo che abbiamo proposto comprende altre due
possibilita' che possiamo chiamare rispettivamente violenza del debole e
nonviolenza del debole. La violenza del debole e' in generale  quella dei
mercenari, dei killer pagati per uccidere, ma non disposti a morire. Ed e'
soprattutto la filosofia elaborata dalla dottrina militare imperante negli
Usa e nella Nato che tende a sostituire gli esseri umani con l'high-tech al
fine di combattere guerre a "costo zero" di vittime tra le proprie file. Le
guerre combattute nel corso dell'ultimo decennio (Irak, Yugoslavia,
Afghanistan) dagli Usa hanno tutte quante in comune questa caratteristica.
Ma come hanno sottolineato molti critici, le guerre non si vincono realmente
senza la disponibilita' al sacrificio, anche estremo. I kamikaze che si sono
schiantati contro le torri gemelle a New York e contro il Pentagono non
possedevano armi intelligenti (anche se hanno trasformato normali tecnologie
civili in strumenti di morte), ma erano disposti a combattere sino a
trasformarsi in uomini-bomba, come in Palestina, nello Sri Lanka e ovunque
vi sia chi, per disperazione, fanatismo o convinzione, aderisce alla
"filosofia della bomba".
I satyagrahi, come i bodhisattva, come i "giusti" della tradizione ebraica,
come Gesu' Cristo nella tradizione cristiana, come il Mahatma Gandhi e
Martin Luther King, sono disposti anch'essi a donare la propria vita, ma lo
fanno per amore, con compassionevolezza, distacco, consapevolezza
dell'ipermanenza e sguardo che va oltre il presente. (Si vedano le splendide
storie dei bodhisattva raccontate da Jataka, Storie buddiste, Trankida,
Milano).
Anche la quarta possibilita' delineata nello schema, la nonviolenza del
debole, si presta ad alcune riflessioni interessanti. Non c'e' una figura
specifica che caratterizzi questa posizione, perche' chi piu' chi meno gran
parte di noi non intende uccidere, ma non e' neppure disposto e preparato a
sacrificare la propria vita. Qualcuno potrebbe obiettare che in fondo questo
dovrebbe essere proprio il punto di arrivo di una societa' nella quale non
sia necessario ne' uccidere ne' morire. In altre parole, sarebbe l'esito di
una graduale evoluzione positiva verso una societa' autenticamente
democratica e nonviolenta, una societa' che non ha bisogno di eroi. Ma
purtroppo siamo ben lungi da questo risultato e sia nel quotidiano, sia "di
fronte all'estremo" (Tzvetan Todorov) abbiamo ancora  bisogno dei satyagrahi
e dei bodhisattva che ci guidino, come "primi in cordata", per aiutarci a
superare difficolta' e ostacoli che ci impediscono di progredire.
* Raccogliere la sfida della nonviolenza
E' dunque questa la sfida lanciata da Gandhi con la "scienza del
satyagraha": accettare la sofferenza sino al sacrificio estremo, se
necessario, come strumento sia della nostra realizzazione sia di
riumanizzazione e conversione dell'avversario. Il satyagrahi si allena
giorno per giorno, in ogni istante della propria vita, per diventare capace
di soffrire con gioia e apprendere la difficile arte del dono della vita.
Egli agisce senza recriminazioni, con distacco, senza aspettarsi il
risultato immediato delle proprie azioni e senza rivendicarne il merito. Non
si stupisce della violenza che puo' essergli inflitta, non agisce con rabbia
e utilizza ogni occasione che gli si presenta per trasformare il male con il
bene.
Nel leggere questo breve, ma denso, testo si capisce quanta strada dobbiamo
ancora fare tutti noi che, mossi da nobili intenzioni, ci siamo meravigliati
e indignati per la violenza e la repressione che e' stata scatenata contro i
manifestanti durante le manifestazioni di massa di protesta nei confronti
del vertice del G8 a Genova. Oltre alla giusta indignazione, dovremmo
sollevare alcune domande imbarazzanti: come si sarebbero comportati i
satyagrahi? Come si comporterebbero oggi nella lotta al terrorismo?
Sono questi gli interrogativi che il popolo dei lillipuziani deve avere il
coraggio di porsi,  se vuole effettivamente ed efficacemente percorrere la
strada della nonviolenza attiva.

2. MAESTRI. NORBERTO BOBBIO: UN'ISPIRAZIONE COMUNE
[Da Norberto Bobbio, Il terzo assente, Sonda, Milano-Torino 1989, p. 10.
Norberto Bobbio è nato a Torino nel 1909, antifascista, filosofo della
politica e del diritto, è autore di opere fondamentali sui temi della
democrazia, dei diritti umani, della pace. E' uno dei più prestigiosi
intellettuali italiani del Novecento. Opere di Norberto Bobbio: per la
biografia (che si intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della
storia italiana di questo secolo) si vedano il volume di scritti
autobiografici De Senectute, Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia,
Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi libri di testimonianze su amici
scomparsi (alcune delle figure più alte dell'impegno politico, morale e
intellettuale del Novecento) cfr. almeno Maestri e compagni, Italia civile,
Italia fedele, tutti presso l'editore Passigli. Per la sua riflessione sulla
democrazia cfr. Il futuro della democrazia; Stato, governo e società;
Eguaglianza e libertà; tutti presso Einaudi. Sui diritti umani si veda L'età
dei diritti, Einaudi. Sulla pace si veda Il problema della guerra e le vie
della pace, Il Mulino, varie ristampe; Il terzo assente, Sonda, Torino 1989;
Una guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza, Linea d'
ombra, Milano 1994. A nostro avviso indispensabile è anche la lettura di
Politica e cultura, Einaudi; Profilo ideologico del Novecento, Garzanti,
Teoria generale del diritto, Giappichelli. Di Bobbio recentemente e' stato
pubblicato il volume-conversazione con Maurizio Viroli, Dialogo intorno alla
repubblica, Laterza, Roma-Bari 2001. Opere su Norberto Bobbio: segnaliamo
almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino
1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, ECP; S.
Domenico di Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto Bobbio, Donzelli, Roma
2000.
Aldo Capitini è nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il più grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti è (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977;
recentemente è stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza,
Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici,
Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991; e gli scritti sul
Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed
opuscoli di Capitini non più reperibili in libreria (tra cui i fondamentali
Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969).
Negli anni '90 è iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte;
sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, e un volume di
Scritti filosofici e religiosi. Opere su Aldo Capitini: oltre alle
introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo
Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda: Giacomo Zanga, Aldo
Capitini, Bresci, Torino 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, ECP, S.
Domenico di Fiesole 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo
Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Rocco Altieri,
La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo
Capitini, BFS, Pisa 1998; Antonio Vigilante, La realtà liberata. Escatologia
e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999]
La democrazia come antitesi del dispotismo e la pace come antitesi della
guerra hanno un'ispirazione comune nell'ideale della nonviolenza, che in una
concezione profetica della storia Aldo Capitini chiamava il "varco attuale
della storia".

3. RIFLESSIONE. LUIGI PINTOR: MENO DI NULLA
[Questo articolo di Luigi Pintor e' comparso sul quotidiano "Il manifesto"
del 5 gennaio. Luigi Pintor e' nato nel 1925 a Roma, fratello di Giaime,
antifascista, giornalista a "L'Unità" dal 1946 al 1965, parlamentare,
radiato dal PCI nel 1969 ha dato vita al "Manifesto", dapprima rivista e poi
quotidiano su cui ancora scrive. E' uno straordinario corsivista politico,
unisce una prosa di splendida bellezza ad un rigore morale e di ragionamento
di eccezionale nitore. Opere di Luigi Pintor: I mostri, Alfani, Roma;
Servabo, Bollati Boringhieri, Torino; Parole al vento, Kaos, Milano; La
signora Kirchgessner, Bollati Boringhieri, Torino; Il nespolo, Bollati
Boringhieri, Torino 2001; Politicamente scorretto, Bollati Boringhieri,
Torino 2001]
Sono 107, sono 32, sono 52, quei disgraziati afghani macellati dalle bombe
americane? A Tora Bora o in un villaggio a sud-est? E' accaduto ieri come mi
ha detto un televideo in un bar o alla vigilia di Capodanno come mi dicono
qui al giornale?
Non ha nessuna importanza. I giornali non avranno queste schifezze in prima
pagina o useranno il condizionale. Il Pentagono non smentira' ne'
confermera' e continuera' a bombardare come e chi gli pare finche' lo
riterra' necessario. L'Onu indaga. Il tribunale dell'Aia e' chiuso.
Questi non sono crimini di guerra, fuori dalle convenzioni internazionali e
contro i diritti umani. Sono piccoli massacri, piccoli omicidi, tanto meglio
se riguardano vecchi e bambini che essendo afghani non hanno eta' e non sono
civili ma terroristi e soprattutto straccioni.
Gli americani amano la pena di morte a casa loro figuriamoci contro i
barbari. E noi siamo tutti americani, l'abbiamo detto chiaro e forte e ci va
tutto bene. Usiamo la stessa moneta, in questo campo, abbiamo la stessa
civilta' anche se l'euro non e' forte come il dollaro e benefico come le
bombe da sette tonnellate.
Ci sono tre righe, in un diario di un mio antenato, che dicono (1940): i
tedeschi hanno distrutto un altro villaggio in Boemia, non capisco come
agiscono. Cosa c'entra? Nulla, pero' mi e' tornato alla mente quando ho
visto quel televideo sui 107, 32, 52 afghani fatti a pezzi. Come agivano i
tedeschi?
Come nazisti. Come agiscono i bombardieri americani? Come nazisti puo'
sembrare improprio, come terroristi anche. Diciamo come macellai.
Perche' ci odiano tanto? Puo' darsi che una bambina americana si sia posta
questa domanda dopo la strage delle due torri. Ma doveva essere proprio una
bambina, perche' tanta innocenza non si addice alla Casa Bianca. La quale
non si pone affatto il problema di essere odiata o amata, civile o barbara,
ma solo temuta. E ci riesce senza ritegni, senza scusarsi. Lo stillicidio di
morti incolpevoli, come in Palestina, non e' un effetto collaterale ma una
strategia.
Questi delitti resteranno impuniti e anzi premiano chi li commette. Non e'
vero che il sangue delle vittime ricade sulla testa dei carnefici. Ricade
solo sulle vittime, quelle dei grattacieli e quelle delle spelonche. Mi
ripugna scriverne. E mi ripugna che George W. Bush vada in giro con un
cagnetto sotto il braccio chiedendo a un bambino americano di dare un
dollaro a un bambino afghano.

4. TESTIMONIANZE. SILVIA MACCHI: UN DIARIO DI "ACTION FOR PEACE" (PARTE
PRIMA)
[Silvia Macchi ha preso parte all'iniziativa nonviolenta internazionale
"Action for peace" in Palestina. Per contatti: s.macchi@libero.it]
Gerusalemme, 28 dicembre 2001
* Manifestazione della Colaizione delle donne per una pace giusta
Oltre 3000 pacifisti - israeliani, europei e nordamericani - hanno accolto
l'invito della Coalition of Women for a Just Peace a manifestare
silenziosamente per le strade di Gerusalemme nell'ultimo venerdi dell'anno.
Alle "manine" delle Donne in nero con la scritta "basta con l'occupazione"
si sono aggiunti gli striscioni di solidarieta' delle delegazioni italiana,
francese e belga, e numerosi cartelli con slogans quali "smantellare subito
gli insediamenti" e "confini del '67 = confini di pace". Presenti anche
alcuni parlamentari italiani (il senatore Marino, l'on. Giovanni Russo Spena
e l'on. Silvana Pisa) e il presidente della Regione Campania Antonio
Bassolino.
Il corteo si e' mosso verso le 11 da Paris Square, a Gerusalemme Ovest, ed
e' arrivato dopo un'ora davanti alle mura della citta' vecchia, alla Porta
di Giaffa. Tutto si e' svolto nella massima tranquillita', nonostante la
presenza di piccoli gruppi di coloni che contestavano con veemenza
l'iniziativa dai bordi della strada.
Alla Porta di Giaffa i manifestanti si sono raccolti intorno ad un palco per
ascoltare le testimonianza di numerosi pacifisti israeliani e di alcune
personalita' palestinesi ed europee. Tra queste: Shulamit Aloni, ex-ministra
israeliana ed esponente storica del movimento pacifista israeliano, Pnina
Firestein, dell'organizzazione antimilitarista New Profile, Jeff Halper,
direttore dell'Alternative Information Center e promotore della Campagna
contro la demolizione delle case, Zaira Kamal, delegata alle questioni di
genere presso il Ministero della Pianificazione e della Cooperazione
Internazionale dell'ANP, Luisa Morgantini, parlamentare europea e donna in
nero.
La manifestazione si e' conclusa verso le 13,30 con il gospel una cantante
nera.
* Incontro con i pacifisti israeliani
Nel pomeriggio, presso l'Hotel New Imperial, nella citta' vecchia, la
delegazione italiana ha incontrato i pacifisti israeliani. I momenti di
dibattito sono stati due: uno incentrato sulle attivita' di New Profile e
della Campagna contro la demolizione delle case; l'altro dedicato
essenzialmente ai movimenti delle donne che fanno capo alla Coalizione per
una Pace Giusta.
L'incontro con le donne e' stato coordinato da Debbie Lermann, donna in nero
israeliana, che attualmente lavora presso il Parlamento Europeo in tandem
con la palestinese Jihan Anastas.
La Coalizione ha la peculiarita' di coinvolgere numerosi gruppi stranieri
nelle sue iniziative, come nel caso dell'ultimo venerdi dell'anno quando in
oltre cento citta' del mondo si manifesta con gli stessi slogans.
La Coalizione e' costituita da nove movimenti di donne israeliane, non tutti
rappresentati alla riunione. Sono intervenute in successione esponenti delle
Donne in Nero, di Bat Shalom, di Windows e del WILPF (Lega Internazionale
delle Donne per la Pace e la Liberta').
L'idea delle Donne in Nero e' nata a Gerusalemme, durante la prima Intifada
(1988), come dimostrazione di lutto per le morti inutili da entrambe le
parti e riprende l'esempio delle Madri di Plaza de Mayo in Argentina. Il
movimento ha raggiunto rapidamente oltre 30 gruppi locali in Israele. Dopo
gli accordi di Oslo (1993) molte hanno lasciato il movimento, ritenendo che
non fosse piu' necessario. Ma uno dei primi nuclei, quello di Tel Aviv, e'
sempre rimasto attivo, scendendo in piazza tutti i venerdi senza
interruzioni. Con la seconda intifada, il movimento sta riprendendo
consistenza. Oggi conta 12 gruppi locali, un numero destinato ad aumentare e
soprattutto a diversificarsi. Esistono due gruppi locali di palestinesi
israeliane, nelle citta' di Nazareth e Acre, e a Tel Aviv le piu' giovani
hanno formato un gruppo autonomo rispetto a quello originario, introducendo
nuove pratiche di disobbedienza civile.
Bat Shalom rappresenta la componente israeliana del Jerusalem Link, mentre
la componente palestinese e' costituita dal Jerusalem Center for Women. Da
entrambe le parti si porta avanti un lavoro parallelo a favore del dialogo e
informato da una serie di principi (ripresi in gran parte dalla Coalizione).
I fondamentali sono: due stati per due popoli; mettere fine all'occupazione
e ristabilire i confini del '67; assumersi la responsabilita' dei problemi
creati ai palestinesi con la formazione dello stato di Israele (problema dei
rifugiati); mettere fine alla politica dei militari e della violenza e dare
spazio alla politica delle donne, che devono avere un ruolo attivo nei
negoziati di pace. La priorita' attuale di Bat Shalom e' la richiesta di
protezione internazionale per il popolo palestinese.
Infine Windows e' un'organizzazione israelo-palestinese che ha come
obiettivo la promozione della conoscenza reciproca come base per la
costruzione del dialogo. I campi di attivita' sono essenzialmente tre: 1)
una rivista bimensile per ragazzi (10-14 anni) dove vengono trattati tutti i
temi sollecitati dai giovani lettori, dallo sport all'identita' nazionale.
La collaborazione tra le due parti e' assai difficile dopo l'Intifada, ma
continua. Il gruppo redazionale sta lavorando ora alla messa a punto di
strumenti educativi che possano aiutare genitori e insegnanti ad affrontare
con i ragazzi i problemi attuali. 2) Un centro dell'amicizia a Tel Aviv, con
programmi culturali di vario tipo, che si prefigge di far conoscere agli
israeliani il punto di vista dei palestinesi. Esiste un progetto per la
creazione di centri analoghi in campo palestinese, attualmente bloccato per
la situazione di conflitto. 3) Attivita' di aiuto umanitario ai rifugiati
(cibo, giochi) e di sostegno ai bambini di famiglie disagiate nella citta'
di Giaffa.
L'esponente del WILPF ha sottolineato l'importanza delle connessioni
internazionali che caratterizzano la Lega per il contatto tra le donne
israeliane e le donne delle comunita' ebraiche nel mondo. Questo tema e'
stato oggetto di dibattito e c'e' stata un'esplicita richiesta di Debbie
affinche' le donne italiane si facciano promotrici di una possibile
relazione tra donne israeliane e donne ebree italiane. Debbie ha
sottolineato la rilevanza politica di tale attivita' poiche' il governo
Sharon sembra particolarmente sensibile alle pressioni delle comunita'
ebraiche fuori da Israele.
Sempre da Debbie viene la proposta di creare un momento ad hoc (un
seminario) per confrontarsi sulle pratiche delle donne israeliane e delle
donne italiane rispetto alla questione israelo-palestinese.
*
Gerusalemme, 29 dicembre 2001
* Missione a Nablus
Nella giornata del 29 dicembre, la delegazione italiana, composta di oltre
200 persone, si e' divisa in tre gruppi con mete e programmi differenti. Una
cinquantina di persone sono andate a manifestare al check point tra Ramallah
e l'universita' di Birzeit, insieme agli studenti palestinesi e a pacifisti
nordamericani e francesi. Una trentina si e' unita alla delegazione belga e
si e' recata a visitare i luoghi di origine dei rifugiati palestinesi (Haifa
ed altri villaggi in territorio israeliano). Il resto della delegazione, con
una consistente componente sindacale, si e' recata a Nablus insieme ad una
cinquantina di francesi e belgi.
Il viaggio di andata, iniziato alle 8 ,30, e' durato molto piu' del previsto
perche' i pullman sono rimasti fermi piu' di un'ora al check point di
Nablus.
Motivo del contendere e' stata la presenza di tre ragazzi palestinesi,
volontari del Pngo incaricati di accompagnarci. I soldati israeliani, dopo
aver controllato il passaporto ad ognuno di noi, proponevano di farci
continuare a piedi sulla strada principale mentre i pullman con i tre
palestinesi ci avrebbero raggiunto piu' tardi, attraverso una strada
secondaria aperta ai palestinesi. La proposta e' sembrata inaccettabile e
soprattutto poco credibile. Chi ci assicurava che i palestinesi avrebbero
potuto effettivamente raggiungerci, una volta che non erano piu' tutelati
dalla nostra presenza? Davanti al nostro rifiuto e dopo una mezz'ora di
ulteriori discussioni, i soldati ci fanno passare tutti, palestinesi
compresi.
Arriviamo a Nablus a mezzogiorno e troviamo moltissime persone ad
aspettarci: autorita', sindacalisti, famiglie dei martiri, attivisti ed
attiviste vecchi e giovani, studenti, ecc. Ci accolgono nella grande sala
della sede del sindacato, un edificio recente e ben attrezzato realizzato
grazie ai finanziamenti di diverse organizzazioni sindacali europee. Sul
palco si succedono velocemente alcuni rappresentati delle societa' civile
palestinese e il governatore di Nablus. Quindi ci viene chiesto di
raggiungere l'universita' per unirci ad una manifestazione degli studenti
contro alcune postazioni militari israeliane vicinissime alle case
palestinesi. Una volta sul posto, ci rendiamo conto dell'incredibile
situazione di vessazione cui sono sottoposti gli abitanti di Nablus.
La cosiddetta "strada secondaria", unico accesso alla citta' aperto ai
palestinesi, e' un viottolo sterrato che scende piuttosto ripidamente dalla
cima di una delle montagne che circondano la vallata in cui sorge Nablus.
Chi vuole uscire, quindi, deve salire in auto in cima alla montagna, poi
discendere il viottolo a piedi per circa 500 metri, fino a raggiungere
un'altra auto o un autobus. Alcuni asini vengono utilizzati per i bagagli
piu' pesanti, ma in genere pacchi e bambini vengono portati a forza di
braccia. Ma questo ancora e' quasi normale per chi vive nei territori. La
cosa veramente spaventosa sono i carri armati che sostano su un pianoro che
sovrasta il viottolo. Di li' i soldati si "divertono" a terrorizzare
chiunque passa, sparacchiando di tanto in tanto ed obbligando i malcapitati
ad abbandonare il loro carico sulla strada per ripararsi nel vicino dirupo.
E questo tutti i minuti di tutti i giorni. Naturalmente esiste una
"motivazione ufficiale": i carri armati proteggono l'insediamento di coloni
sorto poco lontano.
Insieme agli studenti e ad un buon numero di donne e uomini palestinesi, le
delegazioni straniere percorrono il viottolo e risalgono verso i carri
armati. Davanti un cordone di stranieri, dietro i ragazzi palestinesi,
dietro ancora un misto di stranieri e palestinesi. A cinquanta metri dai
carri armati, il corteo viene fermato da raffiche di mitra sparate a terra.
Si indietreggia, qualcuno scappa, i ragazzi palestinesi passano in testa.
Poi ci si ricompatta e si torna ad avanzare. Ogni sparo o rombo di motore e'
accolto da fischi e slogans, ma tutti si abbassano per paura dei proiettili.
Il mio vicino, palestinese, mi dice che ad ogni manifestazione ci sono dei
feriti e spesso anche qualche morto. Questo spiega la presenza di ben tre
ambulanze alle nostre spalle  e di  alcuni giovanissimi barellieri (e tra
loro molte ragazze) che accompagnano il corteo, pronti ad intervenire.
Tra spari e grida, il mio vicino ed io iniziamo a discutere. Gli dico che
noi non vogliamo assolutamente altri "martiri", che davanti ci sono troppi
ragazzi giovani e che dobbiamo fare qualcosa. Lui mi risponde che i
palestinesi devono combattere e che i "martiri" sono il prezzo necessario di
questa lotta. Io ribatto che dobbiamo trovare altre forme di lotta perche'
non trovo accettabile la morte di tante giovani persone. Nonostante la
distanza delle nostre posizioni, i toni sono molto pacati. Intanto che
parliamo, lui si preoccupa di farmi abbassare ogni volta che si sente uno
sparo. Io gli chiedo se mi puo' far capire un po' meglio dove ci troviamo e
che cosa sta succedendo.
La manifestazione dura circa un'ora. Ci ritiriamo senza problemi,
chiacchierando tra noi, scherzando anche, mentre l'ennesimo carro armato
prende posizione accanto agli altri. Per un'ora una interminabile colonna di
persone, di tutte le eta' e carica di ogni sorta di bagaglio (pacchetti e
pacconi, lattine, sacchetti di plastica, bottiglie, sacchi di iuta, valigie,
ecc.), ha percorso il viottolo in tutta fretta, senza mai fermarsi,
approfittano della nostra presenza davanti ai carri armati. Per un'ora
abbiamo garantito loro di poter percorrere poche centinaia di metri senza
rischi. Ce ne andiamo soddisfatti ma io non posso fare a meno di chiedermi
se non faremmo meglio a restare.
(CONTINUA)

5. INFORMAZIONE. "CHIAMA L'AFRICA NEWS" DEL 4 GENNAIO
[Riproduciamo il notiziario "Chiama l'Africa news" del 4 gennaio, segnalando
particolarmente che dal 4 al 7 aprile si svolgera' a Kisangani una nuova
azione nonviolenta internazionale che fa seguito all'esperienza di "Anch'io
a Bukavu". Per contatti: sito: www.chiamafrica.it, e-mail:
info@chiamafrica.it]
1. Roma, 8 gennaio 2002: prossimo appuntamento dei "martedi dell'Africa":
Repubblica Democratica del Congo: la voce della societa' civile. Presso la
Libreria Odradek, via dei Banchi Vecchi 57. Con don Albino Bizzotto (Beati i
Costruttori di Pace) ed Eugenio Melandri (Chiama l'Africa). Nel primo
appuntamento del nuovo anno parleremo della Repubblica Democratica del
Congo, un paese in guerra dal 1998. Come per la maggior parte delle guerre
africane, anche in questo caso si e' ricorsi alla semplificazione della
"guerra etnica", ma la verita' e' che il Congo, come quasi tutti i paesi
africani in conflitto, e' ricco di risorse naturali. Prima fra tutte il
coltan, preziosa polvere nera indispensabile per l'industria tecnologica e
digitale. Proprio in questo momento, in cui tutta l'attenzione della
comunita' internazionale e dell'opinione pubblica e' concentrata sulla lotta
contro il terrorismo e sulla guerra in Afghanistan, crediamo sia necessario
sottolineare che le altre emergenze del mondo non sono scomparse. Tra queste
le cosiddette "guerre dimenticate" in Africa.
Su invito della societa' civile e delle chiese locali, dal 4 al 7 aprile si
svolgera' il secondo simposio internazionale per la pace in Africa (SIPA 2),
a Kisangani (est Congo). Si ripete cosi' l'esperienza di "Anch'io a Bukavu"
che lo scorso anno ha portato trecento cittadini europei in una delle zone
piu' calde del conflitto, per dare sostegno e solidarieta' alla popolazione
locale.  In preparazione di "Anch'io a Kisangani" si terra' ad Ancona dal 22
al 24 febbraio 2002 il convegno "Africa: dalla schiavitu' degli aiuti alla
liberta' dei diritti".  Entrambe le iniziative saranno presentate durante il
prossimo appuntamento dei "martedi dell'Africa". Info: 3280677531,
3475940107
2. www.immiground.it: il sito della cultura migrante. Attraverso le opere di
artisti venuti in Italia a cercar fortuna, pezzi di storia e cultura
dell'Africa, dell'Asia, delle Americhe sopravvivono tra gli agglomerati
urbani delle nostre metropoli, sempre meno bianche e sempre piu' colorate.
Immergendovi in questo abisso culturale scoprirete un universo fatto di
letteratura, musica, arti figurative, cinema e teatro. Opere prodotte da
artisti con la "A" maiuscola che vivono e lavorano nel nostro paese, ma
snobbate dai media, perche' non hanno alle spalle una major o sono poco
commerciabili. Nel sito anche una selezione di concorsi letterari  per
stranieri: www.immiground.it
3. Schiavi e negrieri dall'Africa alle Americhe. Mostra didattica. La storia
del commercio degli schiavi nell'Atlantico e' la storia del saccheggio di un
continente e, insieme, la storia del trapianto di intere popolazioni nere
nel nuovo mondo durante un periodo di circa quattro secoli. I neri
arrivarono quasi contemporaneamente ai coloni bianchi: nel 1501 ve ne erano
gia' nell'isola di Hispaniola, attuale Haiti. Soltanto nel 1518, tuttavia,
con lo sbarco nelle Indie Occidentali del primo carico di neri catturati in
Africa, ebbe inizio il vero e proprio commercio degli schiavi. Nessuno sa
con esattezza quanti neri abbiano varcato l'Atlantico durante il periodo
della tratta, ma un prudente calcolo approssimativo ne fa ammontare il
numero a 15 milioni, vittime della piu' crudele migrazione forzata,
immensamente piu' vasta di qualunque altro movimento consimile avvenuto in
epoche antiche o recenti. Info: Marco Padula: padula@itim.mi.cnr.it, Baye
Ndiaye: vtaddei@comm2000.it, www.cosafrica.it
4. Nei giardini di Allah: immagini e storia del Sahara. Una mostra
fotografica di Marco Trovato. Uno sguardo inedito destinato a infrangere gli
stereotipi e i luoghi comuni con cui noi occidentali pensiamo al deserto e
alla sua gente. Un viaggio, al di la' dei miti e delle leggende, per svelare
i segreti delle oasi del Sahara. La mostra e' composta da 60 pannelli (35 x
50 cm.) e puo' essere allestita in scuole, biblioteche, parrocchie, centri
culturali. Info: rivista "Africa", tel. 0363/44726 - fax 0363/48198 -
padry@tin.it
5. Aggiornamenti sito "Chiama l'Africa"
- "Anch'io a Kisangani". Azione Internazionale nonviolenta di pace in
Africa. Partecipazione al Simposio Internazionale per la pace in Africa 4-7
aprile 2002.
- "Dalla schiavitu' degli aiuti alla liberta' dei diritti". Convegno
internazionale, Ancona, Fiera della Pesca, 22-24 febbraio 2002.
- Senghor, l'Orfeo nero. Un omaggio al poeta e statista morto il 20 dicembre
in Francia, all'eta' di 95 anni. Fu il primo presidente del Senegal
indipendente.
- Burundi, il Centr Jeunes Kamange. L'obiettivo del Centro, che conta oltre
14.000 giovani e trenta diverse attivita' giornaliere e' quello di dare una
risposta ai problemi della periferia di Bujumbura, abitata in gran parte da
giovani che provengono dall'interno del paese, e che quotidianamente vivono
i problemi della guerra e della violenza etnica, della poverta', della
descolarizzazione, della disoccupazione, dell'aids e della droga, cercando
di incentivare il dialogo interetnico.
- "Congo attualita'" n. 13. Il bollettino redatto dalla "Rete Pace per il
Congo". Il 3 maggio il Consiglio di Sicurezza dell'Onu aveva prorogato di
tre mesi il mandato del Gruppo di esperti sullo sfruttamento illegale delle
risorse naturali nella RDC. In questo numero le conclusioni e
raccomandazioni contenute nel documento presentato al Consiglio di Sicurezza
dal Segretario Generale Kofi Annan il 13 novembre scorso. E' possibile
scaricarlo interamente dal sito www.chiamafrica.it

6. INCONTRI: IL 12-13 GENNAIO A REGGIO EMILIA IN CAMMINO SULLA STRADA DELLA
NONVIOLENZA
[Riceviamo e diffondiamo]
"In cammino sulla strada della nonviolenza": percorso di formazione di un
Gruppo di Azione Nonviolenta. Seminario con Nanni Salio (fisico, direttore
del Centro Studi Sereno Regis di Torino e membro del Comitato scientifico
del Movimento Nonviolento, autore di numerosi studi e pubblicazioni sulla
nonviolenza): Una strategia nonviolenta per la Rete Lilliput: i Gruppi di
Azione Nonviolenta. Reggio Emilia, 12 e 13 gennaio 2002.
* Sabato 12:
ore 15.00: Nanni Salio: gli elementi fondamentali della strategia
nonviolenta con particolare riferimento alle azioni dirette (relazione
introduttiva e discussione);
ore 19.30: Cena comunitaria;
ore 21.00: lavori di gruppo: possibili ambiti di applicazione della
strategia nonviolenta sul territorio reggiano.
* Domenica 13:
ore 9.30: lavoro in assemblea: confronto sulle ipotesi emerse con la
supervisione di Nanni Salio.
Il seminario si svolgera' presso la cooperativa agricola "La Collina" di
Reggio Emilia. Il costo di partecipazione e' previsto in una quota minima di
lire 20.000 (euro 10,32). Chi puo' contribuire in maniera piu' consistente
e' invitato a compensare chi puo' farlo in maniera inferiore. La cena del
sabato e' condivisa e comunitaria, per cui si invitano i partecipanti a
portare dei cibi da socializzare con tutti.
Per informazioni: Associazione Resistenza e Pace, segreteria Lilliput c/o
MAG 6, via Vittorangeli 7/d, 42100 Reggio Emilia, telefax: 0522454832,
e-mail: ass-rep@libero.it

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 334 del 6 gennaio 2002