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pc: 11 settembre, boomerang imperiale
----- Original Message -----
Data: venerdì 4 gennaio 2002 21.19
Oggetto: 11 settembre, boomerang imperiale
In italiano si potrebbe tradurre con Boomerang. In inglese si chiama
Blowback (letteralmente "contraccolpo", "che ti scoppia contro"), un termine
coniato dalla Central Intelligence Agency (Cia) per uso interno e che poi ha
preso a circolare tra gli esperti di politica internazionale, e che indica
le involontarie conseguenze di politiche tenute segrete ai cittadini
americani.
"Quelle che la stampa riporta come perfide azioni di
'terroristi', o di 'narcotrafficanti' o di 'stati criminali', spesso si
rivelano essere solo blowbacks di precedenti azioni americane" scrive
Chalmers Johnson nel lilbro che s'intitola appunto Blowback. Il costo e le
conseguenze dell'impero americano. Un libro notevolissimo, non solo per quel
che scrive, ma per chi lo scrive e perché è stato pubblicato un anno fa. Già
allora, nell'elencare i boomerang della politica americana, Johnson
ricordava non solo l'esplosione nel 1988 del volo Pan Am su Lockerbie,
Scozia (blowback del bombardamento su Tripoli nel 1986 che aveva ucciso una
figlia di Gheddafi), non solo l'epidemia di droga che ha colpito i ghetti
urbani statunitensi negli anni '80, blowback delle operazioni in
Centroamerica della Cia che usava il traffico di droga per finanziare le
guerriglie contras, ma anche e soprattutto Osama bin Laden, addestrato,
finanziato e armato dalla Cia prima che si rivelasse un boomerang letale. Si
capisce perché dall'11 settembre Blowback è considerato un libro profetico,
e perché da allora si vende come noccioline: "Per definizione il terrorismo
colpisce gli innocenti per attirare l'attenzione sulle colpe di chi è
invulnerabile. Gli innocenti del XXI secolo dovranno mietere i disastrosi
boomerang delle avventure imperialiste Usa degli ultimi decenni. Anche se
molti americani sono ignari di quanto è stato ed è fatto a nome loro,
dovranno però pagarne un prezzo carissimo - individualmente e
collettivamente - per gli incessanti sforzi della loro nazione di dominare
la scena globale".
Ad accrescere la credibilità del libro c'è il fatto che è scritto non dal
solito radical-terzomondista, ma da un convinto anticomunista, che negli
anni '60 fu un acceso fautore della guerra in Vietnam, come confessa nella
prefazione: "In quegli anni ero irritato dalla protesta degli studenti che
mi sembrava tanto auto-indulgente quanto santarellina... In realtà loro
stavano capendo molto meglio di me le motivazioni profonde di un Robert
McNamara, di un Walt Rostow. Coglievano un elemento essenziale della natura
del ruolo imperiale dell'America nel mondo che a me sfuggiva".
Il primo messaggio importante che Johnson comunica ai suoi concittadini è
appunto che gli Usa sono un potere imperiale, una nozione di cui gli
americani sono ignari: sanno di essere la nazione più potente della terra,
ma non pensano di essere un impero: "Noi americani siamo profondamente
convinti che il nostro ruolo nel mondo è virtuoso - che le nostre azioni
sono invariabilmente per il bene altrui quanto per il nostro. Anche quando i
nostri atti finiscono in disastri, presumiamo che le motivazioni fossero
onorevoli".
Non per nulla il libro comincia con la strage della funivia del Cermis,
l'assoluzione dei piloti, il rifiuto di risarcire le famiglie: "Tipica di un
popolo imperiale la memoria corta sui propri più spiacevoli atti imperiali,
ma per chi li subisce la memoria può essere molto più lunga". Il Cermis non
è un caso isolato: gli impuniti stupri di ragazzine giapponesi da parte di
marines Usa a Okinawa; il peschereccio giapponese affondato da un
sottomarino atomico in emersione... Ma questi episodi sono riportati in
sordina dai media Usa: "Ci esimiamo dall'essere coscienti di come possiamo
apparire al resto del mondo. La maggior parte degli americani non è conscia
di come Washington esercita la sua egemonia globale, visto che tanta parte
di queste attività si svolge in segreto o sotto diciture consolanti. Tanto
per cominicare, molti trovano difficile da credere che il nostro posto nel
mondo abbia qualcosa a che vedere con un impero. Ma solo se riusciamo a
vedere il nostro paese come qualcosa che insieme trae profitto ed è
intrappolato dalle strutture di un impero in costruzione, riuciremo a
spiegarci molti elementi del resto del mondo che altrimenti ci lasciano
perplessi".
Johnson comincia subito col dire pane a pane, e cioè che gli Stati uniti
occupano militarmente il mondo. In particolare sotto occupazione militare
americana sono Gran Bretagna, Germania, Spagna, Italia, Turchia, l'Arabia
Saudita, Filippine, Giappone, Corea del Sud. "Dieci anni dopo la fine della
guerra fredda, centinaia di migliaia di soldati americani, dotati
dell'armamento più avanzato del modo, incluse armi atomiche, sono stanziati
in più di 61 basi in 19 paesi, se si usa la definizione più restrittiva data
dal Dipartimento della difesa per definire una 'grande installazione'; ma se
s'include ogni istallazione che ospiti rappresentanti delle Forze armate
Usa, allora il numero sale a 800 basi. Naturalmente, non ci sono basi
italiane negli Stati uniti. Il solo pensiero sarebbe ridicolo. Né, se per
questo, ci sono basi tedesche, indonesiane, russe, greche o giapponesi di
stanza sul suolo italiano. Per di più, l'Italia è uno stretto alleato degli
Usa e non c'è nessuna nazione che sia una verosimile minaccia per le sue
rive. Tutto ciò è quasi troppo ovvio da constatare. Semplicemente non è
materia di discussione, e ancor meno di dibattito nella terra dell'ultimo
potere imperiale. Probabilmente questo modo di pensare è una seconda natura
per ogni impero. Può darsi che i romani non trovassero strano avere truppe
in Gallia, né gli inglesi in Sudafrica. Ma ciò che rimane taciuto, è pur
sempre reale, e non è perché è rimosso da ogni discussione interna che manca
di conseguenze".
Johnson definisce quello Usa come un impero informale: infatti esso non è
l'estensione del dominio legale di uno stato su un altro: "Gli imperi più
moderni sono di solito celati da qualche concetto ideologico e giuridico -
commonwealth, alleanza, mondo libero, occidente, blocco comunista - che
maschera le relazioni concrete fra i suoi membri". La natura del progetto
imperiale americano era nascosta dalla guerra fredda, ma è stata disvelata
dal crollo dell'Urss, quando gli Stati uniti hanno continuato a occupare
militarmente paesi che non dovevano più fronteggiare la "minaccia
comunista". Una delle caratteristiche di questo progetto imperiale è di
piegare tutti gli altri paesi al proprio sistema sociale, alla propria
organizzazione economica, alla bibbia del libero mercato. Così facendo, gli
Usa somministrano al mondo di oggi la stessa prescrizione che Stalin
formulava in una conversazione con Tito nel 1945 e riportata da Milovan
Djilas: "Questa guerra è diversa dalle altre. Chiunque occupa un territorio
deve imporre il proprio sistema sociale. E ognuno imporrà il suo sistema
sociale finché il suo esercito avrà il potere di farlo. Non può essere
altrimenti". Tutto il libro sviluppa le analogie tra le politiche dell'Urss
durante la guerra fredda e l'attuale progetto imperiale americano: e i
blowbacks che gli Usa dovranno fronteggiare somigliano a quelli che hanno
portato al crollo l'Unione sovietica.
Johnson interpreta la crisi asiatica degli anni '90 come il tentativo da
parte degli Usa di piegare il modello capitalista giapponese al capitalismo
americano (notevole in questo libro profetico è che la teoria del blowback
sia formulata non da un mediorientalista o da un arabista, ma da uno
specialista di Cina e Giappone). In questo decennio gli Stati uniti hanno
cercato d'imporre al mondo il loro modello sociale, facendo precipitare
nella miseria i paesi che non vi si uniformavano: "dalla fine della Guerra
fredda, per perseguire la propria politica estera gli Stati uniti hanno
smesso quasi del tutto di affidarsi alla diplomazia, all'aiuto economico,
alla legge internazionale, alle istituzioni internazionali e si sono
affidati sempre di più al pugno sul tavolo, alla forza militare e alla
manipolazione finanziaria". Nel 1998 MadelaineAlbright, segretaria di stato,
diceva: "Se dobbiamo usare la forza è perché noi siamo l'America. Siamo la
nazione indispensabile. Noi ci ergiamo alti. Noi vediamo più lontano
nelfuturo". Il progetto di quest'impero informale è di ridurre il mondo
aimmagine e somiglianza degli Usa.
In questo senso, Johnson estende il significato di blowback a tutti i costi
che deve subire la nazione americana nel suo trasformarsi in impero:
"Blowback è un abbreviazione per dire una nazione miete ciò che ha seminato,
anche se non capisce cosa ha seminato. Con la loro ricchezza e il loro
potere, gli Usa saranno il primo e principale oggetto di tutte le più
prevedibili forme di blowback, in particolare attachi terroristi, anche su
territorio Usa. Ma la vera minaccia è il blowback nel suo senso più lato -
llcosto tangibile di un impero - perché gli imperi sono imprese carissime.
La deindustrializzazione degli Usa è un'involontaria conseguenza
negativadella politica americana. Un altro esempio di blowback è la
crescita delmilitarismo in una società che una volta era democratica. E'
l'impero che faproblema. Più i progetti sono imperialisti e più provocano
blowbacks".
A conclusione, riporto la curiosa critica che questo conservatore
americanomuove a Marx e Lenin che "sbagliavano sulla natura
dell'imperialismo. Non èla contraddizione del capitalismo che porta
all'imperialismo, ma èl'imperialismo che nutre alcune delle più importanti
contraddizioni delcapialismo. Quando queste contraddizioni maturano, creano
devastanti crisieconomiche".
(tratto da Il Manifesto)