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intervento in aula E. Deiana
Seduta n. 57 di mercoledì 7 novembre 2001
Comunicazioni del Governo sull'impiego di contingenti militari italiani
all'estero in relazione alla crisi internazionale in atto (ore 9,08).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi,
rappresentanti del Governo, vi accingete a compiere una scelta che è insieme
grottesca e tragica. Tragica perché è storicamente tragico quello che sta
avvenendo in Afghanistan - nell'intera regione - e perché in questo modo il
nostro paese si assume in forma diretta la responsabilità di una guerra
unilaterale che ha conseguenze devastanti sul piano umanitario e che sempre
più ne avrà su quello geopolitico e delle relazioni internazionali.
Il voto di guerra che vi accingete a esprimere - come fate a non vedere
ciò - avviene proprio nel momento in cui il conflitto ha dato prova lampante
di non riuscire a risparmiare la vita dei civili - le parti più indifese
delle popolazioni -, donne e bambini, nel momento in cui i cosiddetti danni
collaterali sono sotto gli occhi di tutti, anche dei vostri, suppongo.
I nostri ragazzi, come dice la retorica guerrafondaia di tutti i tempi, e le
nostre ragazze, come impone questa modernizzazione barbarica che uccide
l'aspirazione femminile alla libertà e all'autodeterminazione,
imprigionandola nello scimmiottamento di tutto quello che di peggio ha
prodotto la cultura maschile, i nostri ragazzi e le nostre ragazze -
ripeto - andranno ad esercitare la loro vocazione militare contro un paese
poverissimo, già torturato da 20 anni di guerra contro villaggi, quartieri
civili, agenzie di sminamento, ospedali civili e militari.
C'è un documento - vi suggerisco di leggerlo - che non è stato scritto dal
gruppo di Rifondazione comunista ma da Pax Christi. Si intitola «Clamore dei
popoli per la giustizia, la solidarietà e la pace» e vi è scritto che
l'operazione militare che gli USA stanno conducendo in Afghanistan non è
altro che un'altra forma di terrorismo - questo è anche il nostro
giudizio! - un terrorismo che alimenta, in maniera esponenziale, il
terrorismo dei gruppi politici del fondamentalismo islamista, che non
bonifica ma moltiplica quelli che l'onorevole D'Alema ama chiamare i
giacimenti dell'odio. I fiumi di dollari che si stanno spendendo
nell'attuale campagna contro l'Afghanistan sarebbero sufficienti da soli a
bonificare subito uno di quei giacimenti, eliminando, se indirizzati ad una
strategia di convivenze e pace tra i popoli, la fame e la miseria
dell'intera zona.
Partecipare alla guerra è una scelta tragica - dicevo prima - ma insieme
grottesca perché nulla e nessuno imponeva al nostro paese di passare dalla
già disastrosa scelta di appoggio politico all'operazione «Libertà duratura»
a quella del coinvolgimento diretto in azioni di guerra.
Non vi è stata nessuna richiesta americana, ma soltanto l'insistenza
grottesca fino al ridicolo, se non si trattasse di guerra, dell'offerta
italiana, del pietire del Governo e anche di esponenti del centrosinistra di
partecipare, in forma diretta, alle azioni militari in Afghanistan, di far
sventolare la bandiera italiana tra le macerie di quel paese.
Dietro al ridicolo delle forme c'è però l'idea, l'illusione, la volontà di
far parte attiva, ancorché in posizione di attori di seconda o terza fila,
di quel gruppo di paesi che, con la guerra, sta disegnando le nuove
coordinate del potere economico, politico e militare nel mondo, di sedersi
insomma al tavolo dei vincitori, semmai vi saranno, con Bush e Blair per
poter dire: c'ero anch'io! Un déjà-vu che fa parte di una storia del nostro
paese che noi proprio non amiamo e che ha portato più volte l'Italia ad
avventure belliche disastrose, tanto più disastrose in questa occasione
perché le dinamiche che si sono aperte con l'operazione «Libertà duratura»
sono tutt'altro che chiare e definibili, al di là del martellamento militare
continuo, dei bombardamenti metro per metro, della propaganda bellica.
Abbiamo detto più volte - e oggi lo ribadiamo - che «Libertà duratura» non è
una operazione contro il terrorismo, che il terrorismo non si combatte in
questa maniera, che in questa maniera si alimentano e si estendono soltanto
l'area e la legittimazione del terrorismo.
L'operazione «Libertà duratura» è un'occasione colta dagli Stati Uniti e
dalla NATO per intervenire in armi a ridefinire, attraverso la guerra, il
protettorato, la presenza diretta in quelle zone, i rapporti di forza in
un'area del mondo che - basta leggere la stampa degli Stati Uniti e di tutti
gli osservatori attenti alle questioni geopolitiche - è strategica da tutti
i punti di vista.
Ma se le ragioni strategiche sono chiare e definite - in merito a ciò
dovrebbe essere aperta la discussione in Parlamento, non sugli aspetti
tecnici militari di cui ci ha informato il ministro Martino - non sono
affatto chiare le sorti di questa guerra.
Il Parlamento dovrebbe essere messo nelle condizioni di discutere
dell'andamento della guerra. Il voto è a occhi chiusi. Come può non
interessarci sapere che, dopo mesi di bombardamento incessante, non vi è
nessun segno di successo, né politico né militare, nella dichiarata
offensiva contro il regime dei taliban? Che Bin Laden, lungi dall'essere
stato catturato o dall'essere in procinto di essere catturato, diventa ogni
giorno di più il punto di riferimento di vaste aree dei paesi arabi e che
rischia di essere l'eroe di un'intera generazione di giovani maschi
musulmani, sempre più schiacciati dagli avvenimenti di questo periodo su
un'identità islamista che annienta tutte le differenze culturali, che pure
sono grandissime tra quei paesi, e tutte le differenze sociali?
Come ignorare che la destabilizzazione dell'area, a cominciare dal Pakistan,
così duramente investito nelle responsabilità militari dell'azione « Libertà
duratura » comporta rischi di una gravità inaudita per tutto il mondo,
considerato che la guerra avviene in un contesto circondato da paesi
cosiddetti emergenti e dotati dell'arma atomica?
Votiamo la guerra, assumiamo il ruolo di reggicoda degli Stati Uniti
d'America, mentre potremmo fare grande il nostro paese, mettendo all'opera
la grande vocazione di pace che esso manifesta e che si è evidenziata nella
straordinaria partecipazione popolare alla marcia Perugia-Assisi, vocazione
di pace che torna, in tutti i sondaggi investigativi, nella volontà della
nostra gente di partecipare o meno alla guerra.
Potremmo fare grande il nostro paese elaborando e proponendo adeguate
strategie internazionali contro il terrorismo, con un'azione pressante per
risolvere i punti di crisi che lo alimentano, a partire dalla questione
palestinese che continua ad essere nel fuoco di una situazione drammatica
che appare irrisolvibile; potremmo adoperarci per promuovere un'azione
autonoma dell'Europa e un suo ruolo quale mediatrice dei conflitti per
rilanciare, ripensare e riqualificare il ruolo delle Nazioni Unite che oggi
sono ridotte a paravento subalterno delle decisioni della NATO.
Il Presidente della Repubblica Ciampi ha augurato che un tricolore sia
presente in ogni famiglia. Ci dispiace che il Presidente della Repubblica
abbia usato questa espressione tipica del patriottismo bellico. Ne siamo
distanti anni luce e faremo di tutto perché il minor numero di tricolori di
guerra sventoli tra di noi. Se il tricolore, come deve essere, rappresenta
il nostro paese, deve rappresentare l'Italia repubblicana, democratica e
fondata su una Costituzione che ha nel suo DNA costitutivo il ripudio della
guerra e la ricerca della pace.
Il voto di oggi fa piazza pulita di quel fondamento, distrugge le basi della
convivenza internazionale, favorisce l'instaurazione della legge del più
forte, eliminando ogni garanzia del diritto. Vi accingete a scrivere
un'altra pagina nera della nostra storia. Per quello che è nelle nostre
mani, faremo di tutto per sollevare contro la vostra decisione clamori di
popolo (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
Forum delle donne di Rifondazione comunista
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