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pc: illegalità costituzionale e finanziamento degli USA



L'illegalità del conflitto
DANILO ZOLO. "Stracciata la Costituzione, calpestato il diritto
internazionale"
ERNESTO MILANESI
manifesto del 9 novembre 2001

Danilo Zolo, docente di Filosofia del diritto all'Università di Firenze,
ragiona dell'"illegalità della guerra" alla luce del voto parlamentare. "Ho
assistito a buona parte del dibattito e sono costretto dire che si trattato
di uno spettacolo assai poco edificante. Interventi spesso all'insegna
della mediocrità intellettuale e di una miopia provinciale. Di fatto, è
prevalsa la prospettiva angusta della fedeltà atlantica e della
subordinazione alla egemonia degli Stati Uniti. Del resto, è stato proprio
un esponente della sinistra come D'Alema ad insistere più volte sul fatto
che l'uso della forza non deve essere un tabù per la sinistra: valeva per
la "guerra umanitaria" del Kosovo e vale oggi per l'Afganistan. Una logica
irresponsabile, perchè chiude gli occhi di fronte al valore della vita
umana e al dovere giuridico e morale di non uccidere, per nessuna ragione,
persone innocenti. Farlo in una guerra retributiva non è diverso dal farlo
con un atto terroristico. Fra l'altro, ho la netta impressione che i
"rappresentanti" del popolo in parlamento non si rendano conto del diffuso
disagio, il panico morale vorrei dire, che si percepisce in larghi strati
della società italiana".
Cosa comporta, adesso, la prima linea? Il governo di centro-destra ha fatto
di tutto per esporre l'Italia alla ritorsione del terrorismo, mettendola
sullo stesso piano degli angloamericani. Penso alle dichiarazioni di
Berlusconi sulla superiorità della civiltà occidentale su quella islamica e
alla tragicomica aspirazione a entrare comunque in guerra accanto agli Usa,
per pure ragioni di prestigio e di gretto calcolo politico. Infine, per
capire il disagio diffuso in Italia, è il caso di sottolineare come Osama
bin Laden in persona, nella sua ultima dichiarazione, abbia riservato
particolare attenzione all'Italia. Non v'è dubbio che l'Islam sia stato
"terrorizzato" dal colonialismo italiano. Ho vissuto da bambino in Libia e
ricordo l'arroganza coloniale degli italiani, che si sono macchiati (come
ci ha mostrato Del Boca nei suoi splendidi libri) di atrocità indicibili, a
cominciare dall'uso dell'iprite per avvelenare interi laghi e provocare la
morte di migliaia di etiopi. Oggi sembra che l'Italia sia chiamata a
rispondere anche di questo suo passato coloniale. Per il diritto, anche
questa è una guerra illegale? Certo, sul piano interno e sul piano
internazionale. E' stato stracciato una volta di più l'articolo 11 della
nostra Carta costituzionale, che consente l'uso della forza esclusivamente
come atto di difesa da un attacco in corso. E prevede fra l'altro procedure
rigorose, che impongono la formale dichiarazione della guerra da parte del
parlamento e del presidente della Repubblica. Ma siamo nel campo
dell'illegalità anche dal punto di vista del diritto internazionale
generale e della Carta delle Nazioni Unite. Il primo vieta l'uso della
forza se non per replicare ad un'aggressione in corso. La Carta delle
Nazioni Unite attribuisce il potere di usare la forza esclusivamente al
Consiglio di Sicurezza. Non ne ha autorizzato l'uso in questa circostanza
con nessuna delle due recenti risoluzioni (la 1368 e la 1373). Ma che
guerra è? L'enorme potenziale bellico degli Usa ha bisogno di tutto, tranne
che della cooperazione bellica di un esercito tecnologicamente arretrato
come quello italiano. E' un atto di viltà: infierire contro un popolo
martoriato. Ed è anche una guerra inefficace, come sanno bene gli strateghi
americani. Guerra da pensiero unico? Onu e Nato sonostate completamente
messe da parte. Ci troviamo di fronte ad un esercizio unilaterale del
diritto di guerra, che ci riporta indietro direttamente all'Ottocento.
Corrisponde ai progetti strategici della massima potenza mondiale. Si pensi
al documento del 30 settembre Quadrennial Defence Review Report del
Dipartimento della difesa americano. Vi si parla esplicitamente degli Stati
Uniti come del global power destinato ad esercitare una egemonia globale. E
si sostiene che gli Usa devono porre sotto il loro controllo l'area caspica
e caucasica, sede di immense riserve energetiche.



Depressione americana
il manifestoel 9 novembre 2001-
File di disoccupati, produzione in calo, famiglie indebitate. La crisi è
iniziata prima, ma dopo l'11 settembre gli Usa corrono verso la recessione
MARCO D'ERAMO - INVIATO A NEW YORK

Solo qui a New York almeno 25.000 persone hanno perso il lavoro dopo
l'attacco dell'11 settembre. Molti sono lavori poveri, senza i quali le
famiglie sono ridotte al lastrico. Tra loro: 4.225 camerieri e cameriere,
3.365 addetti alle pulizie, 2.843 commessi di negozi, 2.284 cucinieri,
2.282 cassieri, 1.840 collaboratrici domestiche, 1.718 commessi di
fast-food. La loro paga si aggirava tra i 6 e i 14 dollari l'ora. Ma tra i
newyorkesi disoccupati ci sono anche 1.367 dirigenti e direttori generali
la cui paga è di 51 dollari l'ora (110.000 lire).
Certo, gli attentati hanno colpito in particolare New York, ma il crollo
dell'occupazione riflette lo stato di tutto il paese. Non tutto è dovuto al
terrorismo e all'antrace. L'economia aveva già frenato alla fine dell'anno
scorso. Ma fino a settembre il crollo dell'occupazione si era concentrato
nell'industria (che comunque anche a ottobre ha cancellato 142.000 posti di
lavoro), perché le imprese avevano deciso di dare fondo alle scorte. E il
calo si è accelerato: il magazzino si è ridotto di 27,1 miliardi di dollari
nel primo trimestre; di 38 miliardi di dollari nel secondo trimestre e di
50 miliardi di dollari nel terzo trimestre. Sono così crollate le
importazioni (dell'8,4% nel secondo trimestre e del 15,2% nel terzo). A sua
volta, il minor import ha rallentato le altre economie, Asia in
particolare, provocando così l'ulteriore crollo dell'export americano:
-11,9% nel secondo trimestre, -16,6% nel terzo. Tutto ciò ha portato, per
la prima volta da un decennio, a un calo del prodotto interno lordo (Pil):
mentre nel 2000 il Pil era cresciuto del 4 per cento, nel secondo trimestre
ha viaggiato al ritmo annuo dello 0,3% e nel terzo trimestre si è contratto
dello 0,4% su base annua. E Le industrie americane girano ora al 75% della
loro capacità, il più basso livello da 18 anni.
Licenziamenti a rafficaCon l'11 settembre e con l'antrace, la moria di
posti di lavoro ha però preso a falciare i servizi, fino ad allora
relativamente risparmiati. La crisi delle linee aeree si è ripercossa a
valanga su tutto il settore turistico, autonoleggi, ristoranti, alberghi,
negozi. Le sole linee aeree hanno licenziato più di 100.000 persone. Un
caso limite è Las Vegas, praticamente vuota, o le Hawaii, dove nel turismo
è concentrato un terzo di tutti i posti di lavoro dell'arcipelago. Ma anche
città come New York e San Francisco dipendono in modo pesante dai
visitatori. Il primato nella categoria "Paura di volare" lo detengono i
turisti giapponesi, scomparsi dalle strade americane. Così a ottobre i
servizi hanno distrutto 110.000 posti di lavoro, la maggiore perdita dal
1938, da quando cioè viene misurata l'occupazione in questo settore. La
disoccupazione è passata dal 3,8% del settembre 2000 al 5,4% di oggi. E i
dati sull'occupazione negli Stati uniti sono falsati da tre fattori: 1) la
definizione di "disoccupato" è assai restrittiva, basta infatti aver
lavorato una sola ora in tutta la settimana precedente per essere
considerati occupati; 2) nei 7,7 milioni di disoccupati ufficialmente
censiti non vengono naturalmente contati i 2 milioni di reclusi nei carceri
statunitensi; 3) le Forze armate Usa impiegano 3 milioni di persone.
Ciononostante, l'economia ha bruciato 900.000 posti di lavoro da marzo a
fine ottobre, 615.000 dall'11 settembre, e 400.000 nel solo mese di ottobre.
Quanto sia drammatica la minaccia di crollo dell'economia l'ha mostrato
l'altroieri la decisione della Federal Reserve di procedere, per la decima
volta quest'anno, a un taglio dei tassi d'interesse. il taglio in
proporzione più grande: il tasso è diminuito del 20% passando dal 2,5 al 2
per cento. Il livello più basso dal 1961. A pensare che un anno fa il tasso
era al 6,5%. E la Fed non eslcude di arrivare all'1% entro la fine
dell'anno. Ma a questo ritmo si avvicina a gran corsa l'ora del tasso zero,
quando cioè la Fed avrà sparato tutte le cartucce dell'arma più potente a
sua disposizione.
La bolla che scoppiaMa, s'interrogava ieri il Wall Street Journal, gli
Stati uniti non stanno per caso rotolando sulla stessa china che ha
disastrato l'economia giapponese? Sono anni infatti che la locomotiva
nipponica non riesce a ripartire nonostante il tasso d'interesse sia
praticamente nullo. vero che, per apportare i tagli che la Fed ha operato
in un anno, la Banca Giapponese ci ha messo quattro anni e mezzo. Ciò non
toglie che a Tokyo l'arma dei tassi si è rivelata inefficace.
Le somiglianze vanno oltre. L'industria giapponese aveva investito troppo
nelle fabbriche di chips, gli Stati uniti nelle linee telefoniche ad alta
velocità. Nel 1991 la "Bolla" scoppiava in Giappone: l'indice borsistico
Nikkei è crollato dal livello 40.000 del 1989 a 10.000 oggi. Anche gli
Stati uniti hanno avuto la loro bolla borsistica, soprattutto con i titoli
"dot.com", con la cosiddetta new economy. I valori del Dow Jones sono scesi
del 30% rispetto ai loro massimi dell'anno scorso (i titoli tecnologici del
Nasdaq hanno però perso più di metà del proprio valore). Ma secondo alcuni,
la bolla speculativa deve ancora scoppiare: i titoli dell'indice Standard &
Poor's vengono scambiati ancora a corsi in cui il rapporto tra prezzo e
rendimento è tra 21 e 28, mentre la media storica è di 15: vuol dire che i
titoli dovrebbero scendere di un altro 30% per tornare ai livelli di
rendimento normali. Ma il calo azionario ha conseguenze pesanti sui fondi
pensionistici degli stati, e in definitiva sulle pensioni pagate agli
anziani. Il valore patrimoniale del fondo pensioni del Maryland è diminuito
in un anno di 6,6 miliardi di dollari (14.000 miliardi di lire), più del
20% del totale; quello della Virginia ha perso 5,4 miliardi di dollari (il
13% del totale): quello del distretto federale di Washington ha perso il 15
per cento.
E' vero che nel Sol Levante la Bolla borsistica era gonfiata da quella
immobiliare, tanto che un metro quadro poteva costare a Tokyo un miliardo
di lire. Con i prestiti garantiti da queste quotazioni immobiliari, le
banche sono entrate in una sofferenza da cui non sono più uscite. Negli
Stati uniti la speculazione non è mai impazzita così, però negli ultimi
quattro anni i prezzi delle case sono lievitati del 20% in media nazionale,
e del 60% in zone calde come la Silicon Valley.
Famiglie indebitateA rendere più convincenti le analogie è però il
sovraindebitamento dei privati, che rappresenta l'equivalente Usa delle
sofferenze del sistema bancario nipponico. Per la prima volta, il servizio
del debito delle famiglie è arrivato al 14% del loro reddito al netto delle
tasse: vuol dire che il loro debito supera largamente le loro entrate annue
ed è ormai di 55.000 dollari (120 milioni di lire). Sarebbe istrutttivo
rileggere il libro della Schor The Overspent American. Già in tempi normali
l'economia Usa funziona a buffi: qui si pagano a rate non solo le auto, la
casa, gli elettrodomestici, ma anche il dentista, le vacanze, la scuola dei
figli, l'università. Con la bolla della new economy l'indebitamento si è
ancora aggravato perché per tutti gli anni 1993-2000 le famiglie hanno
comprato a rate, senza badare a spese, dando in garanzia il valore sempre
crescente delle loro azioni.
E'il sovraindebitamento a far dubitare dell'efficacia dei tagli dei tassi
operati dalla Fed. I tagli mirano a rendere più facile chiedere prestiti e
quindi indebitarsi. Ma che senso ha la politica del prestito facile in un
paese annegato da un mare di debiti? A lungo termine nessuno, rispondono i
responsabili, ma a breve termine è efficace e mostrano due dati. 1) Le
vendite record di automobili nel mese di settembre, quando le case
automobilistiche hanno copiato la Fed: hanno venduto a tasso zero
d'interesse. Ma i loro bilanci stanno pagando il conto di queste vendite
sottocosto anche se record. 2) Visto il calo dei tassi d'interesse, un
numero crescente di famiglie ricontratta i mutui per la casa: per il tipico
mutuo trentennale, il tasso è passato in media dall'8,7% dell'anno scorso
al 6.5% di quest'anno.
Aspettando il rilancioAltrettanto inefficaci si sono rivelate per il
momento le misure di rilancio economico dell'amministrazione Bush che già
in primavera aveva varato tagli fiscali per 1.200 miliardi di dollari (2,5
milioni di miliardi di lire) su dieci anni, e che ha già distribuito 56
miliardi di dollari dall'11 settembre a oggi: alle sole linee aeree ne sono
andati 15 miliardi, ma se li divorano voracemente; la sola Continental
perde 15 milioni di dollari al giorno. L'azione combinata della Fed e
dell'amministrazione Bush ha perciò iniettato una dose massiccia di
liquidità nell'economia Usa: l'analisi degli aggregati monetari mostra che
nell'ultimo semestre le tre misure della massa monetaria (M1, M2 ed M3)
sono aumentate a ritmo annuo del, rispettivamente, 8,8% per M1, 10,1% per
M2 e 11,6% per M3. Questa dilatazione della massa monetaria è però andata
di pari passo con una contrazione del Pil e del commercio estero. Una
spiegazione sta nei capitali che continuano a fluire verso gli Usa, e che
spingono il dollaro verso l'alto malgrado il basso tasso di sconto. A sua
volta l'afflusso di capitali dipende in parte da due fattori: 1) almeno
fino a gennaio, il dollaro è alimentato da tutti i capitali esportati
illegalmente dai vari paesi europei e che fino all'anno scorso continuavano
a essere conteggiati nelle varie valute nazionali; ma poiché da gennaio
prossimo lire, marchi, franchi e pesetas saranno carta straccia, non
potendo rientrarer legalmente in patria, tutti questi capitali si stanno
convertendo in dollari il più in fretta possibile;

 2) quando si addensano le nuvole di guerra i capitali tendono a
trasferirsi nel paese considerato alla lunga vincente: ecco perché, dopo un
momentaneo calo in seguito all'11 settembre, il dollaro è risalito alla
grande. Questa sopravalutazione del biglietto verde ci dice perciò che è il
resto del mondo che continua a finanziare, con l'afflusso di capitali,
l'indebitamento estero e interno degli Usa. Quanto questo possa durare, non
lo sa nessuno.Certo è che troppe volte negli ultimi anni gli Stati uniti
sono stati dati per spacciati: ricordate tutto il bla-bla sul Declino
americano (Paul Kennedy). E perfino Arrighi si era azzardato a profetizzare
che il Giappone stava soppiantando gli Usa. Era il 1994. Si è visto come è
andata.