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editoriale di PeaceLink: passa la guerra in Parlamento ma non nella società
Abbiamo appena assistito alla votazione in Parlamento: via libera alla
partecipazione italiana alla guerra, dunque.
Nessun partito che ha votato a favore della guerra si è preoccupato di
spiegare la compatibilità di quel voto con l'articolo 11 della
Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla
libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione della controversie
internazionali".
Andiamo in Afghanistan non per limitare ma per completare un massacro da
cui gli afghani non hanno scampo.
Un giorno dovremo chiedere perdono a questo popolo.
Frontiere sigillate e inverno alle porte, abbiamo da offrire al popolo più
povero della Terra solo vuota retorica e qualche pacchetto di viveri
buttato sui campi minati. Gli afghani non hanno via di scampo, dovranno
scegliere solo se morire di freddo lontano dalle bombe o al riparo sotto le
macerie, arrostiti dalle bombe. E' difficile pensare che non ci maledicano.
E' difficile pensare che non si batteranno fino all'ultimo, non per
difendere il regime ma per difendere semplicemente se stessi. E' facile per
converso pensare che Bin Laden diventi ciò che per gli irakeni è diventato
Saddan Hussein e che nessuna alternativa politica da ora in poi potrà
vincere lì. Questa guerra sarà probabilmente lunghissima e alla fine
qualcuno dirà: "Questi afghani sono come i giapponesi di 60 anni fa, si
arrendono solo con l'atomica". Anzi, qualcuno già lo sta bisbigliando.
La guerra per cui sventolerà quel tricolore di cui Ciampi va fiero, è
un'offesa non solo alla libertà di un popolo - libertà di cui è già privato
per mano di un regime oppressivo - ma è la negazione del diritto alla vita,
di quella vita senza la quale è illusorio parlare di ogni aspirazione alla
libertà. Noi andiamo lì dicendo di liberarli, e li massacriamo con bombe da
7 tonnellate. La guerra a cui ora ufficialmente partecipiamo come nazione è
una mattanza, non dà vie di fuga: anzi i profughi afghani che dovessero
scalare le montagne e navigare fino a noi sperando di sfuggire alla guerra
li rispediremo a casa come sospetti terroristi.
A questa disperazione non non diamo risposte: noi siamo criminali senza
dubbi e senza proposte.
Ma c'è altro. I soldati italiani vengono oggi usati per la gloria e la
carriera di un gruppo di politici.
C'è da dubitare che i parlamentari che hanno votato sì alla guerra
manderebbero i propri figli a combattere sul campo per gli "ideali" per cui
scrivono i loro discorsi.
C'è solo da sperare a questo punto che i militari italiani facciano una
guerra finta, tenendo lontani i soldati italiani da un nuovo Vietnam. I
militari conoscono bene ciò che ignorano tanti parlamentari che hanno
scansato sia il servizio militare che il servizio civile.
Noi ci opponiamo alla guerra perché genera automaticamente nuovi
terroristi, nuovi kamikaze, nuovi disperati. Questa guerra è un regalo ai
terroristi. Lo hanno capito anche i più stupidi. A questa guerra si stanno
opponendo anche coloro i quali all'inizio erano favorevoli. Ormai non si
parla più della cattura di Bin Laden. Non potendo fare ciò che desidera,
Bush desidera ciò che fa: la logica si ribalta.
E la gente se ne accorge.
I sondaggi ci dicono che il 55% degli italiani non appoggia questa guerra.
E' quindi evidente che questo Parlamento non rappresenta - almeno su tale
scelta cruciale - il volere del Paese, non rispecchia l'opinione pubblica e
neppure la consulta. Se ci fosse oggi un referendum consultivo apparirebbe
netto lo scollamento fra classe politica e cittadini.
Noi che la guerra non la vogliamo siamo con la maggioranza degli italiani.
Attenzione: noi pacifisti siamo con la maggioranza anche se non siamo la
maggioranza.
Per questo dobbiamo saper rappresentare una società civile variegata
imparando a dialogare con tutti, anche e soprattutto con chi ha votato per
coloro i quali hanno deciso per la guerra. Ci differenziaremo dai nostri
politici che non coltivano dubbi se sapremo ascoltare i dubbi e anche le
critiche. Noi pacifisti non siamo portatori della verità. Solo nel dialogo
serrato e nella disponibilità all'ascolto delle diverse ragioni sapremo
distinguerci e trovare le strade che conducono alla mente e alle ragioni di
milioni di persone che maturano giorno dopo giorno la propria contrarietà e
il proprio dubbio verso l'intervento italiano. La credibilità dei politici
è in calo, quella del mondo del volontariato - di cui siamo parte - è in
crescita. Siamo portatori di valori e di speranze diffuse, mentre "loro"
sono portatori di interessi legati alla carriera. E ciò ci consente di
vincere sulle grandi questioni ideali come quellla che abbiamo di fronte.
Ogni "settarismo pacifista", ogni orgogliosa chiusura nella "nostra verità"
sarebbe la rinuncia al dialogo con tanta gente che pacifista non è ma che
non è per nulla contenta di questa guerra. Dovremo saper dialogare ad
esempio con tanti commercianti che non hanno sfilato da Perugia ad Assisi
ma che sono oggi inviperiti per il calo delle vendite e per i contraccolpi
economici della guerra.
Questo è il momento di unirci al di là degli schieramenti e delle
particolarità.
Che fare?
Noi di PeaceLink faremo la nostra parte per ciò che sappiamo fare. Ecco
alcune indicazioni concrete per la mobilitazione:
- cliccate su http://db.peacelink.it/volontari/search.php e cercate di
unirvi con i volontari antiguerra della vostra regione e della vostra
città; segnalate nel database la costituzione di comitati unitari contro la
guerra;
- dopo esservi "linkati" segnalate (specificando in quale provincia
operate) i vostri progetti di lavoro alla newsletter LA NONVIOLENZA E' IN
CAMMINO di Peppe Sini; otterremo così (oltre al database dei volontari
antiguerra) anche una "guida ragionata" alle idee e ai progetti per la
pace; scrivete pertanto al "Centro di ricerca per la pace" (che cura la
newsletter) inviando una e-mail a nbawac@tin.it e per conoscenza a
info@peacelink.it
- se avete in agenda degli appuntamenti e delle iniziative segnalatele al
calendario di PeaceLink
http://www.peacelink.it/appuntam/calendario.html scrivendo a Nello
Margiotta animarg@tin.it
Ma c'è qualcosa di più importante che chiunque - anche il meno
computerizzato - può fare contro questa guerra: creare un rapporto nuovo
con il proprio portafogli.
A Natale infatti si "voterà" sulla guerra: i regali di Natale saranno la
cartina al tornasole di questa guerra. Sarà il voto popolare - espresso con
il portafogli - sull'andamento dell'economia, esprimerà il nostro livello
di fiducia nei consumi e nel futuro, sarà la spia della non collaborazione,
istintiva o coscientemente maturata. Uno stile di vita più sobrio sarebbe
un duro colpo ai politici che oggi si sono imbarcati in un'avventura
deprimente anche sotto il profilo economico. Gli appelli al patriottismo
("consuma per la Patria") si travestiranno di pubblicità. Chi non spenderà
sarà un disfattista. E noi che dovremo fare con il nostro portafogli? Lo
sapremo usare mirando con la perizia che nelle scuole militari viene
insegnata ai tiratori scelti?
Alessandro Marescotti
presidente di PeaceLink