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Il Sultano e san Francesco - Tiziano Terzani a Oriana Fallaci
Il Sultano e San Francesco
di Tiziano Terzani
Oriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu
sei nata, guardo le lame austere ed eleganti dei cipressi contro il cielo e
ti penso a guardare, dalle tue finestre a New York, il panorama dei
grattacieli da cui ora mancano le Torri Gemelle. Mi torna in mente un
pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa quando assieme facemmo una lunga
passeggiata per le stradine di questi nostri colli argentati dagli ulivi.
Io mi affacciavo, piccolo, alla professione nella quale tu eri gia' grande
e tu proponesti di scambiarci delle "Lettere da due mondi diversi": io
dalla Cina dell'immediato dopo-Mao in cui andavo a vivere, tu dall'America.
Per colpa mia non lo facemmo. Ma e' in nome di quella tua generosa offerta
di allora, e non certo per coinvolgerti ora in una corrispondenza che tutti
e due vogliamo evitare, che mi permetto di scriverti. Davvero mai come ora,
pur vivendo sullo stesso pianeta, ho l'impressione di stare in un mondo
assolutamente diverso dal tuo.
Ti scrivo anche - e pubblicamente per questo - per non far sentire troppo
soli quei lettori che forse, come me, sono rimasti sbigottiti dalle tue
invettive, quasi come dal crollo delle due Torri. La' morivano migliaia di
persone e con loro il nostro senso di sicurezza; nelle tue parole sembra
morire il meglio della testa umana - la ragione; il meglio del cuore - la
compassione.
Il tuo sfogo mi ha colpito, ferito e mi ha fatto pensare a Karl Kraus. "Chi
ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia", scrisse, disperato dal
fatto che, dinanzi all'indicibile orrore della Prima Guerra Mondiale, alla
gente non si fosse paralizzata la lingua. Al contrario, gli si era sciolta,
creando tutto attorno un assurdo e confondente chiacchierio. Tacere per
Kraus significava riprendere fiato, cercare le parole giuste, riflettere
prima di esprimersi. Lui uso' di quel consapevole silenzio per scrivere Gli
ultimi giorni dell'umanita', un'opera che sembra essere ancora di
un'inquietante attualita'.
Pensare quel che pensi e scriverlo e' un tuo diritto. Il problema e' pero'
che, grazie alla tua notorieta', la tua brillante lezione di intolleranza
arriva ora anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta.
Il nostro di ora e' un momento di straordinaria importanza. L'orrore
indicibile e' appena cominciato, ma e' ancora possibile fermarlo facendo di
questo momento una grande occasione di ripensamento. E un momento anche di
enorme responsabilita' perche' certe concitate parole, pronunciate dalle
lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti piu' bassi, ad
aizzare la bestia dell'odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare
quella cecita' delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette,
a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l'uccidere.
"Conquistare le passioni mi pare di gran lunga piu' difficile che
conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile
cammino dinanzi a me", scriveva nel 1925 quella bell'anima di Gandhi. Ed
aggiungeva: "Finche' l'uomo non si mettera' di sua volonta' all'ultimo
posto fra le altre creature sulla terra, non ci sara' per lui alcuna salvezza".
E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti
quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di
offrirci salvezza? La salvezza non e' nella tua rabbia accalorata, ne'
nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela piu'
accettabile, "Liberta' duratura".
O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la
violenza? Da che mondo e' mondo non c'e' stata ancora la guerra che ha
messo fine a tutte le guerre. Non lo sara' nemmeno questa.
Quel che ci sta succedendo e' nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno.
Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo.
E una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto,
immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d'aver davanti
prima dell'11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilita'
di nulla, tanto meno all'inevitabilita' della guerra come strumento di
giustizia o semplicemente di vendetta.
Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di
distruzione e di morte le rendono sempre piu' tali. Pensiamoci bene: se noi
siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra
disposizione, compresa quella atomica, come propone il Segretario alla
Difesa americano, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici,
chiunque essi siano, saranno ancor piu' determinati di prima a fare lo
stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se
alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una
ancor piu' terribile violenza - ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa
dove -, alla nostra ne seguira' necessariamente una loro ancora piu'
orribile e poi un'altra nostra e cosi' via.
Perche' non fermarsi prima?
Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed
interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare
una dose, magari "intelligente", di violenza per mettere fine alla
terribile violenza altrui.
Cambiamo illusione e, tanto per cominciare, chiediamo a chi fra di noi
dispone di armi nucleari, armi chimiche e armi batteriologiche - Stati
Uniti in testa - d'impegnarsi solennemente con tutta l'umanita' a non
usarle mai per primo, invece di ricordarcene minacciosamente la
disponibilita'. Sarebbe un primo passo in una nuova direzione. Non solo
questo darebbe a chi lo fa un vantaggio morale - di per se' un'arma
importante per il futuro -, ma potrebbe anche disinnescare l'orrore
indicibile ora attivato dalla reazione a catena della vendetta.
In questi giorni ho ripreso in mano un bellissimo libro (peccato che non
sia ancora in italiano) di un vecchio amico, uscito due anni fa in
Germania. Il libro si intitola Die Kunst, nicht regiert zu werden: ethische
Politik von Sokrates bis Mozart (L'arte di non essere governati: l'etica
politica da Socrate a Mozart). L'autore e' Ekkehart Krippendorff, che ha
insegnato per anni a Bologna prima di tornare all'Universita' di Berlino.
La affascinante tesi di Krippendorff e' che la politica, nella sua
espressione piu' nobile, nasce dal superamento della vendetta e che la
cultura occidentale ha le sue radici piu' profonde in alcuni miti, come
quello di Caino e quello delle Erinni, intesi da sempre a ricordare
all'uomo la necessita' di rompere il circolo vizioso della vendetta per
dare origine alla civilta'.
Caino uccide il fratello, ma Dio impedisce agli uomini di vendicare Abele
e, dopo aver marchiato Caino - un marchio che e' anche una protezione -, lo
condanna all'esilio dove quello fonda la prima citta'. La vendetta non e'
degli uomini, spetta a Dio.
Secondo Krippendorff il teatro, da Eschilo a Shakespeare, ha avuto una
funzione determinante nella formazione dell'uomo occidentale perche' col
suo mettere sulla scena tutti i protagonisti di un conflitto, ognuno col
suo punto di vista, i suoi ripensamenti e le sue possibili scelte di
azione, il teatro e' servito a far riflettere sul senso delle passioni e
sulla inutilita' della violenza che non raggiunge mai il suo fine.
Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i
soli protagonisti ed i soli spettatori, e cosi', attraverso le nostre
televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non
proviamo che il nostro dolore.
A te, Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto invece. Ho passato
giorni in Sri Lanka con alcuni giovani delle "Tigri Tamil", votati al
suicidio. Mi interessano i giovani palestinesi di "Hamas" che si fanno
saltare in aria nelle pizzerie israeliane. Un po' di pieta' sarebbe forse
venuta anche a te se in Giappone, sull'isola di Kyushu, tu avessi visitato
Chiran, il centro dove i primi kamikaze vennero addestrati e tu avessi
letto le parole, a volte poetiche e tristissime, scritte segretamente prima
di andare, riluttanti, a morire per la bandiera e per l'Imperatore.
I kamikaze mi interessano perche' vorrei capire che cosa li rende cosi'
disposti a quell'innaturale atto che e' il suicidio e che cosa potrebbe
fermarli.
Quelli di noi a cui i figli - fortunatamente - sono nati, si preoccupano
oggi moltissimo di vederli bruciare nella fiammata di questo nuovo,
dilagante tipo di violenza di cui l'ecatombe nelle Torri Gemelle potrebbe
essere solo un episodio.
Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perche'
io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolvera' uccidendo
i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali.
Niente nella storia umana e' semplice da spiegare e fra un fatto ed un
altro c'e' raramente una correlazione diretta e precisa. Ogni evento, anche
della nostra vita, e' il risultato di migliaia di cause che producono,
assieme a quell'evento, altre migliaia di effetti, che a loro volta sono le
cause di altre migliaia di effetti. L'attacco alle Torri Gemelle e' uno di
questi eventi: il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti. Certo
non e' l'atto di "una guerra di religione" degli estremisti musulmani per
la conquista delle nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami
tu, Oriana. Non e' neppure "un attacco alla liberta' ed alla democrazia
occidentale", come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici.
Un vecchio accademico dell'Universita' di Berkeley, un uomo certo non
sospetto di anti-americanismo o di simpatie sinistrorse da' di questa
storia una interpretazione completamente diversa. "Gli assassini suicidi
dell'11 settembre non hanno attaccato l'America: hanno attaccato la
politica estera americana", scrive Chalmers Johnson nel numero di The
Nation del 15 ottobre. Per lui, autore di vari libri - l'ultimo, Blowback,
contraccolpo, uscito l'anno scorso (in Italia edito da Garzanti, ndr) ha
del profetico - si tratterebbe appunto di un ennesimo "contraccolpo" al
fatto che, nonostante la fine della Guerra Fredda e lo sfasciarsi
dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno mantenuto intatta la loro rete
imperiale di circa 800 installazioni militari nel mondo Con una analisi che
al tempo della Guerra Fredda sarebbe parsa il prodotto della
disinformazione del Kgb, Chalmers Johnson fa l'elenco di tutti gli
imbrogli, complotti, colpi di Stato, delle persecuzioni, degli assassinii e
degli interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti nei quali gli
Stati Uniti sono stati apertamente o clandestinamente coinvolti in America
Latina, in Africa, in Asia e nel Medio Oriente dalla fine della Seconda
Guerra Mondiale ad oggi.
Il "contraccolpo" dell'attacco alle Torri Gemelle ed al Pentagono avrebbe a
che fare con tutta una serie di fatti di questo tipo: fatti che vanno dal
colpo di Stato ispirato dalla Cia contro Mossadeq nel 1953, seguito
dall'installazione dello Shah in Iran, alla Guerra del Golfo, con la
conseguente permanenza delle truppe americane nella penisola araba, in
particolare l'Arabia Saudita dove sono i luoghi sacri dell'Islam.
Secondo Johnson sarebbe stata questa politica americana "a convincere tanta
brava gente in tutto il mondo islamico che gli Stati Uniti sono un
implacabile nemico".
Cosi' si spiegherebbe il virulento anti-americanismo diffuso nel mondo
musulmano e che oggi tanto sorprende gli Stati Uniti ed i loro alleati.
Esatta o meno che sia l'analisi di Chalmers Johnson, e' evidente che al
fondo di tutti i problemi odierni degli americani e nostri nel Medio
Oriente c'e', a parte la questione israeliano-palestinese, la ossessiva
preoccupazione occidentale di far restare nelle mani di regimi "amici",
qualunque essi fossero, le riserve petrolifere della regione. Questa e'
stata la trappola.
L'occasione per uscirne e' ora.
Perche' non rivediamo la nostra dipendenza economica dal petrolio? Perche'
non studiamo davvero, come avremmo potuto gia' fare da una ventina d'anni,
tutte le possibili fonti alternative di energia?
Ci eviteremmo cosi' d'essere coinvolti nel Golfo con regimi non meno
repressivi ed odiosi dei talebani; ci eviteremmo i sempre piu' disastrosi
"contraccolpi" che ci verranno sferrati dagli oppositori a quei regimi, e
potremmo comunque contribuire a mantenere un migliore equilibrio ecologico
sul pianeta.
Magari salviamo cosi' anche l'Alaska che proprio un paio di mesi fa e'
stata aperta ai trivellatori, guarda caso dal presidente Bush, le cui
radici politiche - tutti lo sanno - sono fra i petrolieri.
A proposito del petrolio, Oriana, sono certo che anche tu avrai notato
come, con tutto quel che si sta scrivendo e dicendo sull'Afghanistan,
pochissimi fanno notare che il grande interesse per questo paese e' legato
al fatto d'essere il passaggio obbligato di qualsiasi conduttura intesa a
portare le immense risorse di metano e petrolio dell'Asia Centrale (vale a
dire di quelle repubbliche ex-sovietiche ora tutte, improvvisamente,
alleate con gli Stati Uniti) verso il Pakistan, l'India e da li' nei paesi
del Sud Est Asiatico. Il tutto senza dover passare dall'Iran. Nessuno in
questi giorni ha ricordato che, ancora nel 1997, due delegazioni degli
"orribili" talebani sono state ricevute a Washington (anche al Dipartimento
di Stato) per trattare di questa faccenda e che una grande azienda
petrolifera americana, la Unocal, con la consulenza niente di meno che di
Henry Kissinger, si e' impegnata col Turkmenistan a costruire
quell'oleodotto attraverso l'Afghanistan.
E dunque possibile che, dietro i discorsi sulla necessita' di proteggere la
liberta' e la democrazia, l'imminente attacco contro l'Afghanistan nasconda
anche altre considerazioni meno altisonanti, ma non meno determinanti.
E per questo che nell'America stessa alcuni intellettuali cominciano a
preoccuparsi che la combinazione fra gli interessi dell'industria
petrolifera con quelli dell'industria bellica - combinazione ora
prominentemente rappresentata nella compagine al potere a Washington -
finisca per determinare in un unico senso le future scelte politiche
americane nel mondo e per limitare all'interno del paese, in ragione
dell'emergenza anti-terrorismo, i margini di quelle straordinarie liberta'
che rendono l'America cosi' particolare.
Il fatto che un giornalista televisivo americano sia stato redarguito dal
pulpito della Casa Bianca per essersi chiesto se l'aggettivo "codardi",
usato da Bush, fosse appropriato per i terroristi-suicidi, cosi' come la
censura di certi programmi e l'allontanamento da alcuni giornali, di
collaboratori giudicati non ortodossi, hanno aumentato queste preoccupazioni.
L'aver diviso il mondo in maniera - mi pare - "talebana", fra "quelli che
stanno con noi e quelli contro di noi", crea ovviamente i presupposti per
quel clima da caccia alle streghe di cui l'America ha gia' sofferto negli
anni Cinquanta col maccartismo, quando tanti intellettuali, funzionari di
Stato ed accademici, ingiustamente accusati di essere comunisti o loro
simpatizzanti, vennero perseguitati, processati e in moltissimi casi
lasciati senza lavoro.
Il tuo attacco, Oriana - anche a colpi di sputo - alle "cicale" ed agli
intellettuali "del dubbio" va in quello stesso senso.
Dubitare e' una funzione essenziale del pensiero; il dubbio e' il fondo
della nostra cultura. Voler togliere il dubbio dalle nostre teste e' come
volere togliere l'aria ai nostri polmoni. Io non pretendo affatto d'aver
risposte chiare e precise ai problemi del mondo (per questo non faccio il
politico), ma penso sia utile che mi si lasci dubitare delle risposte
altrui e mi si lasci porre delle oneste domande.
In questi tempi di guerra non deve essere un crimine parlare di pace.
Purtroppo anche qui da noi, specie nel mondo "ufficiale" della politica e
dell'establishment mediatico, c'e' stata una disperante corsa alla
ortodossia. E come se l'America ci mettesse gia' paura. Capita cosi' di
sentir dire in televisione a un post-comunista in odore di una qualche
carica nel suo partito, che il soldato Ryan e' un importante simbolo di
quell'America che per due volte ci ha salvato. Ma non c'era anche lui nelle
marce contro la guerra americana in Vietnam?
Per i politici - me ne rendo conto - e' un momento difficilissimo. Li
capisco e capisco ancor piu' l'angoscia di qualcuno che, avendo preso la
via del potere come una scorciatoia per risolvere un piccolo conflitto di
interessi terreni si ritrova ora alle prese con un enorme conflitto di
interessi divini, una guerra di civilta' combattuta in nome di Iddio e di
Allah. No. Non li invidio, i politici.
Siamo fortunati noi, Oriana. Abbiamo poco da decidere e non trovandoci in
mezzo ai flutti del fiume, abbiamo il privilegio di poter stare sulla riva
a guardare la corrente.
Ma questo ci impone anche grandi responsabilita' come quella, non facile,
di andare dietro alla verita' e di dedicarci soprattutto "a creare campi di
comprensione, invece che campi di battaglia", come ha scritto Edward Said,
professore di origine palestinese ora alla Columbia University, in un
saggio sul ruolo degli intellettuali uscito proprio una settimana prima
degli attentati in America.
Il nostro mestiere consiste anche nel semplificare quel che e' complicato.
Ma non si puo' esagerare, Oriana, presentando Arafat come la quintessenza
della doppiezza e del terrorismo ed indicando le comunita' di immigrati
musulmani da noi come incubatrici di terroristi.
Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle
buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a
questo semplicismo intollerante, saranno migliori?
Non sarebbe invece meglio che imparassero, a lezione di religione, anche
che cosa e' l'Islam? Che a lezione di letteratura leggessero anche Rumi o
il da te disprezzato Omar Kayan? Non sarebbe meglio che ci fossero quelli
che studiano l'arabo, oltre ai tanti che gia' studiano l'inglese e magari
il giapponese?
Lo sai che al ministero degli Esteri di questo nostro paese affacciato sul
Mediterraneo e sul mondo musulmano, ci sono solo due funzionari che parlano
arabo? Uno attualmente e', come capita da noi, console ad Adelaide in
Australia.
Mi frulla in testa una frase di Toynbee: "Le opere di artisti e letterati
hanno vita piu' lunga delle gesta di soldati, di statisti e mercanti. I
poeti ed i filosofi vanno piu' in la' degli storici. Ma i santi e i profeti
valgono di piu' di tutti gli altri messi assieme".
Dove sono oggi i santi ed i profeti? Davvero, ce ne vorrebbe almeno uno! Ci
rivorrebbe un San Francesco. Anche i suoi erano tempi di crociate, ma il
suo interesse era per "gli altri", per quelli contro i quali combattevano i
crociati. Fece di tutto per andarli a trovare. Ci provo' una prima volta,
ma la nave su cui viaggiava naufrago' e lui si salvo' a malapena. Ci provo'
una seconda volta, ma si ammalo' prima di arrivare e torno' indietro.
Finalmente, nel corso della quinta crociata, durante l'assedio di Damietta
in Egitto, amareggiato dal comportamento dei crociati ("vide il male ed il
peccato"), sconvolto da una spaventosa battaglia di cui aveva visto le
vittime, San Francesco attraverso' le linee del fronte. Venne catturato,
incatenato e portato al cospetto del Sultano. Peccato che non c'era ancora
la Cnn - era il 1219 - perche' sarebbe interessantissimo rivedere oggi il
filmato di quell'incontro. Certo fu particolarissimo perche', dopo una
chiacchierata che probabilmente ando' avanti nella notte, al mattino il
Sultano lascio' che San Francesco tornasse, incolume, all'accampamento dei
crociati.
Mi diverte pensare che l'uno disse all'altro le sue ragioni, che San
Francesco parlo' di Cristo, che il Sultano lesse passi del Corano e che
alla fine si trovarono d'accordo sul messaggio che il poverello di Assisi
ripeteva ovunque: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Mi diverte anche
immaginare che, siccome il frate sapeva ridere come predicare, fra i due
non ci fu aggressivita' e che si lasciarono di buon umore sapendo che
comunque non potevano fermare la storia.
Ma oggi? Non fermarla puo' voler dire farla finire. Ti ricordi, Oriana,
Padre Balducci che predicava a Firenze quando noi eravamo ragazzi? Riguardo
all'orrore dell'olocausto atomico pose una bella domanda: "La sindrome da
fine del mondo, l'alternativa fra essere e non essere, hanno fatto
diventare l'uomo piu' umano?". A guardarsi intorno la risposta mi pare
debba essere "No".
Ma non possiamo rinunciare alla speranza.
"Mi dica, che cosa spinge l'uomo alla guerra?", chiedeva Albert Einstein
nel 1932 in una lettera a Sigmund Freud. "E possibile dirigere l'evoluzione
psichica dell'uomo in modo che egli diventi piu' capace di resistere alla
psicosi dell'odio e della distruzione?" Freud si prese due mesi per
rispondergli. La sua conclusione fu che c'era da sperare: l'influsso di due
fattori - un atteggiamento piu' civile, ed il giustificato timore degli
effetti di una guerra futura - avrebbe dovuto mettere fine alle guerre in
un prossimo avvenire.
Giusto in tempo la morte risparmio' a Freud gli orrori della Seconda Guerra
Mondiale.
Non li risparmio' invece ad Einstein, che divenne pero' sempre piu'
convinto della necessita' del pacifismo. Nel 1955, poco prima di morire,
dalla sua casetta di Princeton in America dove aveva trovato rifugio,
rivolse all'umanita' un ultimo appello per la sua sopravvivenza:
"Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto".
Per difendersi, Oriana, non c'e' bisogno di offendere (penso ai tuoi sputi
ed ai tuoi calci). Per proteggersi non c'e' bisogno d'ammazzare. Ed anche
in questo possono esserci delle giuste eccezioni.
M'e' sempre piaciuta nei Jataka, le storie delle vite precedenti di Buddha,
quella in cui persino lui, epitome della non violenza, in una incarnazione
anteriore uccide. Viaggia su una barca assieme ad altre 500 persone. Lui,
che ha gia' i poteri della preveggenza, "vede" che uno dei passeggeri, un
brigante, sta per ammazzare tutti e derubarli e lui lo previene buttandolo
nell'acqua ad affogare per salvare gli altri.
Essere contro la pena di morte non vuol dire essere contro la pena in
genere ed in favore della liberta' di tutti i delinquenti. Ma per punire
con giustizia occorre il rispetto di certe regole che sono il frutto
dell'incivilimento, occorre il convincimento della ragione, occorrono delle
prove. I gerarchi nazisti furono portati dinanzi al Tribunale di
Norimberga; quelli giapponesi responsabili di tutte le atrocita' commesse
in Asia, furono portati dinanzi al Tribunale di Tokio prima di essere, gli
uni e gli altri, dovutamente impiccati. Le prove contro ognuno di loro
erano schiaccianti. Ma quelle contro Osama Bin Laden?
"Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union
Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate", scrive in questi giorni
dall'India agli americani, ovviamente a mo' di provocazione, Arundhati Roy,
la scrittrice de Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e
contestata, amata ed odiata. Come te, sempre pronta a cominciare una rissa,
la Roy ha usato della discussione mondiale su Osama Bin Laden per chiedere
che venga portato dinanzi ad un tribunale indiano il presidente americano
della Union Carbide responsabile dell'esplosione nel 1984 nella fabbrica
chimica di Bhopal in India che fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui?
Dal punto di vista di quei morti forse si'.
L'immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del
"nemico" da abbattere e' il miliardario saudita che, da una tana nelle
montagne dell'Afghanistan, ordina l'attacco alle Torri Gemelle; e'
l'ingegnere-pilota, islamista fanatico, che in nome di Allah uccide se
stesso e migliaia di innocenti; e' il ragazzo palestinese che con una
borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo ad una folla.
Dobbiamo pero' accettare che per altri il "terrorista" possa essere l'uomo
d'affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta
non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a
causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere
costruita in un paese ricco del Primo Mondo. E la centrale nucleare che fa
ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca
decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante
piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia
di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino
al giorno in cui e' piu' conveniente portare quelle lavorazioni altrove e
le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci piu'
i campi per far crescere il riso, muoiono di fame?
Questo non e' relativismo. Voglio solo dire che il terrorismo, come modo di
usare la violenza, puo' esprimersi in varie forme, a volte anche
economiche, e che sara' difficile arrivare ad una definizione comune del
nemico da debellare.
I governi occidentali oggi sono uniti nell'essere a fianco degli Stati
Uniti; pretendono di sapere esattamente chi sono i terroristi e come vanno
combattuti.
Molto meno convinti pero' sembrano i cittadini dei vari paesi. Per il
momento non ci sono state in Europa dimostrazioni di massa per la pace; ma
il senso del disagio e' diffuso cosi' come e' diffusa la confusione su quel
che si debba volere al posto della guerra.
"Dateci qualcosa di piu' carino del capitalismo", diceva il cartello di un
dimostrante in Germania.
"Un mondo giusto non e' mai NATO", c'era scritto sullo striscione di alcuni
giovani che marciavano giorni fa a Bologna. Gia'. Un mondo "piu' giusto" e'
forse quel che noi tutti, ora piu' che mai, potremmo pretendere. Un mondo
in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da
principi di legalita' ed ispirato ad un po' piu' di moralita'.
La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi,
rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che
erano stati messi alla gogna, solo perche' ora tornano comodi, e' solo
l'ennesimo esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo
in certe aree del mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi.
Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla
guerra contro il terrorismo un crisma di legalita' internazionale, hanno
coinvolto le Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il
paese piu' reticente a pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro, sono il
paese che non ha ancora ratificato ne' il trattato costitutivo della Corte
Internazionale di Giustizia, ne' il trattato per la messa al bando delle
mine anti-uomo e tanto meno quello di Kyoto sulle mutazioni climatiche.
L'interesse nazionale americano ha la meglio su qualsiasi altro principio.
Per questo ora Washington riscopre l'utilita' del Pakistan, prima tenuto a
distanza per il suo regime militare e punito con sanzioni economiche a
causa dei suoi esperimenti nucleari; per questo la Cia sara' presto
autorizzata di nuovo ad assoldare mafiosi e gangster cui affidare i
"lavoretti sporchi" di liquidare qua e la' nel mondo le persone che la Cia
stessa mettera' sulla sua lista nera.
Eppure un giorno la politica dovra' ricongiungersi con l'etica se vorremo
vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu
come a Firenze.
A proposito, Oriana. Anche a me ogni volta che, come ora, ci passo, questa
citta' mi fa male e mi intristisce. Tutto e' cambiato, tutto e'
involgarito. Ma la colpa non e' dell'Islam o degli immigrati che ci si sono
installati. Non son loro che han fatto di Firenze una citta' bottegaia,
prostituita al turismo! E successo dappertutto. Firenze era bella quando
era piu' piccola e piu' povera. Ora e' un obbrobrio, ma non perche' i
musulmani si attendano in Piazza del Duomo, perche' i filippini si
riuniscono il giovedi' in Piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni
giorno attorno alla stazione.
E cosi' perche' anche Firenze s'e' "globalizzata", perche' non ha resistito
all'assalto di quella forza che, fino ad ieri, pareva irresistibile: la
forza del mercato.
Nel giro di due anni da una bella strada del centro in cui mi piaceva
andare a spasso e' scomparsa una libreria storica, un vecchio bar, una
tradizionalissima farmacia ed un negozio di musica. Per far posto a che? A
tanti negozi di moda. Credimi, anch'io non mi ci ritrovo piu'.
Per questo sto, anch'io ritirato, in una sorta di baita nell'Himalaya
indiana dinanzi alle piu' divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a
guardarle, li' maestose ed immobili, simbolo della piu' grande stabilita',
eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e
impermanenti come tutto in questo mondo.
La natura e' una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a
prendere lezione. Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento
dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi altri grattacieli pieni di
gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua
esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto piu'
grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono piu'.
Guarda un filo d'erba al vento e sentiti come lui. Ti passera' anche la rabbia.
Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di trovare pace.
Perche' se quella non e' dentro di noi non sara' mai da nessuna parte.
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Mi scuso con tutti coloro che hanno gia' ricevuto questo testo,
e con tutti per l'arbitrio che mi prendo nel mandarvi questo tipo di documenti.
Chiedo a chi non vuole riceverli di mandarmi un cenno.
I contenuti qui espressi non corrispondono necessariamente col mio punto di
vista.
sdv
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