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Da Perugia ad Assisi con il coraggio della Nonviolenza



Il seguente articolo verra' pubblicato sul numero di ottobre della rivista 
"Altreconomia". E' possibile utilizzarlo per la pubblicazione su riviste o 
siti web aggiungendo la seguente nota: "Si ringrazia la redazione di 
"Altreconomia" (www.altreconomia.it) per la pubblicazione di questo articolo".

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Da Perugia ad Assisi con il coraggio della Nonviolenza

Il prossimo 14 ottobre la "Marcia della Pace", legata alla tradizione del 
Movimento Nonviolento italiano e alla figura storica di Aldo Capitini, sarà 
una grande opportunità per dare voce al pensiero "non allineato" che 
rifiuta la logica della guerra e quella del terrorismo con la stessa 
fermezza. Ma i "falchi" pronti ad aggredire e strumentalizzare le "colombe" 
sono molti e ben determinati.

Di Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it>

Esattamente 40 anni fa, il 24 settembre 1961, Aldo Capitini, il "padre" 
della cultura nonviolenta italiana, apriva la strada che da Perugia porta 
verso Assisi in nome della Pace, quella scritta con la maiuscola e ben 
diversa da una semplice assenza di guerra.

Racconta Capitini nella sua autobiografia: "Avevo visto, nei dopoguerra 
della mia vita, le domeniche nella campagna frotte di donne vestite a lutto 
per causa delle guerre, sapevo di tanti giovani ignoranti ed ignari mandati 
ad uccidere e a morire da un immediato comando dall'alto, e volevo fare in 
modo che questo più non avvenisse, almeno per la gente della terra a me più 
vicina. Come avrei potuto diffondere la notizia che la pace è in pericolo, 
come avrei potuto destare la consapevolezza della gente più periferica, se 
non ricorrendo all'aiuto di altri e impostando una manifestazione 
elementare come è una marcia?"

Nelle intenzioni del suo fondatore i caratteri distintivi della marcia 
dovevano essere l'indipendenza dai partiti e il pacifismo integrale degli 
organizzatori, il coinvolgimento delle persone più lontane 
dall'informazione e dalla politica, la presentazione del metodo nonviolento 
alle persone lontane o avverse e il legame della Marcia con Francesco 
d'Assisi, definito da Capitini come "il santo italiano della nonviolenza". 
Un'altra caratteristica della prima edizione della marcia era l'assenza di 
bandiere o simboli di partito, richiesta fortemente dallo stesso Capitini, 
quasi a presagire i numerosi tentativi di strumentalizzazione politica del 
Movimento Nonviolento che si sono puntualmente verificate negli anni 
successivi, fino alle più recenti edizioni della Marcia, dove uno spavaldo 
Massimo D'Alema ha fatto una fugace apparizione nel 1999 a poche settimane 
di distanza dai bombardamenti contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, 
suscitando lo sdegno dei sostenitori del "pacifismo integrale" richiesto da 
Capitini.

Dopo quell'episodio sembrava che il cammino fosse ormai in discesa, ma i 
tragici avvenimenti relativi all'attentato negli Stati Uniti hanno reso 
ancora più difficile il compito di chi vuole camminare a testa alta 
combattendo contemporaneamente il terrorismo e la guerra come due facce di 
un'unica violenza che non dà soluzioni, ma aggiunge solo nuovi problemi.

Oggi la situazione è più che mai complessa, e la "Tavola della Pace", il 
cartello di associazioni promotrici della marcia, ha davanti a sè uno 
scenario ricco di grandi opportunità ma costellato di altrettanti rischi.

Il primo rischiò è quello rappresentato dalla violenza di molti mezzi di 
informazione, sempre pronti ad interpretare in chiave sensazionalistica 
qualunque dichiarazione, un atteggiamento che contiene in sè il rischio di 
una autocensura o di un eccesso di prudenza da parte di chi dovrebbe 
sostenere con coraggio posizioni "scomode" come il ripudio della guerra, la 
condanna delle rappresaglie militari o la necessaria distinzione tra gli 
interventi di polizia internazionale condotti dai Caschi Blu Onu a nome 
dell'umanità e le azioni di guerra della Nato realizzate per conto di 
un'alleanza militare regionale che rappresenta appena una ventina di stati, 
posizioni rese ancora più impopolari dai venti di guerra che a partire 
dall'11 settembre hanno attraversato il nostro Paese e il mondo intero.

Un altro rischio è quello rappresentato dalla formula targata Bush "chi non 
è con noi è con i terroristi", che ha costretto tutti i movimenti per la 
pace a camminare in bilico tra la violenza della guerra e quella del 
terrorismo, rischiando di essere additati come fiancheggiatori 
dell'integralismo islamico armato solo per aver rifiutato il terribile 
sillogismo "bisogna fare qualcosa, la guerra è qualcosa, bisogna fare la 
guerra". E' per questo che oggi per dire no alla violenza armata degli 
stati come risposta a quella dei gruppi estremisti occorre una dose 
supplementare di coraggio, il coraggio di rischiare posizioni impopolari 
che possono allontanare dal pacifismo una classe politica troppo prudente, 
diplomatica e acritica, un'opinione pubblica che non ha ancora avuto gli 
strumenti per approfondire le alternative all'opzione militare, un senso 
comune smarrito che oggi recita come un mantra la parola d'ordine "guerra, 
guerra, guerra".

Il 14 ottobre la Tavola della Pace ci dimostrerà se è ancora possibile 
essre pacifisti rifiutando la "realpolitik" dell'intervento armato in nome 
di una lotta al terrorismo davvero efficace, condotta ad esempio attraverso 
l'eliminazione dei paradisi fiscali e del segreto bancario sui flussi di 
denaro transnazionali, se si può essere solidali con le vittime degli 
attentati senza solidarizzare con la cultura dell'interventismo militare, 
se si possono ricordare ancora, timidamente e rispettosamente, tutte le 
stragi silenziose compiute dalla violenza strutturale di un modello di 
sviluppo che ogni anno sacrifica sull'altare del progresso un numero di 
vittime ben superiore a quelle del terrorismo, se si può chiedere ai nostri 
parlamentari di non votare l'aumento del 15% alle spese militari previsto 
dalla prossima finanziaria, che probabilmente sarà decisivo per fare bella 
figura all'interno dell'Alleanza Atlantica, ma che con altrettanta 
probabilità non cambierà di una virgola le carte sul tavolo della lotta al 
terrorismo, dove i giochi si decidono altrove e non sul campo di battaglia. 
Questo aumento non indispensabile è una piccola voce nel bilancio dello 
stato, che potrebbe essere impiegata con più efficacia per una lotta ad un 
altro tipo di "terrorismo", quello che costringe sei milioni di italiani a 
vivere al di sotto della soglia di povertà.

Per la Tavola della Pace la vera sfida da giocare nei 25 chilometri che 
uniscono Perugia ad Assisi sarà quella di aggregare un gruppo di 
associazioni e di enti locali, che per ovvie necessità lavorano 
quotidianamente a contatto con il mondo della politica e dei partiti, hanno 
legami e collegamenti con le istituzioni, sono costrette ad interagire con 
la cultura del potere, e a volte vivono anche grazie a contributi pubblici, 
cercando il coraggio necessario per risvegliare la coscienza del potere, 
dei partiti e delle istituzioni, per superare la politica del palazzo e di 
suoi limiti con una proposta nuova, onesta, efficace e più forte, che nasce 
dal basso.

Il contesto di Perugia e di Assisi sarà la cornice ideale in cui la società 
civile avrà l'occasione di sfidare le regole apparentemente ineluttabili 
della politica internazionale con una prospettiva in cui la Pace non è un 
"optional" o un interesse di "categoria" ma una necessità irrinunciabile 
per la sicurezza e il diritto alla vita di tutti, una concreta alternativa 
alla logica militare per sostenere una lotta al terrorismo che non è la 
bandiera di un'azione armata, ma un impegno concreto per combattere i 
flussi criminali di denaro sporco, il narcotraffico, il disagio sociale 
della droga, i paradisi fiscali di cui non beneficiano solo i terroristi ma 
anche molti capi di stato e di governo, e che colpiscono le popolazioni e i 
paesi più poveri, da cui provengono molti degli invitati all'"Assemblea 
dell'Onu dei Popoli" che si svolgerà nei giorni che precedono la marcia.

Un altro ambizioso obiettivo da raggiungere in occasione della 
Perugia/Assisi sarà quello di costringere i politici che faranno la loro 
apparizione in occasione della Marcia o dell'assemblea dei popoli ad un 
confronto rispettoso, ma serrato ed implacabile, sui contenuti e sulle 
concrete proposte politiche contenute nell'"appello" lanciato in occasione 
della Marcia, senza lasciare il benché minimo spiraglio a chi vuole 
raccogliere l'invito al dialogo solo per strumentalizzare questo 
appuntamento forte della società civile, trasformandolo in una semplice 
"passerella" politica dove fare sfoggio delle proprie capacità oratorie con 
alte dichiarazioni di principio, completamente slegate dal voto nelle aule 
del parlamento.

Indubbiamente tutte queste questioni ancora aperte costituiscono un grosso 
fattore di rischio per le associazioni della "Tavola", ma la grandezza 
della posta in gioco (la costruzione della Pace a partire dall'Italia), lo 
spessore delle iniziative "dal basso" proposte dalla società civile 
mondiale nell'"Onu dei popoli" e le grandi speranze condivise da tutti 
quelli che marceranno da Perugia ad Assisi, ci fanno dire che vale davvero 
la pena di provarci, dimenticandosi per una volta dei propri interessi 
particolari per cercare davvero di camminare insieme verso il bene comune.


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BIOGRAFIA MINIMA DI ALDO CAPITINI
a cura di Carlo Gubitosa


"Io non dico: fra poco o molto tempo avremo una società che sarà
perfettamente nonviolenta ... a me importa fondamentalmente l'impiego di
questa mia modestissima vita, di queste ore o di questi pochi giorni; e
mettere sulla bilancia intima della storia il peso della mia persuasione".

Aldo Capitini, "Elementi di una esperienza religiosa"

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Nel 1929 Aldo Capitini, nato a Perugia nel 1899, scopre la figura del 
"Mahatma" Gandhi e il suo messaggio di Nonviolenza proprio quando l'Italia 
raggiunge il suo periodo più oscuro di oppressione e di dittatura, e sente 
come sia necessario rispondere alla violenza fascista con l'efficacia e la 
forza del metodo nonviolento, rifiutando la tessera del "partito unico" di 
allora e e assumendosi le responsabilità della sua disobbedienza civile con 
due periodi di carcerazione.

Il 1967 è l'anno in cui Capitini pubblica "Le tecniche della nonviolenza", 
un libro con cui la proposta nonviolenta di Gandhi, arricchita dai 
contributi originali di Capitini, fa il suo ingresso ufficiale nella 
cultura del nostro Paese, un classico della letteratura nonviolenta che 
ancora oggi è uno strumento validissimo per la realizzazione di azioni dirette.

Successivamente Capitini cerca di realizzare un primo esperimento di 
democrazia diretta e di decentralizzazione del potere, fondando a Perugia 
nel 1944 il primo Centro di Orientamento Sociale (COS), un ambiente 
progettuale e uno spazio politico aperto alla libera partecipazione dei 
cittadini.

Nel 1948 il giovane Pietro Pinna, dopo aver ascoltato Capitini in un
convegno promosso a Ferrara dal movimento di religione, matura la sua
scelta di obiezione di coscienza: è il primo obiettore del dopoguerra.

Domenica 24 settembre 1961 Capitini organizza la "Marcia per la Pace e la
fratellanza dei popoli", un corteo nonviolento che si snoda per le strade
che da Perugia portano verso Assisi, una marcia tuttora riproposta con
cadenza biennale dalle associazioni e dai movimenti per la pace.