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La nonviolenza e' in cammino. 236



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 236 del 22 settembre 2001

Sommario di questo numero:
1. Benito D'Ippolito, sopra un verso di Dante (Purg., VI, 32)
2. Peppe Sini, quattro ragioni per preparare lo sciopero generale contro la
guerra
3. Rigoberta Menchu', fermare la codarda insensatezza della violenza
4. L'appello dell'Universita' di Chicago: occhio per occhio ci rende tutti
ciechi
5. Angelo Cavagna: condanna per la strage, no a una nuova guerra, si' a una
nuova Onu
6. Intervento di Luisa Morgantini al Parlamento Europeo
7. Giulio Vittorangeli, la critica al dominio non e' un crimine
8. Naomi Klein, game over
9. Raffaello Ugo, a Cagliari contro la guerra
10. Monica Lanfranco, presentazione di "Marea"
11. Letture: AA. VV., I giorni di Genova
12. Letture: Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della modernita'
13. Letture: Lorenzo Milani, I care ancora
14. Roberto Tecchio, il laboratorio di ricerca e formazione sulla gestione
nonviolenta dei conflitti (parte sesta ed ultima)
15. Per studiare la globalizzazione: da Ghiannis Ritsos a Marthe Robert
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. BENITO D'IPPOLITO: SOPRA UN VERSO DI DANTE (Purg., VI, 32)

"Sarebbe dunque loro speme vana?"

Migliaia, milioni di anni
per imparare a camminare eretti.
Trovare dal nulla il linguaggio, da dentro la gola
cacciar fuori parole e frasi e pensieri,
costruire case, ponti, biciclette,
inventare l'ombrello e la compassione,
scrivere libri che fanno parlare
Qohelet e Leopardi con me secoli dopo,
vincere la paura del mostro oceano,
contare e nominare le stelle,
impastare e cuocere il pane,
fare l'amore come amore e non come foia,
gli scacchi e i film di Woody Allen,
la ragione serena di Diderot, mio padre
che mi recitava Carducci tra le lacrime,
l'esistenza di persone dolci come te.
Tutto questo deve dunque finire in un cratere?
Tutto questo deve essere dunque annichilito?

"Sarebbe dunque loro speme vana?"

2. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: QUATTRO RAGIONI PER PREPARARE LO SCIOPERO
GENERALE CONTRO LA GUERRA
1. Perche' una guerra scatenata a seguito degli attentati terroristici di un
gruppo criminale (ancora neppure ben identificato) non ha fondamento nel
diritto internazionale, e aggiunge crimine a crimine, strage a strage.
2. Perche' nel caso dell'Italia violerebbe anche la legge fondamentale del
nostro paese, la Costituzione della Repubblica Italiana, nell'art. 11 e non
solo. Sarebbe quindi due volte un atto criminale.
3. Perche' aggiungendo vittime innocenti a vittime innocenti non solo non
sconfiggerebbe il terrorismo, ma lo rafforzerebbe.
4. Perche' rischia di evolvere in una guerra mondiale che puo' mettere fine
alla civilta' umana.
Pertanto, se la guerra venisse scatenata e il nostro governo decidesse
(illegalmente) che l'Italia ad essa dovesse prendere parte, occorre agire
per difendere la Costituzione e per cercar di salvare le vite degli esseri
umani effettivo bersaglio della guerra.
Ed a tal fine occorre:
a) l'azione diretta nonviolenta eseguita esclusivamente da persone persuase
della nonviolenza (e non da parte di persone ambigue o confuse che sarebbero
pericolose a se' e agli altri); un'azione diretta nonviolenta che contrasti
concretamente, operativamente, e non solo simbolicamente, la guerra e i suoi
apparati (un esempio: l'azione diretta nonviolenta delle "mongolfiere per la
pace" con cui ostruire lo spazio di decollo delle basi da cui partono i
bombardieri);
b) la disobbedienza civile di massa: ovvero il rifiuto di cooperare con chi
ha tradito la Costituzione e si e' posto fuori legge; disobbedienza civile
che significa rompere la complicita' con chi ordisce assassinii, e pagare di
persona tutte le conseguenze economiche, civili e penali della propria
azione di noncollaborazione; la disobbedienza civile e' una cosa seria che
richiede disponibilita' ad accettare le prevedibili sofferenze e i
prevedibili danni da subire come conseguenza alla propria assunzione di
responsabilita', come sapevano Thoreau e Gandhi che l'hanno praticata
davvero (mentre cio' che nei mesi scorsi e' stato spacciato sotto questa
etichetta in italia ne e' l'esatto contrario);
c) lo sciopero generale contro la guerra: per bloccare il nostro paese cosi'
da impedire l'uso dell'esercito italiano per commettere stragi, e con la
forza della democrazia e della legalita' ricondurre alla ragione quel
governo, quel parlamento e  quel presidente della Repubblica che accettando
di portarci in guerra avrebbero commesso un atto di alto tradimento del
nostro ordinamento giuridico.

3. RIFLESSIONE. RIGOBERTA MENCHU': FERMARE LA CODARDA INSENSATEZZA DELLA
VIOLENZA
[Rigoberta Menchu', india guatemalteca, e' premio Nobel per la Pace. Questo
intervento abbiamo ripreso da "Il paese delle donne" (www.womenews.it)]
Dopo essere venuta a conoscenza degli avvenimenti che hanno commosso il
mondo, desidero rendere pubblica la mia posizione.
Condanno fermamente i riprovevoli atti terroristici che sono costati
migliaia di vite di civili innocenti e hanno avviato una spirale di violenza
le cui conseguenze sono imprevedibili.
Il terrorismo, da qualsiasi lato provenga, e' una condotta politicamente
ingiustificabile e moralmente inaccettabile.
Esprimo il mio piu' profondo sentimento di crdoglio e solidarieta' con le
vittime, le loro famiglie e il popolo statunitense.
Invito alla serenita' e al buon senso perche' si eviti di rispondere alla
provocazione e all'insensatezza con quella che potrebbe risultare una
offensiva revanchista, che alimenterebbe esclusivamente una escalation di
violenza che, pur sapendo come e da dove nasce, nessuno e' in grado di
prevedere come e quando avra' termine.
Invoco che venga tentato di tutto per rendere possibile il dialogo tra un
sistema mondiale egemonico, che include, esclude e seleziona
unilateralmente, e la radicalita' disperata delle risposte che esso ha
generato.
Metto in guardia la comunita' internazionale circa il pericolo che le azioni
di questi gruppi terroristici contribuiscano a scatenare una logica di
guerra per cercar di dirimere vecchie e nuove controversie tra nazioni, e
che giustifica azioni che colpiscono gruppi e settori che non hanno trovato
un assetto pluralista per il riconoscimento e il rispetto della propria
espressione di identita' nell'ambito istituzionale attuale.
Sollecito i mezzi di comunicazione a evitare l'allarmismo fondato su
interpretazioni di forte matrice ideologica, che accresce solo la confusione
e alimenta i fantasmi dell'intolleranza.
Infine richiamo la societa' civile del pianeta, i premi Nobel e coloro che
hanno responsabilita' di governo in tutti i paesi del mondo, a non trarre
conclusioni affrettate su quanto e' accaduto, e ad impegnarci tutti a creare
un grande "fronte del buon senso" che fermi la codarda insensatezza della
violenza e eviti maggiori sofferenze per l'umanita'.

4. MATERIALI. L'APPELLO DELL'UNIVERSITA' DI CHICAGO: OCCHIO PER OCCHIO CI
RENDE TUTTI CIECHI
[Questa petizione internazionale, su cui e' in corso la raccolta delle
adesioni, si trova nel sito http://home.uchicago.edu/~dhpicker/petition]
Noi, cittadini degli Stati Uniti d'America e di altri Stati del mondo,
chiediamo al Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush; al Segretario
Generale della Nato, Lord Robertson; al presidente dell'Unione Europea,
Romano Prodi; e a tutti i leaders internazionali di usare moderazione e
cautela nel rispondere ai recenti attacchi terroristici contro gli Stati
Uniti.
Imploriamo che il loro potere ricorra, dove possibile, alle istituzioni
giudiziarie internazionali e alle leggi internazionali sui diritti umani,
piuttosto che a strumenti di guerra, violenza e distruzione.
Inoltre, affermiamo che il governo di una nazione deve essere considerato
distinto e diverso da qualunque gruppo terroristico che operi dal suo
interno, e dunque non possa essere irragionevolmente considerato
responsabile di crimini commessi da questi gruppi.
Ne consegue che il governo di una particolare nazione non puo' essere
condannato per i recenti attacchi senza una convincente evidenza di una sua
cooperazione e complicita' con gli individui che hanno effettivamente
commesso i crimini in questione.
Civili innocenti  che vivono in una qualunque nazione ritenuta colpevole, in
parte o totalmente, per i crimini recentemente perpetrati contro gli Stati
Uniti, non possono essere ritenuti in alcun modo responsabili per le azioni
dei loro governi, e devono quindi essere garantiti nella loro sicurezza ed
immunita' da ogni azione militare o giudiziaria presa contro lo stato in cui
essi  risiedono.
Da ultimo e con la massima energia, chiediamo che non venga fatto alcun
ricorso ad armi nucleari, chimiche o biologiche ne' ad altro tipo di arma
che produca distruzione indiscriminata, e riteniamo che sia un nostro
inalienabile diritto umano il vivere in un mondo privo di tali armi.

5. RIFLESSIONE. ANGELO CAVAGNA: CONDANNA PER LA STRAGE, NO A UNA NUOVA
GUERRA, SI' A UNA NUOVA ONU
[Padre Angelo Cavagna e' il presidente del Gavci; per contatti:
gavci@iperbole.bologna.it]
Il Gruppo Autonomo di Volontariato Civile in Italia (Gavci), costituito per
lo piu' da veri obiettori, quindi rigorosamente nonviolento, condanna
l'attacco criminale agli Stati Uniti.
Nel contempo invita gli USA e tutto l'Occidente a non riporre, ancora una
volta, tutta la fiducia nel mostrare i muscoli bellici, bensi' a lavorare di
diplomazia e di ingegneria istituzionale. Bush parla solo di guerra e di
Nato. Il mondo, invece, proprio perche' globalizzato, ha bisogno di vere
istituzioni internazionali. Va rifatta l'ONU, non piu' a salvaguardia degli
interessi dei vincitori della seconda guerra mondiale, ma per garantire la
giustizia e la pace per tutti i popoli.
Senza vera ONU, non c'e' rimedio ne' al terrorismo, ne' alla guerra (ve ne
sono in corso circa cinquanta, se non di piu'), ne' allo scempio
dell'ambiente, ecc. Sembra cosa ovvia: a problemi mondiali devono
corrispondere un parlamento e un governo mondiali, con un corpo di polizia
internazionale (uso "non omicida" della forza armata) e non con gli eserciti
nazionali (uso "omicida" della forza).
E' questa la via istituzionale alla pace.
Quasi tutti i politici sembrano muti e sordi su questa problematica. In
questo modo ciascuno crede di fare i propri interessi mentre il mondo va
verso l'autodistruzione. Siamo con il papa, che ha condannato l'attacco agli
USA e ha detto no alla spirale della violenza.

6. RIFLESSIONE. INTERVENTO DI LUISA MORGANTINI AL PARLAMENTO EUROPEO
[Riportiamo il testo dell'intervento di Luisa Morgantini nella sessione
plenaria del 19 settembre del Parlamento Europeo. Per contatti:
lmorgantini@europarl.eu.int]
Signor Presidente,
"non c'e' causa - neanche una causa giusta - che possa fare delle uccisioni
di civili innocenti un atto legittimo. Il terrore non lastrica la strada per
la giustizia ma e' il cammino piu' breve per l'inferno. Noi condanniamo e
deploriamo questo crimine orrendo, condanniamo chi l'ha pianificato e
perpetrato, con tutta la nostra forza possibile. La nostra partecipazione al
dolore per le vittime, al dolore delle loro famiglie e dell'intero popolo
americano in questi momenti difficili non e' che l'espressione del nostro
profondo impegno verso l'unicita' del destino umano".
Non sono parole mie ma alcune parole di intellettuali, politici e ministri
palestinesi, come Yaser Abed Rabbo, Hanan Ashrawi, Mahmoud Darwish. Sono
parole forti che danno speranza perche' vengono da persone che vivono e
soffrono sotto l'occupazione militare israeliana.
Questi sono tempi in cui tutti - persone, Stati, istituzioni - dobbiamo
assumerci il massimo della responsabilita' e della determinazione per
mettere il terrorismo fuori dalla storia, e insieme a questo anche la
globalizzazione della poverta', dell'ingiustizia e delle guerre devono
essere cacciati fuori dalla storia.
"Le parole devono sostituire le armi" diceva Xavier Solana. Per questo non
devono evocare, incitare all'odio o alla cultura del cowboy, "o vivi o
morti".
Come dicono le donne contro la guerra, tra uccidere e morire c'e'una terza
via, che e' vivere.
L'educazione alla pace, al rispetto del diritto non deve escludere nessuno,
meno che mai i capi di Stato.
Oggi dalla Palestina e da Israele con l'annuncio della tregua viene una
striscia di futuro, esile, si', ma e' indispensabile aggrapparvisi. L'Unione
europea ha contribuito alla possibilita' di ripresa del dialogo. Questo
ruolo politico deve crescere e, se si accresce, si accresce nella fermezza
della difesa del diritto. Si dica chiaramente a Sharon, cosi' come si e'
detto ad Arafat che deve avere fermezza nell'impedire il terrorismo, si dica
a Sharon che non puo' continuare impunemente a confiscare terre palestinesi,
a costruire insediamenti, a uccidere e tenere i palestinesi segregati nei
villaggi o, come ha fatto nella mattina di ieri, a distruggere il costruendo
porto di Gaza, finanziato dai paesi dell'Unione Europea.
Ci vogliono misure concrete: dare ai palestinesi fiducia per uno Stato nella
sicurezza e dare ad Israele la certezza che nessuno attenta alla sua
esistenza, cio' che e' in discussione e' la sua politica coloniale e di
espansione, non la sua esistenza.
Ieri, in Libano, insieme a una delegazione italiana ho incontrato il
Presidente Lahoud. Egli ha espresso chiaramente il rifiuto del terrorismo,
ma  ha ribadito con forza quanto sia indispensabile la soluzione della
questione palestinese e lo sviluppo della cooperazione politica ed economica
con l'Europa e il mondo arabo.
Dobbiamo credere in noi stessi, ed essere veramente costruttrici e
costruttori di pace, costruttrici e costruttori del diritto.

7. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA CRITICA AL DOMINIO NON E' UN CRIMINE
[Giulio Vittorangeli, una delle figure piu' lucide e tenaci della
solidarieta' internazionale, e' tra i principali collaboratori di questo
notiziario. Per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it]
E' difficile trovare parole, quando parole non ci sono; quando ci muoiono in
gola strozzate da una violenza che ci espropria delle nostre stesse ragioni,
che annulla ogni dignita' umana. Allora ci diciamo che dobbiamo resistere,
almeno noi, che non dobbiamo cedere alla paura, alla disperazione e
soprattutto alla logica della guerra; che dobbiamo avere il coraggio dei
nostri radicali ideali. Resistere al senso di smarrimento che sta scuotendo
le nostre vite e il mondo intero... ma come?
Quante e quante volte abbiamo denunciato, documentato, letto, scritto,
ragionato, sulle disuguaglianze del mondo, per cui il 20% della popolazione
mondiale (i ricchi) ha l'82,7% del reddito totale del mondo; mentre i piu'
poveri, il 20% dell'umanita', ha soltanto l'1,4%. Per cui 1,2 miliardi di
persone vivono (sarebbe piu' giusto dire muoiono) con meno di un dollaro al
giorno; 2,8 miliardi con meno di due dollari. Di come tutto questo sia
assicurato da oltre 900 miliardi di dollari che vengono spesi per gli
armamenti; per cui i 22 paesi piu' ricchi del mondo, spendono in aiuti allo
"sviluppo" appena un decimo di quanto sborsano per la difesa e gli
armamenti. Adesso corriamo il rischio che non solo l'Italia, ma l'intera
Europa, aumenti le spesi militari facendo scomparire la cooperazione
internazionale allo sviluppo a danno dei popoli del Sud del mondo, bollati
come marginali se non funzionali al sostegno degli "Stati canaglia", cosi'
definiti da Bush.
Non solo, l'economia speculativa e il profitto prevalgono su qualunque
etica, su qualunque diritto civile e umano. Non a caso, davanti ai ventimila
omicidi degli aerei-bomba, tutto il mondo si e' fermato attonito, meno le
borse: "... non si sono fermate neppure un secondo, hanno continuato a far
soldi, a cercare utili selvaggi. Nessuno ha pensato di chiudere le borse per
decenza e rispetto ai cadaveri ancora freschi" (Dario Fo, Franca Rame,
Jacopo Fo, "Cacao" del 12/09/2001). Alla notizia degli attentati negli Stati
Uniti, le quotazioni del petrolio si sono impennate e l'euro si e'
rivalutato nei confronti del dollaro.
C'e' qualcosa di profondamente sbagliato, qualcosa che non regge, in un
sistema dove la ricchezza, la cultura e perfino la religione di una
minoranza decidono del destino di tutti; in un sistema basato su una spirale
di violenza strutturale che si esercita nell'oppressione politica, nello
sfruttamento e nell'ingiustizia. Un mondo, quindi, divorato dalla
prevaricazione del piu' forte sul piu' debole; un mondo che viene rapinato
nella ricerca esasperata dei profitti a breve termine e in cui il divario
tra i piu' poveri ed i piu' ricchi aumenta di anno in anno, non puo' che
diventare un invivibile focolaio di tensioni e conflitti. E' evidente che
l'odio per l'occidente, sviluppato in larghe fasce sociali del cosiddetto
terzo mondo, e' figlio della cultura della violenza, della fame e dello
sfruttamento disumano. Solo che non sono i poveri, gli emarginati, i
disperati della terra che hanno gestito e pianificato il massacro
statunitense, ma altri che si sono arrogati il diritto di agire in loro
nome; altri che in realta' parlano la stessa lingua dei potenti, per un
mondo diretto dai forti e dal profitto e non da chi crede nella giustizia e
nell'umanita'.
Resistere, perche' l'unica garanzia di sicurezza per il pianeta terra e' la
giustizia, il sanare le ferite sanguinanti della fame e del sopruso. Non a
caso le prime vittime di quanto e' avvenuto sono stati, tra insinuazioni e
falsita', i palestinesi. Si e' iniziato con l'attribuire gli attentati al
Fronte democratico per la liberazione della Palestina; si e' passati ad
affermare che le stragi di New York e Washington dell'11 settembre sono
stati perpetrati nell'anniversario della strage di Sabra e Chatila (16 e 17
settembre 1982: tra le 3.000 e le 3.500 le vittime palestinesi innocenti ed
indifesi); fino a "La Palestina festeggia la strage", titolo di un tg
diretto da un mascalzone. "La volonta' spietata dei nostri mass-media di
rappresentare con immagini e parole la barbarie dell'intera "razza" araba e
palestinese per poche decine di persone che hanno sorriso e distribuito
dolcetti. Vorremmo vedere se fossimo noi a farlo, questi giornalisti
direbbero che "gli italiani (tutti) ballano e cantano"? No, direbbero che
sono solo un pugno di esaltati, disperati o chissa' cosa. Ma nel caso dei
palestinesi no, diventa un popolo intero. Intanto altri undici palestinesi
sono stati uccisi in queste ore ma, chi se ne frega, vanno additati tutti
come criminali" (lettera dei cooperanti italiani in Palestina del
12/09/2001). La realta' e' che Sharon sta approfittando dell'occasione
straordinaria rappresentata dall'attacco agli Stati Uniti, per colpire
duramente - una volta per tutte - i palestinesi. Si veda l'allucinante
compiacimento del ministro laburista degli interni del governo israeliano:
"Abbiamo ucciso quattordici palestinesi e il mondo tace". Resistere, perche'
non possiamo permettere che la solidarieta' verso la Palestina, gia'
scandalosamente bassa sino ad ora, diventi da qui in avanti un'impresa quasi
disperata.
C'e', infine, un altro elemento che ha profondamente trasformato in questi
ultimi dieci anni i rapporti di convivenza e di civilta' universale: aver
ridato legittimita' e dignita' alla guerra come valido strumento di
risoluzione delle controversie internazionali, gettando definitivamente alle
ortiche le Nazioni Unite, che nonostante gli evidenti limiti rappresentavano
l'unica casa comune di tutti i popoli del mondo. E' stata la piu' atroce e
tremenda riaffermazione del diritto della forza sulla forza del diritto; il
trionfo di un (dis)ordine mondiale fondato sull'omicidio (su questo,
rinviamo alla riflessione di Cristina Papa, "Tra il grido e il silenzio
scegliamo la parola", pubblicata su questo notiziario n. 228 del
14/09/2001). Non a caso l'Onu, cosi' come la nostra Costituzione, nate dalla
tragedia della seconda guerra mondiale, avevano rifiutato e bandito la
guerra, riconoscendone l'orrore e l'impossibilita'. Invece ci siamo privati
di qualsiasi istituzione internazionale per il dialogo tra i popoli,
delegando tutto a quella mostruosita' che e' la Nato. La realta' e' che
l'indagine e il giudizio sui responsabili del crimine internazionale contro
il popolo statunitense, che offende tutta l'umanita', dovevano competere
all'Onu nelle sue legittime istituzioni; ma dato che questa e' stata ridotta
ad un povero guscio vuoto, resta solo la ritorsione e la rappresaglia degli
Usa.
Resistere perche' bisogna ricostruire un processo democratico di
partecipazione e discussione su scala mondiale, fondato sul rispetto della
vita e sul ripudio della violenza, della guerra e del terrorismo; fondato
sulla scelta di far fronte all'orrore con gli strumenti della pace, della
giustizia e del dialogo. Diversamente, forse, non c'e' salvezza.
Per tutto questo siamo contrari alla pretesa di fare giustizia con le armi
del governo degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Occorre che la condanna
dell'attacco terroristico e la solidarieta' alle vittime non si trasformi in
un indistinto appoggio ad una nuova guerra. Una vendetta che non serve a
nulla, una vendetta che portera' altri massacri tra i diseredati del mondo,
altro dolore e altra rabbia. Non solo non crediamo alla "guerra santa, del
bene contro il male" (una risposta bellica di tutto l'occidente non potra'
che radicalizzare il conflitto con il mondo arabo), ma il terrorismo piu'
viene combattuto militarmente e piu' si riproduce fino a colpire il cuore
degli Stati. Questa scelta contro la guerra, rischia di farci passare (agli
occhi dell'opinione pubblica) come "amici" dei terroristi: e' facile in
questo momento il passaggio (il)logico "siete contro gli Usa e la Nato,
quindi state dalla parte dei terroristi". Ma la critica al dominio non e'
mai un crimine. E' evidente che dopo quanto e' successo, la vita del
movimento antiglobalizzazione e' oggi assai piu' difficile. Pero' "la
critica dal basso della globalizzazione capitalistica, costituisce forse il
solo antidoto efficace contro il dilagare del fondamentalismo in tutte
queste sue diverse dimensioni, in qualche modo collegate fra loro. Non ha
bisogno di farsi "americano" per combattere la ferocia del terrorismo, ne'
di sposare tradizioni culturali oppressive o regimi autoritari e
oscurantisti, per combattere gli squilibri dell'economia globale e le
tragedie che ne conseguono (come e' invece il caso, quando non si tratti di
pura e semplice ipocrisia, dell'antiglobalismo di stampo fascista,
identitario e micronazionalista); non ha bisogno dunque neanche di essere
"antiamericano". E' una enorme responsabilita' quella che gli si para di
fronte" (Marco Bascetta, "il manifesto" del 16/09/2001).
Resistere, anche se ci sentiamo a volte ridicoli e impotenti; continuare
caparbiamente a lavorare con gli strumenti della pace, della nonviolenza e
della solidarieta' internazionale, perche' il mondo (complesso e complicato)
non ha bisogno di terroristi e gendarmi, ma di comprensione, rispetto e
tenerezza. Nessuno di noi rinuncera' alle sue responsabilita', ai suoi
desideri, all'orrore per qualsiasi massacro, in guerra, o nella quotidiana
sopravvivenza.

8. DOCUMENTAZIONE. NAOMI KLEIN: GAME OVER
[Naomi Klein, giornalista canadese, e' tra le figure piu' note del movimento
per la giustizia globale. Questo articolo abbiamo ripreso dal sito di
Indymedia]
E' il momento, nel gioco della guerra, nel quale deumanizziamo i nostri
nemici.
Sono completamente incomprensibili, i loro atti inimmaginabili, le
motivazioni prive di senso. Sono "pazzi" e i loro stati "canaglie".
Non e' il momento per una maggiore comprensione - solo una migliore
intelligence. Queste sono le regole dei giochi di guerra. Le persone
sensibili obietteranno senza dubbio a questa caratterizzazione: la guerra
non e' un gioco. E' vere vite spezzate, figli perduti, figlie, madri e
padri, ognuno con la sua dignitosa storia. L'atto di terrore di martedi e'
stato realta' nella sua forma piu' dura, un atto che fa sembrare tutti gli
altri atti improvvisamente frivoli, come un gioco.
E' vero: la guerra non e' sicuramente un gioco. E forse, dopo martedi, non
verra' piu' considerata tale. Forse, l'11 settembre 2001 segnera' la fine
dell'era della guerra-videogioco.
Guardare i servizi televisivi martedi e' stato completamente in contrasto
con l'ultima volta che sono rimasta incollata davanti ad un televisore a
guardare un guerra in tempo reale alla CNN. Il campo di battaglia alla Space
Invaders della guerra del Golfo non aveva quasi niente in comune con quello
che abbiamo visto questa settimana. All'epoca, invece di vedere veri palazzi
esplodere uno dopo l'altro, vedevamo solo sterili prospettive di bersagli
dal punto di vista della bomba - prima c'erano e dopo non piu'. Chi c'era in
quegli astratti poligoni? Non l'abbiamo mai capito.
Sin dalla guerra del Golfo, la politica estera americana si e' basata su
un'unica brutale finzione: che l'esercito statunitense potesse intervenire
in conflitti in giro per il mondo - Iraq, Kossovo, Israele - senza subire
perdite. Questo e' un paese che e' arrivato a credere nell'ossimoro
definitivo: la guerra sicura.
La logica della guerra sicura, ovviamente, e' basata sull'abilita'
tecnologica di ingaggiare una guerra esclusivamente dal cielo. Ma si basa
anche sulla profonda convinzione che nessuno oserebbe provocare gli Stati
Uniti - l'unica superpotenza rimasta - sul suo stesso suolo.
Questa convinzione ha permesso, fino a martedi, agli americani di rimanere
sconsideratamente non colpiti - addirittura disinteressati - dai conflitti
internazionali nei quali sono protagonisti di primo piano. Gli americani non
hanno reportage quotidiani da parte della CNN sui continui bombardamenti in
Iraq, ne' vengono sottoposti a storie di interesse umanitario sugli effetti
devastanti, sui bambini di quel paese, delle sanzioni economiche. Dopo il
bombardamento, nel 1988, di uno stabilimento farmaceutico in Sudan
(scambiato per una fabbrica di armi chimiche), non ci sono stati molti
servizi giornalistici sui danni causati nella regione alla prevenzione
sanitaria a causa della mancata produzione di vaccini.
E quando la Nato ha bombardato obiettivi civili in Kossovo - inclusi
mercati, ospedali, convogli di rifugiati, treni passeggeri e una stazione
televisiva - la NBC non ha effettuato interviste "di strada" ai
sopravvissuti su quanto fossero shockati da quella distruzione
indiscriminata.
Gli Stati Uniti sono diventati esperti nell'arte di igienizzare e
deumanizzare gli atti di guerra commessi altrove. In casa, la guerra non e'
piu' un'ossessione nazionale, e' un business che viene in gran parte
terziarizzato ad esperti. Questo e' uno dei principali paradossi del paese:
nonostante sia il motore della globalizzazione in tutto il mondo, la nazione
non e' mai stata cosi' isolazionista e cosi' poco mondiale.
Non meraviglia che l'attacco di martedi, oltre ad essere orripilante oltre
ogni descrizione, ha aggiunto l'orrore, per molti americani, di sembrare
giunto assolutamente all'improvviso. le guerre raramente arrivano come un
completo shock al paese sotto attacco ma e' corretto dire che questa volta
e' successo cosi'. Al giornalista di "USA Today" Mike Walter la CNN ha
chiesto di riassumere le reazioni sulla strada. Quello che disse fu : "O mio
dio, o mio dio, o mio dio, non ci posso credere".
L'idea che si possa essere preparati a tanto inumano terrore e' assurda.
Comunque, guardandolo attraverso le reti televisive americane, l'attacco di
martedi sembrava provenire piu' da un altro pianeta che da un'altra nazione.
Gli eventi non sono stati raccontati tanto da giornalisti quanto da una
nuova razza di presentatori-celebrita' che hanno avuto un numero
incalcolabile di apparizioni cameo in film della TimeWarner a proposito di
apocalittici attacchi terroristici agli Stati Uniti - ora, incongruamente,
si trovano a dover riportare la realta'.
Gli Stati Uniti sono un paese che non solo si crede in pace ma anche a prova
di guerra, una percezione di se' che risulterebbe una vera sorpresa alla
maggioranza degli Iracheni, Palestinesi e Colombiani. Come da un'amnesia,
gli Stati Uniti si sono risvegliati nel mezzo di una guerra, solo per
accorgersi che sta andando avanti da anni.
Gli Stati Uniti meritavano di essere attaccati? Ovviamente no. Questa e'
un'argomentazione orribile e pericolosa. Ma c'e' un'altra domanda che deve
essere posta: la politica estera degli Stati Uniti ha creato le condizioni
nelle quali una logica cosi' deviata puo' fiorire, una guerra non tanto
all'imperialismo degli Stati Uniti ma ad una supposta sordita' alla ragione
di questi?
L'era della guerra-videogioco nella quale gli Stati Uniti sono sempre al
comando ha prodotto una rabbia cieca in molte parti del mondo, una rabbia
nei confronti della persistente asimmetria della sofferenza. Questo e' il
contesto nel quale perversi assetati di vendetta non chiedono altro che i
cittadini americani condividano la loro sofferenza.
Fin dall'attacco, i politici e i commentatori statunitensi hanno ripetuto il
mantra che il paese sarebbe andato avanti come al solito. Lo stile di vita
americano, insistono, non verra' interrotto. Sembra uno strano proclamo da
fare quando tutte le prove indicano l'opposto. La guerra, per parafrasare
una frase dei vecchi tempi della guerra del Golfo, e' la madre di tutte le
interruzioni. Esattamente come dovrebbe essere.
L'illusione di una guerra senza vittime e' stata infranta per sempre.
Sul nostro videogioco collettivo lampeggia un messaggio: Game Over.

9. INIZIATIVE. RAFFAELLO UGO: A CAGLIARI CONTRO LA GUERRA
[Raffaello Ugo e' impegnato nel movimento per la pace a Cagliari. Per
contatti: raff.ugo@tiscalinet.it]
Il comitato cagliaritano che organizza le manifestazioni contro il vertice
Nato, di fronte al pericolo di azioni di guerra, ha deciso che, in caso di
attacco militare, ci si riunira' in un sit-in di protesta nella Piazza
Costituzione a Cagliari dalle ore 18.00 del giorno in cui avverra' l'attacco
(o del giorno immediatamente successivo, se risultassero ormai passate le
18.00). L'invito rivolto a tutti e' a fare altrettanto, in ogni piazza della
Sardegna e d'Italia.
Il 27 settembre, in occasione del vertice Nato di Pozzuoli, a Cagliari un
corteo partira' da Piazza Garibaldi alle 16.00, e si avviera' verso il Molo
Ichnusa, nella Piazza della Darsena, dove sono previste diverse attivita' e
dalle 20.00 si terra' un concerto.
Il comitato che organizza la manifestazione del 27, e anche l'eventuale
manifestazione contro l'azione bellica di rappresaglia statunitense i cui
segnali sono ormai evidenti, e' un comitato del tutto spontaneo.
Subito dopo i fatti di Genova alcune persone sentivano forte il bisogno di
non permettere che si chiudesse un capitolo cosi' grave per la democrazia si
sono piu' volte riunite per dare corpo a una protesta decisa e pacifica.
Il vertice Nato sarebbe stata un'occasione utile per parlare con i sardi
della pericolosa situazione nell'isola: servitu' militari (sembra siano
state rilevate anche tracce di uranio impoverito presso il poligono di
Teulada), mancanza di un piano di sicurezza in caso di incidente nucleare
nel porto di Cagliari, La Maddalena, ecc.
Purtroppo, il grave attentato terroristico negli Stati Uniti oscura per la
sua portata e per le sue conseguenze l'importante scadenza.
Le spese militari avranno cosi' un'ulteriore impennata compreso l'inutile e
costosissimo scudo spaziale, e il restringimento delle liberta' democratiche
avra' la sua giustificazione nella necessita' di tutelare la sicurezza dei
cittadini.
Chi avrebbe avuto da guadagnarci non ha perso tempo.
La profonda e intollerabile ingiustizia, la rabbia e la frustrazione che
hanno portato alcuni esseri umani a sacrificare la propria vita e quella di
migliaia di altri inconsapevoli civili non sembra aver modificato
minimamente l'approccio dei potenti ai problemi mondiali.
Temo invece che sia stata data la spinta decisiva a un processo che, come
una valanga, minaccia di travolgerci.
Potremmo chiuderci in casa dopo aver fatto sufficienti provviste, sistemare
i sacchetti di sabbia alle finestre e accendere la televisione per osservare
i professionisti fare la guerra; oppure uscire, in tanti, a gridare col
cuore in gola che un mondo diverso e' possibile.

10. ESPERIENZE. MONICA LANFRANCO: PRESENTAZIONE DI "MAREA"
[Ringraziamo Monica Lanfranco per questa scheda di presentazione della
rivista trimestrale (ma anche utilissimo sito in rete) di saperi delle donne
"Marea"]
"Marea: donne, ormeggi, rotte, approdi", Erga edizioni, trimestrale  di
saperi delle donne, www.marea.it
"Marea", questi i suoi numeri: sei anni di attivita', 24 numeri della
rivista omonima, un sito internet www.marea.it, numerosi interventi di
autrici, intellettuali, docenti e ricercatrici italiane e non, una
pluralita' di iniziative e incontri pubblici in varie regioni italiane, una
specifica collana editoriale con due testi gia' pubblicati, un concorso
letterario alla sua seconda edizione, una diffusione nelle librerie di tutto
il territorio nazionale, un video sull'esperienza femminile al G8 di Genova.
"Marea" ha un comitato di redazione composto da donne che lavorano nel mondo
dell'informazione, della scuola, del sindacato, della formazione
professionale, della solidarieta' e del movimento delle donne.
"Marea" nasce a Genova come tribuna per veicolare notizie, idee, materiali e
polemiche che nascono dal lavoro di quante credono che prima  di tutto
occorra segnare il cammino con la propria identita' sessuata.
Obiettivo del trimestrale e' quello di trattare l'attualita' e le
riflessioni - le storie e  i racconti -  la critica e le  informazioni per
dire lo stare al mondo delle donne.
Le sue rubriche sono state pensate in chiave "marina" per rafforzare  e
rendere evidente il legame della rivista con la sua terra d'origine, la
Liguria, ma anche con l'elemento femminile dell'acqua: 'Conchiglie' si
chiamano le recensioni di libri, 'Orca' e' il tema che ogni volta viene
approfondito con interventi e interviste, 'Faro' e' la parte che riguarda i
materiali di riflessione ed elaborazione, 'Sabbia' e' il titolo della
sezione che lascera' spazio alla creativita' letteraria delle autrici che vi
scriveranno.
Hanno scritto su "Marea", tra le altre: Elettra Deiana, Rosangela Pesanti,
Sandra Verda, Silvia Neonato, Adele Cambria, Simona Mafai, Marina Pivetta,
Lidia Menapace, Miriam Grassi, Maria Grazia Ruggerini, Grazia Francescato,
Helena Velena, Lia Celi, Rosi Braidotti, Vandana Shiva, Teresa de Lauretis,
Tanith Lee.
Comitato di redazione: Monica Lanfranco (direttora, sito internet
www.village.it/lanfranco/), Marina Barbieri, Lucia Deleo, Laura Guidetti,
Mariella Todaro, Nicla Vassallo.
Tra qualche giorno sara' disponibile il numero 3 di "Marea", un numero
speciale di 200 pagine, con gli atti del convegno Punto G e riflessioni sui
fatti di Genova al G8.
I testi pubblicati nel segno dell'impegno contro ogni guerra e il
militarismo, sono:
- Ti scrivo da sotto le bombe. Pagine di rabbia e speranza delle donne
contro la guerra nell'ex Jugoslavia, a cura di Monica Lanfranco e Cristina
Papa;
- Un dopoguerra ancora, di Lidia Campagnano.
Il primo concorso letterario (2000) ha prodotto la raccolta dei lavori
premiati dal titolo Taciturne e coraggiose. Raccontare le donne liguri tra
natura e cultura; il secondo, in uscita a natale 2001, e' dedicato al tema
Amiche: luci ed ombre di un sentimento.
Il video prodotto dalla rivista ha per titolo: "Giugno-luglio 2001: le
donne".
Si tratta di un video vhs di 25 minuti che "Marea" ha realizzato per
raccogliere le immagini e le parole di cio' che molte donne hanno realizzato
e vissuto a Genova, un mese prima del summit del G8, all'evento "Punto G -
genere e globalizzazione", realizzato dalla rete della Marcia Mondiale delle
donne, e nei giorni di luglio.
Le parole di Lidia Menapace, Starhawk, Luisa Morgantini, le immagini del
corteo dei migranti del 19 luglio, il racconto di due genovesi presenti nei
luoghi dove le donne della rete della Marcia si erano date appuntamento il
20 e le immagini di gioia di quella giornata fino all'inizio dell'incubo, il
corteo del 21, la giornata "Genova libera" del 24, dopo le devastazioni e la
repressione poliziesca: questo il sommario del video.
La scelta narrativa e' stata quella di privilegiare le immagini di cio' che
si e' riuscite a fare, (di cio' che avrebbero dovuto e potuto essere quei
momenti), immagini che in realta' nessuno ha potuto vedere perche' oscurate
dalla drammatica realta' della violenza e della repressione.
Il video, prodotto da "Marea" con l'autofinanziamento, e' a disposizione di
tutte e tutti anche per organizzare momenti di incontro e dibattito sui
contenuti della protesta e della proposta delle donne nel movimento
antiglobalizzazione. Il costo e' di lire 20 mila. Per prenotazioni,
abbonamenti e informazioni: e-mail mochena@village.it e sul sito
www.marea.it

11. LETTURE. AA. VV., I GIORNI DI GENOVA
AA. VV., I giorni di Genova, Indice Internazionale, Roma 2001, pp. 156, lire
15.000. "Cronache, commenti e testimonianze dai giornali di tutto il mondo"
sui fatti di Genova nei giorni del G8. Molti punti di vista a confronto.

12. LETTURE. GIANLUCA DE GENNARO, EMMANUEL LEVINAS PROFETA DELLA MODERNITA'
Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della modernita', Edizioni
Lavoro, Roma 2001, pp. 136, lire 18.000. Una presentazione della riflessione
di Levinas scritta "in mezzo a una vita di comunita', in una casa di
accoglienza a Gubbio".

13. LETTURE. LORENZO MILANI, I CARE ANCORA
Lorenzo Milani, I care ancora, Emi, Bologna 2001, pp. 480, lire 35.000. Una
raccolta di materiali milaniani di straordinaria rilevanza, curata da par
suo da Giorgio Pecorini, che se non esistesse bisognerebbe inventarlo.

14. MATERIALI. ROBERTO TECCHIO: IL LABORATORIO DI RICERCA E FORMAZIONE SULLA
GESTIONE NONVIOLENTA DEI CONFLITTI (PARTE SESTA ED ULTIMA)
[Ringraziamo Roberto Tecchio, formatore alla gestione nonviolenta dei
conflitti, per averci messo a disposizione questo testo. Concludiamo oggi la
pubblicazione delle schede utilizzate nel laboratorio, ed aggiungiamo
l'annuncio per le future iscrizioni. Per contatti: trestele@tiscalinet.it]
Scheda teorica n. 7
La trasformazione del conflitto e la sua risoluzione a livello personale e
sociale.
"Il medico cura, la natura guarisce".
Oggi si tende ad usare sempre piu' la terminologia anglosassone conflict
management, o conflict transformation, al posto di conflict resolution. In
sostanza hanno tutti lo stesso significato e probabilmente c'e' solo
un'accresciuta consapevolezza del fatto che nei conflitti noi abbiamo il
potere di orientarne in qualche misura la trasformazione, ma certo non
quello di risolverli. Insomma il concetto di risoluzione e' pericolosamente
presuntuoso e vicino al mito di onnipotenza: noi, da soli, possiamo solo
gestire il conflitto, mai risolverlo, esattamente come il medico ha il
potere di curare, ma non quello di guarire (1).
Attraverso un esempio di vita ordinaria proviamo a riassumere la dinamica
della gestione nonviolenta dei conflitti per vedere come si opera la
trasformazione e come si arriva a una possibile risoluzione.
I nostri attori (chiamiamoli Anna e Bruno, soci che gestiscono un'attivita'
di servizi), di fronte a un problema (come arredare l'ufficio) durante la
discussione si arrabbiano e litigano scambiandosi reciproche accuse (il
problema si e' trasformato in conflitto).
Anna (che ha alle spalle un training nonviolento) durante la pausa pranzo
riconosce la situazione conflittuale e comincia a lavorare in modo
nonviolento sulla sua rabbia e frustrazione (gestione del disagio). Dopo un
po' riesce a calmarsi, a ritrovare fiducia e a percepire sia Bruno sia la
situazione sotto un'altra luce. Abbiamo cosi' che una delle parti in
conflitto ha gestito efficacemente il proprio disagio e quindi ha ottenuto
una trasformazione e risoluzione del conflitto a livello personale
(ricordiamoci la distinzione fatta all'inizio tra la dimensione personale e
quella sociale del conflitto - punto 1.1.), per cui rabbia e frustrazione
sono scomparse, o fortemente ridotte, e resta solo la chiara percezione di
un problema concreto da risolvere (le scelte inerenti l'arredamento). Dunque
Anna ora si sente pronta a incontrare Bruno. Ma Bruno come sta?
Bruno (anche lui ha alle spalle un buon training nonviolento), che ha dovuto
pure saltare il pranzo per motivi di lavoro, e' invece ancora risentito: in
lui c'e' irritazione, pensieri negativi sulla situazione e su Anna, e forse
anche su di se'. Quindi ci troviamo di fronte una situazione dove una parte
ha risolto il conflitto a livello personale, mentre l'altra no, per cui a
livello sociale il conflitto non e' affatto risolto. E infatti sappiamo
benissimo che sino a quando anche una sola delle parti in conflitto non
avra' efficacemente gestito il suo disagio continuera' a scaricarlo in
qualche modo nella relazione con l'Altro e col mondo circostante, creando a
tal fine pretesti e falsi problemi - falsi, ma non per questo meno dolorosi,
pericolosi e "reali" (2).
A questo punto se Anna vuole affrontare il problema concreto dovra'
prepararsi a fare inevitabilmente i conti col disagio di Bruno e questo in
pratica significa, come abbiamo visto, riuscire a riconoscere e accettare
tale disagio. Questa naturale implicazione della gestione nonviolenta dei
conflitti e' dura da digerire: oltre a saper gestire bene il mio disagio,
cosa gia' di per se' molto impegnativa, devo in qualche misura saper anche
aiutare l'altro a gestire il suo disagio, cosa veramente difficile e
delicata, sulla quale si ha un potere certamente limitato, ma pure tanto
importante. Ora, se questo e' vero, si puo' capire la fondamentale
importanza del saper gestire positivamente il disagio a livello personale:
chi riesce a gestire bene il proprio disagio si trova nelle condizioni
migliori per "tentare" di trasformare e risolvere costruttivamente il
conflitto anche nella sua dimensione sociale. E diciamo "tentare" perche' il
risultato sociale della risoluzione dei conflitti dipende per forza di cose
da ognuna delle parti coinvolte. Come dire: se l'altro e' ineliminabile,
allora e' indispensabile (ed e' utile ricordarsi che "gli Altri, siamo Noi")
(3).
Aiutare l'altro a gestire il suo disagio non richiede uno spirito di
abnegazione, ne' l'essere psicoterapeuti: nella misura in cui riesco
veramente ad accettare e comprendere il disagio dell'altro (cioe' per es.
non mi faccio travolgere dall'onda emotiva della sua rabbia, disperazione, o
dolore), di fatto io lo sto aiutando. Accettare vuol dire "riconoscere in
modo sentito", con la testa e col cuore, e quando ci sentiamo cosi'
riconosciuti accade sempre qualcosa di positivo, di sano, di curativo, di
bello, il che non significa che non sia doloroso. In ambito psicoterapeutico
alcuni arrivano a dire che l'accettazione e' la forza guaritrice piu'
potente che si conosca, ma la cosa non stupisce se si pensa che nel nostro
linguaggio l'accettazione e' solo un altro nome dell'amore.
Tornando al nostro esempio, immaginiamo che Anna riesca appunto a mostrare
un sincero ascolto nella fase iniziale dell'incontro con Bruno, e magari
anche a chiedere scusa per le parole dure dette prima. Bruno comincia cosi'
a distendersi e un po' alla volta riesce pure lui a recuperare quel po' di
fiducia che poi lo mette in grado di gestire bene il suo disagio (e in cio'
possiamo supporre che sia stato facilitato dall'atteggiamento sinceramente
positivo e amichevole manifestato da Anna alla ripresa del dialogo -
attenzione, non stiamo parlando di un atteggiamento di controllata calma e
di ostentata gentilezza, cose che generano effetti completamente diversi).
Ecco allora che, secondo il nostro approccio, possiamo dire che il conflitto
e' stato positivamente trasformato e risolto anche nella sua dimensione
sociale, per cui ora le parti si trovano in una condizione piu' favorevole
per affrontare e risolvere insieme il problema concreto. Allora, in questo
stato della relazione che potremmo chiamare di pace (anche la pace come il
conflitto e' uno stato della relazione), i nostri eroi possono "tentare" di
risolvere insieme il loro problema. E il verbo "tentare" rimane d'obbligo,
perche' non tutti i problemi, qui e ora, possono essere risolti come
vorremmo. Anzi, molto spesso solo un'intelligente e fiduciosa accettazione
consente di vivere in pace, piu' distesi ed efficaci, in un presente che
puo' essere pieno di problemi, disagi e conflitti.
Da questo esempio, seppure riferito a un caso di conflitto in ambito
cooperativo, possiamo trarre alcune importanti conclusioni che in fondo
valgono per qualsiasi tipo di confitto (4):
la gestione nonviolenta del disagio (cioe' la gestione nonviolenta della
dimensione interiore del conflitto, che e' cio' su cui io ho il massimo
potere e responsabilita'):
a) puo' "garantire" la risoluzione del conflitto a livello personale;
b) non puo' mai "garantire" la risoluzione del conflitto a livello sociale;
c) non puo' mai "garantire" la risoluzione dei problemi a livello sociale;
d) ma costituisce la base piu' forte ed efficace per poter trasformare e
risolvere costruttivamente i problemi e i conflitti a livello sociale,
perche' consente di utilizzare al meglio le risorse disponibili di
creativita' e intelligenza che vengono fortemente menomate dalla presenza di
stati emotivi negativi.
Il termine "garantire" e' messo in evidenza perche' esprime assai bene il
desiderio diffusissimo e la radicata convinzione di poter trovare tecniche o
metodi "sicuri" che risolvano "presto, definitivamente e senza dolori" ogni
conflitto, ogni problema, ogni disagio, ogni male. Questo mito di
onnipotenza, che ricerca e propaganda la sicurezza assoluta (salute sicura,
lavoro sicuro, guadagni sicuri, citta' sicure...), implica naturalmente
l'uso della violenza e, purtroppo, si apprende e si trasmette
inconsapevolmente. Pero' cambiare e' certamente possibile e la nonviolenza
e' solo uno dei tanti modi di vedere e chiamare la via del cambiamento.
1. Per la sua particolare importanza segnalo qui la recente opera curata da
J. Galtung, Conflict Transformation by Peaceful Means (the Transcend
Method), che costituisce il primo manuale per la gestione nonviolenta dei
conflitti pubblicato ufficialmente dall'Onu. In forma ridotta e' pubblicato
dalle Edizioni Gruppo Abele: La trasformazione nonviolenta dei conflitti.
2. Qui si aprono i temi, fondamentali per capire i conflitti a livello meso
e macro, del capro espiatorio, della demonizzazione o deumanizzazione del
nemico, dell'elaborazione paranoidea del lutto. Vedi per es. F. Fornari, cui
e' dedicato il testo di AA. VV., Le radici affettive dei confitti, La
meridiana; e Luigi Pagliarani, Violenza e Bellezza, Guerini.
3. Su tali considerazioni si fondano gli approcci nonviolenti di mediazione
dei conflitti (a livello familiare, sociale, aziendale, ecc), cioe' quando
le parti in conflitto riconoscono di non essere piu' in grado di risolvere
da sole il problema e allora, di comune accordo, chiedono aiuto a una "terza
parte" esterna al conflitto. Attualmente, a mio parere segno molto positivo,
c'e' un ricorso sempre piu' frequente alla mediazione dei confitti in ambiti
micro (famiglia, scuola, quartiere); in merito suggerisco il testo di S.
Castelli, La mediazione, Cortina. Un altro testo recentissimo, molto agile,
e' C. Besemer, Gestione dei confitti e mediazione, Edizioni Gruppo Abele.
4. Quando la relazione e' degradata, o inserita in un contesto competitivo,
la gestione e trasformazione dei problemi richiede sempre un innalzamento
del livello di scontro: insomma bisogna passare dalle parole ai fatti. In
questi casi si parla di lotta nonviolenta, che anche se condotta con la
forza dell'amore, sempre lotta e' (per i vari tipi di trasformazione dei
conflitti, dalla conversione al compromesso positivo alla coercizione
nonviolenta, vedi Sharp, op. cit., vol. terzo).
*
La gestione nonviolenta dei conflitti: laboratori di ricerca e formazione
Prosegue presso l'associazione Cipax l'attivita' di formazione permanente
alla nonviolenza con metodologie attive ed esperienziali.
I laboratori si avviano in diversi periodi dell'anno quando si raggiunge il
numero ottimale di iscritti (massimo dodici). Il modulo base (alla decima
edizione) si svolge in otto incontri di due ore l'uno. Prossimo inizio entro
meta' ottobre 2001.
Per informazioni e iscrizioni: Cipax, Via Ostiense 152, Roma e-mail:
cipax@romacivica.net, tel. 0676963043 (Roberto Tecchio, ore ufficio).

15. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA GHIANNIS RITSOS A MARTHE
ROBERT

* GHIANNIS RITSOS
Profilo: poeta greco contemporaneo, per il suo impegno politico dalla parte
degli oppressi ha subito durissime persecuzioni. Opere di Ghiannis Ritsos:
molte raccolte di Ritsos sono state tradotte in italiano, con fine
sensibilita', da Crocetti, Pontani, Sangiglio. Opere su Ghiannis Ritsos:
Crescenzio Sangiglio, Jannis Ritsos, La Nuova Italia, Firenze 1975.

* ANNAMARIA RIVERA
Profilo: docente di etnologia all'Universitą di Bari, impegnata nella "Rete
antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: L'imbroglio etnico, Dedalo.

* ARMIDO RIZZI
Profilo: nato nel 1933, teologo, docente, animatore di comunitą, collabora a
varie riviste. Opere di Armido Rizzi: Differenza e responsabilitą, Marietti,
Casale Monferrato 1983; Infinito e persona, Ianua, Roma 1984; Scandalo e
beatitudine della povertą, Cittadella, Assisi 1987; Esodo, ECP, S. Domenico
di Fiesole 1990; L'Europa e l'altro, Paoline, Cinisello Balsamo 1991; (a
cura di), La solidarietą andina, ECP, S. Domenico di Fiesole 1993; Pensare
la caritą, ECP, S. Domenico di Fiesole 1995. Opere su Armido Rizzi: si veda
la parte a lui dedicata  in AA. VV., Etiche della mondialitą, Cittadella,
Assisi 1996.

* PLACIDO RIZZOTTO
Profilo: partigiano, socialista, segretario della Camera del Lavoro,
dirigente delle lotte contadine. Assassinato dalla mafia nel 1948. Opere su
Placido Rizzotto: Dino Paternostro, A pugni nudi, La Zisa, Palermo 1992;
Dino Paternostro, Il sogno spezzato di Placido Rizzotto e le lotte contadine
a Corleone, Cittą Nuove, Corleone 1998.

* MARTHE ROBERT
Profilo: studiosa francese, esperta di letteratura tedesca, traduttrice di
Kafka, autrice di fondamentali saggi sulla letteratura moderna e sulla
psicoanalisi. Opere di Marthe Robert: L'antico e il nuovo, Rizzoli, Milano
1969;  Da Edipo a Mosč, Sansoni, Firenze 1981; Solo come Kafka, Editori
Riuniti, Roma 1982.

16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail č: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 236 del 22 settembre 2001