[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
La nonviolenza e' in cammino. 234
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 234 del 20 settembre 2001
Sommario di questo numero:
1. L'appello degli intellettuali palestinesi: niente giustifica il
terrorismo
2. Pax Christi: scelte di pace, di giustizia e di nonviolenza
3. Yasser Arafat: appello per la pace
4. Maria Luigia Casieri, il primo giorno di scuola (con una favola di Leo
Lionni)
5. Ancora una settimana di ampliamento delle adesioni, di verifiche e di
approfondimenti, poi la presentazione della proposta di legge per la
formazione delle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso della
nonviolenza
6. Antonio Mazzei: le polizie degli altri: profili istituzionali e
comparativi (parte prima)
7. Roberto Tecchio, il laboratorio di ricerca e formazione sulla gestione
nonviolenta dei conflitti (parte quarta)
8. Letture: AA. VV., Dopo la battaglia
9. Letture: Cristiano Grottanelli, Il sacrificio
10. Letture Serge Latouche, Antonio Torrenzano, Immaginare il nuovo
11. Per studiare la globalizzazione: da Erich Maria Remarque a Adrienne Rich
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'
1. RIFLESSIONE. L'APPELLO DEGLI INTELLETTUALI PALESTINESI: NIENTE GIUSTIFICA
IL TERRORISMO
[Questo appello e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 18 settembre]
Non e' possibile dare un nome alla catastrofe che ha colpito Washington e
New York City, salvo quello della follia del terrorismo. Questo terrorismo
non e' ne' un film di fantascienza nera, ne' il giorno della resa dei conti.
E' un terrorismo senza paese, senza colore e senza credo, non importa quanto
esso possa avere richiamato i nomi di dei e divinita' e le agonie dell'uomo
allo scopo di giustificare il crimine.
Non c'e' causa, neanche una causa giusta, che possa fare dell'uccisione di
civili innocenti un atto legittimo, non importa quanto siano lunghi l'elenco
delle accuse e il registro delle lamentele. Il terrore non lastrica la
strada per la giustizia, ma e' il cammino piu' breve per l'inferno.
Noi deploriamo questo crimine orrendo e condanniamo chi lo ha pianificato e
perpetrato con tutte le parole della denuncia e della condanna di cui il
vocabolario dispone.
Non solo perche' questo e' un dovere morale, ma in quanto espressione del
nostro impegno verso la nostra umanita' e la nostra fede che i valori umani
non differiscono tra uomo e uomo.
La nostra partecipazione verso le vittime e le loro famiglie e verso il
popolo americano in questi momenti difficili non e' che l'espressione del
nostro profondo impegno verso l'unicita' del destino umano. Perche' una
vittima e' una vittima, e il terrorismo e' il terrorismo, qui e la', non
conosce confini ne' nazionalita' e non e' privo dell'eloquenza del crimine.
Niente, niente puo' giustificare questo terrorismo che impasta la carne
umana con il ferro, il cemento e la polvere, e niente puo' giustificare la
divisione del mondo in due sfere che non potranno mai incontrarsi: una di
bene assoluto e l'altra di assoluto male; perche' la civilta' e' il
risultato finale del contributo delle societa' del mondo all'eredita'
culturale del globo, frutto di accumulazione e interazione, per raggiungere
l'elevazione e la nobilta' dell'uomo.
Da questa premessa, l'insistenza dell'orientalismo moderno nell'indicare che
il terrorismo risiederebbe nella natura stessa delle culture araba e
islamica, non contribuisce alla diagnosi dell'enigma e dunque alla sua
soluzione, in quanto accresce la sua complessita' e lo pone al limite di una
posizione razzista.
Percio', la ricerca americana per individuare le ragioni dell'animosita'
mostrata alla loro politica (e non al popolo americano e alla sua cultura
popolare) dovrebbe abbandonare il concetto del "conflitto di culture" e il
bisogno di identificare un nemico sempre presente, per testare la
"supremazia occidentale". Essa dovrebbe approdare ad una arena politica, in
cui gli Stati Uniti possano meditare sulla sincerita' della loro politica
estera e sul loro successo in Medio Oriente, dove i grandi valori americani
di liberta', democrazia e diritti umani hanno dismesso la loro funzione nel
contesto palestinese, sollevando allo stesso tempo l'occupazione israeliana
dal dover rispondere al diritto internazionale, e fornendo al comportamento
israeliano, che spesso raggiunge la portata di "terrorismo di stato", la
giustificazione e razionalizzazione di cui necessita.
Sappiamo che la ferita americana e' profonda e sappiamo che questo tragico
momento e' il momento della solidarieta' e della condivisione del dolore.
Sappiamo anche che gli orizzonti dell'intelletto possono attraversare il
paesaggio della devastazione. Il terrorismo non ha localizzazione o confini,
non risiede in una sua geografia, la sua patria e' la disillusione e la
disperazione.
La migliore arma per sradicare il terrorismo dall'anima consiste nella
solidarieta' del mondo internazionale, nel rispettare il diritto della
popolazione del globo, o il villaggio globale, a vivere in armonia e a
ridurre il divario sempre crescente fra nord e sud, e il modo migliore e
piu' efficace di difendere la liberta' e' quello di realizzare appieno il
significato della giustizia. Le misure di sicurezza da sole non bastano,
perche' il terrorismo porta tra le sue pieghe una molteplicita' di
nazionalita' e non riconosce confini.
Il mondo non puo' essere diviso in due societa', una per i ribelli e l'altra
per i tutori della legge.
Ma comunque niente, niente giustifica il terrorismo.
Tra i firmatari: Mahmoud Darwish, poeta; Hanan Ashrawi, portavoce della Lega
araba e attivista dei diritti umani; Yasser Abed Rabbo, ministro
dell'informazione e cultura dell'Anp; Akram Haniyeh, scrittore e direttore
del quotidiano Al-Ayyam; Mahmoud Shuqeir, scrittore, direttore del ministero
della cultura; Yehya Yakhlof, scrittore; Abdel Latif Barghouthi, docente di
letteratura araba all'universita' di Bir Zeit; Husein Barghouthi, poeta,
scrittore; Izzat Ghazzawi, docente di letteratura araba all'universita' di
Bir Zeit; Hanna Nasser, preside dell'universita' di Bir Zeit; Salim Tamari,
docente di sociologia all'universita' di Bir Zeit, docente di scienze
politiche all'universita' di New York; Sari Nuseibeh, preside
dell'universita' di Al-Quds, Gerusalemme; Zakarya Mohamed, poeta, scrittore;
Liyana Bader, critico cinematografico; Ali Al-Khalili, scrittore; Said
Zeidan, docente di filosofia all'universita' di Al-Quds; Fuad Mughrabi,
direttore del centro culturale Al-Kattan; Wasim Al-Kurdi, poeta; Islah Jad,
docente di scienze politiche all'universita' di Bir Zeit; Rima Hammame,
direttrice del centro studi sulle donne dell'universita' di Bir Zeit; Jamil
Hilal, sociologo, ricercatore all'universita' di Bir Zeit; Faiha' Abdel
Hadi, scrittrice; Hasan Khadher, direttore del settimanale culturale
Al-Karmel.
2. RIFLESSIONE. PAX CHRISTI: SCELTE DI PACE, DI GIUSTIZIA E DI NONVIOLENZA
[Pax Christi e' un movimento cattolico impegnato per la pace e la
nonviolenza]
Il Consiglio Nazionale di Pax Christi riunito a Firenze ha inteso proporre
una riflessione sui tragici atti terroristici che hanno colpito gli Stati
Uniti d'America e rivolgere un appello.
Orrore, immensa tristezza e grande dolore.
Davanti al massacro dei giorni scorsi in alcune citta' degli Stati Uniti, il
nostro primo pensiero va alle vittime del terrorismo. Per loro eleviamo una
preghiera al Signore della vita e nello stesso tempo esprimiamo la nostra
solidarieta' e la nostra commossa partecipazione alle loro famiglie, agli
amici, ai conoscenti, al popolo e alle istituzioni degli USA.
Tuttavia la nostra preoccupazione e' forte anche per quanto puo' accadere
nei prossimi giorni.
Vogliamo che sia la Parola di Dio a illuminare le nostre riflessioni e a
farci leggere in questa luce di vita la storia che viviamo.
Ci e' venuto subito alla mente il brano del Vangelo di Luca in cui Gesu'
ricorda le persone schiacciate sotto la torre di Siloe "se non vi
convertirete, finirete tutti allo stesso modo" (Luca 13, 5). Questa tragedia
chiede a tutti, a noi per primi, di convertire la nostra vita, di
rileggere - per chi e' credente - la Parola perche' da essa possiamo trarre
la forza della speranza e non lasciarci travolgere, come invece ci sembra
stia accadendo, da un'onda di odio pericolosa e distruttiva. E' un cammino
faticoso. E ci rendiamo conto che non e' facile parlare di pace e di
nonviolenza quando si e' immersi in un clima di guerra.
Noi per primi vogliamo impegnarci a scelte autentiche e coerenti di pace, di
giustizia e di nonviolenza; anche se avvertiamo il rischio di essere
indicati come disfattisti o amici del nemico perche' non soffiamo sul fuoco
della "giusta ritorsione o della vendetta". E' ancora la parola di Dio a
illuminarci: "mettiamo a morte quest'uomo - dicono contro il profeta
Geremia - perche' scoraggia i guerrieri e tutto il popolo, quest'uomo non
cerca il benessere del popolo ma il male" (Geremia 38, 4).
Come credenti avvertiamo forte l'imperativo di non sottrarci all'annuncio
della pace e come parte della societa' civile e dell'umanita' ferita da
questo attacco sanguinoso cogliamo l'esigenza di rivolgerci ad alcuni
importanti attori di queste ore drammatiche:
- Alla comunita' internazionale chiediamo di attivare tutti gli strumenti
che la civilta' giuridica ha posto nelle mani dei governanti e delle
istituzioni internazionali perche' i responsabili del massacro siano
individuati e perseguiti senza cedere alla logica perversa della vendetta,
senza ricorrere ad alcuna forma di ritorsione, senza causare altro inutile
spargimento di sangue. Aggiungere morte a morte, sofferenza a sofferenza,
odio ad odio, non solo non risolve nulla, ma contribuisce ad alimentare la
spirale della violenza che prepara sempre nuovi e piu' gravi atti di
terrore. Siamo convinti che solo se si compiono scelte efficaci per
stabilire nuove regole nella direzione di un'economia di giustizia sara'
possibile arginare gli atti terroristici che con ogni probabilita' trovano
terreno fertile nella "collera dei poveri". 34 anni fa Paolo VI con parole
profetiche ci ricordava che: "(I paesi ricchi) ostinandosi nella loro
avarizia, non potranno che suscitare il giudizio di Dio e la collera dei
poveri, con conseguenze imprevedibili" (Lettera Enciclica Populorum
Progressio, 49).
- Al Parlamento italiano ci sentiamo di raccomandare di vegliare sui valori
della democrazia che hanno ispirato la Carta Costituzionale. In nessun caso
i nostri governanti e le forze armate dovranno cooperare a reazioni
indiscriminate e violente contro le popolazioni civili dei Paesi i cui
governanti dovessero essere individuati come complici del terrorismo
internazionale. Al contrario si rafforzi ogni passo verso il dialogo, la
fiducia e la cooperazione internazionale. Allo stesso modo venga garantita
l'accoglienza dignitosa agli stranieri che scelgono l'Italia come approdo
della speranza per se' e per le proprie famiglie.
- Alle donne e agli uomini arabi e di religione islamica desideriamo
esprimere la nostra piu' sentita solidarieta' per i gesti e le parole di
persecuzione o di rancore che vengono loro indirizzati in questi giorni.
Ogni generalizzazione risulta sempre ingiusta e incivile. Noi vogliamo
rendere omaggio alla nobile tradizione islamica e continuare a costruire
percorsi di pace con quanti ritengono che nessun credo autenticamente
religioso puo' giustificare la violenza. Nel contempo chiediamo loro di non
tralasciare alcuno sforzo per diffondere e radicare nelle loro comunita' la
cultura e la prassi del rispetto di ogni diversita' e l'assunzione senza
riserve della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Alla Chiesa cattolica che e' in Italia chiediamo di compiere ogni sforzo
affinche' si diffonda nella pastorale e nella prassi ordinaria delle chiese
locali la cultura dell'accoglienza, del rispetto e per uno sviluppo giusto e
sostenibile, ma soprattutto della nonviolenza. Certamente non edifica
cogliere sulle labbra dei credenti nel Cristo crocifisso e risorto
espressioni tendenti alla vendetta piuttosto che al perdono, atteggiamenti
inclini piu' all'odio che alla riconciliazione. Ai pastori chiediamo di
ribadire in questo momento cruciale e difficile cio' che hanno voluto
insegnare nel Catechismo degli Adulti: "E' la guerra... il mezzo piu'
barbaro e piu' inefficace per risolvere i conflitti" (Giovanni Paolo II).
(...) Si dovrebbe togliere ai singoli Stati il diritto di farsi giustizia da
soli con la forza, come gia' e' stato tolto ai privati cittadini e alle
comunita' intermedie" (1037).
3. DOCUMENTAZIONE. YASSER ARAFAT: APPELLO PER LA PACE
[Yasser Arafat, come e' a tutti noto, e' presidente dell'Autorita' Nazionale
Palestinese]
Ancora una volta desidero esprimere le mie sentite condoglianze al popolo,
al governo e al presidente degli Stati Uniti d'America.
Violenza genera violenza e maggior violenza portera' a maggior violenza
contraria. Il risultato sara' altri palestinesi e israeliani uccisi.
Soprattutto condanno e disapprovo fortemente tutte le attivita' militari e
paramilitari contro i civili, messe in atto da soldati israeliani, da
palestinesi o israeliani. Inoltre credo che gli atti terroristici contro
civili danneggino largamente il processo di pace e ogni possibile accordo.
I palestinesi vogliono la pace con gli israeliani. Non vogliono guerra.
I palestinesi riconoscono il diritto di Israele a vivere dentro confini
sicuri e definiti.
Questo e' quanto il Consiglio Nationale Palestinese ha deciso nella sessione
del 1988 in Algeria, e su questa base noi iniziammo i colloqui ufficiali con
l'America. Continuiamo ad essere pienamente impegnati con questa
risoluzione.
La scelta strategica palestinese e' di stabilire la pace tra noi e gli
israeliani, con un giusto, completo e duraturo accordo di pace firmato tra
gli Stati di Palestina e Israele.
Noi, palestinesi e israeliani, dobbiamo lavorare insieme per interrompere il
ciclo della violenza. Dobbiamo farlo insieme, dobbiamo sederci e negoziare
la pace, dobbiamo migliorare la vita di israeliani e palestinesi e muoverci
verso una pace e una cooperazione giuste e durevoli.
Questa mattina io ho reiterato i miei ordini a tutti i comandanti della
sicurezza nazionale per attivarsi immediatamente per assicurare il cessate
il fuoco su tutti i fronti, in ogni citta' e villaggio. Ho anche dato
istruzioni perche' esercitino il massimo di autocontrollo di fronte ad
attacchi e aggressioni israeliane.
Voglio annunciare che ho informato gli Stati Uniti che le nostre capacita'
sono a loro disposizione insieme alla volonta' di essere parte dell'alleanza
internazionale per porre fine al terrorismo contro civili disarmati e
innocenti.
Il nostro obiettivo e' assicurare un mondo dove sicurezza, pace e giustizia
prevalgano. Io faro' tutto cio' che e' necessario per realizzare questo
obiettivo.
4. LA PACE COMINCIANDO DAL BAMBINO. MARIA LUIGIA CASIERI: IL PRIMO GIORNO DI
SCUOLA
[Maria Luigia Casieri insegna nella scuola dell'infanzia]
Domani e' il primo giorno di scuola. Il mio gruppo di bambini di scuola per
l'infanzia andra' in prima elementare.
Li accompagnero' con emozione e preoccupazione. Mi sembra che da domani
saranno un po' piu' dentro il mondo dei grandi e saranno un po' piu' soli e
un po' piu' indifesi.
Cerco qualcosa da fare e da dire che li accompagni in questo passaggio, un
mio ultimo saluto, un ultimo messaggio, una consegna prima di lasciarli
andare.
Prima di lasciarli entrare nel castello dove si custodisce il tesoro ed il
segreto che gli adulti trasmettono ai bambini perche' anche loro possano
diventare "arbitri e padroni" delle parole.
*
"L'albero dell'alfabeto.
- Questo e' l'albero dell'alfabeto, - disse la formica.
- Perche' si chiama cosi'? - le chiese una amica.
- Perche' non molto tempo fa questo stesso albero era carico di lettere che
vivevano felici e contente saltando di foglia in foglia, fino ai rametti
piu' alti. Ogni lettera aveva la sua foglia preferita e ci si andava a
sistemare per prendere il sole e lasciarsi cullare dalla brezza di
primavera.
Un giorno la brezza si fece piu' forte e si trasformo' in vento e il vento
in burrasca. Le lettere cercarono di aggrapparsi alle foglie, ma alcune
furono spazzate via, e le altre si spaventarono molto.
Dopo la bufera rimasero tutte vicine per la paura e si nascosero tra le
foglie dei rami piu' bassi.
Un buffo insetto rosso e nero con le ali gialle le vide laggiu', nascoste
nell'ombra.
- Abbiamo paura del vento, - spiegarono le lettere. - Ma tu chi sei?
- Mi chiamo insetto parolaio, - replico' quello. - Posso insegnarvi a
formare delle parole. Se vi unite a gruppi di quattro o cinque, o persino di
piu', nessun vento sara' forte abbastanza da spazzarvi via.
Con pazienza, insegno' alle lettere a unirsi per formare delle parole. Certe
formarono parole facili e brevi come cane e ramo, altre ne imparavano di
piu' difficili: noi, vento e persino cielo.
Tutte contente tornarono in cima ai rami piu' alti e quando arrivo' il
vento, si strinsero forte senza paura. L'insetto parolaio aveva avuto
proprio ragione.
Poi, un mattino d'estate, uno strano bruco comparve in mezzo alle foglie.
Era viola, lanuginoso e molto grasso. - Che confusione! - disse il bruco
vedendo le parole tutte sparse tra le foglie. - Perche' non vi unite e non
formate delle frasi che vogliano dire qualcosa? Le lettere non ci avevano
mai pensato. Ma adesso potevano davvero scrivere, o dire le cose. Ne dissero
intorno al vento, alle foglie, agli insetti.
- Bene! - esclamo' il bruco soddisfatto. - Ma potete fare di meglio.
- Perche'? - domandarono stupite le lettere.
- Perche' dovete dire cose importanti, - replico' il bruco.
Le lettere cercarono di pensare a qualche cosa di importante, di molto
importante. Infine seppero che cosa dire. Che cosa poteva esser piu'
importante della pace? "Pace sulla terra e felicita' per tutti gli uomini",
compitarono emozionate.
- Benissimo, - disse il bruco. - Adesso salitemi sulla schiena.
Una per una le lettere montarono sulla sua schiena lanuginosa. - Ma dove ci
porti? Chiesero preoccupate al bruco che intanto scendeva dall'albero.
- Dal Presidente, - rispose il bruco".
(Da Leo Lionni, Le favole di Federico, Einaudi scuola, Milano 1995, pp.
60-63).
5. INIZIATIVE. ANCORA UNA SETTIMANA DI AMPLIAMENTO DELLE ADESIONI, DI
VERIFICHE E DI APPROFONDIMENTI, POI LA PRESENTAZIONE DELLA PROPOSTA DI LEGGE
PER LA FORMAZIONE DELLE FORZE DELL'ORDINE ALLA CONOSCENZA E ALL'USO DELLA
NONVIOLENZA
La proposta di legge per la formazione e l'addestramento di tutto il
personale delle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso dei valori,
delle tecniche e delle strategie della nonviolenza e' ormai pressoche'
pronta. Un numero gia' notevole di senatori e deputati ha espresso
attenzione ed impegno a presentarla.
Anche in considerazione dell'angoscioso momento presente, in cui si teme che
a seguito degli efferati attentati terroristici possa iniziare una
conflagrazione bellica che potrebbe assumere dimensioni apocalittiche, si e'
ritenuto opportuno attendere ancora una settimana prima della sua
presentazione ufficiale: nel corso dei prossimi giorni lavoreremo ad
ampliare ulteriormente le adesioni di parlamentari, ed effettueremo
ulteriori verifiche ed approfondimenti; entro la fine di settembre contiamo
che la proposta di legge possa essere presentata col piu' ampio consenso
possibile e possa quindi trovare apprezzamento ed ascolto tali da consentire
un rapido esame nelle competenti commissioni parlamentari e successivamente
una convinta approvazione da parte del Parlamento.
6. DOCUMENTAZIONE. ANTONIO MAZZEI: LE POLIZIE DEGLI ALTRI: PROFILI
ISTITUZIONALI E COMPARATIVI (PARTE PRIMA)
[Ringraziamo Antonio Mazzei per averci inviato questo studio che costituisce
la relazione tenuta lo scorso 9 settembre in occasione di una giornata di
studio della segreteria regionale del SAP del Veneto. Antonio Mazzei e'
esperto di istituzioni militari e di polizia. Pubblichiamo oggi la prima
parte, il seguito nei prossimi giorni. Per contatti: a.mazzei@libero.it]
Negli ultimi tre lustri, parallelamente al processo d'integrazione
internazionale, si e' registrato un sempre maggiore interesse degli studiosi
e degli addetti ai lavori per i sistemi polizieschi esistenti nel mondo.
Tale interesse ha prodotto una serie di lavori, talvolta di scarso spessore,
che se hanno avuto il merito di fare un po' di luce sull'organizzazione
delle forze dell'ordine nei Paesi extraeuropei e dell'Unione europea, non
hanno pero' costruito alcun modello dei sistemi polizieschi stessi.
* Comparti e modelli
La costruzione di modelli, uno degli esercizi piu' frequenti nelle scienze
sociali, risulta essere invece di notevole utilita' per chi deve illustrare
il sistema poliziesco di uno Stato. Al contrario, il termine che viene quasi
sempre usato quando si deve descrivere l'organizzazione delle forze
dell'ordine di una Nazione e' quello di comparto sicurezza.
Questo termine, se puo' essere valido in campo politico e sindacale, non lo
e' altrettanto in quello scientifico degli studi dei sistemi polizieschi.
Con il comparto sicurezza, infatti, si entra in una sorta di universo
olistico in cui e' irrilevante che il comparto stesso si componga, per fare
un banalissimo esempio, di arance o limoni oppure di arance e limoni;
l'unica cosa che conta e' la loro comune appartenenza alla famiglia delle
rutacee.
Invece, che un organo di polizia sia un'arancia oppure un limone conta,
perche' determina il modo in cui, concretamente, esso operera' nel sistema
poliziesco e, di conseguenza, nel sistema penale.
Ora, essendo il sistema penale quel coacervo di organi ed attivita' svolte
da forze dell'ordine, magistratura ed amministrazione penitenziaria, cioe'
da tre sistemi diversi ed interagenti fra loro, appare chiaro che noi avremo
tre distinti modelli.
Di seguito ci si occupera' solo del modello riguardante l'organizzazione
poliziesca. Prima di procedere oltre, pero', e' opportuno sottolineare che
la parola modello puo' essere usata in due diversi modi, implicanti una
radicale diversita' d'impostazione scientifica: il modello puo' essere
un'immagine che semplifica la realta', oppure un'immagine che rende
applicabile una teoria. Nel contesto del presente lavoro, la parola modello
sara' usata nella prima accezione.
Fatta questa premessa, occorre notare come, in base al numero ed al tipo di
strutture che svolgono le funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica
sicurezza, si possono individuare, nel panorama internazionale, tre modelli
di sistemi polizieschi. Il primo modello, detto monoforze (MF), e'
caratteristico di quei Paesi che affidano i compiti di p.s. e di p.g.
prevalentemente ad un unico corpo. Tale modello puo' essere assoluto (Mfa),
se esiste una ed una sola forza, oppure integrato (Mfe) se, accanto ad un
organismo con compiti generali, ne operano altri con funzioni piu'
specifiche ed organici limitati.
Il secondo modello e' quello biforze. Si tratta di un modello basato
principalmente su due corpi di polizia, ed anche qui si possono riscontrare
un modello assoluto (Bfa) ed uno integrato (Bfe).
L'ultimo modello, quello pluriforze (PF), vede l'affidamento dei compiti di
pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria a tre o piu' organismi, in
qualche modo coordinati fra di loro. Caso tipico e' quello degli Stati
Uniti, dove a livello federale, statale e locale operano 19.634 polizie.
Il modello PF e' comunque quello predominante in 6 dei 15 Paesi che,
attualmente, fanno parte dell'Unione europea, mentre il modello Mfa si
ritrova solo in Danimarca, in Irlanda ed in Svezia. Nei restanti 6 Paesi
dell'Unione, la situazione vede il modello Bfa presente in Austria,
Finlandia e Lussemburgo, il modello Bfe in Francia e Spagna e, da ultimo,
quello Mfe in Grecia.
I modelli cosi' individuati non comprendono ne' le polizie private ne' i
servizi di sicurezza, anche se non sono pochi i casi in cui queste strutture
operano fattivamente all'interno del sistema penale. Per quanto riguarda le
polizie private, deve dirsi che, soprattutto negli ultimi dieci anni, si e'
notata la tendenza, da parte delle stesse, a sostituirsi agli apparati
pubblici. In Gran Bretagna, ad esempio, a partire dal 1993, anno in cui
l'amministrazione penitenziaria e' passata alle dipendenze del ministero
dell'Interno, 4 dei 135 istituti penitenziari sono stati dati in gestione
alle polizie private, mentre negli Stati Uniti, dal 14 maggio 1992, la
sicurezza dei 2.300 cittadini di Sussex e' affidata agli uomini della
Totowa, societa' di vigilanza privata, che ha sostituito i 4 agenti della
polizia comunale del piccolo centro del New Jersey.
Analogo discorso deve farsi per i servizi di sicurezza o polizie informative
che dir si voglia. E' il caso del colombiano DAS, il Departamento
Administrativo de Seguridad, la cui divisione speciale antidroga e'
attivamente impiegata nella lotta contro i narcotrafficanti, e
dell'israeliano Mossad, che talvolta impiega come esecutori delle operazioni
gli uomini e le donne dei reparti speciali, oltre che delle Forze armate,
della polizia. Da ultimo, non ci si puo' dimenticare del caso americano,
dove l'FBI ed il Secret Service rientrano nel novero delle polizie federali.
Il Secret Service, per esempio, nacque nel 1865 con compiti di lotta ai
fabbricatori ed agli spacciatori di monete e banconote false e solo nel 1901
assunse l'incarico di proteggere i capi di stato dopo l'assassinio del
presidente William McKinley. Questo significa che il Secret Service, posto
alle dipendenze del ministero del Tesoro, e' sia un organo di polizia
informativa che di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, tanto che
gli agenti rimangono assegnati alla protezione del presidente statunitense
per non piu' di 5 anni, al termine dei quali vengono trasferiti ad uno degli
altri tre reparti che compongono il servizio (falsificazione del denaro e
delle carte di credito, computer crimes e reati in danno delle
telecomunicazioni).
* I modelli polizieschi nell'Unione europea
A questo punto, non appare inopportuno dare qualche indicazione sui modelli
polizieschi presenti nell'Unione europea, cominciando da quei Paesi dove
opera una sola forza di polizia, civile tanto in Svezia quanto in Irlanda ed
in Danimarca.
Cominciando da quest'ultima, c'e' da dire che la Rigspolitiet danese
presenta un'articolazione territoriale basata su un Commissariato
nazionale, 7 Regioni, 54 Distretti e 135 Stazioni.
Il personale del corpo conta 14.448 fra uomini e donne, tutti ripartiti in
tre categorie: quella dei funzionari (340 fra direttivi e dirigenti), quella
degli operatori di polizia (quasi 10.000 unita' per il servizio
investigativo e quello in uniforme) e quella degli impiegati, con compiti di
supporto amministrativo e contabile.
La Rigspolitiet dipende dal ministro della Giustizia responsabile pure della
magistratura e dell'amministrazione penitenziaria.
Analoga dipendenza ha la Polizia irlandese (Garda Siochana, traduzione
gaelica della locuzione Guardiani della Pace), che attua tutti i compiti di
polizia amministrativa e giudiziaria. L'articolazione del corpo vede una
Direzione generale posta alle dipendenze del commisioner, massima autorita'
di polizia, 23 Divisioni, 107 Distretti, 641 Sottodistretti e 700 Stazioni.
Fra Direzione generale e comandi periferici operano 11.165 tra personale di
polizia e personale amministrativo (584 impiegati). Il personale di polizia,
ad eccezione dei detectivies e degli addetti alla Special Unit (un reparto
che si occupa di lotta al terrorismo), presta servizio senz' armi.
In Svezia, sino alla meta' degli anni Sessanta, esistevano solo polizie
municipali indipendenti fra loro e senz'alcun coordinamento. Con la legge
219/1965 si e' arrivati all'istituzione di un unico corpo, civile, i cui
10.018 poliziotti dipendono dal ministro della Giustizia.
Posti alle dipendenze del ministero dell'Ordine pubblico sono invece gli
appartenenti alla Elleniki Astynomia, la polizia greca nata nel 1984 con la
legge 1481.
Prima di questa legge operavano in Grecia cinque distinte forze dell'ordine:
il Corpo forestale, la Guardia doganale, il Corpo delle Capitanerie di
porto, la Polizia municipale e la Gendarmeria. Mentre le prime tre
esplicavano, ed esplicano tuttora, i loro compiti su tutto il territorio
nazionale, la Polizia municipale (Astynomia) operava nelle maggiori citta',
lasciando il resto del Paese al controllo della Gendarmeria (Khorofylaki).
Con la legge 1481, la Gendarmeria (militare) e la Polizia municipale
(civile) sono state unificate ed hanno dato vita alla Polizia ellenica,
corpo civile ad ordinamento speciale articolato a livello centrale in due
Direzioni e due Servizi; a livello periferico, invece, operano due Direzioni
generali (Attica e Tessaglia) e 51 Dipartimenti, corrispondenti alle 51
Prefetture in cui e' amministrativamente divisa la Grecia.
La Polizia greca, che oltre alle funzioni di pubblica sicurezza e di polizia
giudiziaria espleta compiti di concorso nella protezione civile e nella
difesa nazionale, ha, per la legge 1481/1984, la primogenitura tra le forze
dell'ordine. Tale posizione e' anche sostanziale, sia per le attribuzioni
estremamente specifiche degli altri tre corpi, sia per la consistenza
organica (35.049 uomini e donne contro i complessivi 5.123 della Forestale,
della Guardia doganale e delle Capitanerie di porto).
Visto l'unico modello Mfe presente nell'Unione europea, passiamo ora al
modello biforze cominciando dall'Austria, dove la tutela dell'ordine
pubblico e' assicurata dai 17.181 membri della Bundespolizei (la Polizia
federale, che comprende al suo interno pure la Bundessicherheiswach, il
corpo federale composto dal personale in divisa dislocato nelle citta') e
della Bundesgendarmerie (la Gendarmeria federale, presente alle frontiere e
nelle zone in cui non opera la Bundessicherheitswach).
Anche in Finlandia, cosi' come gia' visto per la Svezia, si proceduto
all'amalgamation delle polizie municipali esistenti nel 1966, con la legge
12 istitutiva della Polis. Si tratta di un corpo civile, con un organico di
11.030 tra uomini e donne, dipendente dal ministero dell'Interno.
Dallo stesso dicastero dipende la Guardia di frontiera, forza costituita da
4.631 militari che hanno il compito di collaborare con la Polis e le dogane
nell'espletamento di tutti i servizi di pubblica sicurezza, polizia
giudiziaria e polizia doganale, svolgendo inoltre compiti di polizia di
frontiera aerea, marittima e terrestre. In caso di guerra o grave crisi la
Guardia di frontiera passa dalle dipendenze del ministero dell'Interno a
quello della Difesa.
Entrambi militari sono gli unici due corpi presenti in Lussemburgo, il Corps
de Police e la Gendarmerie, dopo che il 2 marzo 1990 si e' provveduto ad
inquadrare nelle Forze armate pure la Polizia. Questa, unitamente alla
Gendarmeria ed all'Esercito, e' inserita nel ministero della Forza pubblica,
pur dipendendo, per le funzioni di pubblica sicurezza e polizia giudiziaria,
dai dicasteri dell'Interno e della Giustizia.
In pratica, le ragioni economiche che hanno portato alla militarizzazione
dei 642 uomini della Polizia non hanno stravolto il modello poliziesco
preesistente (Bfa), ne' la logica per cui il Corps de Police opera in tutte
la citta' lussemburghesi, mentre nelle aree rurali sono presenti i 676
militari della Gendarmerie. Questa, inoltre, mantiene tutti i compiti di
polizia militare previsti dall' art. 1 della legge 21/1952.
Compiti di polizia militare svolge anche la Gendarmeria francese. Questa,
assieme alla Polizia nazionale, alle Polizie municipali, alla Polizia
penitenziaria ed alle Dogane, costituisce uno dei due modelli Bfe presenti
nell'Unione europea. Il modello, infatti, comprende due principali forze di
polizia (Police e Gendarmerie), integrate dalle rimanenti forze, titolari di
attribuzioni specifiche per compiti e territorio.
L'insieme delle principali funzioni di polizia e' dunque svolto da un corpo
civile (la Polizia, 112.50 fra uomini e donne) e da una forza armata
autonoma (i 90.521 militari della Gendarmeria). La Polizia dipende dal
ministero dell'Interno, la Gendarmeria da quello della Difesa ed entrambe
fanno capo, per le funzioni di p.g., alla magistratura.
Il coordinamento delle due forze e' attuato, a livello nazionale dal
dicastero dell'Interno tramite le rispettive Direzioni generali, mentre a
livello periferico esso compete ai prefetti.
I due corpi sono su un piano di sostanziale parita', anche se solo ai
funzionari della Polizia sono devolute le responsabilita' dei servizi di
ordine pubblico.
Per quanto concerne le altre strutture esse, come gia' detto, svolgono
funzioni specifiche di polizia e, dal punto di vista degli organici, non
raggiungono complessivamente che un terzo di quelli della Polizia e della
Gendarmeria messi insiemi (79.500 unita' delle Dogane, delle Polizie
municipali e della Polizia penitenziaria). A quest'ultimo proposito giova
ricordare come, all'interno della Direzione generale della Polizia
nazionale, trovi posto pure la Direction Centrale des Polices Urbaines, la
cui finalita' e' quella di assicurare la gestione unitaria ed il
coordinamento delle Polizie municipali con le altre forze.
Il secondo modello Bfe si riscontra in Spagna, dove la legge 2 del 13 marzo
1986 ha inciso in maniera fondamentale sul modello stesso. La legge sulle
Fuerzas y Cuerpos de Seguridad, detta legge Barrionuevo dal nome del
ministro dell'Interno proponente, ha infatti distinto le forze di polizia in
locali, regionali e nazionali.
Le Policias locales (36.235 effettivi) comprendono i corpi di polizia
municipale, con compiti di polizia amministrativa e giudiziaria limitati al
territorio urbano; le Policias autonomicas, attualmente costituite in 6
delle 17 Comunita' autonome previste dall'art. 149, n. 29, della
Costituzione del 27 dicembre 1978, vantano invece un organico complessivo di
5.645 tra uomini e donne che svolgono funzioni legate soprattutto (con
l'eccezione dell'Ertzantza, la Polizia regionale dei Paesi Baschi) alla
protezione degli edifici, dei servizi e del personale delle Comunita'
stesse.
Le Policias nacionales sono il Cuerpo nacional de Policia e la Guardia
civil. Mentre quest'ultima, fondata nel 1844 sul modello della Gendarmeria
napoleonica, rappresenta la piu' antica forza di polizia spagnola, il Corpo
nazionale ha una storia relativamente recente, rappresentando la seconda
innovazione della legge Barrionuevo. Prima di questa legge, infatti,
esistevano due distinte strutture: la Policia Armada y de Trafico, organismo
militare comandato da ufficiali quasi tutti provenienti dall'Esercito, ed il
Cuerpo general de Policia, composto da civili addetti alla polizia
giudiziaria ed investigativa.
Queste due amministrazioni sono state fuse nel Corpo nazionale di Polizia
(54.450 unita'), forza civile dipendente dal ministero ed operante in tutti
i capoluoghi di provincia e nei comuni con piu' di 20.000 abitanti. La
Guardia civile (72.911 militari), forza armata autonoma dipendente dal
dicastero della Difesa per i soli compiti militari, e', naturalmente,
presente in tutte le rimanenti localita'. Al corpo e' pure attribuita una
posizione di rilievo per cio' che riguarda le attivita' di polizia in mare,
dove opera anche la Vigilancia Aduanera, un apparato dipendente dal
ministero delle Finanze e che svolge soprattutto compiti di polizia
tributaria e di lotta al narcotraffico.
Trattandosi di due strutture poste formalmente sullo stesso piano, si e'
reso necessario porre in essere un coordinamento che, a livello nazionale,
e' attuato dal ministro dell'Interno attraverso il Director de la seguridad
del Estado, dal quale dipendono le Direzioni generali delle due forze. Il
coordinamento investe pure i rapporti con le Polizia locali e quelle
regionali, ed anche in questo caso il ministro dell'Interno si avvale del
Direttore per la sicurezza dello Stato.
(Continua)
7. MATERIALI. ROBERTO TECCHIO: IL LABORATORIO DI RICERCA E FORMAZIONE SULLA
GESTIONE NONVIOLENTA DEI CONFLITTI (PARTE QUARTA)
[Ringraziamo Roberto Tecchio, formatore alla gestione nonviolenta dei
conflitti, per averci messo a disposizione questo testo. Proseguiamo oggi la
pubblicazione delle schede utilizzate nel laboratorio; il seguito
pubblicheremo nei prossimi giorni. Per contatti: trestele@tiscalinet.it]
Scheda teorica n. 5
Comunicare e' Gestire.
In un primo momento sono sempre io, che ne sia consapevole o meno, a
percepire, valutare e stabilire tra me e me che sono di fronte a un
problema. Poi, se non sono solo, inevitabilmente comunichero' all'altro la
mia percezione. Cosi' nella relazione i problemi vengono trasformati,
costruiti e ricostruiti, risolti o ingigantiti, attraverso il processo della
comunicazione. Pertanto la gestione dei conflitti a livello sociale e' un
processo che si attua attraverso la comunicazione, tanto da poter dire che
comunicare e' gestire (1).
Il verbo gestire potrebbe sembrare presuntuoso, ma il concetto di gestione
qui proposto coincide con l'aspetto pragmatico della comunicazione umana,
cioe' tutto quello che in una determinata relazione viene detto e fatto, o
non detto e non fatto, nonche' il modo in cui tutto cio' avviene. Quindi, se
e' vero che in una relazione e' impossibile non comunicare, allora e' pure
vero che e' impossibile non gestire un conflitto (2).
Da questo punto di vista noi sempre e comunque gestiamo i conflitti che ci
coinvolgono, anche se in gran parte non ce ne rendiamo conto. Questo vuol
dire che c'e' sempre una nostra responsabilita' rispetto al miglioramento o
al peggioramento delle nostre relazioni con gli altri, con noi stessi, con
la societa' ("governo ladro!"), con la vita. Per il semplice fatto che
esistiamo e che con la nostra esistenza diamo vita a una relazione, noi
abbiamo un potere in quella relazione, un potere che non controlla mai il
tutto, ma nemmeno scompare mai del tutto. Il fatto di usare
inconsapevolmente questo potere non diminuisce i suoi effetti negativi, anzi
li aumenta fortemente, tanto da poter dire che e' proprio nella misura in
cui ne diveniamo consapevoli che possiamo cominciare a limitare i danni e a
costruire relazioni sane attraverso il nostro modo di comunicare.
L'assertivita'.
Una comunicazione nonviolenta e' spesso definita come assertiva. Possiamo
definire l'assertivita' come la capacita' di comunicare cio' che sento e che
penso mantenendo il rispetto di me stesso e dell'altro.
La chiave dell'assertivita' e' la cosiddetta autorivelazione, cioe' la
capacita' di riconoscere e comunicare la mia esperienza interiore in una
determinata situazione (il che implica un buon esercizio della
consapevolezza). Pertanto i messaggi che invio riguardano le mie opinioni e
miei sentimenti, fanno sapere agli altri che cosa provo e dove mi trovo
rispetto a loro e alla specifica situazione.
Rivelarsi agli altri consiste essenzialmente in un'apertura e quindi
comporta dei rischi. Ma assieme ai rischi vi sono importantissimi vantaggi;
vediamone alcuni:
- aumento della consapevolezza e conoscenza di se': per rivelarmi devo
essere in contatto col mio mondo interiore e devo saperlo leggere con una
certa chiarezza;
- aumento dell'autostima: quando mi rivelo affermo me stesso qui e ora nel
mondo, mi sento piu' autentico, piu' fiducioso, piu' forte;
- gli altri mi comprendono meglio: quando mi rivelo consento agli altri di
rapportarsi a me in modo piu' chiaro;
- prevenzione dei conflitti: dal punto precedente ne consegue che si
riducono le possibilita' di fraintendimento e si rendono piu' difficili i
tentativi degli altri di disconoscere i miei bisogni e di manipolare le
intenzioni attribuibili al mio comportamento;
- incoraggiamento all'autorivelazione degli altri: l'apertura invita
all'apertura, la fiducia genera fiducia;
- costruzione di relazioni piu' autentiche e significative.
Come sviluppare l'assertivita'? A tale proposito ci servono degli strumenti,
delle tecniche. Una delle tecniche piu' importanti e diffuse riguarda i
cosiddetti messaggi in prima persona (mpp), o 'messaggi io' perche' le frasi
contengono il pronome 'io' (io sento, io penso, io credo, ecc).
Un mpp mira a esprimere unicamente la mia realta' interiore, percio' non
contiene giudizi sugli altri. Alcuni classificano questi messaggi in tre
tipi e cio' puo' facilitarne la comprensione e l'esercizio: a) positivi; b)
dichiarativi e preventivi; c) di confronto.
I mpp positivi comunicano i nostri sentimenti positivi in rapporto agli
effetti che il comportamento degli altri ha su di noi. Sembrano innocenti,
ma in realta' producono effetti molto importanti, nel bene e nel male,
specialmente nella relazione educativa (3).
I mpp dichiarativi e preventivi mirano a dare informazioni su che cosa
pensiamo o sentiamo in rapporto a determinate situazioni o persone, a quanto
accade o prevediamo possa accadere. Quindi riguardano i nostri bisogni,
desideri, preoccupazioni, valutazioni che in qualche misura coinvolgono gli
altri, sia perche' il soddisfacimento dei nostri bisogni puo' dipendere da
essi, sia perche' gli altri possono subire conseguenze dalle nostre azioni,
sia perche' le vicende a volte ci impongono di dire la nostra (e il silenzio
ha sempre un significato). Questi messaggi ci interessano soprattutto in
rapporto a possibili situazioni problematiche ove svolgono una fondamentale
funzione preventiva. Per es. "mi sento molto teso per una cosa che e'
accaduta mentre venivo qui e adesso non ce la faccio a partecipare
attivamente al lavoro del gruppo", consente al gruppo di capire perche' sono
teso, gli dice che non ce l'ho con qualcuno di loro, gli permette di
accettare la mia presenza magari passiva. Oppure "l'alta velocita' in auto
mi mette ansia: ti prego di non correre", consente a chi guida di fare
attenzione e magari capire perche' in certi momenti io cambio espressione.
Dunque sono messaggi che possono evitare un sacco di proliferazioni mentali
sul perche' uno si atteggia o si comporta in un certo modo, con tutte le
relative conseguenze spesso invischianti. Ma nonostante la loro importanza e
relativa difficolta' non a tutti riesce facile praticarli, anche perche'
c'e' la diffusa cattivissima abitudine di attendersi che siano gli altri a
capire da soli quello che devono o non devono fare nei nostri confronti.
Infine i mpp di confronto riguardano la relazione con l'altro in situazioni
che noi gia' percepiamo come problematiche (e sono quelli che piu'
propriamente manifestano l'assertivita'). In queste situazioni il
comportamento dell'altro in qualche misura ci danneggia, ci ostacola,
c'infastidisce, ma egli ancora non lo sa (o forse potrebbe anche saperlo, ma
non e' cosa certa perche' appunto non c'e' stata ancora una comunicazione
diretta, esplicita). Dunque in queste situazioni sentiamo di doverci in
qualche misura aprire e confrontare con l'altro per portare il problema
dalla dimensione personale a quella sociale. Pero' aprirsi e comunicare in
modo costruttivo in questi casi e' tutt'altro che facile, sia perche' forse
ci troviamo gia' in uno stato di tensione, sia perche' sentiamo che l'altro
potrebbe essere in qualche modo "toccato" da quello che diremo. Comunque con
questo tipo di messaggi miriamo a coinvolgere l'altro in una prova di
disponibilita' ad affrontare e risolvere insieme un determinato problema. Se
poi entreremo in conflitto o risolveremo il problema questo naturalmente
dipende anche dagli altri (non abbiamo mai un potere assoluto); tuttavia e'
evidente che il come comunichiamo influisce sulla dinamica relazionale e sul
suo sviluppo futuro (il nostro potere non viene mai meno), e a volte in modo
anche molto forte.
1. Da cio' deriva la grande utilita' e diffusione delle cosiddette tecniche
di comunicazione (efficace, costruttiva, nonviolenta, ecologica, ecc), vedi
per es. T. Gordon, Genitori efficaci, e Leader efficaci, La meridiana; e
Insegnanti efficaci, Giunti Lisciani; L. Rosenberg, La comunicazione
giraffa, Esserci; J. Liss, La comunicazione ecologica, La Meridiana.
. Il concetto di comunicazione cui qui ci riferiamo e' quello presentato
nella fondamentale opera P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson,
Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio-Ubaldini.
3. Tralasciamo qui questo particolare aspetto della comunicazione.
L'argomento e' trattato in Genitori efficaci, cit., e in Insegnanti
efficaci, cit.
(Continua)
8. LETTURE: AA. VV., DOPO LA BATTAGLIA
AA. VV., Dopo la battaglia, Indice Internazionale, Roma, 2001, pp. 96, lire
10.000. Raccolta di articoli su "nove modi di fare i conti con i conflitti
civili" (in Sudafrica, Ruanda, Algeria, Cile, Argentina, Australia,
Cambogia, Bosnia, Irlanda). Molto utile.
9. LETTURE: CRISTIANO GROTTANELLI: IL SACRIFICIO
Cristiano Grottanelli, Il sacrificio, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 140, lire
14.000. Una messa a punto su un tema cruciale. Utilissimo per quanti di noi
si battono contro tutte le politiche e le estetiche del sacrificio, in
difesa della vita umana, di ogni vita umana.
10. LETTURE: SERGE LATOUCHE, ANTONIO TORRENZANO, IMMAGINARE IL NUOVO
Serge Latouche, Antonio Torrenzano, Immaginare il nuovo, L'Harmattan Italia,
Torino 2000, pp. 94, lire 17.000. Una conversazione su "mutamenti sociali,
globalizzazione, interdipendenza Nord-Sud". Da leggere d'un fiato.
11. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA ERICH MARIA REMARQUE A
ADRIENNE RICH
* ERICH MARIA REMARQUE
Profilo: scrittore tedesco (1898-1970), antimilitarista, esule, nelle sue
opere letterarie afferma i valori pacifisti e democratici. Opere di Erich
Maria Remarque: il suo libro più noto è Niente di nuovo sul fronte
occidentale, Mondadori, Milano.
* ENNIO REMONDINO
Profilo: giornalista televisivo d'inchiesta. Opere di Ennio Remondino: cfr.
il libro-intervista (con Rosanna Cancellieri), Da Belgrado in diretta
telefonica, Piero Manni, Lecce 1999.
* JEAN RENOIR
Profilo: nato a Parigi nel 1894 e deceduto a Beverly Hills nel 1979, figlio
del grande pittore impressionista Auguste Renoir, regista cinematografico ed
intellettuale democratico. Opere di Jean Renoir: segnaliamo particolarmente
La grande illusione (1937), e La regola del gioco (1939). Opere su Jean
Renoir: Carlo Felice Venegoni, Jean Renoir, Il Castoro Cinema.
* ALAIN RESNAIS
Profilo: regista cinematografico francese, nato nel 1922. Opere di Alain
Resnais: segnaliamo particolarmente tra i suoi film il documentario sui
lager Notte e nebbia (1955); ed almeno Hiroshima mon amour (1959) su
sceneggiatura di Marguerite Duras. Notevoli anche L'anno scorso a Marienbad
(1961); Muriel, il tempo di un ritorno (1963); La guerra è finita (1966);
Providence (1977). Opere su Alain Resnais: Paolo Bertetto, Alain Resnais, Il
Castoro Cinema.
* FRANCO RESTAINO
Profilo: docente universitario di filosofia teoretica, ha tra l'altro
collaborato alla Storia della filosofia fondata da Nicola Abbagnano. Opere
di Franco Restaino: tra le sue molte pubblicazioni si vedano almeno i volumi
su John Stuart Mill e la cultura filosofica britannica (1968); Scetticismo e
senso comune. La filosofia scozzese da Hume a Reid (1974); David Hume
(1986); Filosofia e postfilosofia in America (1990); (a cura di, con Adriana
Cavarero), Le filosofie femministe (1999).
* MARCO REVELLI
Profilo: docente alla facoltà di scienze politiche dell'Università di
Torino. Opere di Marco Revelli: Lavorare in Fiat, Garzanti, Milano 1989; Le
due destre, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La sinistra sociale, Bollati
Boringhieri, Torino 1997; Fascismo/antifascismo (con Giovanni De Luna), La
Nuova Italia; un suo importante saggio è in Ingrao, Rossanda, Appuntamenti
di fine secolo, Manifestolibri. Ci sembra molto interessante anche la sua
"cronaca da un campo rom", Fuori luogo, Bollati Boringhieri. Recentemente ha
pubblicato Oltre il Novecento, Einaudi, Torino 2001. Ha curato l'edizione
italiana del libro di T. Ohno, Lo spirito Toyota, Einaudi, Torino 1993.
* NUTO REVELLI
Profilo: nato a Cuneo nel 1919, ufficiale degli alpini nella tragedia della
campagna di Russia, eroe della Resistenza, testimone della cultura contadina
e delle sofferenze delle classi popolari in guerra e in pace. Le sue opere
non sono letteratura, ma grande testimonianza storica, lucido impegno
civile, e limpida guida morale. Opere di Nuto Revelli: La guerra dei poveri,
La strada del davai, Mai tardi, L'ultimo fronte, Il mondo dei vinti, L'
anello forte, Il disperso di Marburg, Il prete giusto, tutti pubblicati
presso Einaudi.
* DARCY RIBEIRO
Profilo: antropologo brasiliano, rettore dell'Università di Brasilia,
collaboratore del presidente Goulart, il golpe militare in Brasile lo portò
in carcere, poi lo costrinse all'esilio. Opere di Darcy Ribeiro: Il dilemma
dell'America Latina, Il Saggiatore, Milano; Le Americhe e la civiltà,
Einaudi, Torino.
* ANTONIO RIBOLDI
Profilo: prete nel Belice, poi vescovo ad Acerra, voce della lotta e della
speranza della sua gente, e di tutti gli affamati di giustizia. Opere di
Antonio Riboldi: Le beatitudini (con Oscar Battaglia e Giuseppe Florio),
Cittadella, Assisi 1979; Essere vescovo e uomo tra gli uomini, Cittadella,
Assisi 1983.
* PAOLO RICCA
Profilo: nato a Torre Pellice nel 1936, pastore valdese, teologo. Opere di
Paolo Ricca: segnaliamo particolarmente Il cristiano davanti alla morte,
Claudiana, Torino 1978; e Le chiese evangeliche e la pace, ECP, S. Domenico
di Fiesole 1989.
* ALDO RICCI
Profilo: nato a Viterbo nel 1959, impegnato nell'associazionismo cattolico,
nel volontariato internazionale (dal 1984 al 1987 in Sierra Leone), nei
movimenti di volontariato e solidarietà in Italia. Socio della ONG
"Cooperazione Internazionale", collaboratore della rivista "Alfazeta",
membro della Commissione diocesana "Giustizia e pace" di Viterbo. Opere di
Aldo Ricci: è coautore (con Eugenio Melandri ed altri) del libro Sierra
Leone: un popolo alla prova, Alfazeta, Parma.
* ADRIENNE RICH
Profilo: poetessa femminista americana, di straordinaria intensita' e
profondita'. Opere di Adrienne Rich: Nato di donna, Garzanti, Milano 1978;
Esplorando il relitto, Savelli, Roma 1979; Segreti silenzi bugie, La
tartaruga, Milano 1982.
12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 234 del 20 settembre 2001