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La nonviolenza e' in cammino. 188
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 188 del 5 agosto 2001
Sommario di questo numero:
1. Maria Chiara Tropea, lettera aperta alle forze dell'ordine
2. Luciano Capitini: campagne di lotta, manifestazioni e comportamento
nonviolento
3. Giulio Vittorangeli, i medici del Cinquecento
4. Franca Ongaro Basaglia, la miseria ha tante facce...
5. Per studiare la globalizzazione: da Emma Goldman a Mariella Gramaglia
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'
1. RIFLESSIONE. MARIA CHIARA TROPEA: LETTERA APERTA ALLE FORZE DELL'ORDINE
[Ringraziamo Maria Chiara Tropea per averci inviato questo intervento.
Maria Chiara Tropea e' impegnata nei movimenti nonviolenti e nella
promozione di una cultura della pace; insieme ad Alvise Alba assicura un
prezioso lavoro di collegamento in particolare nel Movimento Internazionale
della Riconciliazione (MIR). Per contatti: a.alba@areacom.it]
Lettera aperta alle Forze dell'Ordine (quelli che erano a Genova il 21
luglio, quelli che operano nella citta' in cui vivo, i due che sono venuti
ad assistere ad un nostro incontro di preparazione alla manifestazione... e
tutti gli altri).
Cari amici delle Forze dell'Ordine,
e' con molta fatica che mi rivolgo a voi cosi', con un'espressione che il
cuore rifiuterebbe, ma la ragione mi impone.
Forse non riuscirei a farlo se fossi anch'io fra le molte persone che sono
state da alcuni di voi ingiustamente e violentemente colpite; per fortuna
sono una dei moltissimi che hanno portato a termine la manifestazione in
modo civile e percio' ho conservato la lucidita' indispensabile per
distinguere il comportamento di parecchi di voi quel giorno da cio' che
tutti insieme rappresentate, l'impegno contro le mafie, contro i traffici di
armi e droghe, la scorta ai magistrati...
Ubbidisco alla ragione che mi ordina di chiamarvi amici perche' mi mostra
quale abisso si aprirebbe nel nostro paese se i cittadini piu' sensibili ai
problemi della giustizia e della pace cominciassero a considerarvi nemici.
La mia presenza e quella di tutti gli altri alla manifestazione di sabato
era per dire un no corale, deciso e meditato (la preparazione e' stata lunga
e accurata, non solo a Genova...) alla politica internazionale dei nostri
governi che ubbidisce ai dettami del liberismo e affama e uccide (o esclude
in molti modi) le nazioni, i gruppi, le persone "non competitive".
Non era una manifestazione contro di voi. Anche se la sera prima quel
ragazzo era stato ucciso, e questo rendeva il corteo piu' triste e piu'
teso, non erano molti quelli che inveivano contro di voi. La maggioranza non
li seguiva e la parola piu' ripetuta era "nonviolenza".
Credo di esprimere il sentimento dei piu' se dico che la mia pena per il
giovane ucciso non era diversa da quella per l'altro giovane costretto ad
uccidere, dalla situazione, dalla sua paura, dall'arma che portava (ma
perche' la sua pistola aveva pallottole vere e non di gomma?).
Ho portato per tutto il tempo del corteo un cartello che diceva "Contro ogni
violenza, sempre" e pensavo a voi come ad una presenza rassicurante, contro
le possibili infiltrazioni di pericolosi esagitati, che gia' la TV ci aveva
mostrato all'opera nei giorni precedenti. Le forze dell'ordine per i
cittadini: questa l'attesa che avevo (che in tanti avevamo) nei vostri
confronti.
Non e' stato cosi'.
Non avete solo disperso una parte del corteo. Molti di voi hanno picchiato e
insultato persone evidentemente inermi e pacifiche. Perche'? Vorrei chiedere
a colui che ha colpito con violenza alla testa una mia amica, seduta a
braccia levate, e poi le ha spruzzato in faccia una sostanza irritante, e
poi l'ha insultata (una donna di 50 anni, assolutamente pacifica): "come ha
potuto scambiarla per un teppista?".
Perche' avete picchiato molti fra i pacifici senza riuscire a fermare i
pochi violenti?
Perche' avete scortato dall'autostrada fino in citta' il nostro gruppo di
pullman e vi sono sfuggiti i furgoni con le molotov? A cosa sono servite,
come sono state fatte le perquisizioni dei giorni precedenti? Perche' le
stazioni e le uscite autostradali chiuse non hanno impedito l'arrivo dei
provocatori? Come e con chi sono arrivati, se perfino il nostro innocuo
gruppetto di albesi ha ricevuto la visita della Questura prima della
partenza?
Io non voglio pensar male di voi ne' di chi vi comanda: ho bisogno di
conservare la fiducia che avevo prima. Percio' dovete aiutarmi a trovare
risposte a queste domande. E gli errori dei singoli o dei responsabili
dovete da voi stessi denunciarli.
Dovete aiutarci a capire. E' di un'importanza vitale per la democrazia nel
nostro paese. Non aumentate la distanza che si e' creata, non pensateci
nemici.
A me stessa e agli amici che manifestavano con me chiedo per le prossime
occasioni una maggior attenzione, piu' preparazione, la capacita' di stare
in guardia dagli intrusi che snaturano le manifestazioni... ma non vorrei
chiedere di stare in guardia dalla Polizia!
Il movimento che contesta la globalizzazione dei potenti ha molte anime e
non ha "padrini" politici (nemmeno nell'opposizione), e' fatto di uomini e
donne, giovani e anziani, sani e malati, che pensano che "un altro mondo e'
possibile" e lavorano per costruirlo. I suoi "nemici" non siete voi, ma le
strutture inique del commercio mondiale e della politica dei "forti". Quelli
che fanno violenza, distruggendo le cose o inveendo contro di voi, sono
oggettivamente contro il movimento, e deve essere nostro impegno prioritario
convincerli dell'efficacia e della forza della nonviolenza. Ma sabato 21
luglio anche voi (alcuni? molti? tutti?) eravate contro. Perche'?
Invio questa lettera ai Carabinieri di Alba, alla Questura di Cuneo e ad
alcuni giornali, sperando in qualche risposta.
Grazie per l'attenzione.
2. MATERIALI. LUCIANO CAPITINI: CAMPAGNE DI LOTTA, MANIFESTAZIONI E
COMPORTAMENTO NONVIOLENTO
[Ringraziamo di cuore Luciano Capitini per averci inviato questo suo testo
di riflessione e proposta. Ovviamente in questo genere di testi con
finalita' pratiche e fortemente sintetici vi sono sempre scelte particolari,
usi linguistici peculiari, proposte e concetti necessariamente non
approfonditi, unilateralita' dettate dalla brevita' e dalla semplificazione;
ed e' possibile quindi leggerli con sensibilita' differenti ed anche con
divergenze profonde su punti specifici, non solo in relazione alle scelte
linguistiche ma anche in riferimento ai concetti ed ai principi: proprio per
questo ricordiamo sovente che la nonviolenza e' un campo di esperienze, di
riflessioni, di discussioni, di ricerche, vastissimo ed aperto, che chiede a
tutti un intervento critico e creativo, che a tutti propone di pensare con
la testa propria, ascoltando attentamente, discutendo appassionatamente,
comunicando sempre. Cosicche' alcuni punti ed alcuni temi che il testo
seguente propone noi interpreteremmo diversamente, e seguiremmo prospettive
diverse (per chi fosse interessato rinviamo ad alcuni nostri lavori
disponibili in rete: la Guida pratica all'azione diretta nonviolenta delle
mongolfiere per la pace, del 1999; La nonviolenza contro la guerra, del
2000; anche su Jean Marie Muller e' disponibile in rete una nostra piccola
sintesi dello scorso anno cui rinviamo gli interessati). Ma detto cio' il
testo seguente e' assai utile ed auspichiamo che sia utilizzato e discusso,
e promuova ulteriori interventi e proposte, che tutti saremo lieti di
ospitare qui.
Luciano Capitini e' impegnato nel Movimento Nonviolento, ha condotto a
Pesaro una rilevante esperienza di mediazione sociale nonviolenta. Per
contatti: via Zacconi 11, 61100 Pesaro, tel. 072132926, e-mail:
capitps@libero.it]
In occasioni in cui si deve entrare in conflitto, in una rivendicazione, ma
ancor piu' precisamente in una lotta per ottenere determinati risultati,
occorre usare una certa forza.
La passivita' non da' mai un risultato.
La proposta che questo testo vi suggerisce consiste nell'addestrarsi ad
impiegare e poi usare una forza che avete in voi, ed eliminare invece la
forza della violenza.
Questo genere di lotta e' stato impiegato molto spesso, con fortune alterne,
a volte ha vinto, a volte no. Si puo' dire, pero', che non ha quasi mai
perso.
Un approccio alla nonviolenza puo' essere pertanto molto utile per sperare
di ottenere risultati positivi che auspichiamo, ma anche per intraprendere
un percorso di mutamento delle proprie prospettive.
Questo testo e' destinato agli aderenti di tutte quelle associazioni,
gruppi, movimenti che possiamo definire "di cambiamento sociale".
Premettiamo alcuni punti:
- Non e' certo (come con qualsiasi altro metodo) che la nonviolenza vi
portera' alla vittoria.
- E' certo invece che il metodo nonviolento presuppone tempi lunghi.
- Non siete autorizzati a credere di poter usare scorciatoie.
- La vostra convinzione e fiducia nel metodo possono derivare da tante e
diverse esperienze, ma deve provenire da sentimenti e certezze che avete
dentro di voi, se li avete profondamente interiorizzati sarete in grado di
basarvi su di essi nelle lotte che intraprenderete.
* Inizio del percorso
Diamo per scontato che esista un argomento, un problema, che molti
desiderano risolvere, perche' qualcosa li opprime o perche' temono che cio'
sia l'inizio di una grave disgrazia, per se' e per un vasto gruppo di
popolazione.
In tal caso puo' iniziare un percorso di lotta nonviolenta.
All'inizio siamo tutti totalmente impreparati, non conosciamo bene
l'avversario, il campo e i temi dello scontro, non abbiamo deciso per cosa
vogliamo lottare (e cioe' non contro cosa, ma per ottenere cosa?).
In tali momenti bisogna astenersi dalle lotte vere e proprie, mentre piccoli
gruppi di persone gia' convinte e persuase possono iniziare a manifestare,
scrivere, agitarsi per far prendere coscienza a molti, e aggrumarli in
gruppi che si dedichino alla preparazione e formazione.
In tale fase anche l'avversario e' impreparato, e qualche nostra azione, ben
studiata e vistosa, puo' avere successo e cio' e' utile a tutti noi.
Non bisogna pero' credere di poter continuare su tale strada: l'avversario
velocemente si attrezza ed e' pronto a reagire sorprendendoci a sua volta.
Alcuni, ciecamente, insisteranno sulla strategia che ha portato al primo
parziale successo (in quella prima occasione, di solito, non si e' ottenuto,
in realta', nulla).
Altri, sorpresi dalla reazione dell'avversario, radicalizzano la lotta e
passano ai mezzi estremi usuali, piu' semplici, piu' istintivi: quelli della
violenza.
Ma nel frattempo si sono creati gruppi che si dedicano all'organizzazione,
essi hanno ben presente che la lotta sara' lunga e dura, e che una strategia
e' indispensabile.
In questa prima fase si configurano due esigenze: la scelta del percorso e
la strategia delle alleanze, e i primi contatti con l'avversario.
Chiariamo che quest'ultimo punto fa parte della lotta nonviolenta, e se si
arriva a vedere recisi i canali che ci permettono il dialogo, cio' deve
essere assunto come una nostra sconfitta.
Il dialogo puo' esprimersi con voci diverse -contatti con personalita'
disponibili, contatti diretti, tramite la stampa, anche i volantini (che
debbono essere compilati con lo scopo di comunicare e convincere, e non di
offendere) possono essere utili.
* Fase preparatoria
In questa fase (che nella realta' e' frammista alla fase precedente) i
gruppi lavorano intensamente nei seguenti ambiti:
- Formazione alla nonviolenza.
- Raccolta di informazioni sull'argomento (ad es.: la globalizzazione - cosa
vuol dire - e' sempre un male? - esempi reali - conseguenze prevedibili,
ecc.).
- Elaborazione della strategia - traguardi che vogliamo raggiungere - mezzi
di lotta da adottare.
Questi percorsi saranno sempre condivisi da tutti: lo scopo e' di avere
tanti dirigenti quanti sono i partecipanti; il parere di uno vale quanto il
parere di ognuno degli altri, pertanto si assumera' il principio del
consenso, nel prendere decisioni.
La conoscenza degli obiettivi e dei metodi, in ciascuno, porta a creare
quella fiducia ed autonomia che sono preziose nei momenti di lotta.
* Formazione alla nonviolenza
Questo percorso dovrebbe essere il piu' approfondito possibile:
- Tende a chiarire in noi i meccanismi che portano agli atteggiamenti e alle
decisioni, e fa scoprire le verita' che fanno parte del nostro essere,
separandole dalle sovrastrutture inutili o dannose.
- Porta ad avere fiducia in se stessi, nei compagni di lotta, nell'umanita'
in genere.
- Riesce a far prendere decisioni sagge e a distaccarsi dalle mode, dalle
ideologie artefatte e dai rancori.
Sara' opportuno avere l'aiuto di un esperto che introduca l'argomento e
tracci le linee di un percorso.
Ci si puo' rivolgere (per ottenere questa "consulenza") al Movimento
Nonviolento e al Mir (Movimento Internazionale della Riconciliazione) che
sono attrezzati in tal senso.
Sara' inoltre utilissimo disporre del volumetto di Jean Marie Muller,
Momenti e metodi dell'azione nonviolenta (richiedibile ad "Azione
nonviolenta", tel. 0458009803, e-mail: azionenonviolenta@sis.it).
Potendo, per i centri piu' numerosi, sarebbe utile disporre dei tre volumi
di Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele,
Torino.
Il presente testo e' redatto sulla falsariga del succitato manuale di Jean
Marie Muller, cui va il nostro ringraziamento.
* Scelta degli obiettivi
Questo e' uno dei punti basilari di tutta la lotta.
Pertanto si dovra' adottare un obiettivo (o piu' obiettivi) solo dopo una
ponderata meditazione e discussione che interessi tutti gli aspetti del
problema.
Durante il tempo necessario a tale formulazione, progredisce il grado di
istruzione dei partecipanti; inoltre vanno avanti le operazioni di contatto
con l'avversario, a cui si presenta, per intanto, un documento sul nostro
scontento, riservandoci esplicitamente di avanzare in seguito richieste
precise.
Mentre noi progrediamo nell'esame delle complessita' della situazione, tale
studio, ed i suoi risultati ed indicazioni, debbono essere trasmesse
all'avversario presupponendo che anch'egli sia interessato a risolvere i
problemi.
La scelta degli obiettivi dovra' basarsi su due punti essenziali (piu' altri
secondari che scaturiranno man mano):
- I nostri obiettivi dovranno consistere in passi concreti rivolti alla
soluzione del problema e all'allontanamento della situazione di disagio.
- L'obiettivo deve riguardare cio' che e' possibile ottenere (e non cio' che
sarebbe bene ottenere; e occorre allora scindere recisamente l'esame
realistico della situazione e delle possibilita' da cio' che noi
auspichiamo).
La scelta e' tanto piu' importante in quanto, poi, non sara' lecito a
nessuno addivenire a transazioni su quel punto, non scenderemo a
transazioni: o avremo una vittoria o continueremo la lotta.
La storia c'insegna che tutte le volte che ci si e' resi disponibili a un
compromesso si e' andati incontro ad un insuccesso totale.
* Primi momenti della campagna nonviolenta
A questo punto tutto e' pronto: sono state strette le alleanze necessarie
durante il percorso e sono stati contattati tutti i gruppi affini e che non
partecipano alla lotta, per averli in ogni modo dalla nostra parte, i
partecipanti sono ben collegati tra loro, hanno adottato decisioni condivise
al 100%, sono consci del percorso e aderiscono motivati da una nuova forza
interiore, l'avversario e' stato piu' volte avvertito, la cittadinanza e'
stata interessata e edotta dei problemi e dell'impellenza di risolverli.
A questo punto viene lanciata la richiesta.
Cio' deve avvenire in modo serio e sereno, indirizzandola all'opinione
pubblica ed all'ente (governo, amministrazione, impresa, ecc.) che potra'
dare o no l'accordo per soddisfarla.
Dal primo momento si deve far capire a tutti che non siamo disposti a
compromessi, motivando bene tale decisione, e che in mancanza di risposte
positive adotteremo forme di lotta sempre piu' radicali, lontane tutte,
pero', dall'uso di qualsivoglia violenza (in qualsiasi modo la si voglia
intendere).
Deve esser fatto capire sempre a tutti che non abbiamo nemici, ma al massimo
controparti, che contiamo sulla loro intelligenza e umanita' per risolvere
insieme i problemi, ecc.
Non diremo nulla sui metodi di lotta, che invece, nelle nostre
organizzazioni sono gia' stati discussi e decisi.
* Mezzi di lotta
Occorre segnalare che si possono cambiare i mezzi da usare, anche
totalmente, da una campagna ad un'altra e che in questo campo tutto si muove
e muta velocemente, e pertanto, su questi punti, sono previsti ripensamenti
ed aggiustamenti.
La scelta dei mezzi sara' stata basata sui seguenti parametri:
- Adeguatezza dei mezzi all'obiettivo ed alla situazione (mezzi ben diversi
saranno adottati per ottenere una diminuzione di una tassa o per lottare
contro un regime dittatoriale).
- Scalarita': occorre iniziare quasi in sordina, con azioni che, ben lontane
dal raggiungere apici di durezza, vedano pero' una folta partecipazione ed
un interesse volto piu' ad informare che ad ottenere. Sara' cosi' come una
prova generale per controllare la mobilitazione e la disciplina dei
partecipanti.
Poi, man mano, secondo una progressione decisa precedentemente, ed in
parallelo con il silenzio o l'ostilita' della controparte, i mezzi diventano
piu' incisivi.
In linea di massima non devono essere adottati mezzi che, se interrotti,
diano l'impressione di aver subito una sconfitta (per estremizzare:
l'interruzione di uno sciopero proclamato ad oltranza, se interrotto prima
di ottenere risultati, e' una sconfitta; invece la restituzione delle schede
elettorali presuppone una fine fisiologica e non da' l'impressione di uno
scacco quando termina).
Durante la campagna si porra', prima o poi, il problema della legalita'. Si
tratta cioe' di azioni vietate dalle leggi.
In tal caso - ribadendo pubblicamente che siamo in linea generale per la
legalita' - occorre motivare bene il perche' si faccia un'eccezione.
Se si decide di adottare uno di questi mezzi dovranno essere soddisfatte le
seguenti condizioni:
- L'azione illegale deve essere annunciata preventivamente.
- Deve essere ben calcolato il numero delle persone che saranno coinvolte e
potranno subire arresti, denunce e forse anche violenze.
- Tali persone debbono essere scelte tra categorie "speciali", ad esempio:
pensionati, handicappati, donne, e devono essere serenamente resi edotti
delle conseguenze.
L'accenno a pensionati ed handicappati si spiega con l'orientamento di voler
dare un ruolo a tutti, e di saper scegliere, in determinate occasioni,
persone che rappresentino bene la nostra distanza dall'uso della violenza.
In situazioni di palese illegalita' le persone saranno relativamente poche,
e sole, anche se una folla puo' assistere da lontano allo svolgersi dei
fatti.
Tali persone si comporteranno con totale passivita' e remissivita' in caso
di intervento della polizia.
In linea generale le azioni contro la legalita' debbono essere causate da un
disagio molto forte, e di carattere etico.
L'illegalita' che commettiamo deve avere un nesso evidente con una legge
ingiusta, un comportamento insopportabile del governo, delle autorita', ecc.
Portiamo ad esempio l'obiezione fiscale contro le spese militari per mezzi
di offesa.
Il punto fermo resta che nessuno si nasconda o eviti le proprie
responsabilita'.
I primi mezzi di lotta che esaminiamo sono chiamati mezzi di azione
indiretta, si tratta di appelli all'opinione pubblica, comunicati e
petizioni.
Sono mezzi che fanno parte della campagna, ma non rientrano nelle attivita'
di lotta, e sono comuni anche a campagne indette con modalita' totalmente
diverse.
Gia' piu' specifiche di una campagna nonviolenta sono le sfilate e le marce:
la differenza risiede nella distanza percorsa (in una citta', un quartiere,
in un caso; vaste zone, regioni intere nell'altro caso).
Uno sciopero della fame limitato, per quanto deprezzato dall'abuso che se ne
fa, puo' servire a denunciare un'ingiustizia, puo' durare circa 15 giorni.
Dopo queste azioni viene lanciato un ultimatum, a seguito del silenzio o
rifiuto a trattare della controparte.
Iniziano poi le "azioni dirette di non cooperazione" che consistono in varie
forme di sciopero, restituzione di titoli e decorazioni, boicottaggi,
obiezioni, sit-in.
Nel momento in cui viviamo le possibilita' di indire e attuare con successo
degli scioperi sono molto limitate, stanti la frammentazione della
popolazione ed il declino delle lotte sindacali.
Resta ai gruppi decidere se tali azioni sono attuabili o meno, con
riferimento ad un territorio specifico.
Forse si puo' pensare ad indire un "hartal", che consiste in una giornata in
cui tutto si ferma, finestre e negozi restano chiusi, non vi e' circolazione
per le strade: si tratta di una manifestazione molto impressionante, che
sara' attuabile in una fase della campagna in cui gia' una maggioranza della
popolazione aderisce, ed in casi in cui gli interessi in gioco sono
veramente di tutti e comprensibili da tutti.
In questa fase uno dei mezzi piu' efficaci e' il boicottaggio.
Tale azione, che presenta la particolarita' di poter essere attuata da
singoli come da grandi masse, rappresenta, attualmente, una carta vincente,
stante la modificazione recentemente intercorsa, e cioo' la sostituzione del
potere governativo, contro di cui lottavamo nei decenni passati, con un
potere imprenditoriale (multinazionali) e finanziario.
Ma proprio le strutture imprenditoriali e finanziarie vivono e dipendono dai
nostri soldi, soldi il cui rubinetto e' inevocabilmente in mano nostra.
Nella scelta terremo presenti tutte le possibilita', ricordando che si
possono boicottare prodotti, servizi, enti, amministrazioni, e molto altro
ancora.
Prima di porgere alla cittadinanza la nostra proposta di boicottaggio
occorre smantellare la convinzione che molti hanno, e cioe' che sia in un
certo modo immorale danneggiare un'impresa, o altro, rifiutandone i
prodotti, e creando una difficolta' per i dipendenti.
Ricorderemo sempre che si tratta di boicottaggi limitati nel tempo, e che,
comunque, anche la pubblicita' commerciale con cui siamo bombardati, tenta
di farci abbandonare un produttore, coi suoi dipendenti, per un altro,
causando la rovina del vecchio produttore.
Scioperi e boicottaggi rientrano nella categoria di mezzi di lotta,
tipicamente nonviolenti, che chiamiamo "di non collaborazione"; nella
formazione nonviolenta sara' illustrata la particolarita' di questi mezzi
che piu' profondamente aderiscono ad un orientamento etico di alto valore e
di efficacia.
La non collaborazione con un sistema (solitamente di governo), puo'
svilupparsi molto avanti nel tempo ed assumere, man mano, caratteristiche
sempre piu' ficcanti.
Tali forme di lotta non comportano uno scontro fisico, sono naturalmente
lontane dalla pratica della violenza, e rappresentano un sacrificio ridotto,
per i partecipanti e la popolazione.
Alcuni esempi di boicottaggio ci dimostrano come quest'arma possa assumere
forme e coinvolgimenti vastissimi (USA: la lotta guidata da Cesar Chavez).
La non collaborazione puo' tendere a colpire l'avversario sul piano
finanziario, come ad esempio una sospensione del pagamento di affitti o
tasse (parliamo di sospensione, e non di blocco totale).
Un ultimo mezzo che rientra nel novero di quelli di non collaborazione e'
l'obiezione di coscienza.
Questo mezzo e' in genere sottovalutato, forse perche' si adatta ad un
numero ristretto di situazioni, ma e' molto efficace, praticabile da
individui singoli o da grandi masse.
Puo' essere lanciata una campagna di obiezione di coscienza fiscale, col
rifiuto fermo di pagare una o tutte le imposte: in questo caso l'obiettore
versera' le cifre cosi' "risparmiate" su un conto intestato ad una serissima
associazione, un ente di aiuto ai poveri, o ad un fondo, appositamente
costituito, che provvedera' poi a sostenere legalmente e finanziariamente
gli obiettori.
Come si vede disponiamo di un vasto repertorio di mezzi di lotta, e l'elenco
non e' completo, e non puo' esserlo anche perche' voi stessi scoprirete
qualche metodo che potra' risolvere le situazioni in cui vi trovate; e
sinora non abbiamo ancora accennato a mezzi di lotta che coinvolgano il
proprio corpo.
Il primo di questi e' lo sciopero della fame illimitato, un digiuno cioe'
che si intende proseguire sino al raggiungimento dell'obiettivo.
Questo mezzo e' stato usato da Gandhi, e pertanto si potrebbe pensare che
sia un mezzo da impiegare spesso: non reputiamo invece che cio' debba
essere.
Gandhi ha sempre unito il suo interesse politico a quello religioso, ed e'
nella prassi delle religioni orientali usare indiscriminatamente del proprio
corpo, sino all'olocausto.
E purtuttavia possono esistere cause che richiedano atti di estrema
abnegazione, compiuti, inoltre, da personalita' conosciute e stimate,
persone che siano il simbolo della resistenza di tutto un popolo.
Non ci pare che oggi - 2001 - sussistano queste condizioni. Si puo' pensare
che uno sciopero della fame illimitato possa far entrare nella lotta grandi
masse che esitano ma necessitano di un gesto eclatante per schierarsi.
Per quanto riguarda lo sciopero generale abbiamo accennato a quelle che ci
paiono difficolta' reali ad usare tale mezzo, che viene di solito
sostituito dai sit-in, l'usurpazione civile e l'ostruzione.
Sappiamo che il sit-in in consiste in una manifestazione in cui i
partecipanti stanno seduti per terra: serve a mantenere un aspetto calmo e
sereno, a dissuadere dalla controviolenza, a poter resistere a lungo in
luoghi da cui potremmo essere scacciati in breve tempo, e si adatta anche a
piccoli gruppi.
L'usurpazione civile consiste invece in uno sciopero rovesciato, in cui i
dipendenti di un'amministrazione o di un'impresa restano al loro posto ma
svolgono le mansioni che sono dettate dal movimento: si tratta di una
tattica che ha valore in determinate occasioni, e presuppone di riuscire a
far aderire alla manifestazione una gran maggioranza di dipendenti, porta
alla lunga ad uno scontro assai duro.
L'ostruzione consiste nell'usare una massa di partecipanti alla campagna per
impedire la circolazione in una strada, l'accesso ad un edificio, ecc.
Tale metodo puo' essere usato in concomitanza con una manifestazione
importante, per impedire alle forze di polizia di raggiungere il grosso dei
partecipanti; ha il vantaggio di poter essere attuato con una tattica del
"mordi e fuggi", in modo di causare difficolta' ma senza arrivare allo
scontro.
* Manifestazioni di piazza
Attualmente esiste una tendenza ad usare solo questo mezzo di lotta,
tralasciando la vasta gamma di scelte che abbiamo sinora esaminato.
Teoricamente si tratta di un errore tattico, le manifestazioni permettono
alla controparte di attuare un piano di contro-azione molto articolato.
Se e' vero che il movimento, in occasione di una manifestazione, e' in grado
di far giungere migliaia di dimostranti da nazioni e citta' vicine, e' anche
vero che la polizia puo' far affluire forze imponenti, ed organizzare gli
agenti provocatori - condimento di ogni grande manifestazione.
Occorre pertanto che in occasioni di grandi manifestazioni, in concomitanza
con straordinari eventi (ma allora perche' non pensare a decine di
manifestazioni di minor portata, ma con maggior presa sulla popolazione e
maggiori possibilita' di comunicazione e scambio delle idee?), sara'
necessario attuare una "pianificazione" accuratissima dello svolgimento,
prevedendo tutto, ponendo rimedio, preventivamente, a tutti i possibili
eventi negativi.
La preparazione specifica consistera' in training che tendano a controllare
le proprie emozioni e le relative reazioni, e fintanto che non ci sia
garanzia che tutti sono ad un ottimo livello sara' bene soprassedere ad
indire o partecipare alle manifestazioni.
Sara' possibile prevedere una forma di suddivisione in "reparti", ad esempio
per quelli che provengono da una stessa citta', da uno stesso gruppo,
contrassegnati da un segnale (basta un nastro dello stesso colore al
braccio), che si lasciano istruire e condurre da un responsabile.
Esisteranno persone che si occupano dei collegamenti e della circolazione
delle informazioni, e che avranno praticato tale attivita' in simulazioni
precedenti.
I reparti sapranno bene come comportarsi nelle varie emergenze, che
comprenderanno ogni prevedibile evenienza.
I manifestanti sfileranno compostamente, ben inquadrati, dall'aspetto sereno
ed anche allegro.
Si porteranno striscioni, e non cartelli (che presuppongono un bastone per
reggerli), ed il testo degli striscioni dovra' essere stato approvato
precedentemente.
Si evitera' di prevedere percorsi frazionati e difficili, i manifestanti
debbono restare uniti.
Non sara' concepibile che la manifestazione, che serve a manifestare
qualcosa, e nel nostro caso a sostenere delle richieste, sia indirizzata ad
altri scopi, come, ad esempio, impedire un congresso o altro.
Tutto deve essere preordinato in maniera di far apparire, alla cittadinanza
ed all'avversario, un'immagine di forza interiore, di convinzione, di
determinazione.
Tale ordine puo' essere turbato da eventi esterni: la polizia puo'
comportarsi in maniera provocatoria, per aizzare una reazione di alcuni
manifestanti, e poter poi "caricare"; altra evenienza puo' essere costituita
da gruppi esterni o non omogenei al movimento che si mescolano al corteo per
svolgere un'azione che non e' quella da noi prevista.
In tale caso la risposta deve essere immediata e netta: i responsabili si
accorgono o vengono avvertiti che vi sono infiltrazioni, e subito scatta un
ordine di arresto del corteo, in modo da poter osservare meglio il
comportamento di questi "anomali".
Se si nota che essi tendono a mischiarsi con i partecipanti, allora, avendo
gia' deciso da tempo che il tranquillo svolgimento dellla manifestazione e'
essenziale alla nostra strategia, allora viene ordinato di sedersi per
terra.
Viene comunicato con megafoni che se non si chiarira' questa anomalia i
partecipanti resteranno sul posto e, passato un certo tempo, torneranno
indietro per sciogliere il corteo.
Tutto deve essere fatto per evitare di lasciar coinvolgere uno solo dei
partecipanti in tafferugli che hanno il solo scopo di screditare il
movimento e di inficiare le nostre parole d'ordine.
Analogamente, alla presenza di forze dell'ordine, si daranno le istruzioni
per mantenere un comportamento calmo e responsabile, evitando di tentare
sfondamenti ed anche il semplice contatto.
In caso di un'impossibilita' a proseguire la manifestazione, si potra'
decidere di tornare sui nostri passi e svoltare poi per una traversa -
secondo uno schema che abbiamo gia' previsto - e sfilare per altre vie.
Lo scopo della manifestazione e' di raccogliere un successo: tale successo
consiste nella partecipazione numerosa di persone che rappresentano strati
diversi della popolazione, animati da una grande forza morale, capaci di
disciplina, univoci attorno al nucleo delle richieste avanzate.
Lo spettacolo di una manifestazione cosi' svolta e' determinante per
trasmettere messaggi poco graditi al nostro avversario, che ricevera'
l'impressione di una massa determinata a continuare, insensibile alle
provocazioni, e prendera' in esame la possibilita' di trovare un accordo.
L'avversario deve essere trascinato - dal nostro comportamento, nelle
manifestazioni, ma anche in ogni altra occasione, - lungo un percorso di
avvicinamento alle nostre idee, che, se sono valide per tutti e non
rappresentano qualche interesse settoriale, valgono anche per lui.
Il nostro comportamento puo' agevolare tale percorso o interrromperlo, e
certamente tra le fila dell'avversario vi saranno persone ragionevoli ed
altre che sostengono la necessita' di perseverare su certe decisioni: se ci
mostriamo incapaci di agevolare l'azione dei benpensanti, se diffondiamo
notizie che possono essere dimostrate false, se possiamo essere tacciati
come violenti o criminali, se non abbiamo presa sulla popolazione, se ci
colleghiamo con gruppi che, ad un eventuale tavolo delle trattative,
saboteranno le nostre richieste, allora tutto il nostro sforzo non portera'
a nulla, e dovranno passare molti anni prima che la popolazione sia
nuovamente disponibile alla lotta.
* Considerazioni finali
Abbiamo presentato uno schema di lavoro che i gruppi possono adottare
durante la preparazione della campagna, e a tutti apparira' molto difficile
poter coinvolgere tante persone in un percorso che presuppone sacrificio,
costanza e determinazione.
Vi preghiamo di non voler anticipare un giudizio di non fattibilita'
adesso: abbiamo premesso che tutti partecipanti debbono seguire -
preventivamente - un corso di formazione nonviolento.
Solo dopo tale esperienza potrete decidere se una forza nuova, molto
potente, vi pervade tutti, e solo allora prenderemo insieme le nostre
decisioni.
Una ultima considerazione: non temete di assegnarvi traguardi troppo
modesti, vale piu' vincere una piccola battaglia che perderne una troppo
grande.
Rispetto alle enormi dimensioni del problema della globalizzazione potrebbe
apparire riduttivo lottare per entrare in una commissione governativa che
controlli tale fenomeno e dia linee al governo, ma questa e' una richiesta
che puo' essere ottenuta, chiedere che tutto si fermi e torni come prima,
quello si' che e' utopistico (abbiamo voluto portare un esempio, senza
pensare di dare indicazioni).
Dopo una piccola vittoria, i partecipanti, se lo reputano necessario, sono
disponibili ad iniziare un'altra campagna, piu' avanzata, e l'avversario,
che ha gia' conosciuto la nostra determinazione, sara' piu' disponibile.
3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: I MEDICI DEL CINQUECENTO
[Giulio Vittorangeli, una delle figure piu' lucide e rigorose della
solidarieta' internazionale, e' tra i principali collaboratori del nostro
notiziario; per contatti: e-mail: giulio.vittorangeli@tin.it]
Cosa vogliano dire le politiche neoliberiste, in campo economico (la
dittatura del mercato promossa dalla Wto e spalleggiata dalle grandi
multinazionali), per i paesi del cosiddetto Terzo Mondo, e' purtroppo
estremamente chiaro per quanto drammatico e doloroso.
L'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), quasi fosse posseduta da
un'oscura credenza religiosa, promuove l'applicazione universale di
un'ideologia che persegue la liberalizzazione di tutto. I risultati, per
esempio, sono le "Zone Franche - maquilas/maquiladoras" del Sud del mondo:
parti del territorio nazionale destinate dai governi agli investimenti
stranieri e alla produzione di beni destinati all'esportazione. Luoghi non
solo di sfruttamento della manodopera e di sospensione dei diritti, ma di
vere forme di schiavitu': la versione moderna dei lavori forzati; punte di
lancia della delocalizzazione produttiva e dell'espandersi delle
multinazionali. Come gia' e' stato segnalato, le Zone Franche presentano una
forte analogia con altre aree dove sono sospesi i diritti umani e le
garanzie giuridiche, che sono i ripugnanti campi di concentramento per gli
immigrati (i "centri di permanenza temporanea") presenti oggi in Italia. Le
maquilas, inoltre, hanno il loro equivalente nel settore agricolo, in
particolare nella coltivazione delle banane in America Latina: le bananeras,
dove le deplorevoli condizioni sanitarie e lavorative ed il degrado
ambientale, sono particolarmente significativi. Queste situazioni sono una
delle tantissime, in tutto il continente latinoamericano, espressioni della
tanto osannata globalizzazione.
Il dato nuovo, sembra il riemergere nel mondo, anche se sotto forme diverse,
del lavoro schiavistico. La competizione non e' solo tra i prodotti, i
mercati, ma anche tra i costi di lavoro, che il capitale sceglie su un campo
grande come la Terra. E' questo che produce nuove disuguaglianze e nuovi
schiavismi.
A questo dato va unito il riemergere di regimi patriarcali che negano
l'esistenza sociale delle donne; si pensi alla crescita della violenza sulle
donne e dei nuovi integralismi, in particolare nell'Afghanistan dei
talebani, il paese dove la felicita' e' fuorilegge.
Infine, la rilegittimazione delle guerre, agite e subite, che sradica le
condizioni della solidarieta' all'interno dei posti di lavoro e della
societa'.
Forse bisognerebbe ricominciare a misurare lo stato di salute della
democrazia a partire dalle condizioni di lavoro. E' la dignita' del proprio
lavoro, della propria condizione che e' anche la nostra condizione (la
condizione di lavoratori del Nord del mondo), la condizione di ogni persona
che non sia cosa. La centralita' operaia (bianca, nera, indigena, immigrata)
non esiste piu' per noi e per il ceto politico e intellettuale della ex
sinistra, ma esiste eccome per il padronato: non parlano e non si occupano
d'altro, di flessibilita', di precarieta', di soggezione, nelle societa'
opulente come nei continenti della schiavitu'.
Mentre viviamo la scissione tra consumatori atomizzati dei paesi ricchi e
produttori senza diritti e sfruttati nei paesi poveri. Quando pero' ci si
rende conto che ci puo' essere un altro modo di consumare, si conclude che
ci deve essere un altro modo di produrre. Qui sta il terreno piu' fertile di
incontro tra i due mondi - lavoratori e consumatori - e tra forze
organizzate. Ecco perche' bisognerebbe ripensare una strategia del conflitto
fra capitale e lavoro/non-lavoro, a livello del terzo millennio, appunto la
globalizzazione.
Intanto crescono le ingiustizie del mondo dominato dal neoliberismo, dal
Fondo monetario internazionale (Fmi) e dalla Banca mondiale. C'e' chi ha
paragonato queste due istituzioni ai medici di una volta, ai medici del '500
che prescrivevano sempre lo stesso rimedio: indipendentemente dal male,
applicavano sanguisughe e salassavano i loro pazienti. Cosi Fmi e Banca
mondiale hanno fatto sprofondare milioni di persone nella miseria promovendo
ovunque le stesse riforme economiche - in particolare le privatizzazioni, il
rigore della politica di bilancio e la flessibilita' dell'occupazione -
senza tenere conto delle culture, delle risorse e dei contesti economici
locali. Oppressi dal debito estero, molti paesi poveri hanno accettato
queste riforme chiamate "programmi di aggiustamento strutturale" in cambio
dei prestiti da parte dell'Fmi o della Banca mondiale. Purtroppo entrambe le
istituzioni non hanno dato segni di voler cambiare il loro orientamento. I
medici del Cinquecento hanno semplicemente incollato etichette piu'
seducenti (come il progetto comune battezzato "Iniziativa in favore dei
paesi poveri molto indebitati") ai loro dolorosi rimedi. I risultati restano
quelli rappresentati da una "coppa di champagne" dove nel calice sono
racchiusi i piu' ricchi: il 20% della popolazione mondiale che dispone
dell'82,7% del reddito totale del mondo; mentre alla base della coppa sono i
piu' poveri: il 20% che ha soltanto l'1,4% del reddito.
Si possono citare una infinita' di dati su questa drammatica situazione
mondiale, come quelle forniti dall'arcivescovo di Genova, cardinale Dionigi
Tettamanzi, che non e' certo un estremista sospetto di sentimenti
antoglobali. Nelle conclusioni dell'iniziativa dei movimenti cattolici e
uffici della Cei "Sentinella del mattino: guardiamo il G8 negli occhi"
(svoltasi a Genova sabato 7 luglio), l'arcivescovo ha denunciato come 400
miliardari si dividono il 50% delle ricchezze, mentre 6 miliardi di persone
devono vivere con il resto. Questo vuol dire che bambini del cosiddetto
Terzo mondo, che hanno avuto la sfortuna di nascere oltre i confini
dell'Occidente, (bambini del tutto identici ai nostri, che ci riempiono di
allegria e gioia nelle nostre giornate), muoiono uno ogni 8 secondi ("se noi
siamo il futuro e stiamo morendo, allora non c'e' futuro"); a causa di
un'ingiustizia di cui tutti siamo correi se non le opponiamo politicamente e
moralmente la nostra obiezione di coscienza.
4. RIFLESSIONE. FRANCA ONGARO BASAGLIA: LA MISERIA HA TANTE FACCE...
[Il brano seguente abbiamo tratto dal bellissimo libro di Franca Ongaro
Basaglia, Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982, pp. 151-152.
Franca Ongaro Basaglia, intellettuale italiana di straordinario impegno
civile e profondita' teorica, insieme al marito Franco Basaglia è stata, ed
è tuttora, tra i protagonisti del movimento di psichiatria democratica. Tra
i suoi libri segnaliamo particolarmente: Salute/malattia, Einaudi; Manicomio
perché?, Emme Edizioni; Una voce: riflessioni sulla donna, Il Saggiatore; in
collaborazione con Franco Basaglia ha scritto La maggioranza deviante,
Crimini di pace, Morire di classe, tutti presso Einaudi; ha collaborato
anche a L'istituzione negata e Che cos'è la psichiatria e a molti altri
volumi collettivi. Ha curato l'edizione degli Scritti di Franco Basaglia]
La miseria ha tante facce: quella della fame e dell'indigenza e quella
dell'impoverimento totale dell'esistenza umana. La razionalita' borghese ha
conservato la prima nelle sacche necessarie all'equilibrio della logica
economica su cui si fonda, ma ha prodotto la seconda nel suo stesso seno. E'
in questo mondo generalizzato di miseria economica e psicologica che i
bisogni si esprimono in modo confuso e indifferenziato: bisogni che nascono
dall'urgenza della vita, da un corpo che non accetta di essere mutilato e
mortificato, da una soggettivita' che non vuole essere repressa e violentata
e che trova troppo stretto lo spazio che le viene concesso. Regole, divieti,
tabu', proibizioni, repressioni; divisioni di classe, di razza, di colore,
di sesso, di ruolo; sopraffazioni, soprusi e umiliazioni, violenza
organizzata e permanente: questo e' cio' che costituisce il mondo della
norma. Nessuna regola a difesa dell'esistenza dell'uomo, ma ogni regola
fatta per il suo dominio e la sua manipolazione. In questa norma non puo'
identificarsi l'uomo dominato perche' e' fatta per la sua distruzione, ma
neppure colui che appartiene alla schiera dei dominatori, pena l'assopimento
e l'uccisione della sua umanita'.
5. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA EMMA GOLDMAN A MARIELLA
GRAMAGLIA
* EMMA GOLDMAN
Profilo: militante libertaria e femminista (1869-1940). Nata in Russia,
emigrata nel 1886 in America, operaia, militante anarchica continuamente
perseguitata, impegnata per i diritti delle donne; nel 1915 arrestata e
condannata per aver dato spiegazioni in pubblico sull'uso degli
anticoncezionali; espulsa dagli Stati Uniti nel 1920; fiera oppositrice di
ogni autoritarismo ed ogni totalitarismo, e quindi anche del potere
bolscevico; nel 1936 e' al fianco degli anarchici in Spagna; muore in
Canada. Opere di Emma Goldman: Anarchism and other essays, New York 1911; My
disillusionment in Russia, New York 1923; Living my life, London 1931; in
italiano cfr. Anarchia, femminismo e altri saggi, La Salamandra, Milano
1976.
* LUCIEN GOLDMANN
Profilo: nato a Bucarest nel 1913, è deceduto a Parigi nel 1970. Filosofo,
docente di sociologia della letteratura e della filosofia. Opere di Lucien
Goldmann: Introduzione a Kant, Mondadori; Scienze umane e filosofia,
Feltrinelli; Il Dio nascosto, Lerici, poi Laterza; L'illuminismo e la
società moderna, Einaudi; Marxismo e scienze umane, Newton Compton. Opere su
Lucien Goldmann: Sami Naïr, Michael Lowy, Lucien Goldmann o la dialettica
della totalità, Erre Emme, Roma 1990.
* MAURICE GOLDSTEIN
Profilo: deportato ad Auschwitz, testimone della Shoah, medico, presidente
del Comitato internazione di Auschwitz.
* HELMUT GOLLWITZER
Profilo: teologo fortemente impegnato per la pace e i diritti umani. Opere
di Helmut Gollwitzer: Vivere senza armi, Claudiana, Torino 1978.
* PETER GOMEZ
Profilo: giornalista d'inchiesta, redattore de "L'Espresso", collaboratore
di "Micromega". Opere di Peter Gomez: (con Goffredo Buccini), O mia bedda
madonina. Cosa Nostra a Milano, Rizzoli, Milano 1993; (con Leo Sisti), L'
intoccabile. Berlusconi e Cosa Nostra, Kaos, Milano 1997; (con Leonardo Coen
e Leo Sisti), Piedi puliti. Tutto quello che avreste voluto sapere sul
calcio e nessuno vi ha mai raccontato, Garzanti, Milano 1999; (con Marco
Travaglio), La repubblica delle banane, Editori Riuniti, Roma 2001.
* NADINE GORDIMER
Profilo: scrittrice sudafricana, impegnata contro l'apartheid, Premio Nobel
per la letteratura. Opere di Nadine Gordimer: oltre i suoi numerosi volumi
di racconti e romanzi (tra cui: Un mondo di stranieri, Occasione d'amore, Il
mondo tardoborghese, Un ospite d'onore, La figlia di Burger, Luglio,
Qualcosa là fuori, Storia di mio figlio, tutti presso Feltrinelli; Il bacio
del soldato, presso La Tartaruga) segnaliamo Vivere nell'interregno,
Feltrinelli, Milano 1990; Scrivere ed essere, Feltrinelli, Milano 1996.
Opere su Nadine Gordimer: AA. VV., Nadine Gordimer: a bibliography of
primary and secondary sources, 1937-1992, Hans Zell, London 1994.
* ANDRÉ GORZ
Profilo: nato a Vienna nel 1924, vive e lavora in Francia. Ha lavorato con
Sartre a "Les Temps Modernes". Opere di André Gorz: La morale della storia,
Il Saggiatore; Il traditore, Il Saggiatore; Il socialismo difficile,
Laterza; Critica al capitalismo di ogni giorno, Jaca Book; Sette tesi per
cambiare la vita, Feltrinelli; Ecologia e politica, Cappelli; Addio al
proletariato, Edizioni Lavoro; La strada del paradiso, Edizioni Lavoro;
Capitalismo, socialismo, ecologia, Manifestolibri; Metamorfosi del lavoro,
Bollati Boringhieri.
* JEAN GOSS e HILDEGARD GOSS-MAYR
Profili: Jean Goss è nato a Lione nel 1912 ed è scomparso nel 1991;
Hildegard Mayr è nata a Vienna nel 1930 (il padre, Kaspar Mayr, è stato uno
dei fondatori del Movimento Internazionale per la Riconciliazione -MIR-);
marito e moglie, impegnati per la nonviolenza, segretari itineranti del MIR.
Opere di Jean Goss e Hildegard Goss-Mayr: insieme hanno pubblicato il libro
Une autre révolution, Cerf, Paris 1969. In italiano di entrambi cfr. La
nonviolenza è la vita, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (AQ); La
nonviolenza evangelica, Edizioni La Meridiana, Molcfetta (BA); di Hildegard
è stato pubblicato Come i nemici diventano amici, Emi, Bologna 1997. Opere
su Jean Goss e Hildegard Goss-Mayr: si veda il libro-intervista curato da
Gérard Houver, Jean e Hildegard Goss. La nonviolenza è la vita, Cittadella,
Assisi 1984.
* STEPHEN JAY GOULD
Profilo: intellettuale americano, docente a Harvard, paleontologo, biologo,
storico della scienza, brillante scrittore di storia naturale. Energico
critico delle mistificazioni ideologiche. Opere di Stephen Jay Gould:
Intelligenza e pregiudizio, Editori Riuniti, Roma; Il pollice del panda,
Editori Riuniti, Roma.
* GIUSEPPE GOZZINI
Profilo: laureato in legge, membro del MIR, impegnato nella solidarietà, il
13 novembre 1962 rifiuta di indossare la divisa militare e subisce il
carcere. Opere di Giuseppe Gozzini: Appunti sulla naja, La Locusta, Vicenza
1965.
* MARIO GOZZINI
Profilo: nato a Firenze nel 1920 e scomparso all'inizio del 1999,
insegnante, consulente editoriale, autorevole collaboratore di riviste e
quotidiani, parlamentare; grande promotore di dialogo e cultura, di una
cultura che era incivilimento e umanità; e legislatore e riformatore sociale
di altissimo sentire e di concreto, effettuale impegno umanitario (porta il
suo nome la riforma penitenziaria del 1986). Opere di Mario Gozzini:
segnaliamo almeno Rischio e fedeltà, 1951; Pazienza della verità, 1959;
Concilio aperto, 1962; Il dialogo alla prova, 1964; La fede più difficile,
1968; Carcere perché carcere come, 1988; Oltre gli steccati, 1994; La
giustizia in galera?, 1997.
* MARIELLA GRAMAGLIA
Profilo: intellettuale italiana, impegnata nel movimento di liberazione
delle donne.
6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 188 del 5 agosto 2001