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riflessione di Zenone Sovilla - www.nonluoghi.it
La sensazione è che dopo la morte del giovane manifestante Carlo Giuliani
buona parte dei mass media si sia stretta attorno alle forze dell'ordine e
ne abbia con maggiore sistematicità accolto le letture di quanto stava
accadendo a Genova. Forse qualcuno, una commissione parlamentare e la
magistratura prima di tutti, riuscirà a far luce sul degenerare della
situazione e forse ci sarà chi dovrà rendere conto dell'agire indisturbato
di una banda numerosa di hooligans frettolosamente definiti "anarchici" e
delle cariche indiscriminate delle forze dell'ordine anche contro persone
inermi. Così si sono viste immagini crude e si sono ascoltate testimonianze
dirette di pacifisti, medici, avvocati picchiati selvaggiamente da agenti
dello Stato - in divisa e non - che con quell'agire evocavano periodi bui
della storia italiana e dell'America latina. Allo stesso tempo si sono
viste immagini e ascoltate testimonianze circa l'agire indisturbato dei
membri del famigerato Black Block (ma un giorno qualcuno ci spiegherà chi
sono questi qua?), fino a vederli in fila come alla distribuzione del pane
davanti a un misterioso furgone da cui uscivano spranghe e mazze. Qui
qualcosa che non quadra c'è. Questa notte - di fronte a questo quadro
inquietante e a una città in fiamme non si sa bene perché - un solerte
cronista del Gr Rai è riuscito a dedicare un po' della sua professionalità
e del tempo del servizio pubblico d'informazione per raccontarci che
"Silvio Berlusconi ha parlato con il premier Giapponese al quale ha
confidato che sta tentando di cambiare l'Italia". Se le scene di violenza
che si sono viste a Genova, frutto di un crescendo di tensione
probabilmente non casuale, sono un indizio del progetto di cambiamento c'è
poco da stare tranquilli. Ma non pare azzardato che gran parte della gente,
invece, chieda proprio di essere tranquillizata da Berlusconi e dalla sua
polizia.
Il confuso movimento antagonista ha sbagliato sicuramente ad accettare la
sfida del Potere e a volere a tutti i costi andare a Genova mettendosi così
nelle mani degli apparati che hanno tutto l'interesse a destabilizzare,
criminalizzare, isolare chi vuole mettere i bastoni fra le ruote alla
potente macchina da guerra economica (e non solo) del neoliberismo globale
che genera morte a ogni latitudine. Che andare a Genova fosse una cosa
ormai divenuta insensata si era capito dopo i primi giorni surreali di
dibattito fra i rappresentanti del presunto popolo di Seattle e gli
esponenti del governo, a cominciare dall'ineffabile ministro Ruggiero. Quei
giorni surreali sono continuati per settimane, al centro dell'attenzione
sempre più il tema dell'ordine pubblico, poi le bombe e gli allarmi hanno
contribuito a riscaldare il clima per l'esplosione finale. Bilancio: un
fallimento "percettivo" della protesta, l'aumento della distanza sociale
fra chi chiede un mondo più giusto e il resto della popolazione che subisce
quello ingiusto magari senza accorgersene o senza sapere come fare a
trasformarlo. Già, trasformarlo? Ma come e quanto? Non sarebbe il caso di
cominciare a discuterne seriamente fra le varie anime di questo movimento
schiacciato nella ritualità inutile e dannosa dei controvertici? Una
domanda semplice, per esempio, è se non sia illusorio ritenere che possano
convivere all'interno del medesimo disegno di trasformazione della società
in termini di democrazia e di giustizia, gruppi che si concentrano
esclusivamente su alcuni sintomi gravi del sistema politico ed economico e
altri che invece tentano di individuarne le cause per modificare i
meccanismi sistemici che generano morte? Il quadro è confuso, questo
movimento probabilmente solo un embrione di qualcosa che forse potrà
nascere ma soltanto passando attraverso una fase faticosa e dura di
confronto e di elaborazione teorica dei contenuti e delle prassi. E'
inutile darsi una facciata di "unitarietà eterogenea" se in realtà non si
sono affrontati seriamente i nodi di fondo della situazione.
L'errore di valutazione sulla presenza a Genova rischia rivelarsi un passo
falso storico. Ora urge interrogarsi davvero sulle strategie, che a mio
parere non possono che essere nonviolente nel senso più pieno, per avviare
una trasformazione del modello capitalista (economico e politico), consci
che in realtà lasceremo in eredità alle generazioni successive gran parte
del lavoro. L'importante è cominciare e possibilmente fare il primo passo
col piede giusto. Il portavoce del Genova Social Forum ha parlato di "una
vittoria costata molto cara". Ci sembra grottesco. Se proprio vogliamo
riprendere questo lessico da stadio o da campo di battaglia, diciamo che è
una sconfitta evidente.
Una sconfitta perché a Genova è scorso il sangue. Una sconfitta perché
evidentemente qualcuno ha avuto bisogno di trovarsi di fronte centinaia di
poliziotti con le maschere antigas i fucili e i manganelli per rendersi
conto delle dimensioni impari dello scontro fra un mini-movimento e il
sistema di dominio che è almeno in parte radicato e interiorizzato da una
fetta assolutamente maggioritaria di cittadini. La prassi nonviolenta è
l'unica in grado di aprire qualche breccia nel muro di gomma del potere;
gli eventi come quelli di Genova contribuiscono invece a rinforzarlo, anche
perché la "verità" sulle violenze difficilmente sarà di pubblico dominio.
Alla fine resteranno le immagini di una città distrutta dagli anti-G8 (gli
hooligan chiamati anarchici con offesa alla tradizione di un movimento
intrinsecamente pacifista) e i commenti "di buon senso istituzionale" di
gente come Maurizio Veneziani (stamane casualmente conduttore di Prima
Pagina a Radiotre o del direttore del Giornale, Maurizio Belpietro, stamane
altrettanto casualmente intervistato dall'edizione principale del Gr3). E'
una sconfitta perché non si poteva vincere. Vincere come? Il G8 decide quel
che decide perché dietro c'è quel che c'è; ci sono intrecci di
manipolazione sociale e sistemi di partecipazione al potere boccheggianti
chiamati democrazie.
Forse sarebbe il caso di ricominciare da qui: dal riempire di senso questa
parola, dalla sua etimologia: governo del popolo, governo di tutti. Nel
caso concreto, nell'elaborazione di una strategia, si poteva giocare la
carte degli spazi negati: disertare Genova perché il Potere con i suoi
fucili l'ha resa una città proibita. E trovarsi altrove a comunicare e a
interrogarsi su un percorso di liberazione e sulla necessità di uno sforzo
di immaginazione per superare i retaggi delle prassi ereditate dal passato
di piazza. Altro che cantar vittoria. Per tornare al comportamento inaudito
degli agenti delle forze dell'ordine-picchiatori e alla devastazione
indisturbata per mano del Black Block e di eventuali infiltrati, vien fatto
di chiedersi se non sia il caso che quale minima risposta democratica il
fronte sindacale tutto, per una volta tutto unito dai Cobas all'Unione
sindacale italiana a Cgil-Cisl e Uil, valutino di proclamare uno sciopero
contro la violenza, a cominciare da quella di Stato. Naturalmente, anche se
dopo questa vergogna sarebbe quasi ovvio mandare a casa un governo, tutto
andrebbe fatto senza l'illusione che qualcuno con nome e cognome venga a
rispondere del sangue di Genova: il responsabile vero è un sistema senza
volto, subdolo, maligno ma soprattutto potente e capace di annullare le
personalità umane.
(Z. S.)