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dal giornale il nuovo
Fabrizio Fileni, fruttivendolo ventottenne, viene arrestato mentre esce di
casa per andare ad aprire il negozio. Picchiato, finisce in galera. Il suo
racconto, così realisticamente ironico, da diventare grottesco.
dall'inviata Melissa Bertolotti
GENOVA - "Ma che teppista, ma quali spranghe. Io dovevo lavorare, dovevo
aprire il negozio. Ho tentato di dirglielo, ma non c'è stato nulla da fare.
Appena aprivo bocca eran manganellate. Mi son fatto anche due giorni di
galera, col negozio chiuso: e i danni a me chi li paga?".
Fabrizio Fileni, 28 anni, altezza media, faccia normale, unico segno di
distinzione: un occhio dal quale non ci vede. Sarà stato per quella
maglietta nera, che i carabinieri scambiano per la divisa dei Black block,
per la testa pelata dopo la caduta dei capelli, per i pantaloni con i
tasconi che vanno tanto di moda. Chissà cosa ha fatto arrestare Fabrizio
Fileni, fruttivendolo del quartiere San Fruttuoso, di Genova.
Su la saracinesca, giù la saracinesca, tutti i giorni, e poi "buongiorno
signora", "salve ragioniere", "ancora una mela?" "E' un chilo e tre,
lascio?". Chissà che diranno i suoi clienti, la signora del terzo piano che
rifornisce di carciofi freschi, quella del quinto che le arance, se non son
mature, non le vuole, a sapere che lui "combatte la globalizzazione", che ce
l'ha "con gli otto grandi padroni del mondo", che andava ad aprire il
negozio con "due aste, tre scudi di plexiglass e due caschi". "Oh santo
cielo e che ne facevo di due caschi - dice lui - che di testa ne ho una
sola".
Eppure per i carabinieri, che hanno eseguito l'arresto, Fileni è uno dei
Black Block più agguerriti. Tanto da segnalarlo come "il più attivo nel
lancio di bombe carta molotov e lacrimogeni". Lui che alle molotov ci
aggiunge una "e" in fondo, se no non riesce a dirle, ci si sforma. " Mi son
fatto tre giorni di galera. Gli amici chiamavano i miei per prendermi in
giro: gli portiamo le arance, dateci le chiavi del negozio. Io non ci posso
pensare: ma chi li conosce questi Black Block?" .
Forse, il torto peggiore di Fileni è stato quello di trovarsi proprio in
Piazza Alimonda, dove a Genova, venerdì pomeriggio, si è consumata la
tragedia. Poco dopo il suo arresto infatti, gli scontri della piazza
degenereranno in un'uccisione. "ma io avevo in tasca l'incasso della
mattina e dovevo andare al negozio. Esco di casa, abito lì, in corso Europa,
proprio dove questi si picchiavano di santa ragione, mica potevo dormire da
un'altra parte. Che faccio? Mi metto la zona rossa in bottega?".
"Con questi soldi in tasca e quei delinquenti in giro, io mica mi fidavo.
Dici li metti in banca, ma questi le banche le sfasciavano come noccioline.
Ho pensato: li porto da un paio d'amici, sulla strada. Guarda se dovevano
abitare proprio in piazza Alimonda?".
"Quando son sceso - continua - l'inferno. Tu fermo, dove vai? Mi gridavano.
Io niente, dove vado? E giù un colpo di manganello. O che fai, abito qui,
gli dicevo, e quello: un calcio. Poi erano tanti, mentre tu spiegavi a uno,
gli altri ti pestavano per bene. Quando ti giravi per parlare con quello che
te le dava, gli altri finivano il compito".
Fileni, sbattuto contro un muro, finisce a ingrossare le fila dei teppisti
in manette. Lo portano in piazzale Kennedy: "Non vi dico il viaggio, due
passi e un calcio in culo. Si può dire culo sui giornali?".
"Mi portano dove ci sono tutti gli agenti, in piazza. Bene dico io, adesso
spiego. E infatti lì, finalmente qualcuno m'ascolta. Quasi stanno per
lasciarmi andare, senza però neanche una scusa per tutte le botte che avevo
già preso. E invece, non mi basta d'avere un occhio che non vede. Ci voleva
anche il mio sosia genovese. Anche lui cieco da un occhio. Passa un
carabiniere, e dice: quello tenetelo, c'è uno skinheads con un occhio cieco.
E' lui sicuramente. Provo a rispondere, ma ricomincia il balletto di prima:
una parola, una manganellata, due parole, due manganellate. Poi, visto che
dei due caschi che dicono d'avermi trovato non ne avevo neanche uno, mi
tirano pure una testata in fronte".
"Dovevo buttarmi a terra quando passava la carica, lo so me l'han detto dopo
in prigione. Ma mi sembrava umiliante, non avevo fatto niente, sono un
fruttivendolo. E poi a me sdraiarmi per terra mi fa anche schifo".
Fileni prende la strada della caserma dei carabinieri. Lo portano a San
Giuliano. "Fatemi telefonare, fatemi chiamare qualcuno, gli dico, ma quelli
mi mettono contro un muro e mi suonano come un tamburo. Poi mi dicono: ogni
volta che ti incontriamo per strada ti diamo il resto. Io di resto conosco
solo quello da dare ai clienti, ma ho capito che era meglio non dirglielo".
Fileni, incensurato, si fa tre giorni di prigione. Per giunta trasferito
nel carcere di Pavia. Esce solo dopo aver incontrato un gip, che tra l'
altro, non gli crede del tutto, tanto che lo scarcera, ma lo obbliga a
recarsi in questura a firmare. "M'hanno interrogato alle dieci di mattina e
m'han messo fuori alle sette di sera. Io non dicevo più niente. Di botte ne
avevo preso fin troppe. Quando sono uscito ho detto perfino grazie".
Fileni torna a Genova. Probabilmente dovrà vedersela anche con un nuovo
giudice. E per giunta forse incontrerà davvero i carabinieri che lo hanno
pestato in caserma.
"Oh, se vengono a negozio io mi sdraio per terra. Servitevi da soli, gli
dico, e lasciate i soldi sul tavolo. Il resto, io, non ve lo do".
(23 LUGLIO 2001, ORE 20.09)
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