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[TESTIMONIANZA] - Pacifisti picchiati dalla Polizia
To: <info@peacelink.it> Subject: Pacifisti picchiati dalla PS
Quelle che seguono sono alcune considerazioni e una breve cronaca di una
parte del corteo dello spezzone della Rete di Lilliput Trentino basate su
quanto gli occhi hanno potuto vedere, e il corpo toccare.
Innanzitutto due parole sul cosidetto 'black bloc', nome mediatico così
simile a uno snack e, come gli snack, non sai mai quello che contiene:
groppucoli di chasseurs D.O.C., ma, secondo molte testimonianze, ci dicono
anche filmate, veri e propri infiltrati al servizio delle forze
dell'ordine, con l'ovvio scopo di dividere i manifestanti, creare incidenti
allo scopo di giustificare una brutale repressione poliziesca su tutto il
corteo (come è accaduto), screditare il movimento globale fatto di
centinaia di migliaia di persone venuto a Genova per manifestare contro una
politica economica, in gran parte USA, che nel mondo provoca milioni di
vittime e disastri ecologici. Ed in effetti alcuni tic di questi
disfattivisti rivelavano per lo meno qualcosa di strano: a cominciare dal
look mediatico così troppo preciso e omologato a un luogo comune:
berrettino similana nero, fazzoletto tipo bandana che da metà naso scendeva
fino alla gola, camicia o maglioncino rigorosamente nero, un po' di libertà
lasciata ai pantalo ni, scarpe o tipo anfibio o agili nikers, tra le quali
perfino qualche paio di Nike. In mano, come da copione, bastoni, assi di
legno. Un rigoroso cliché estetico che prendeva poi forma
nell'infrangimento di auto e qualche vetrina di banca, come se i crimini di
queste (speculazione sulle spalle dei paesi più poveri, amplissimi
finanziamenti al mercato delle armi, eccetera) si potessero annientare
distruggendo loro un vetro uno sportello bankomat, tutte cose tra l'altro
coperte dalle assicurazioni che queste banche sicuramente avranno.
Ma anche dando per buona la genuinità di questi folkloristici personaggi,
nulla giustifica la violenza delle forze dell'ordine su TUTTI i
manifestanti, dai più pacifici dei pacifisti agli autonomi, agli anarchici,
passando per partiti politici, i sindacati, i lavoratori curdi, greci, i
gruppi tematici italiani e stranieri, e tutte le centinaia di realtà
diverse che animavano il corteo. E così, non si possono che pensare due
cose: o le forze dell'ordine erano impreparate, inesperte, emotivamente
fragili, disordinate e scoordinate, o, cosa più probabile, hanno seguito un
preciso progetto politico all' (illusorio) scopo di fermare un movimento
globale sempre più numeroso, motivato, forte, appoggiato nelle critiche e
nelle proposte da gran parte dell'opinione pubblica. Ed è così che si
possono spiegare le due situazioni di cui siamo stati testimoni fisici. La
prima c'è stata quando il lunghissimo corteo stava percorrendo il
lungomare. In testa al corteo si vedevano fumi di cassonetti bruciati e
molti lacrimogeni
che disegnavano in cielo linee curve di fumo, per poi ricadere sui
manifestanti in prima linea. Il corteo si ferma, aspetta che gli scontri
finiscano prima di ripartire. Qualche passo in avanti, poi molti indietro
perché i lacrimogeni sparati dalle forze del (dis) ordine sembrano
avvicinarsi. Si indietreggia lentamente, per evitare la calca, perché la
situazione sembra governabile: nelle prime linee ci sono scontri, la
polizia vuol far desistere i facinorosi coi lacrimogeni, basta
indietreggiare un po', aspettando che i tafferugli finiscano. Del resto il
corteo, decine, centinaia di migliaia di persone, era lontano da queste
zone di crisi, sul lungomare, incolonnato. Il nostro spezzone era circa a
metà di questo corteo, in un blocco compatto di trentini. Improvvisamente i
lacrimogeni sparati sembrano avvicinarsi, si avverte il loro odore, la loro
presenza, e s'indietreggia in modo più rapido, finché la situazione
degenera in una calca generale, provocata dalle forze dell'ordine che
continuavano a lanciare i
candelotti sul pacifico corteo che stava indietreggiando per allontanarsi.
E' il chaos, la fiumana di persone rende vano ogni tentativo di spostamento
incontrollato, i lacrimogeni cadono dal cielo sempre più numerosi, sempre
più vicini, indietro, avanti, in mezzo a noi. La pelle brucia, gli occhi
bruciano, il fumo blocca il respiro, qualcuno cade a terra, non si sa che
fare, dove andare. Una decina di minuti d'inferno. Usciti non so come da
quel chaos , siamo rimasti in due, in attesa della prossima sventura nella
terra di Colombo. E l'uovo della violenza premeditata delle forze
dell'ordine arriva poco dopo, quando parte del gruppo si era ritrovata e
attraverso una piccola stradina tremendamente in salita, tipica del
paesaggio urbano di Genova, stava cercando di raggiungere gli altri
compagni attraverso una via apparentemente sicura. Giunti in cima alla
salita, vediamo arrivare correndo un paio di giovani con caschetto in mano
che gridano "Sparano! Sparano!" dopo qualche indecisione, iniziamo a
correre, ma
dopo qualche istante arrivano a pericolosa velocità due camionette della
polizia che inchiodano davanti a noi. Da esse balzano fuori un gruppo di
Rambo armati e imbottiti d'ogni genere di protezione che ci fanno
inginocchiare. Uno di loro grida (ogni cosa che dicevano era un grido
animalesco, invasato) in una sorta di romanesco "Adesso vi facciamo vede'
quanto siamo fascisti!". Molti di noi gridano "Ma siamo pacifisti, non
potete prendervela con noi", o cose inutilmente simili. "Ma che pacifisti
di merda!" è una delle risposte, ci accusano di aver distrutto la città, ci
gridano che il compagno morto il giorno precedente l'avevamo ucciso noi. La
loro maschia cavalleria risparmia per fortuna le donne, dalle quali ci
fanno separare, anche se uno di loro stava iniziando a porgere fiori
manganellanti al gentilsesso. "No, le donne NO!", lo ferma il meno peggio
del gruppo. Il che ci fa capire che per noi estremisti violenti di Lilliput
la sorte era segnata. A turno ci manganellano ordinatamente sulle braccia,
qual
che democratico calcio con gli anfibi sulle costole, giustizievoli colpi
col parabraccio. Qualche ragazza piange, ma per chi si gira la
manganellante democrazia è più solida. Le bandiere multicolori con la
scritta "PACE", sullo sfondo, sembrano guardarci grottescamente. Ci
perquisiscono gli zaini, chiedono i documenti ma poi neanche li guardano.
Intanto arriva un altro gruppo inseguito da un'altra camionetta. Questi,
ahimè, erano per giunta stranieri, e subiscono sorta ben peggiore della
nostra, perché tentano di scappare. Li buttano sul muro, facce sbattute sul
cemento calci che non si contano. A uno di loro viene trovata una maschera
antigas (ce l'avessimo avuta anche noi, quando i lacrimogeni piovevano in
mezzo al corteo!), i calci lo colpiscono in faccia, il manganello sembra un
battipanni sui capi che a Genova non si potevano stendere. Un ragazzo reo
di avere i capelli rasta viene sollevato per i capelli e preso a calci da
tre di questi robocop statali, al grido di "Questo è da parte di Genova".
Un altr
o viene trovato con un oggetto atto ad offendere, ovvero una maglietta di
Che Guevara: "Hai la maglietta del Che, eh?" e giù altre prove di
democrazia e di controllo della situazione. Ringrazio l'ignoranza di questi
bambocci che non si sono accorti che la mia maglietta, in inglese, era
contro McDonald's. E così, sotto la minaccia di un'altra carica, e forse
grazie alle grida di alcuni abitanti ("Bastardi picchiatori!", simili)
accorsi al balcone, ci lasciano fuggire. E chissà quante situazioni simili
o peggiori in giro per la città, pensiamo. Al di là delle manganellate
d'occorrenza, la cosa che più ci ha lasciato stupefatti, era l'odio che
portavano dentro, la rabbia, gli occhi fuori dalle orbite con le pupille
ristrette, in una situazione non certo di guerriglia urbana. Ci piacerebbe
sapere qual è il training di questi personaggi così simili a cocainomani, a
buttafuori di discoteca imbottiti di anfetamine. Ci piacerebbe sapere come
lo stato, le forze dell'ordine, li addestrano, li istigano a simili stati a
lterati di coscienza. Speriamo che qualcuno, da qualche parte, abbia
documentato queste gratuite violenze. Ad alcuni di noi, pur non avendo
fatto fotografie, è stata presa la macchina fotografica, tolto il rullino,
gettato via l'apparecchio.
Ma cosa rimane, dopo aver fatto questo rendez-vous con la democrazia del
governo Berlusconi fatta di lacrimogeni e manganellate? Da una parte
amarezza, perché sia che si sia trattato d'imprudenza, esaltazione,
impreparazione, che di astuta e vigliacca premeditazione, si tratta
comunque di una sconfitta per la democrazia. D'altra parte, la certezza che
non sarà qualche livido color mare o un po' di bruciore agli occhi a
cambiarci la testa. La manifestazione di Genova ci ha fatto capire due
cose: che siamo in tanti e che da parte degli stati non c'è volontà di
dialogo, al di là di un nauseante buonismo di facciata fatto di vuote
parole o sterili discorsi sui poveri. I lacrimogeni disperdono un corteo,
ma le idee e la determinazione sono sempre al loro posto. I morti e gli
sfruttati nel sud del mondo, la distruzione di natura e cultura sono sempre
in atto, e vivono nei sorrisi inebetiti degli "otto grandi" inebriati dai
flash e dei grandi , e unici, interessi economici che difendono. A loro la
triste constataz
ione che per tutti noi (tranne ovviamente che per i finti black bloc visti
dare ordini alle forze del (dis)ordine ) il controvertice non era che un
appuntamento. Il nostro terreno, imbattibile, è l'azione quotidiana. Ad
essa brindiamo.