[News] "Le sanzioni sono in grado di scatenare il caos finanziario in Russia", scriveva l'Economist il 27 febbraio 2022. Come mai sono fallite queste previsioni? Lo abbiamo chiesto all'Intelligenza Artificiale e a un esperto
- Subject: [News] "Le sanzioni sono in grado di scatenare il caos finanziario in Russia", scriveva l'Economist il 27 febbraio 2022. Come mai sono fallite queste previsioni? Lo abbiamo chiesto all'Intelligenza Artificiale e a un esperto
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.org>
- Date: Tue, 26 Mar 2024 23:13:46 +0100
Le sanzioni imposte alla Russia dopo l’annessione della Crimea nel 2014 e intensificate a seguito del conflitto in Ucraina nel 2022 sono state progettate per esercitare una pressione economica significativa. Tuttavia, l’impatto delle sanzioni non ha portato al “caos finanziario” previsto per vari motivi.
In primo luogo, la Russia ha adottato diverse misure per mitigare l’impatto delle sanzioni, come il rafforzamento del settore finanziario e la diversificazione delle sue esportazioni. La Banca Centrale Russa ha aumentato i tassi di interesse e ha preso altre misure per stabilizzare la valuta e il sistema finanziario1.
In secondo luogo, la Russia ha beneficiato di prezzi elevati per le sue esportazioni di energia, in particolare petrolio e gas, che hanno fornito entrate significative nonostante le sanzioni. Questo ha aiutato a compensare alcune delle perdite economiche causate dalle restrizioni commerciali2.
In terzo luogo, la resilienza dell’economia russa è stata maggiore di quanto molti analisti avessero previsto. Nonostante le sanzioni abbiano creato sfide economiche, come la perdita di accesso a tecnologie e mercati occidentali, la Russia ha mostrato una capacità di adattamento, trovando nuovi mercati e partner commerciali12.
Infine, le sanzioni hanno avuto un impatto sulle relazioni internazionali e sull’economia globale, portando a una riconsiderazione delle strategie economiche e politiche da parte di molti paesi3.
In conclusione, mentre le sanzioni hanno avuto un impatto significativo sull’economia russa, la combinazione di misure adottate dalla Russia per mitigare gli effetti, insieme ai prezzi elevati dell’energia e alla resilienza economica, ha impedito il collasso finanziario che alcuni avevano previsto. Tuttavia, è importante notare che la situazione rimane dinamica e l’impatto a lungo termine delle sanzioni continuerà a evolversi123.
La risposta di Gemini
È vero che l'Economist, e non solo, aveva previsto un impatto più incisivo delle sanzioni occidentali sulla Russia. Le ragioni per cui le previsioni si sono rivelate errate sono molteplici e complesse:
Sottovalutazione della resilienza economica russa:
- La Russia si è preparata per anni a un possibile scenario di sanzioni, accumulando riserve valutarie e diversificando le sue relazioni economiche.
- Il paese ha un'economia relativamente poco integrata con l'Occidente, il che la rende meno vulnerabile alle sanzioni finanziarie.
- La Russia ha potuto contare sul sostegno di altri paesi, come Cina e India, che hanno continuato a commerciare con essa.
Sovrastima dell'impatto delle sanzioni sulla banca centrale:
- La banca centrale russa ha adottato misure per mitigare l'impatto delle sanzioni, come il controllo dei capitali e l'aumento dei tassi di interesse.
- Le sanzioni non hanno impedito alla banca centrale di accedere alle sue riserve valutarie in Cina e in altri paesi.
Difficoltà nell'implementazione e nell'uniformità delle sanzioni:
- Le sanzioni sono state applicate in modo graduale e non uniforme dai diversi paesi occidentali.
- Questo ha permesso alla Russia di trovare scappatoie e di aggirare le misure restrittive.
Errore di valutazione della leadership russa:
- Si è sottovalutata la determinazione di Putin e del suo entourage a perseguire i propri obiettivi in Ucraina, anche a costo di un pesante impatto economico.
Fattori imprevisti:
- La guerra in Ucraina ha avuto un impatto negativo sull'economia globale, causando un aumento dei prezzi dell'energia e delle materie prime.
- Questo ha in parte alleviato la pressione sulle finanze russe.
In aggiunta:
- Le sanzioni hanno avuto un impatto significativo sull'economia russa, ma questo impatto è stato graduale e non immediato.
- La Russia ha adottato misure di austerità per contenere il deficit e il rublo si è stabilizzato.
- L'economia russa è ancora in una fase di recessione, ma il crollo previsto non si è verificato.
Conclusione:
Le sanzioni occidentali contro la Russia non hanno fallito completamente, ma non hanno nemmeno raggiunto gli obiettivi prefissati. Le previsioni errate si sono basate su una serie di fattori, tra cui la sottovalutazione della resilienza economica russa, la sovrastima dell'impatto delle sanzioni sulla banca centrale e la difficoltà nell'implementazione e nell'uniformità delle misure restrittive.
È importante sottolineare che la situazione è ancora in evoluzione e l'esito finale del conflitto in Ucraina e delle sanzioni occidentali è ancora incerto.
La risposta di Alfredo Luis Somoza
presidente dell'Istituto Cooperazione Economica Internazionale di Milano
Il fallimento delle sanzioni contro Putin
Quella che, dopo l’invasione dell’Ucraina, doveva essere l’arma più potente in mano all’Occidente per piegare la Russia si è dimostrata un flop. A distanza di due anni dall’inizio della guerra, infatti, possiamo dire che le sanzioni economiche varate contro Mosca non hanno funzionato: e questo perché le sanzioni, misura efficace in altri periodi storici, non sono adatte ai nostri tempi. Per dare risultati concreti, infatti, richiedono un vasto consenso internazionale, difficile da ottenere oggi attorno a una questione dall’enorme impatto come la rottura dei legami economici con la Russia. Eppure, le potenze occidentali non hanno nemmeno cercato di costruire consenso: erano convinte che sarebbero state spontaneamente seguite dal resto del mondo, e proprio questa valutazione errata si è dimostrata decisiva per il fallimento.
Il “fronte delle sanzioni” è composto essenzialmente dall’Europa occidentale, da Stati Uniti, Canada, Australia, Corea del Sud, Giappone e Taiwan. Paesi importanti, che generano più o meno il 55% del PIL mondiale. Considerando che la Russia vale da sola il 2% circa dell’economia globale, il punto è che si può vivere bene anche facendo affari solo con il restante 43% generato da Paesi quali Cina, India e Brasile, dall’intera Africa e dalla maggior parte degli Stati asiatici.
Secondo i dati economici, nel 2023 è stata l’industria bellica a trainare l’economia russa, che nel 2024, prevede il FMI, dovrebbe crescere del 2,4%, più dell’Italia. La spesa militare, diventata il fulcro dell’economia, quest’anno supererà quella per il welfare, raggiungendo il 6% del PIL, percentuale inferiore solo a quella dall’Arabia Saudita. La disoccupazione, al 2,9%, è ai minimi storici, complici anche l’arruolamento di moltissimi giovani e l’abbandono del Paese da parte di centinaia di migliaia di lavoratori qualificati allo scoppio della guerra. Per il 2024 si prospetta una crescita del 3,5% del comparto industriale e dell’11% delle entrate per la vendita di gas e petrolio. L’inflazione dovrebbe scendere al 4,5%, dopo che la Banca centrale ha alzato i tassi d’interesse fino al 15%, e i conti dello Stato sono in ordine, anche grazie a quanto fatto in questo campo prima del conflitto. Intanto, Mosca è diventata una fornitrice chiave di energia per India e Cina, di fertilizzanti per il Sudamerica e di armi per l’Africa: molto meno occidentale, insomma, e molto più organica ai BRICS, rispetto a tre anni fa. La situazione attuale della Russia dimostra come l’economia dei Paesi “emergenti” abbia raggiunto un peso tale da permettere a una potenza di sopravvivere anche senza relazioni commerciali con le economie occidentali.
Ovviamente il quadro non è solo positivo, anzi. Il gigantesco trasferimento di risorse verso l’industria bellica è stato compiuto a discapito delle pensioni e degli stipendi dei dipendenti pubblici, della manutenzione delle infrastrutture e dell’edilizia, di fatto bloccata. La Russia è oggi un regime a tutti gli effetti, senza libertà politica né di stampa, un Paese dominato dalla propaganda governativa e dove vige la leva obbligatoria per andare in guerra. Ma la sua economia non è crollata e il regime pare essere più forte che mai: l’alibi della guerra, iniziata da Mosca, è servito per aggiornare e potenziare il sistema bellico, in attesa di nuove sfide come quella che si annuncia a breve sul Mediterraneo, dove la Russia sta negoziando l’apertura di una base navale in territorio libico.
L’Unione Europea, che è stata la prima ad applicare sanzioni economiche e fornire aiuti militari a Kiev, non è riuscita a formulare nemmeno un’ipotesi di pace tra i contendenti, puntando solo al crollo del regime del Cremlino, più volte annunciato come imminente ma sempre smentito dai fatti. E presto Bruxelles rischia di ritrovarsi con il proverbiale cerino in mano, visto il probabilissimo disimpegno statunitense in caso di vittoria di Donald Trump. E così le ipotesi di pace, finora rifiutate e spesso derise, avanzate in questi due anni da pochi Paesi quali il Brasile, la Cina e il Vaticano diventano più che mai attuali. Se sul piano militare il conflitto è in stallo, se le sanzioni alla Russia non hanno effetti, se gli Stati Uniti decidono di tirarsi fuori, non resta che lavorare per una pace giusta e veloce. Il che vuol dire che dovranno essere prese in considerazione le ragioni di entrambe le parti, piacciano o meno. La pace siglata in base a una visione unilaterale è quella che segue i conflitti vinti nettamente sul campo, ma in Ucraina le armi non sono in grado di far prevalere nessuna delle forze in gioco. Possono solo farci perdere tutti.
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