Processo per le vittime dell'amianto. Sotto accusa la Eternit



Le parti offese potrebbero essere oltre cinquemila, non era mai accaduto
in Europa. In arrivo familiari delle vittime anche da Napoli

--- L'amianto e il processo dei record «Tutti a Torino, qui si muore
ancora» ---

Da Casale 9 pullman per la prima udienza di domani. Sotto accusa la Eternit

CASALE MONFERRATO (Alessandria) — Alla fine, forse. La signora Romana dice
che solo quando il processo sarà finito riuscirà a piangere. Non lo ha
fatto neppure ieri, quando le hanno portato una poesia per sua figlia,
scritta dalla dottoressa che ha cercato di alleviarne le sofferenze. «La
vuole leggere lei? Io non ci riesco». Romana Blasotti approfitta del
silenzio che è sceso nel tinello e si alza. Va in cucina a preparare il
caffè. Lo sguardo dell'ospite si posa inevitabilmente sulle pareti e sul
ripiano della credenza, pieni di volti, in bianco e nero, a colori. Una
delle foto più datate ritrae un gruppo di giovani che sorridono, con lei
al centro. L'uomo che fissa l'obiettivo ha la fronte spaziosa, lo sguardo
buono, le mani in tasca. Si sposeranno qualche mese dopo quello scatto.
Mario, suo marito, fu il primo. Era l'unico della famiglia che lavorava
all'Eternit. Si ammalò nel febbraio del 1982. «Quando il medico mi disse
che aveva un tumore, non mi feci impressionare. "È un uomo forte, lo
cureremo" gli risposi. "No, signora, non è possibile. Mesotelioma. Non c'è
nulla da fare"».

L'amianto se lo mangiò in pochi mesi, morì anche lui come tutti, soffocato
dal sangue e dall'acqua nei polmoni. Nel 1990 toccò a Libera, la sorella
minore di Romana. Stessa malattia, stessa fine atroce e veloce. Nel 2003,
a una giovane nipote e a una cugina. L'anno seguente, il destino ha in
serbo il più schifoso degli insulti. Maria Rosa, sua figlia. «Fu lei a
consolare me. Quando seppe la diagnosi, mi fece sedere e mi disse che
dovevo farmi forza. Il processo che comincia domani? Vada a farsi un giro
qui fuori. Se solo si riuscisse a far conoscere meglio la tragedia di
Casale Monferrato, sarei contenta. Così non succederà più quello che
stiamo vivendo noi». Ancora silenzio, nella casa affacciata su Strada
Cavalcavia. Romana, presidente dell'Associazione dei familiari delle
vittime dell'amianto, dice che nonostante i suoi ottant'anni domani ci
sarà anche lei. Salirà su uno dei nove pullman che alle sette del mattino
partiranno da piazza Castello, destinazione Torino.

Domani si comincia. Ecco, forse ha davvero ragione la signora Blasotti. Ci
vorrà del tempo, per capire l'entità della piaga biblica che si è
abbattuta su Casale Monferrato. L'Eternit nel cuore del quartiere Ronzone,
che per cinquant'anni produce amianto. Gli operai che muoiono respirando
il micidiale pulviscolo, nel silenzio della proprietà. La colata di
cemento che nel 1986 sigilla la fabbrica della morte. La maledizione che
continua, ogni anno una media di 55 decessi, ormai quasi tutti «cittadini»
e non «lavoratori», gente che non aveva mai messo piede all'Eternit. Le
microscopiche fibre di amianto hanno ucciso, uccidono e uccideranno
ancora. Per provarci, a capire, possono servire anche i numeri del
processo che comincia domani mattina a Torino, il più grande mai fatto in
Europa per le morti cosiddette bianche. Le parti offese citate sono 2.889,
un record. Il Tribunale fronteggerà la dolente invasione mettendo a
disposizione l'Aula magna, e le due aule-bunker al seminterrato. Ma le
migliaia di malati e di loro congiunti che chiederanno di costituirsi
parte civile potrebbero raggiungere le 5.700 unità. Verranno anche da
Cavagnolo, Rubiera in Emilia, Napoli, dove c'erano altri stabilimenti
Eternit.

Trattandosi di un'udienza preliminare, la causa sarà a porte chiuse, ma
con dentro una folla da stadio. La cittadella giudiziaria torinese ha
dovuto preparare percorsi guidati per l'ingresso, mettere al lavoro la
Protezione civile, organizzare un presidio medico, informatizzare il
controllo delle identità. Gli imputati sono «lo svizzero» e «il belga»,
come li chiamano tutti a Casale. Stephan Ernest Schmidheiny e Jean Louis
Marie Ghislain De Cartier De Marchienne, 61 e 88 anni, i due ultimi
proprietari dell'Eternit. Sono accusati di omissione dolosa di cautele
contro gli infortuni sul lavoro e di disastro colposo. «L'amianto è una
tragedia enorme e sottovalutata. L'infortunio sul lavoro, l'incendio come
alla Thyssen, hanno un effetto immediato, anche mediatico. Ma quelle
causate dall'amianto sono morti silenziose, è un killer che uccide anche a
trent'anni di distanza». Raffaele Guariniello, sempre lui. In tanti lo
considerano un rompiscatole. Poi uno va a vedere e certe inchieste
difficili le fa solo il procuratore torinese ossessionato dall'igiene.
Così silenzioso, l'assassino invisibile, da occultare anche le sue
vittime.

C'è un fascicolo che riguarda altre 200 morti sospette. Gente che si è
spenta tossendo sangue, senza sapere a chi dare la colpa. Tutti destini
che non sapevano di avere la strada segnata. «La cosa tremenda è che nel
1990, quando eravamo in Russia, Ornella si era ammalata, morbo di Hodgkin.
Conseguenza di Chernobyl, così ci dissero. Era poi guarita, ma da allora
ogni sei mesi faceva la Tac e tutti gli altri controlli. Il male invece è
rimasto nascosto, invisibile. Quando ce ne siamo accorti, era già tardi».
Emanuele Novazio è un giornalista de La Stampa, anche lui casalese, come
Giampaolo Pansa, che per primo ha raccontato la sua storia, sul
Riformista. Sua madre morì nel 1986, mesotelioma pleurico, dopo una vita
passata non in fabbrica, ma in un ufficio del centro. Nel 2005 è toccato a
Ornella, l'inseparabile moglie, la madre dei loro due figli. Lo aveva
raggiunto a Parigi nel 1983, e da allora avevano vissuto insieme. A Mosca,
Bonn, Berlino, sempre a migliaia di chilometri da quella maledetta
fabbrica. Niente da fare. Il nome di Ornella è uno degli ultimi aggiunti
alla lista compilata da Guariniello. «Ogni settimana muore qualche mio
concittadino che conosco. Non sai a chi tocca, sai però che succederà. Una
pestilenza». Novazio non aggiunge altro, certe volte le parole non vengono
proprio. «Ci aspettiamo solo un po' di giustizia», dice Bruno Pesce, l'ex
operaio che ha consacrato la sua vita a questa lotta, a questo processo.
Aspettare, per poter magari tornare a piangere dopo aver versato ogni
possibile lacrima. Come fa la signora Romana nella sua casa piena di
centrini e di ricordi, di sorrisi che rimangono vivi solo nelle foto e
nella memoria, come fanno molti altri ancora, in questa tremenda Spoon
river a due passi da casa nostra.

Marco Imarisio
05 aprile 2009
Corriere della Sera