Vittorio Agnoletto, Giulietto Chiesa e Naomi Kein per il boicottaggio di Israele: "Non comprate prodotti con codice a barre 729"



Comunicato stampa degli europarlamantari Vittorio Agnoletto e Giulietto
Chiesa

«PERCHÉ NON ABBIAMO VOTATO A FAVORE DELLA RISOLUZIONE SU GAZA»

Strasburgo, 15 gennaio 2009 - «Ci siamo astenuti nella votazione della
risoluzione su Gaza perche l'Europa non può continuare a garantire
l'impunità ad Israele di fronte alla continua violazione di tutte le
convenzioni internazionali e degli accordi umanitari e sui diritti
umani.

La risoluzione approvata oggi dal Parlamento Europeo contiene alcuni
punti importanti come la richiesta di un immediato cessate il fuoco e
del rispetto della risoluzione 1860 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU
e la richiesta ad Israele di rendere possibile l'entrata in Gaza degli
aiuti umanitari.

Ma ancora una volta l'Europa si limita alle parole. Manca una
inequivocabile condanna dell'aggressione israeliana, mentre l'UE avrebbe
dovuto sospendere l'accordo di associazione UE/Israele come
esplicitamente previsto dalla clausola sui diritti umani presente nel
medesimo accordo. 

L'uccisione di centinaia di bambini, di donne e di civili, il
bombardamento delle sedi delle agenzie dell'ONU sono incompatibili con
il rispetto dei diritti umani.

Se qualunque altro Paese avesse commesso le atrocità che Israele sta
commettendo a Gaza l'UE avrebbe immediatamente sospeso ogni rapporto
commerciale.

Aderiamo alla campagna internazionale per il boicottaggio dei prodotti
israeliani, invitiamo tutti a non acquistare i prodotti provenienti da
Israele contrassegnati con il codice a barre 729. Il boicottaggio é una
risposta pacifica e nonviolenta a chi parla il linguaggio della violenza
e delle armi».

Vittorio Agnoletto, europarlamentare GUE/Sinistra Europea

Giulietto Chiesa, europarlamentare (indipendente) gruppo PSE

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Come si riconosce il codice a barre 729
La lista dei prodotti da boicottare
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=23648


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      * Naomi Klein: "Perchè io boicotto"
        
        
        “La strategia più efficace per fermare un’occupazione sempre più
        sanguinosa è far sì che Israele diventi il bersaglio della
        stessa specie di movimento globale che fermò l’apartheid in
        Sudafrica”. Lo scrive Naomi Klein su The Nation
        (http://www.thenation.com/doc/20090126/klein?rel=hp_currently)
        ricordando come alcuni gruppi palestinesi da anni chiedono di
        condurre iniziative di boicottaggio e di disinvestimento contro
        Israele, simili a quelle che furono applicate al Sudafrica negli
        anni dell’apartheid. (http://www.bdsmovement.net/). L’intervento
        della Klein arriva mentre qui da noi le polemiche, gli
        imbarazzi, la confusione tra antisemitismo, antisionismo,
        critica al governo di Israele, si uniscono alla preoccupante
        difficoltà della sinistra di mobilitarsi contro il massacro a
        Gaza.
        Alla causa del boicottaggio economico contro Israele  – ricorda
        Klein – hanno aderito in questi giorni circa 500 artisti e
        studiosi israeliani. Questi “hanno inviato una lettera agli
        ambasciatori stranieri chiedendo di sollecitare ai loro governi
        misure restrittive e sanzioni”. “Il boicottaggio al Sudafrica –
        continua citando la lettera – fu effettivo. Ma Israele viene
        trattato coi guanti bianchi. Questo sostegno internazionale deve
        cessare”. “Molti di noi – riflette ancora Klein – non riescono
        ancora ad abbracciare questa causa. Le ragioni sono complesse,
        emotive e comprensibili. Ma semplicemente non valgono
        abbastanza. Le sanzioni economiche sono l’arma più efficace
        nell’arsenale della non violenza”.
        Naomi Klein passa poi ad analizzare e a confutare quattro
        obiezioni possibile al boicottaggio economico di Israele. La
        prima: “Le misure punitive allontanerebbero invece che
        persuadere Israele”. L’”impegno costruttivo” che il mondo adotta
        nei confronti di Israele – osserva qui la Klein – è tragicamente
        fallito”. Infatti nell’ultimo periodo “Israele ha goduto di una
        forte crescita delle sue relazioni diplomatiche, culturali e
        commerciali con una varietà di alleati”. “E’ in questo contesto
        che i leader israeliani hanno iniziato la loro ultima guerra,
        con la certezza che non avrebbero dovuto affrontare
        significative reazioni.” 
        Seconda obiezione: “Israele non è il Sudafrica”. Naomi Klein
        cita a questo proposito il parere di Ronnie Kastrils, un
        politico sudafricano. Questi ha osservato che “l’architettura di
        segregazione vista all’opera nella West Bank e a Gaza è
        infinitamente peggiore di quella dell’apartheid”. “Il
        boicottaggio – aggiunge l’autrice canadese – non è un dogma, è
        una tattica: in un paese così piccolo e così dipendente dal
        commercio può funzionare”.
        Terza obiezione: “Il boicottaggio restringerebbe la
        comunicazione e noi abbiamo bisogno di più dialogo”.  Naomi
        Klein cita a questo proposito un’esperienza personale: racconta
        di aver smesso di pubblicare i suoi libri in Israele con la casa
        editrice Babel e di aver scelto al suo posto la più piccola e
        indipendente Andalus, “una casa editrice militante,
        profondamente convolta nel movimento contro l’occupazione, la
        sola casa editrice israeliana che traduce testi arabi in
        ebraico. “Il nostro piccolo piano di pubblicazione – racconta
        ancora Klein – ha richiesto decine di telefonate, scambi di
        email e sms tra Tel Aviv, Ramallah, Toronto, Parigi e Gaza City.
        Voglio dire, appena inizia una strategia di boicottaggio il
        dialogo cresce in maniera fortissima. L’argomento secondo il
        quale il boicottaggio produce una separazione è specioso data la
        disponibilità di tecnologia a basso costo che abbiamo tra le
        mani”.
        L’ultima obiezione analizzata da Naomi Klein è questa: “Non
        sapete che molti di questi giocattoli tecnologici provengono
        proprio dai centri di ricerca israeliani, all’avanguardia
        mondiale dell’informatica”? La Klein, a questo proposito, cita
        il caso di Richard Ramsey, responsabile di una compagnia inglese
        specializzata in tecnologia per internet. Dopo l’inizio
        dell’assalto a Gaza, Ramsey ha rotto i rapporti con la compagnia
        israeliana MobileMax con questa email: “A causa dell’azione del
        governo israeliano degli ultimi giorni non ci riteniamo più
        nella posizione di fare affari con voi né con nessuna altra
        compagnia israeliana”. “Ramsey – spiega la Klein – ha dichiarato
        che la sua non è stata una decisione politica; semplicemente non
        voleva rischiare di perdere clienti”. E conclude Klein :“E’
        stata questa sorta di freddo calcolo affaristico che ha portato
        molte industrie a rompere i rapporti con Sudafrica, vent’anni
        fa. E precisamente questo calcolo rappresenta la nostra più
        realistica speranza di rendere alla Palestina quella giustizia
        che le è stata così lungamente negata”.
        
Fonte: www.ilmanifesto.it