Mariastella Gelmini vuole abrogare l'Università pubblica, il movimento può abrogare la Legge 133, raccogliamo nelle Università le firme per un referendum



Mariastella Gelmini vuole abrogare l'Università pubblica, il movimento può abrogare la Legge 133, raccogliamo nelle Università le firme per un referendum

Oggi il capo del governo, Silvio Berlusconi, in conferenza stampa con Mariastella Gelmini, ha dichiarato che manderà la polizia a sgomberare scuole e facoltà universitarie occupate.

Intanto nelle Università la protesta si rafforza, ma non emerge una strategia che dovrebbe puntare al cuore del problema: l'abrogazione della Legge 133.

di Gennaro Carotenuto

Anche se non fosse stato capo del governo, ma Ministro dell'Interno, Berlusconi non avrebbe comunque avuto facoltà di mandare la Polizia nelle Università e nelle scuole occupate. A chi spetta valutare se le occupazioni interrompono o meno pubblici servizi sono infatti i responsabili delle strutture, i presidi delle scuole e delle Facoltà, i Rettori, che sono le persone che hanno materialmente le chiavi.

Questi, caso per caso, a meno di non configurare un reato associativo tra un Liceo di Prato e una Facoltà di Torino o Messina, possono chiedere o meno (in genere dopo aver trattato, gli occupanti non sono marziani né militanti di Al Qaeda) l'intervento della forza pubblica. Berlusconi tutto questo non lo sa o finge di non saperlo. E se forzerà la mano, ordinando sgomberi, configurerà una rottura dello Stato di diritto pari o più grave di quella del G8 di Genova, della Diaz e di Bolzaneto.

E' difficile credere che Berlusconi, per piegare le università, stia pensando ad una "notte dei lunghi bastoni", come quella del dittatore argentino Juan Carlos Onganía, che il 29 luglio 1966 fece assaltare le Università dall'esercito per revocare l'autonomia delle stesse, chiudendole per un anno e costringendo centinaia tra i più prestigiosi docenti all'esilio. Ma è evidente che Berlusconi voglia alzare il livello dello scontro con il mondo accademico e scolastico.

Vuole mostrarsi forte e decisionista, non è disposto a trattare con nessuno su nulla e vuole uccidere sul nascere un movimento che può essere più di una febbriciattola che potrebbe mettere fine a questa ridicola luna di miele col paese. La campagna mediatica di demonizzazione del mondo della scuola e dell'università dura da mesi. Viene dipinto come un mondo di fannulloni, raccomandati, improduttivi, impreparati, strapagati. Non ci vuol nulla a criminalizzare il movimento degli studenti aggiungendo l'accusa di terrorismo.

Intanto il movimento contro l'affossamento dell'Università da parte del governo è oggettivamente un segnale di vita della società civile italiana. Siano benedette le manifestazioni, le occupazioni, le lezioni in piazza e la presa di coscienza che senza investire nell'Università pubblica non c'è mobilità sociale possibile in quello che è diventato uno dei paesi più diseguali al mondo. Per gli studenti di classe medio-bassa non c'è alcun futuro possibile senza un'Università pubblica, gratuita o facilmente accessibile e di buona qualità.

Tuttavia per il movimento nascente è necessario analizzare alcuni punti chiave e avere un obbiettivo chiaro. La 133 è Legge dello Stato e non è prevedibile un ammorbidimento della stessa come da molte parti si auspica. Soprattutto, da dentro l'accademia, sembra sussistere un partito della trattativa tendente a mitigare il blocco del turn-over, ovvero un palliativo tutto interno nell'attesa che la bufera passi. E' evidente però che:

1) il governo ha segnato un punto fondamentale con l'approvazione surrettizia ma pienamente legale del decreto il 25 giugno, convertito poi in legge il 6 agosto, nell'ignoranza della società civile e nell'ignavia del mondo politico e accademico evidentemente in vacanza. In queste condizioni il governo non ha motivo di trattare su nulla.

2) Scopo del governo e della Legge 133 non è in nessun punto riformare l'Università. La legge non riforma in nessun punto né i concorsi, né il reclutamento, né l'ordinamento didattico. In nessun punto si riducono i privilegi dei baroni né si moralizza il funzionamento degli atenei. Come per la chiusura delle SSIS si taglia per tagliare, senza alcun progetto alternativo e non vi è nulla che favorisca criteri meritocratici. Anzi! Nemmeno privatizza, già che la trasformazione in Fondazioni è una possibilità sufficientemente remota in questi tempi di penuria. L'unica cosa che vuol fare il governo con la Legge 133 è fare cassa.

3) Le conseguenze di questo fare cassa sono molteplici: lo sganciamento dell'Italia dal treno dei paesi più avanzati e la fine dell'Università pubblica come strumento di perequazione e mobilità sociale. Inoltre la riduzione all'inedia dell'Università pubblica (ci sarà una ragione perché in nessun altro paese al mondo si taglia) vede l'autonomia di questa abbattuta con un sostanziale commissariamento ministeriale dell'intero mondo dell'Università.

Pertanto, in queste condizioni, al movimento, alla CRUI, ai docenti, ai ricercatori, agli studenti, al personale tecnico-amministrativo non resta che lottare per l'abrogazione totale della Legge 133.

In questo paese vige ancora l'istituto del Referendum popolare abrogativo. Trasformiamo occupazioni, autogestioni, assemblee, lezioni in piazza nel momento della raccolta di firme per abrogare la Legge e per un grande dibattito nazionale sull'Università che vogliamo che non è né l'esistente né quella della Gelmini.

Solo le firme raccolte per il Referendum abrogativo dell'intera Legge 133 saranno il gol dell'1-1 segnato dalla società civile e obbligheranno il governo a trattare. Animo!

Giornalismo partecipativo