La scuola che premia i "figli di papà"



Sono un insegnante di scuola media superiore. Sono appena tornato dal
collegio dei docenti dove si è votato sulla proposta di dare un
contributo finanziario a quegli studenti delle quinte classi che
partecipano alla visita di istruzione all'estero. 

Praticamente i figli delle famiglie più "agiate", che possono già
permettersi il viaggio all'estero, ricevono anche il "contributo di
Stato" tratto da quei fondi che andrebbero destinati, in beni o servizi,
alle iniziative complementari e integrative a favore degli studenti
della scuola secondaria superiore, di cui al D.P.R. 567/96.

La proposta di usare il fondo degli studenti per la "gita" all'estero
(errore: si chiama "visita di istruzione", "esperienza di
socializzazione", ecc.) è venuta da qualche studente "sveglio" della
Consulta che conosce la legge e che ha saputo sfruttarla. Ma la cosa
sorprendente è che la proposta dei "figli di papà" non sembrava
incontrare alcuna resistenza nel collegio dei docenti.

Ho chiesto allora la parola. Ricordando quando andavo al liceo, ho detto
che allora da studente ritenevo diseducativo fare lo sconto ai ricchi ed
escludere i poveri dai contributi. E ho aggiunto che quello che pensavo
da studente allora lo penso ancora da docente oggi.

Che criterio educativo c'è nel far pagare ancora meno un viaggio a chi
può già permetterselo?

Negli anni '70 vedevo la "crema" della mia scuola andare a fare la
"settimana bianca" a prezzo scontato con i soldi della scuola, quindi
anche i miei. 
 
Io rimanevo a Taranto, a casa: non ho mai toccato una pista da sci. 

I miei genitori non erano poveri. Dovevano però pagare il mutuo della
casa. Avevamo un familiare molto malato. Se ne andava mezzo stipendio
solo per l'assistenza. Ma quella vita valeva più della mia gita sulla
neve. E io lo capivo. Sceglievo la vita di una persona che amavo e non
recriminavo. Avevamo stretto la cinghia come non mai, sentivo su di me
il "dovere del risparmio". I miei genitori vivevano per far quadrare il
bilancio in quegli anni difficili. Capivo tutto. Solo guardandoli. Gli
adolescenti sanno cogliere ogni velo di tristezza. Ho vissuto quegli
sguardi. Erano giornate di austerità che mi hanno anche educato. Ma a
scuola provavo rabbia - con l'indignazione tutta personale di un
adolescente - quella "esclusione" dal viaggio dei "figli di papà".
Non ho mai resuscitato esplicitamente quel disagio, era passato tanto
tempo ma oggi l'ho rivissuto nel collegio dei docenti.
 
Quante famiglie sono strangolate dal mutuo di casa rapace e ballerino? 

Quanta sofferenza invisibile c'è alla base di una partecipazione a
visite d'istruzione all'estero che non sono mai di massa? 

Quanti ragazzi rivivono oggi l'esclusione bruciante che avvertii negli
anni '70.

"Il mio è un NO 'politico'!", ho detto in collegio docenti.

Ma in collegio sembrava che il mio fosse un rigore punitivo, una
opposizione al "diritto alla felicità".
 
Ho detto che la mia era un'opposizione per ragioni di coscienza: "Quello
che pensavo allora come studente lo penso ancora oggi come docente. Sono
contrario ad una proposta che reputo classista". 

La mia controproposta era invece di donare libri agli studenti di buona
volontà e meritevoli che svolgessero un servizio sociale alla scuola (in
biblioteca, sul web, ecc.) e al territorio.

Ma non è passata.

Un docente, scandalizzato anche lui del contributo alla elite, è
intervenuto per proporre che il contributo venisse dato per una visita
di istruzione allargata e meno costosa.

"Ma così non ci sarebbero fondi sufficienti", gli è stato risposto.

Invece ha vinto la proposta iniziale: contributo di 50 euro a chi
partecipa al viaggio all'estero, a patto che non abbia gravi
insufficienze, con contributo fino a 150 euro per chi ha ottimi voti.

I ragazzi "svegli" figli di buona famiglia hanno vinto e io ho perso.

Tornando a casa, con la testa china per l'amarezza, non facevo altro che
pensare a don Lorenzo Milani.


Alessandro Marescotti
Insegnante di scuola media superiore