"Bombe atomiche NATO in pericolo se i comunisti italiani vanno al governo". Dalle carte segrete del Foreign Office l'idea di un golpe nel 1976



A mali estremi, estremi rimedi. Anche questo fu la guerra fredda in
Italia, là dove il male estremo, più che una generica idea di comunismo,
era la concretissima possibilità che il Partito comunista italiano
andasse al potere. 

Era il 1976, l'anno delle elezioni più drammatiche dopo quelle del 1948.
Ebbene: dinanzi al male assoluto che un governo con il Pci avrebbe
arrecato al sistema di sicurezza dell'Alleanza atlantica, nel novero
degli estremi e possibili rimedi il fronte occidentale, le potenze
alleate e in qualche misura la Nato presero in considerazione anche
l'ipotesi di un colpo di Stato. Un "coup d'Etat", letteralmente: alla
francese. Eventualità scartata in quanto "irrealistica" e temeraria. 

Nei documenti britannici di cui Repubblica è venuta in possesso grazie
alla norma che libera dal segreto le carte di Stato dopo trent'anni, ce
n'è uno del 6 maggio 1976, ovviamente super-segreto, elaborato dal
Planning Staff del Foreign Office, il ministero degli esteri inglese, e
intitolato "Italy and the communists: options for the West". All'inizio
di pagina 14, tra le varie opzioni, si legge in maiuscolo: "Action in
support of a coup d'Etat or other subversive action". Il tono del testo
è distaccato e didattico: "Per sua natura un colpo di Stato può condurre
a sviluppi imprevedibili. Tuttavia, in linea teorica, lo si potrebbe
promuovere. In un modo o nell'altro potrebbe presumibilmente arrivare
dalle forze della destra, con l'appoggio dell'esercito e della polizia.
Per una serie di motivi - continua il documento - l'idea di un colpo di
Stato asettico e chirurgico, in grado di rimuovere il Pci o di
prevenirne l'ascesa al potere, potrebbe risultare attraente. Ma è una
idea irrealistica". Seguono altre impegnative valutazioni che ne
sconsiglierebbero l'attuazione: la forza del Pci nel movimento
sindacale, la possibilità di una "lunga e sanguinosa" guerra civile,
l'Urss che potrebbe intervenire, i contraccolpi nell'opinione pubblica
dei vari paesi occidentali. E dunque: "Un regime autoritario in Italia -
concludono gli analisti del Western European Department del Foreign and
Commonwealth Office (Fco) - risulterebbe difficilmente più accettabile
di un governo a partecipazione comunista". 


In politica estera i documenti diplomatici, specie se a uso interno,
hanno una loro fredda determinazione. Gli interessi sono nudi, non di
rado venati di cinismo. Questi che raccontano la crisi italiana prima e
dopo le elezioni del 20 giugno 1976 provengono dai faldoni desecretati
dell'archivio del premier britannico e del ministero degli esteri. Sono
centinaia e centinaia di fogli: corrispondenza fra i grandi del mondo
occidentale, resoconti di riunioni e incontri, analisi di rischio,
lettere di accompagnamento, policy papers, telegrammi, schede, studi
comparati (l'Italia come il Portogallo della rivoluzione dei garofani,
ad esempio), relazioni dirette alle ambasciate di Sua Maestà a Roma,
Parigi, Bonn, Washington e Bruxelles, quartier generale della Nato. 

In questo abbondante materiale non c'è, ovviamente, solo la rivelazione
del golpe. Eppure, mai come in queste testimonianze scritte il "Fattore
K", come "Kommunism", cioè l'impossibilità per il Pci di essere
accettato al governo nel quadro degli equilibri decisi a Yalta, trova la
sua più realistica rappresentazione. E al massimo livello. Ad esempio.
Grazie all'ambasciatore americano a Londra, Elliot L. Richardson, si
viene a conoscere il testo di una lettera privata che il Segretario di
Stato Henry Kissinger scrive in gennaio all'allora presidente
dell'Internazionale socialista Willy Brandt a proposito della crescita
comunista in Italia, Spagna e Portogallo: "Ho il dovere di esprimere la
mia forte preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare. La
natura politica della Nato sarebbe destinata a cambiare se uno o più tra
i paesi dell'Alleanza dovessero formare dei governi con una
partecipazione comunista, diretta o indiretta che sia. L'emergere
dell'Urss come grande potenza nello scenario mondiale continua a essere
motivo di inquietudine. Il ruolo della Nato, così come la nostra
immutata posizione militare in Europa, è indispensabile e cruciale. La
mia ansia consiste nel fatto che questi punti di forza saranno messi in
pericolo nel momento in cui i partiti comunisti raggiungeranno posizioni
influenti nell'Europa occidentale". 
<B>Dalle carte segrete del Foreign Office<br>l'idea di un colpo di Stato
in Italia</B>

Dei vari protagonisti Kissinger è senz'altro il più caparbio e
intransigente. Mentre i vertici della Nato sono fin dall'inizio i più
irrequieti. Scrivono il 25 marzo dal ministero della Difesa britannica
ai colleghi degli Esteri: "La presenza del Pci nel governo italiano e
conseguentemente l'accresciuta minaccia di sovversione comunista
potrebbero collocare l'Alleanza e l'Occidente dinanzi alla necessità di
prendere una decisione grave". È chiaro che la partita va ben oltre le
faccende italiane: "L'arrivo al potere dei comunisti - si legge in un
documento interno del Fco - costituirebbe un forte colpo psicologico per
l'Occidente. L'impegno Usa verso l'Europa finirebbe per indebolirsi,
potrebbero così sorgere tensioni gravi fra gli americani e i membri
europei della Nato su come trattare gli italiani". Ma al tempo stesso
c'è il rischio che un governo con Berlinguer sconvolga gli equilibri
consolidati da trent'anni di guerra fredda creando problemi anche
all'Urss, e qui i diplomatici inglesi sottolineano il pericolo che "le
idee riformiste si diffondano in Russia e nell'Europa dell'Est". Il Pci
di Berlinguer, e più in generale quello che allora andava sotto il nome
di "eurocomunismo", costituisce a loro giudizio una vera e propria
"eresia revisionista" e il suo sbocco governativo porterebbe il
dibattito teorico della chiesa marxista sul terreno della politica
reale. Il Pcus ha tutte le ragioni per temere il "contagio" di un
"comunismo alternativo" al potere in occidente. E tuttavia, secondo
altre analisi, su un piano più immediatamente geopolitico e militare per
l'Urss "i vantaggi supererebbero di gran lunga gli svantaggi, specie in
relazione all'indebolimento della Nato". 


E insomma, sarebbe un evento "catastrofico". La parola risuona più e più
volte nei papers in attesa delle elezioni italiane. Da Bruxelles,
soprattutto, fanno presente che il tempo stringe e per questo occorre
prepararsi al peggio. "La presenza di ministri comunisti nel governo
italiano porterebbe a un immediato problema di sicurezza nell'Alleanza -
scrive a Londra l'ambasciatore inglese alla Nato, John Killick -
Qualunque informazione in mano ai comunisti dovrà essere automaticamente
considerata a rischio. I comunisti al potere altro non sono che
l'estensione di una minaccia contro la quale la Nato si batte. Dunque, è
preferibile una netta amputazione (dell'Italia, ndr) piuttosto che una
paralisi interna". 

La questione vitale riguarda la sicurezza nucleare, quindi la
dislocazione e la custodia delle bombe atomiche: anche senza ministri
comunisti alla Difesa e agli Esteri, un'Italia governata dal Pci va
comunque esclusa dal Nuclear Planning Group: "Per dirla con parole crude
- chiarisce il Ministero della Difesa - il rischio è che i documenti
sensibili finiscano a Mosca". Altri problemi hanno a che fare con le
basi militari e navali della Nato nella penisola: "Considerata l'alta
percentuale degli italiani che votano Pci, è quasi certo che alcuni
simpatizzanti di questo partito hanno già penetrato il quartier generale
della Nato a Napoli (Afsouth). Sul lungo termine il Pci potrebbe
accentuare lo spionaggio oppure spingere per rimpiazzare gradualmente i
funzionari nei posti chiave dell'Alleanza con elementi comunisti". A
parte gli scioperi, i blocchi e le manifestazioni che potrebbero essere
organizzate attorno alle installazioni militari. In caso di guerra,
possono nascere problemi seri: "La perdita del quartier generale di
Napoli, ad esempio, avrebbe un effetto negativo sulle operazioni della
Sesta Flotta nel Mediterraneo Orientale". 

Il sistema di edifici in vetro, acciaio e cemento che ospita i National
Archives a Kew Gardens, venti minuti di metropolitana a sud di Londra,
sembra una via di mezzo tra una serra e una pagoda. Qui dentro sono
conservati circa trenta milioni di record, dall'alto medioevo ai giorni
nostri. Intorno, cottage, boschi, giardini e un piccolo lago artificiale
popolato da oche e anatre. Nell'immensa reading room climatizzata,
insonorizzata e strettamente sorvegliata da telecamere e dal personale
in elegante giacca blu, il ricercatore Mario J. Cereghino ha passato
varie settimane. Su uno dei grandi tavoli esagonali in legno scuro si
sono via via ammonticchiati fascicoli su fascicoli, tutti originali,
ingialliti dal tempo. Trent'anni e oltre: è attraverso queste carte che
si può osservare, come mai finora, il backstage della guerra fredda. 

L'Italia del 1976, come si sarà capito, è un paese in crisi. La formula
del centrosinistra è morta; i comunisti hanno ottenuto un grande
successo alle amministrative dell'anno prima conquistando il governo di
diverse regioni e importanti città; il Psi, di cui è segretario
l'anziano De Martino, ha aperto la crisi al buio; mentre ancora
tramortita dalla sconfitta nel referendum sul divorzio e sotto accusa
per una serie di scandali, la Dc sembra per la prima volta allo sbando,
più che divisa, divorata dalle faide. A reggere le sorti del governo nei
primi mesi dell'anno c'è un pallido bicolore Moro-La Malfa, cui segue,
per gestire le elezioni anticipate, un ancora più esangue monocolore
sempre diretto da Moro. La maggioranza è in pezzi, Berlinguer appare il
personaggio del momento e da anni ormai ha posto sul tavolo l'offerta
del Compromesso storico. 

L'ambasciatore britannico a Roma, Sir Guy Millard, è un uomo molto
sottile e per giunta dotato di una buona penna. "Berlinguer - scrive a
Londra, al Segretario di Stato - è una figura attraente, ispira fiducia
con la sua oratoria. Ciò che dice è credibile e lui lo afferma in modo
convincente". Ma proprio per questo non c'è da fidarsi. "Il suo ingresso
nel governo porrebbe la Nato e la Comunità europea dinanzi a un problema
serio e potrebbe rivelarsi un evento dalle conseguenze catastrofiche".
Quali Millard lo spiega in modo incalzante: la "disintegrazione" della
Dc, innanzi tutto, poi il calo degli investimenti, la fuga dei capitali,
la caduta di fiducia nelle imprese, l'intervento drastico del governo
nello Stato e di conseguenza "la rapida fine del sistema di libero
mercato". Cosa fare per tenere il Pci alla larga dal governo? "Non
molto, temo". E aggiunge: "È un peccato che la difesa dell'Italia dal
comunismo sia nelle mani di un partito così carente come la Dc". 

Dello scudo crociato, dopo il congresso che a marzo ha visto la vittoria
di Benigno Zaccagnini su Arnaldo Forlani, Millard va a parlare con
l'ambasciatore americano a Roma John Volpe. Secondo quest'ultimo,
Forlani "è una brava persona, ma non è un combattente", Zac invece
"piace molto ai giovani", gli Usa lo appoggiano anche se preferirebbero
Forlani e Fanfani che sono più anticomunisti. Parlano anche di Moro:
"Qualche volta - sostiene Millard - sembra piuttosto ambiguo sul
Compromesso storico". Volpe concorda: "È un pessimista, troppo incline a
ritenerlo inevitabile". È questa specie di rassegnazione la colpa che
gli americani attribuiscono all'astuta, ma imbelle classe di governo
democristiana. In un rapporto del 23 marzo si legge che al Dipartimento
di Stato Usa sono molto preoccupati: "La situazione italiana va
deteriorandosi e non si sa come agire". Di qui al sospetto che la Dc
faccia il doppio gioco il passo è breve: "Piuttosto che perdere il
potere, preferirebbe spartirlo con il Pci". 

Ai primi di aprile il rappresentante britannico presso la Santa Sede,
Dugald Malcolm, va a trovare il Patriarca di Venezia, monsignor Albino
Luciani, il futuro Giovanni Paolo I: "Il Patriarca sembra aver assunto
una posizione incline alla catastrofe. L'argomento trattato era sempre
uno: l'avanzata del Pci". È il periodo in cui i comunisti italiani
corteggiano i cattolici (alcuni di questi finiranno eletti nelle loro
liste di lì a qualche mese). Su questo Luciani è intransigente: "Non si
può essere al contempo cristiani e marxisti". Al diplomatico inglese
racconta di aver dei problemi con alcuni sacerdoti della sua diocesi
"che si sentono in obbligo di convertirsi al comunismo". In un'isola
della laguna un gruppo di scout ha addirittura sostituito il crocifisso
con la foto di Mao. Nel congedarsi, il prossimo pontefice sussurra:
"Siamo nella mani di Dio". E aggiunge: "Che comunque sono buone mani". 


Fonte: repubblica.it 13/1/08