La mezza verità sulla Diaz non basta, e occulta la verità sul G8 di Genova



La mezza verità sulla Diaz non basta, e occulta la verità sul G8 di Genova

Sulla Diaz e il G8 sta emergendo una mezza verità fuorviante. Si  ammettono le violenze, ma si cancellano le motivazioni che portarono  all'irruzione nella scuola. Il vice questore Michelangelo Fournier  l'ha chiamata "macelleria messicana", ma non c'era bisogno di  attraversare l'Oceano.

di Gennaro Carotenuto

Le immagini del termosifone della Diaz, mostrate dal TG di Sky, con  quell'enorme macchia di sangue raggrumato, riportano indietro di sei  anni. Riportano all'alba di quella domenica mattina del 2001, quando chi scrive è entrato alla Diaz dopo aver attraversato a piedi Genova  deserta. Di quella visita due dettagli mi hanno poi perseguitato per  mesi. In primo luogo quel termosifone, con quell'enorme macchia di  sangue raggrumato. Ancora adesso faccio fatica a credere che la  persona che ebbe la testa fracassata contro quel termosifone sia  sopravvissuta. Il vicequestore Michelangelo Fournier racconta di una  ragazza che perdeva sangue così copiosamente da pensare impossibile  che sopravvivesse, racconta di quello che a lui sembrava materiale  cerebrale. Racconta le stesse cose che ricordo io, e decine o  centinaia di altre persone. Ma doveva dirlo lui, un vicequestore,  perché bucasse, anche se solo per un istante, il muro di omertà  elevato dai media e dalla classe politica tutta sui fatti di Genova.

La verità di Fournier racconta i fatti, quelli che decine di  testimoni avevano già raccontato senza essere creduti, ma non li  spiega. La verità di Fournier può ancora collocare la Diaz nella  categoria della frustrazione, della tensione sfogata, dello scoppio  d'ira, della vendetta -che quando è compiuta dalle forze dell'ordine  va ascritta alla categoria di rappresaglia- ma tutto sommato può  essere archiviata come sbagliata, immotivata, irrazionale,  estemporanea, casuale, non programmata, non avente alcun obbiettivo  pratico. Davvero la violentissima irruzione alla Diaz, dove erano  noto che fossero ospitati un centinaio di pacifici attivisti della  comunicazione fu casuale?

LE PROVE DEL GSF La riapparizione di quel termosifone inondato di  sangue dalla penombra della memoria è stata uno choc. Non lo  fotografai, forse perché era così vivo da non essercene bisogno. In  tutti questi anni non era in altro luogo che nella mia mente, ho  perfino cercato di convincermi di averlo immaginato. Rivederlo per  la prima volta in un TG è stato come un secchio di acqua gelata,  come il pezzo di un puzzle che chiama un altro pezzo per completare  il quadro.

Recupero un mio articolo, scritto all'epoca per il settimanale  uruguayano Brecha, del quale ero inviato, dividendomi tra il G8  ufficiale e il Genoa Social Forum (GSF) che aveva il centro stampa  proprio alla Diaz: "i locali, che fino a poche ore prima ospitavano  il nostro lavoro, sono completamente distrutti. Il pavimento è un  tappeto di macerie, sacchi a pelo, libri, quaderni, creme solari, assorbenti femminili,  medicine, e sangue. Sangue da tutte le parti,  sulle pareti, sul pavimento, tra i vestiti ammontonati, nelle scale,  sui termosifoni. Siamo di fronte ad un luogo dove la democrazia è  stata sospesa. [...] Ci descrivono la distruzione metodica dei  computer, il sequestro dei dischi rigidi, ci raccontano la ricerca feroce di qualunque cosa che sembrasse una pellicola di foto o di  video. Sono le prove che il GSF aveva promesso per testimoniare le  violenze subite nei giorni anteriori".

E allora ricordo, ricordo perfettamente una parete della palestra  dove più macerie erano accumulate, più vestiti, più oggetti  personali insanguinati, ma soprattutto erano buttati lì decine e  decine di rollini, oramai esposti alla luce e resi inservibili. Non  posso più rimuovere. La violenza della Polizia che per sei anni è  stata negata e adesso viene spiegata come irrazionale, dovuta all'esuberanza di pochi agenti particolarmente stressati, con catene  di comando interrotte per salvare i veri responsabili, non lo fu  affatto.

Ci fu la Diaz, perché c'era stata Genova. E dentro la Diaz c'erano  decine di migliaia di foto, video e documenti sulle violenze dei due  giorni anteriori che i presunti "terroristi" avevano interesse a diffondere e  le forze dell'ordine, invece di sequestrare, distrussero perché non volevano fossero diffuse.

Alla Diaz alcuni poliziotti commisero le violenze sulle persone,  70 feriti e 92 arrestati, poi torturati a Bolzaneto. Ma ci furono soprattutto (e restano ancora totalmente nell’ombra) quelli che entrarono per distruggere le prove delle  violenze del venerdì e del sabato. E' questo il vero motivo  dell'irruzione alla Diaz nella notte tra sabato e domenica,  altrimenti totalmente immotivata, o motivata con bugie dalle gambe  corte.

Certo non tutti i poliziotti che infierirono su ragazze e ragazzi  indifesi erano coscienti del perché erano lì. Ma un gruppo di loro,  ben più addentro, aizzò e usò i colleghi per poter agire, distruggere metodicamente computer, esporre alla luce decine e decine di rollini, in nessun luogo concentrati come alla Diaz quella notte, già che il GSF, sbagliando, aveva chiesto che lì si concentrassero le prove delle violenze. Per quello l’assalto fu alla Diaz e non al Gaslini o alla Sciorba o in altri luoghi dove si concentravano militanti in qualche caso meno pacifici di quelli della Diaz. Fosse stato per vendetta, sarebbero andati a cercare i Disobbedienti, o i Black Block. Ma non interessavano.

A Genova successero molte cose. Un movimento forte, plurale e  rigoglioso, si stava saldando e doveva essere messo in un angolo.  Per farlo fu usato il terrore. La Diaz servì a distruggere le prove e ammettere quella violenza ma solo per farla passare come casuale ci allontana dalla verità.

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