speciale sconfitta Berlusconi



1) “Con questa classe dirigente non vinceremo mai”
2)
Gli italiani all'estero non sono tutti fascisti

“Con questa classe dirigente non vinceremo mai”
Animo, che s'è vinto. E bisogna pure provare a governare. Non è un diritto; è un dovere. Il chiacchiericcio su qualunque soluzione alternativa è solo fuffa pericolosa: sia un governo di larghe intese, sia un rapido ritorno alle urne, rimetterebbero in gioco il fantasma di Berlusconi. Prodi dunque non ha alternativa al governare.
di Gennaro Carotenuto

Animo che s'è vinto anche grazie alla vituperata legge, alla porcata di Calderoli che adesso, a frittata fatta, ha ben poco da ridere. Con un millimetrico pareggio alla Camera, ci ha dato una robusta maggioranza. Perfino la reale sconfitta al Senato -la CdL ha quasi mezzo milione di voti in più- si traduce solo in una difficile governabilità per l’Unione. Sembra che chi ha scritto la legge, con quei 17 premi di maggioranza che al Senato si annullano a vicenda, non abbia neanche pensato alla possibilità che la CdL vincesse le elezioni. Animo; se si è vinto anche al Senato e si potrà governare -forse- lo si dovrà solo alla meravigliosa mobilitazione degli italiani all'estero, esecrati dallo snobismo di sinistra e che si sono conquistati sul campo il rispetto che veniva loro negato. In molti devono loro delle scuse.

Animo che s’è vinto e lo psicodramma di ieri è alle spalle. Se gli exit-pool fossero stati sballati, ma a favore del Polo, iersera avremmo stappato decine di bottiglie di spumante, invece di tutte quelle facce mogie e gli scatoloni di Maalox. Lo scherzo della Nexus ci ha fatto prendere questa mezza vittoria come una sconfitta. In parte lo è, ma il bicchiere è anche mezzo pieno. In primo luogo è chiaro che se Berlusconi non ha veramente perso le elezioni, non le ha di sicuro vinte. E se non le ha vinte, allora per lui è finita. Berlusconi ha perso, nonostante quello che dicano i suoi. Il personaggio Berlusconi non può vincere né perdere a metà. Siccome non ha pienamente vinto, allora ha perso. Non può certo pensare di fare il vice di qualcuno. A meno del più clamoroso autogol della storia da parte del centrosinistra –tornare a votare- il caimano non tornerà. Non sarà mai più capo del governo e non sarà mai presidente della Repubblica. Amen.

E’ un sollievo, un grande sollievo, ma è uno dei pochi. Il centrosinistra infatti non le ha vinte le elezioni. Nonostante tutto. Nonostante la crescita zero. Nonostante la guerra. Nonostante la precarizzazione delle vite. Nonostante cinque anni di scientifica distruzione di scuola, università, sanità, trasporti pubblici da parte del governo della Casa della Libertà. Nonostante il circo barnum messo in scena da Berlusconi. Il centrosinistra non è stato capace di vincere queste elezioni che pure, a molti, sembravano un calcio di rigore dopo i cinque anni peggiori della storia della Repubblica. Se le ritrova vinte per caso e con meno voti di quelli delle destre. Glielo rinfacceranno per cinque anni. E non servirà ricordare a Schifani o Gasparri o agli estensori della legge elettorale, che “chi è causa del suo mal...”. Per governare davvero, Prodi dovrà portare dalla sua almeno la metà dei 21 senatori dell’UDC e/o recuperare qualche transfuga di Forza Italia. Dev’essercene più d’uno che a farsi cinque anni di opposizione non ci pensa proprio. Magari non sarà indispensabile farlo subito, ma Prodi nel giro di sei mesi dovrà consolidare così la maggioranza. Il costo politico sarà molto alto ma i transfughi si troveranno. Con 10-12 senatori in più la maggioranza arriverebbe a 170 seggi circa, contro i 145 delle destre.

QUALE CLASSE DIRIGENTE? Fin qui stiamo parlando di limitare i danni, di mettere in piedi un governo che sia più di un governicchio e che, nella migliore delle ipotesi, possa rallentare il disastro del riconsegnare il paese a Berlusconi, e governare 2-3 anni fin quando qualcuno non avrà interesse a sfilarsi. Del resto questo è stato il risultato delle urne: l’Unione ha vinto per caso. Tutto quello che verrà è di più. Di fronte alla “non vittoria”, non può non aprirsi il dibattito su che classe politica e dirigente ha oramai questo paese. Perché il centrosinistra ha vinto le elezioni solo a metà? Perché Prodi, D’Alema, Fassino, Rutelli erano circondati da costosissimi spindoctors statunitensi? Perché non dicevano cose di sinistra? Perché se provavano a dirle, dicevano quelle sbagliate? Dobbiamo dire grazie a Berlusconi per avere, con il suo estremismo, permesso a Prodi di recuperare quote importanti di astensionismo da sinistra. Decine di migliaia di persone che, fino a tre mesi fa, pensavano di non votare, sono state accompagnate per mano da Silvio nostro fin dentro il seggio per votare Rifondazione, Verdi, Di Pietro, Comunisti italiani. Per la prima volta tutti i piccoli a sinistra del centrosinistra hanno fatto il quorum, ribassato al 2%. Adesso quest’astensionismo di sinistra, recuperato da Berlusconi contro Berlusconi, va mantenuto “per qualcosa”, per Prodi o per chi verrà dopo di lui. Essendo un astensionismo di sinistra sarebbe meglio che questo “per qualcosa” fosse qualcosa “di sinistra”. Non sarà facile. Da Rutelli a D’Alema il rafforzamento dell’ala sinistra non è visto con favore. Visto che il governo Prodi, per durare oltre l’estate, dovrà cooptare alcuni senatori eletti con le destre i segnali non sono incoraggianti.

LA PLEBE BENESTANTE Il 2 febbraio 2002 Nanni Moretti disse che “con questi dirigenti non vinceremo mai”. Non hanno vinto, dovrebbero andare a casa. Ma non hanno neanche perso, e quindi resteranno, anche perché non ci sono meccanismi democratici plausibili per rinnovare in toto la classe dirigente del centro sinistra. D’altra parte il paese spaccato in due non è una leggenda metropolitana. Il dibattito sul confermato consenso a Berlusconi non può essere sottovalutato. La “plebe benestante”, classe media consumista, incattivita, indifferente alla cultura e alla solidarietà, che considera sano il più bieco egoismo sociale che Silvio Berlusconi incarna,  è una parte sostanziale del paese, innanzitutto al nord. Questo esercito di Mastro Don Gesualdo, che pur di dire “roba mia viettene con me”, sarebbe disposto a sparare a vista, si sente intimamente rappresentato da una classe dirigente gretta, volgare e razzista come quella della CdL. La campagna elettorale si è incaricata di dimostrare che ben poca differenza c’è tra Berlusconi e Borghezio. I richiami a non demonizzare l’avversario risultano irricevibili rispetto a chi ha cooptato in parlamento addirittura i neonazisti di Forza Nuova, oltre ad aver fatto per cinque anni governare la Lega “blut und boden”.

CULI DI PIETRA Uno dei portati più deleteri della nuova legge è stato la lista bloccata. Tutti i partiti –a destra come a sinistra- l’hanno utilizzata nel peggiore dei modi possibile. Il principale partito della sinistra l’ha interpretata in maniera particolarmente nefasta. Da un lato non ha ricandidato la maggior parte dei deputati uscenti, una scelta giusta, ma dall’altra li ha sostituiti pessimamente. Chi ha seguito la formazione delle liste, sa che quelle liste bloccate sono composte esclusivamente da burocrati di partito, segretari provinciali, culi di pietra imboscati ai numeri 3, 4, 5 delle liste. Hanno già trovato casa da un mese in zona Montecitorio pur non avendo meriti. Gli elettori lo hanno percepito e non hanno premiato queste operazioni. In quelle liste non ci sono espressioni della società civile, docenti universitari, professionisti, artisti, operai. Ci sono solo burocrati, uomini d’apparato, che alla perpetuazione della casta devono la loro carriera. E’ questo uno dei motivi per i quali il centrosinistra non ha vinto le elezioni. Il popolo di sinistra è esigente e romantico. Costantemente sopra il 52% nei sondaggi, al dunque l’Unione è restata sotto il 50%, con appena 25.000 voti in più delle destre. E’ più facile dare meriti alla rimonta di Berlusconi, che dibattere sulle proprie insipienze e sul carrierismo dei funzionari di partito. Terrorizzato da tutti i movimenti, il palazzo di centrosinistra si è rinchiuso in se stesso come mai prima. Tanto c’era Berlusconi a mobilitare le coscienze. Adesso va verso la costituzione del Partito Democratico. Si che si presenta come un’architettura dall’alto, un’operazione in più degli apparati senza partecipazione delle masse, temute sempre di più per le istanze antiliberali che rappresentano. Il popolo di sinistra è contro la precarietà, la cupola considera questa ineludibile e quindi l’elettorato va anestetizzato e reso innocuo. Il riformismo di destra avanza. Era già successo con la neutralizzazione dei girotondi e non c’è nulla di meglio di un parlamento composto di aparátnik per neutralizzare le istanze dell’opinione pubblica di sinistra. Nel gruppo parlamentare dell’Ulivo una buona metà saranno i carneadi, i peones, buoni a votare di tutto per disciplina.

Ma proprio, la “non vittoria” di ieri e il magrissimo risultato della Rosa nel Pugno testimonia come non è più tempo per giochi di palazzo. La Rosa nel Pugno è stato un innesto del tutto artificiale nel corpo del centrosinistra. Tra gli opinionmaker di centrosinistra ha goduto di ottima stampa, sembrava dovessero votarla tutti, con quella foglia di fico della laicità. Invece l’operazione di marketing non è riuscita e la Rosa non l’ha comprata quasi nessuno. Ha preso il 2.5 per cento al Senato, il 2.6 alla Camera, dopo una campagna di stampa che ne esaltava il fascino per i giovani come fosse un deodorante. Spostare un partito da destra a sinistra, dargli una mano di vernice laica e pretendere di catturare voti di sinistra solo per questo, si è rivelata un’operazione insostenibile.

Avrebbero vinto i girotondi queste elezioni che i D’Alema e i Rutelli non hanno vinto nonostante Berlusconi? E’ impossibile dirlo. Ma c’è un meccanismo del quale il popolo di sinistra deve appropriarsi al di là della difficoltà dell’avere conquistato un governo debole ed una maggioranza ristretta. L’istanza dal basso per la costituzione del Partito Democratico e di qualunque altra entità venga costituita alla sua sinistra (c’è un’area del 10-15% che prima o poi qualcuno dovrà cogliere) deve essere centrale. Le elezioni interne, le cosiddette “primarie” non sono perfette, ma sono l’ultima opportunità per interporsi ad un’elitizzazione della politica che non arretra con la vittoria parziale del centrosinistra. La base deve imporre forme di democrazia partecipata (primarie sempre), anche per stabilire se un burocrate di partito deve fare parte di una lista. È l’ultima istanza democratica possibile. Non servirà a superare la spaccatura del paese –per quella il centrosinistra dovrebbe governare per 15 o 20 anni e rendere davvero il figlio dell’operaio uguale a quello del professionista- ma serve a dare nuovo senso alla partecipazione democratica, che è l’essenza della sinistra.


Gli italiani all'estero non sono tutti fascisti
La classe politica di sinistra, ma appieno anche l'opinione pubblica di sinistra, deve fare una profonda autocritica su vent'anni di pregiudizi e snobismo verso i cittadini italiani residenti all'estero e deve dare loro delle scuse frutto di tale autocritica.
Oggi, non solo il voto degli italiani all'estero risulta decisivo, ma ribalta perfino il risultato del senato. Per come il centrosinistra ha trattato gli italiani all’estero in questi anni ed ha continuato a trattarli durante tutta questa campagna elettorale, siamo di fronte ad un vero miracolo.
di Gennaro Carotenuto

Ancora durante tutta la campagna elettorale -ma la storia dura da decenni- l’opinione pubblica di sinistra ha continuato ad offendere senza conoscere i cittadini italiani all’estero. Troppi a sinistra hanno discriminato tra italiano ed italiano sulla base del luogo di residenza. Chiunque ha sentito ripetere fino alla nausea pregiudizi ai limiti della xenofobia: gli italiani all’estero non conoscerebbero e non sarebbero interessati all’Italia, sarebbero tutti fascisti e tutti succubi dell’attivismo del repubblichino Mirco Tremaglia. Un centrosinistra indolente ha dato ai cittadini italiani all’estero l’impressione di essere benvoluti a destra e mal sopportati a sinistra. Si è impegnato poco o nulla nella campagna e perfino nella scelta dei candidati si è dimostrato insensibile alla vita politica locale scegliendo a volte candidati che si oppongono ai governi di sinistra del posto.

Oggi il centrosinistra scopre stupito che la lista Tremaglia prende nel mondo meno voti di Alleanza Nazionale in Italia e che l’Unione fa il pieno di consensi dappertutto, doppiando nella circoscrizione Europea i voti delle destre. A interessarsi degli italiani all’estero, si scoprirebbero altre anomalie. Decine, forse centinaia di migliaia di italiani in Europa posseggono parabole e decoder Sky con i quali non solo guardano le partite della squadra del cuore, ma vedono il TG1, TG2 e perfino il TG3. Tutti gli altri, dagli Appennini alle Ande, vedono quotidianamente Rai International, che oltre alla Giostra del Gol, trasmette programmi d’informazione, almeno quello che il convento passa: Porta a Porta. Tutte queste persone, sono state in campagna elettorale costantemente offese da decine di opinionisti spesso molto autorevoli come Sergio Romano o Francesco Cossiga. In realtà chi non era interessato a votare non ha votato e basta. Ma quel 42% che ha votato, non lo ha fatto con meno cognizione di causa degli italiani d’Italia.

In Germania e Svizzera si sono superati i 150.000 votanti, in Argentina i 200.000 (più del doppio della Val D’Aosta, gli stessi elettori del Molise e pari ad una media città italiana). Siamo di fronte alla necessità di considerare quei collegi elettorali come qualunque altro collegio. Oggi quei seggi ci sono venuti in regalo dagli italiani all’estero. La sinistra non li meritava e adesso le sono decisivi per governare. Gli emigrati si hanno salvati, come ci hanno salvati tante volte, con le rimesse che hanno alimentato il boom economico, e prima salvato dall’inedia durante la guerra senza chiedere e ricevere nulla in cambio. Adesso ci hanno salvati da Berlusconi.

Questo paese però guarda con fastidio a “quando eravamo povera gente”. Nella contagiosa fobia xenofoba preferisce non guardare alla propria storia per non dover guardare a quella degli immigrati. È tempo di riscoprire gli italiani d’Australia o di Germania. Sono quegli italiani che ci aiuteranno ad integrare gli italiani che vengono dal Senegal o dal Perù. È infatti questa la sfida non più eludibile: il ripristino del suffragio universale in Italia con la conquista del diritto pieno di cittadinanza e di voto da parte di due milioni e mezzo d’immigrati. La sinistra pavida tende a spostare lontano nel tempo questo momento e ad evitare lo scontro con le destre. Non nega la necessità di giungervi ma ne ha elettoralmente terrore fino a rinunciare ai benefici che potrebbero derivargliene. E invece non è più tempo di sanatorie ma di cittadinanza! Questa legislatura non può essere sprecata.

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