piazza Fontana



Vivere è una sfida difficile, che si rinnova ogni giorno. Soprattutto se
si accetta di porsi delle domande, se ci si guarda intorno con occhio
critico e non in modo rassegnato.

La vicenda che si è conclusa con la sentenza della Suprema Corte di
Cassazione dopo 35 anni (ne avevo tre all'epoca della strage di piazza
Fontana, quel 12 dicembre 1969) chiama in causa direttamente il senso di
Giustizia e il senso dello Stato e fa sentire avviliti e frustrati.

Il punto critico non è certamente dato dal fatto che, come ci è stato
ricordato, il giudice di ultima istanza è di legittimità e non di merito,
e dunque non giudica i fatti, non costituisce un supplemento di giudizio.

E neppure si trattava di accedere al bisogno di risposte vendicative, di
trovare dei responsabili "ad ogni costo", ossia accettando anche il
rischio di perseguire persone non colpevoli: uno Stato democratico si
difende con la democrazia e il giusto processo ne è un requisito
essenziale.

Il vero dramma di questa sentenza e di tutta la vicenda segnata dalla
strage di piazza Fontana è che sembra inaccettabile che dopo 35 anni non
si sia riusciti a individuare nessun colpevole per una strage che ha
distrutto vite innocenti, ha sventrato famiglie, ha macchiato la nostra
città, l'intero Paese e più di una generazione. Tutto cio' scuote
profondamente e indigna.

Ma non solo. Come si può accettare di convivere col dubbio (ammesso che
sia solo un dubbio!) che anche apparati dello Stato e rappresentanti delle
istituzioni abbiano costruito coperture, deviazioni, depistaggi, distrutto
prove per occultare mandanti ed esecutori di quella orrenda pagina della
nostra vita?
Come si può sopportare che un processo incardinato in una città sia stato
da questa strappato arbitrariamente e trasferito a mille e più chilometri
di distanza (da Milano a Catanzaro), sulla base di una decisione che
nessuno sa spiegare e che non ha quasi alcun precedente? Chi risponderà di
questo? Quale senso di giustizia, quale fiducia nelle istituzioni e nel
futuro può nascere da simili passaggi oscuri della nostra vita pubblica
recente?

Ce ne sarebbe già abbastanza, ma si aggiunge qualcos'altro: la condanna
alle spese processuali delle parti civili, delle vittime del reato,
apparterrà pure alle regole del procedimento. Ma mai come in questo caso
ha il sapore di una suprema beffa.

Se ne avessi la possibilità, per manifestare la mia solidarietà vorrei
contribuire a pagare quelle spese processuali, che non dovrebbero gravare
esclusivamente su chi ha già duramente sofferto e ha già pagato in questi
lunghi anni, aggiungendo ingiustizia a ingiustizia.

Speriamo almeno che la memoria aiuti a non perdere il senso della storia.

Eugenio Galli (Milano)