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La nonviolenza e' in cammino. 797
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 797
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 2 Jan 2005 01:51:14 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 797 del 2 gennaio 2005 Sommario di questo numero: 1. Krishnammal Jagannathan: "Hai visto i miei figli?" 2. "Emergency" per le vittime del maremoto 3. Giuliano Pontara: Ripensare i diritti 4. Maria Carrozza intervista Pat Patfoort 5. Theresa Wolfwood intervista Rosita Escobar 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. KRISHNAMMAL JAGANNATHAN: "HAI VISTO I MIEI FIGLI?" [Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 dicembre 2004 riprendiamo questo intervento di Krishnammal Jagannathan (per contatti: Krishnammal Jagannathan, Lafti, Vinoba Ashram, Kuthur - 611 105 Nagapattinam District, Tamilnadu, India). Krishnammal, segretaria generale del Lafti, e' insieme a suo marito Jagannathan una delle piu' grandi figure della nonviolenza nel mondo; su Krishnammal e Jagannathan cfr. il libro di Laura Coppo, Terra gamberi contadini ed eroi, Emi, Bologna 2002. Per sostenere le attivita' di soccorso e ricostruzione da parte del movimento gandhiano Lafti, l'associazione italiana Overseas (tel. 059785425), da tempo partner della organizzazione indiana, raccoglie fondi su uno speciale conto corrente] Nel solo distretto di Nagapattinam, quello in cui lavora il nostro movimento Lafti (Land for Tiller's freedom), il maremoto ha ucciso almeno cinquemila persone, ci sono migliaia di dispersi e altre sessantamila hanno perso le case. Sulle coste di Nagapattinam e Velankanni venti dei cento villaggi costieri di pescatori sono andati interamente distrutti. Fra questi c'e' Akkaraipattei; lo conosciamo bene, perche' Jagannathan, mio marito, l'anno scorso ha digiunato li' per moltissimi giorni, nella nostra lotta contro gli allevamenti intensivi di gamberetti che non solo danneggiavano i circostanti campi di riso ma contribuivano a erodere le coste e inquinare le acque. Da tempo Jagannathan chiedeva invano la creazione di una cintura verde sulla costa per proteggerla dalla furia delle acque. L'acqua del mare e' entrata fino alle cittadine di Nagai e Velankanni, quest'ultimo famoso centro di pellegrinaggi. Molti i morti cristiani arrivati qui per le festivita' natalizie. I villaggi che realizzano progetti del Lafti sono stati risparmiati, non ci sono morti e hanno subito danni limitati perche' nelle parti piu' interne. Anche il collegio dei bambini e delle bambine che studiano col Lafti e' stato risparmiato. Ma a pochi chilometri, tante di quelle persone che con noi condividevano la lunga lotta nonviolenta sono morte o hanno perso tutto. Circa 10.000 case di mattoni e 7.000 capanne sono state spazzate via. * Sul pavimento del campus dell'ospedale di Nagapattinam sono stati deposti i corpi di oltre mille bambini di meno di dieci anni. Altri li ha sepolti direttamente la sabbia. E' triste che a causa dei timori di epidemie si debbano seppellire velocemente e in massa cosi' tante persone, senza nemmeno identificarle. Spezza il cuore vedere bambini rimasti senza genitori che ricevono con un sorriso panni e cibo nei centri di assistenza. Ma gli adulti sono distrutti. Anziane donne si disperano e dicono di non aver mai visto niente di simile. E poi "Aiya en pillayai Pathingala": "hai visto i miei bambini?", e' la domanda che ricorre di piu' da queste parti. Gli sfollati sono radunati in oltre settanta centri, allestiti in templi, scuole e altri spazi pubblici. Le istituzioni locali e le organizzazioni del posto, fra cui il Lafti, stanno operando per soddisfare i bisogni elementari: cibo, acqua, abiti, farmaci. Ma presto si porra' il problema di dare una casa a tutti quelli che l'hanno persa. Seguendo i nostri schemi di costruzione di case, pensiamo che si potrebbero costruire moduli prefabbricati dal costo unitario di circa 800 euro, dando oltretutto lavoro a persone rimaste senza mezzi di sussistenza. 2. APPELLI. "EMERGENCY" PER LE VITTIME DEL MAREMOTO [Da Marco Carnazzo, del gruppo di Emergency di Bologna (per contatti: emergencybologna at virgilio.it), riceviamo e diffondiamo questo comunicato di "Emergency", la prestigiosa associazione umanitaria italiana per la cura e la riabilitazione delle vittime delle guerre e delle mine antiuomo] Un team di Emergency e' in partenza per lo Sri Lanka, uno dei Paesi maggiormente colpiti dal maremoto di domenica 26 dicembre. Questa missione e' stata decisa anche a seguito del contatto avuto con l'ambasciata dello Sri Lanka in Italia che ha segnalato alcune priorita', alle quali cercheremo di far fronte nel piu' breve tempo possibile, vista la gravita' della situazione soprattutto dal punto di vista sanitario. "Abbiamo deciso di focalizzare il nostro intervento in favore della popolazione dello Sri Lanka non solo perche' e' una delle zone maggiormente colpite dal maremoto - dichiara Teresa Sarti, presidente di Emergency - ma anche perche' questa catastrofe ha portato alla superficie molte mine antiuomo che giacevano sepolte in quest'area dove sono ancora attivi focolai di guerra". I contributi a sostegno di questo intervento possono essere versati sul conto corrente postale n. 28426203 oppure on line tramite il sito internet www.emergency.it, indicando nella causale "vittime maremoto Sri Lanka". Per informazioni e contatti: Emergency, tel. 02863161, fax: 0286316336, e-mail: info at emergency.it, sito: www.emergency.it 3. RIFLESSIONE. GIULIANO PONTARA: RIPENSARE I DIRITTI [Ringraziamo Giuliano Pontara (per contatti: giuliano.pontara at philosophy.su.se) per averci messo a disposizione la sua introduzione al libro di Philip Alston e Antonio Cassese, Ripensare i diritti nel XXI secolo, Edizioni Gruppo Abele, Torino. Su Giuliano Pontara, che e' uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello internazionale, riproduciamo di seguito una breve notizia biografica gia' apparsa in passato su questo notiziario (e nuovamente ringraziamo di tutto cuore Giuliano Pontara per avercela messa a disposizione): "Giuliano Pontara e' nato a Cles (Trento) il 7 settembre 1932. In seguito a forti dubbi sulla eticita' del servizio militare, alla fine del 1952 lascia l'Italia per la Svezia dove poi ha sempre vissuto. Ha insegnato Filosofia pratica per oltre trent'anni all' Istituto di filosofia dell'Universita' di Stoccolma. E' in pensione dal 1997. Negli ultimi quindici anni Pontara ha anche insegnato come professore a contratto in varie universita' italiane tra cui Torino, Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, Trento. Pontara e' uno dei fondatori della International University of Peoples' Institutions for Peace (Iupip) - Universita' Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace (Unip), con sede a Rovereto (Tn), e dal '94 e' coordinatore del Comitato scientifico della stessa e direttore dei corsi [si e' ora dimesso, insieme all'intero comitato scientifico - ndr]. Dirige per le Edizioni Gruppo Abele la collana "Alternative", una serie di agili libri sui grandi temi della pace. E' membro del Tribunale permanente dei popoli fondato da Lelio Basso e in tale qualita' e' stato membro della giuria nelle sessioni del Tribunale sulla violazione dei diritti in Tibet (Strasburgo 1992), sul diritto di asilo in Europa (Berlino 1994), e sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia (sessioni di Berna 1995, come presidente della giuria, e sessione di Barcellona 1996). Pontara ha pubblicato libri e saggi su una molteplicita' di temi di etica pratica e teorica, metaetica e filosofia politica. E' stato uno dei primi ad introdurre in Italia la "Peace Research" e la conoscenza sistematica del pensiero etico-politico del Mahatma Gandhi. Ha pubblicato in italiano, inglese e svedese, ed alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo e francese. Tra i suoi lavori figurano: Etik, politik, revolution: en inledning och ett stallningstagande (Etica, politica, rivoluzione: una introduzione e una presa di posizione), in G. Pontara (a cura di), Etik, Politik, Revolution, Bo Cavefors Forlag, Staffanstorp 1971, 2 voll., vol. I, pp. 11-70; Se il fine giustifichi i mezzi, Il Mulino, Bologna 1974; The Concept of Violence, Journal of Peace Research , XV, 1, 1978, pp. 19-32; Neocontrattualismo, socialismo e giustizia internazionale, in N. Bobbio, G. Pontara, S. Veca, Crisi della democrazia e neocontrattualismo, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr. spagnola, Crisis de la democracia, Ariel, Barcelona 1985; Utilitaristerna, in Samhallsvetenskapens klassiker, a cura di M. Bertilsson, B. Hansson, Studentlitteratur, Lund 1988, pp. 100-144; International Charity or International Justice?, in Democracy State and Justice, ed. by. D. Sainsbury, Almqvist & Wiksell International, Stockholm 1988, pp. 179-93; Filosofia pratica, Il Saggiatore, Milano 1988; Antigone o Creonte. Etica e politica nell'era atomica, Editori Riuniti, Roma 1990; Etica e generazioni future, Laterza, Bari 1995; tr. spagnola, Etica y generationes futuras, Ariel, Barcelona 1996; La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Breviario per un'etica quotidiana, Pratiche, Milano 1998; Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, LIV, n. 10, ottobre 1998, pp. 35-49. E' autore delle voci Gandhismo, Nonviolenza, Pace (ricerca scientifica sulla), Utilitarismo, in Dizionario di politica, seconda edizione, Utet, Torino 1983, 1990 (poi anche Tea, Milano 1990, 1992). E' pure autore delle voci Gandhi, Non-violence, Violence, in Dictionnaire de philosophie morale, Presses Universitaires de France, Paris 1996, seconda edizione 1998. Per Einaudi Pontara ha curato una vasta silloge di scritti di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, nuova edizione, Torino 1996, cui ha premesso un ampio studio su Il pensiero etico-politico di Gandhi, pp. IX-CLXI". Una piu' ampia bibliografia degli scritti di Giuliano Pontara (che comprende circa cento titoli) puo' essere letta nel n. 380 del 10 ottobre 2002 di questo notiziario] Gli autori dei due scritti che costituiscono questo volume (l'undicesimo) della collana "Alternative" sono entrambi noti studiosi del diritto internazionale dei diritti umani. Ambedue sono anche da anni impegnati in organizzazioni internazionali di monitoraggio e protezione di tali diritti. Philip Alston e' uno dei massimi esperti mondiali nel campo dei diritti economici, sociali e culturali, ed e' stato per otto anni - dal 1991 al 1998 - presidente del Comitato dell'Onu su questi diritti. Antonio Cassese, giudice, autore di importanti lavori sui diritti umani, ha presieduto per cinque anni - dal 1993 a 1997 - il Tribunale dell'Aja sui crimini nella ex Iugoslavia (International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia). Entrambi gli autori "prendono i diritti sul serio". Sono quindi perfettamente coscienti dell'uso puramente ideologico cui il linguaggio dei diritti molto bene si presta e della retorica dei diritti, spesso usata nelle giustificazioni ufficiali di interventi "umanitari" di vario tipo (da qualsiasi parte avvengano) allo scopo di stendere cortine di fumo su azioni in realta' mosse da ben altre ragioni e far accettare alla gente politiche che, nei migliori dei casi, con i diritti umani non hanno nulla a che fare e, nei peggiori, comportano gravi e ripetute violazioni di essi. Ambedue gli autori concordano anche nel ritenere il sistema dei diritti umani, come concepito mezzo secolo fa, strumento sempre piu' inadeguato. Muovendo da una concezione dinamica, essi evidenziano il bisogno di ripensare e ridisegnare il sistema dei diritti umani in funzione del susseguirsi sempre piu' rapido di avvenimenti che in pochi decenni hanno profondamente cambiato il mondo. Da questo punto di vista i due scritti in questo volume sono complementari l'uno all'altro. Alston auspica un ripensamento del diritto internazionale in modo tale che anche degli attori non statali siano trattati alla stregua di "soggetti" al pari degli stati. Cassese insiste sul problema dell'enforcing, additando come particolarmente importanti alcuni diritti "essenziali". * Una delle sfide cui il sistema dei diritti umani, tradizionalmente inteso su basi puramente statocentriche, si trova di fronte e' posta dalla drastica riduzione della sfera del potere statale e dalla parallela ascesa di potenti attori non statali, connessa con il modello neoliberista prevalente nell'attuale processo di globalizzazione dell'economia. Prevale la tendenza allo stato minimo (peraltro armato fino ai denti), "guardiano notturno" della legge e dell'ordine. Il resto e' lasciato sempre di piu' alle operazione di un mercato globale presupposto libero, in realta' fortemente dominato da diecimila multinazionali e da potenti istituzioni finanziarie internazionali quali la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale. In questo modello, caratterizzato dalla deregulation del potere di attori privati mossi dalla logica dell'efficienza economica e della massimizzazione del profitto, favorevole alla privatizzazione anche dei servizi pubblici piu' essenziali, in cui le esigenze connesse al rispetto dei diritti sono sistematicamente messe in secondo piano (a meno che non si tratti di quelle che favoriscono le operazione del mercato e dello stato minimo), i deboli del mondo, coloro che non hanno potere contrattuale e potere di acquisto, sono destinati ad essere spazzati via. La logica in questo modello non e' quella di una benigna mano invisibile che assicura continui miglioramenti per tutti, bensi' piuttosto quella di un duro stivale - spesso assai visibile - che a grandi pedate relega i piu' poveri e i piu' deboli nei ghetti della poverta' assoluta. La tesi centrale sostenuta da Alston nel suo scritto e' che, tale essendo la situazione globale, una delle grandi sfide per il sistema dei diritti umani e' quella di ristrutturare il diritto internazionale dei diritti estendendo la portata del principio di responsabilita' dagli stati ad attori non statali quali, in primo luogo, le imprese multinazionali e le grandi organizzazioni finanziarie internazionali. Infatti, a tutt'oggi, tali attori, in quanto attori non statali, non sono vincolati dalle norme del diritto dei diritti. La proposta di Alston puo' avere implicazioni piu' o meno radicali, e la fattibilita' di quanto implicato puo' essere piu' o meno realistica. Come minimo, essa comporta che le politiche di attori non statali del tipo menzionato dovrebbero essere monitorate da sistemi internazionali ufficiali di controllo e attuazione dei diritti (e non solo dal mondo delle Ong - Amnesty International, Human Rights Watch, ecc. - come avviene oggi). * La lista dei diritti umani e' molto estesa e nuovi si vanno aggiungendo. Alcuni di essi, come certi diritti civili e politici, sono diritti "negativi" nel senso che richiedono immunita' da certi tipi di interferenza; altri, segnatamente certi diritti economici e sociali, sono "positivi", nel senso che implicano una pretesa di interventi di un certo tipo. I primi si violano essenzialmente per commissione, i secondi anche per omissione. Si dice spesso che tutti i diritti umani sono indivisibili e interdipendenti. E in qualche senso lo sono. Ma e' chiaro che essi possono confliggere, quanto meno nel senso che, come si continua a rilevare da varie parti, a causa della scarsita' di risorse non tutti possono venire pienamente attuati in breve tempo e per tutti. Teoricamente, vi sono vari modi per risolvere conflitti tra diritti e tra politiche alternative che incidono variamente sui diritti umani di molte persone. Un modo e' quello di prendere tutti i diritti ugualmente sul serio e quindi di volta in volta (cercare di) individuare la politica che probabilmente conduce alla maggiore attuazione totale dei diritti - nel lungo periodo dato che, plausibilmente, i diritti di individui futuri contano tanto quanto contano quelli degli individui oggi esistenti. Secondo questo modo di vedere non vi sono diritti umani assoluti, che non e' mai lecito violare: tra i diritti vi possono essere trade-offs. Plausibilmente, e fino a prova contraria, sia il numero delle persone i cui diritti sono coinvolti, sia il numero dei diritti attuati rispettivamente non attuati o violati, sia i gradi di attuazione, non attuazione o violazione, sono fattori ugualmente importanti. Inutile dire che, dato il gran numero di persone e di diritti coinvolti, le stime necessarie per individuare di volta in volta le politiche piu' atte a massimizzare la fruizione totale dei diritti comportano calcoli e operazioni estremamente complessi. Un modo di rendere il problema piu' gestibile consiste forse nel dare priorita' a pochi diritti che possono plausibilmente essere considerati basilari, ossia tali che l'effettiva fruizione di essi e' condizione necessaria per il perseguimento e la fruizione di tutti gli altri diritti. Tra i diritti basilari vi saranno, plausibilmente, oltre al diritto alla vita, il "diritto alla liberta' dalla fame" (come sancito nel Patto sui diritti economici, sociali e culturali), e oggi si puo' certamente aggiungere, dalla sete; o piu' in generale, un diritto di "sopravvivenza", inteso come diritto a un nutrimento adeguato, acqua potabile, servizi igienici e sanitari essenziali, educazione di base, insomma un diritto a quelle risorse basilari necessarie per raggiungere quel tenore di vita materiale e mentale a sua volta necessario per poter perseguire qualsiasi altro valore, scelta o proprio piano di vita. Questa e' la via indicata da Cassese il quale appunto suggerisce che la "comunita' internazionale", al fine di non disperdere energie e poter agire piu' efficacemente nella promozione dei diritti umani, negli anni a venire dovrebbe focalizzare l'attenzione su un numero ristretto di diritti civili politici ed economici "essenziali", potenziando contemporaneamente il sistema di controllo e implementazione di essi. * I diritti umani pongono severi limiti alle politiche locali e globali sia degli attori statali sia degli attori non statali. Cio' vale forse in particolar modo per i diritti basilari, quale quello alla liberta' dalla fame. Se la gente in alcune parti del mondo muore di fame in seguito alle politiche economiche di certi stati, o di certe imprese multinazionali e certe istituzioni finanziarie internazionali, perche' questi stati, imprese, istituzioni non sarebbero da ritenere corresponsabili di violazioni massicce di siffatto diritto? Si considerino, a titolo di puro esempio, i due seguenti casi. - Le sovvenzioni dei paesi ricchi dell'Occidente alla propria agricoltura, dell'ordine di 300 miliardi di dollari annui, e quelle alla produzione di tabacco, dell'ordine di 200 miliardi di dollari annui - da paragonarsi ai 52 miliardi di dollari annualmente devoluti all'assistenza nei "paesi in via di sviluppo" - producono, in questi ultimi, congiuntamente con le politiche doganali protezionistiche praticate dai primi, ulteriore disoccupazione, fame e miseria. Se tali sovvenzioni fossero drasticamente ridotte, e le politiche doganali radicalmente rivedute, tanti contadini del "Terzo Mondo" avrebbero ben altre possibilita' di esportazione dei loro prodotti, con conseguente diminuzione della poverta' e della fame tra di essi. Non comportano le politiche protezionistiche dei paesi occidentali violazioni di diritti umani? - Se gli Stati Uniti, invece di praticare il dumping della sovrapproduzione delle proprie granaglie in Africa, comperassero quelle che ivi vengono prodotte e quindi usassero le proprie risorse nella loro distribuzione, cio' costituirebbe un grande stimolo per l'agricoltura africana proprio dove c'e' maggiore bisogno di esso, con conseguente riduzione di disoccupazione, poverta', fame tra le popolazioni locali. Le esigenze di attuazione di diritti umani basilari non fanno si' che il dumping praticato dagli Usa costituisca una violazione di tali diritti? * I diritti implicano obblighi, e se gli obblighi non vengono onorati i diritti rimangono parole nelle Carte. Diritti umani basilari come quello alla vita e alla liberta' dalla fame implicano un obbligo dei governi (specie quelli che hanno ratificato i patti e le convenzioni in cui siffatti diritti sono sanciti), nonche' della comunita' internazionale di creare leggi, norme e istituzioni per la realizzazione di quelle politiche necessarie alla loro attuazione - a livello globale. Qui ci si scontra con un altro difficile problema per il sistema dei diritti umani, quello rappresentato dall'espansione dell'egemonia - specie militare - degli Stati Uniti nel mondo. Da piu' di mezzo secolo, la politica, tanto interna quanto estera, degli Usa viene ufficialmente presentata e giustificata come ispirata alla promozione dei diritti umani. Nel gennaio del 1941 il presidente F. D. Roosvelt, in un famoso messaggio al Congresso, proponeva una nuova societa' mondiale fondata sul rispetto, "da parte di tutti", dei diritti alla liberta' di parola e di pensiero, alla liberta' di culto, alla liberta' dal bisogno e alla liberta' dalla paura. Mezzo secolo dopo, alla Conferenza mondiale sui diritti umani che ebbe luogo a Vienna nel giugno l993, l'allora Segretario di Stato statunitense, Warren Chistopher, ribadiva l'impegno degli Usa nella difesa "della universalita' dei diritti umani" contro "gli aggressori di tutto il mondo e coloro che incoraggiano la diffusione delle armi", in base a un criterio unico di comportamento determinato dalla universalita' stessa dei diritti. E, immancabilmente, ogniqualvolta gli Usa sono intervenuti militarmente, da soli o alla testa di alleanze, sulla scena internazionale (interventi armati in Somalia, Bosnia, Kosovo, Iraq) essi si sono richiamati alla protezione dei diritti umani. Ma alle parole corrispondo di rado i fatti. E' noto che gli Stati Uniti sono i maggiori esportatori di armi nel mondo. E' arcinoto che gli Usa non hanno ratificato vari Patti e Convenzioni intesi a dare maggiore concretezza ai diritti sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Non hanno ratificato ne' il Patto sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 (ritenendo che parlare di tali diritti sia un nonsenso - una "lettera a Babbo Natale" aveva a suo tempo ironicamente caratterizzato questa categoria di diritti l'ambasciatore statunitense all'Onu Jeanne Kilpatrick), ne' la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione della donna del 1979, ne' la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia del l989 (unico paese al mondo, assieme alla Somalia, a non averla ratificata). Inoltre, pur avendo ratificando il Patto sui diritti civili e politici, essi hanno formulato precise riserve nei confronti dell'articolo 6(5) che proibisce la pena di morte per reati commessi da persone antecedentemente al loro diciottesimo anno di eta', sancendo che "nella legislazione presente e futura" degli Usa la pena capitale puo' essere comminata anche a persone per reati commessi quando erano minori. (Sedici stati mantengono a tutt'oggi una legislazione che permette l'esecuzione capitale per reati commessi da minori: tra questi, l'Arkansas e il North Carolina pongono il limite a quattordici anni, la Louisiana e la Virginia a quindici, il Mississippi a tredici). Gli Stati Uniti hanno anche formulato precise riserve nei confronti dell'articolo 7 dello stesso Patto che proibisce punizioni o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, sancendo che gli Usa sono vincolati da questo articolo "soltanto nella misura in cui 'punizione o trattamento crudele, inumano o degradante' significa punizione crudele o inusuale" come proibita dalla Costituzione degli Stati Uniti. Una simile riserva condiziona anche l'accettazione da parte degli Usa della Convenzione contro la tortura del 1984. Nel momento in cui sto stendendo queste righe gli Stati Uniti - che non intendono ratificare il trattato istitutivo della Corte penale internazionale - stanno allestendo tribunali militari speciali, incompatibili con ogni sistema democratico e stato di diritto, per giudicare i prigionieri tenuti a Guantanamo in condizioni che contravvengono le norme del diritto internazionale vigente. Una sfida per il sistema universale dei diritti umani e' quella di impedire che con l'egemonia militare statunitense prevalga a livello globale anche la concezione riduttiva dei diritti umani di cui la classe dirigente di questo paese e' portatrice. La sfida puo' addirittura essere nientemeno che quella di impedire che il diritto internazionale venga di fatto sostituito da quello americano. E' sperabile che l'Europa firmataria del Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1999, voglia e sia in grado di prendere questa sfida sul serio. * Un'altra grande sfida per il sistema dei diritti umani nel XXI secolo e' quella - brevemente discussa da Cassese nell'ultima parte del suo scritto - concernente l'enforcing dei diritti - almeno di quelli essenziali. Come Cassese rileva, tale strategia si articola essenzialmente in due direzioni: da una parte, attraverso il perseguimento e la punizione (per scopi preventivi, non grettamente retributivi) di persone provate colpevoli di crimini internazionali (tortura, crimini contro l'umanita', genocidio) da corti nazionali, o da tribunali penali internazionali; dall'altra, attraverso il ricorso, come ultima ratio e in via del tutto eccezionale, all'intervento armato da parte della comunita' internazionale allo scopo di porre termine a violazioni sistematiche e massicce di diritti umani, o almeno di quelli indicati da Cassese come "essenziali". Su questo ultimo punto il dibattito negli ultimi dieci anni si e' fatto sempre piu' intenso. Un numero crescente di voci, molte assai autorevoli, si sono alzate a sostenere o rispettivamente a contestare la tesi per cui il diritto internazionale deve essere sviluppato in modo tale da rendere possibile legittimare in base ad esso determinati interventi militari umanitari da parte della comunita' internazionale. Vari fautori di questa tesi auspicano addirittura la legittimazione di siffatti interventi anche senza l'autorizzazione dell'Onu - almeno in situazioni in cui l'Onu non sia in grado di agire e tutte le alternative diplomatiche e quelle di intervento non armato si siano dimostrate inefficaci. A sostegno di questa tesi si adducono talora vari precedenti di interventi fatti a scopo umanitario - o comunque ufficialmente presentati come tali - e avvenuti senza l'autorizzazione dell'Onu: l'intervento armato del Vietnam in Cambogia; l'intervento armato da parte dell'Ecowas (Economic Community of Western African States) nel l990 in Liberia dilaniata dalla guerra civile; l'intervento di truppe statunitensi, francesi e inglesi nel l991 nell'Iraq del Nord, giustificato ufficialmente come necessario per proteggere le popolazioni curde ivi residenti dopo il soffocamento della rivolta curda da parte dell'esercito di Saddam Hussein; i bombardamenti della Nato contro la Iugoslavia, e via dicendo. Il diritto internazionale non e' statico. Esso si trasforma continuamente attraverso nuove interpretazioni che non sono il risultato di conferenze diplomatiche internazionali, bensi' interpretazioni degli stati; e quando queste interpretazioni sono sostenute da grandi potenze e via via condivise da un numero sempre maggiore di stati, esse diventano in prosieguo di tempo consuetudine e un po' alla volta diritto vincolante (principio di effettivita'). Tuttavia, come Cassese rileva, non vi e' a tutt'oggi nel diritto internazionale consuetudinario una norma largamente accettata che sancisca interventi armati umanitari del tipo in questione. Sia in relazione al massiccio intervento armato della Nato in Kosovo nel 1999, sia in relazione all'intervento armato ancor piu' massiccio degli Usa e alleati contro l'Iraq (tutti e due gli interventi, come noto, sono avvenuti senza l'autorizzazione dell'Onu), la comunita' internazionale e' stata profondamene divisa. * L'attuazione dei diritti umani richiede potere. Ma si puo' lecitamente perseguire la loro attuazione attraverso operazioni militari che comportano esse stesse la violazione di diritti? Questo e' il dilemma. Nella sua trattazione vengono spesso tirati in ballo vari principi, quello di "proporzionalita'", quello di "discriminazione" tra perpetratori di violazioni di diritti e innocenti (tra combattenti e civili), e quello tra "violazioni dirette" (deliberatamente volute) e "violazioni collaterali" (previste o prevedibili, ma non deliberatamente volute) di diritti umani. Ciascuno di questi principi solleva piu' questioni di quelle che in base ad essi si cerca di risolvere. Le violazioni di diritti debbono essere proporzionali: come, quanto, a che cosa? E chi lo decide quando lo sono? Come si traccia piu' precisamente la linea di demarcazione tra coloro che sono coinvolti in violazioni massicce di diritti (combattenti) e coloro che non lo sono (civili)? Che senso ha, da parte delle vittime, se loro fondamentali diritti sono violati direttamente o collateralmente? E perche' mai le violazioni collaterali di diritti sarebbero meno importanti (quanto?) di quelle dirette? Qualcuno e' forse disposto ad avanzare seriamente la tesi per cui interventi militari come quelli della Nato contro la Iugoslavia o della coalizione Usa-Gran Bretagna (perche' di questa in effetti si e' trattato) contro l'Iraq, non comportano nessuna violazione di diritti? Ma gia' le politiche di sanzioni - comprese quelle decise in varie occasioni dal Consiglio di Sicurezza (da quelle contro la Repubblica Sudafricana al tempo dell'apartheid ufficiale, a quelle contro l'Iraq) - hanno avuto effetti devastanti sui diritti di milioni di persone. Come rilevato in un rapporto del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali - steso in base a un'analisi di vari tipi di sanzioni e del loro impatto nei vari paesi colpiti - "le sanzioni determinano spesso interruzioni nella distribuzione di cibo, prodotti farmaceutici e sanitari, compromettono la qualita' dell'alimentazione e l'accesso all'acqua potabile, colpiscono gravemente il funzionamento dei servizi sanitari di base e dell'istruzione, abbattono il diritto al lavoro". Se questi sono gli effetti sui diritti umani delle politiche di sanzioni, figurarsi quali sono quelli connessi con i massicci interventi armati "umanitari" verificatisi gli ultimi quindici anni! E allora? Allora e' auspicabile che il diritto internazionale non legittimi, in nome della tutela di diritti fondamentali, massicci interventi armati di tal tipo. E se per mettere fine a vistose e reiterate violazioni di diritti umani fondamentali e' ritenuto necessario, come ultima ratio, l'intervento armato da parte della comunita' internazionale, e' ovviamente importante che chi decide sull'ultima ratio non sia questo o quello stato o alleanza di stati e che le forze militari da far intervenire non siano quelle di paesi che nell'area di intervento hanno grossi interessi economici, geopolitici, ecc. E' quindi auspicabile che un eventuale diritto di intervento armato umanitario rimanga di esclusiva competenza dell'Onu. E' ben vero che in seno all'Onu le decisioni di intervento le prende il Consiglio di Sicurezza, che queste decisioni sono politiche e che, attraverso l'istituto del veto, possono essere bloccate. Ma e' altrettanto vero che politiche sono pure le decisioni di intervento di uno stato o alleanza di stati. Quello che occorre, oggi piu' che mai, e' potenziare il processo di riforma democratica e ulteriore rafforzamento dell'Onu. Nella regia di un'Organizzazione delle Nazioni Unite piu' democratica, piu' forte ed economicamente piu' attrezzata sono pensabili efficaci, e dal punto di vista internazionale piu' credibili, interventi umanitari alternativi a quelli armati: politiche di sanzioni molto selettive volte a colpire i responsabili di massicce violazioni di diritti umani e non intere popolazioni; impiego di vasti contingenti di verificatori (in Kosovo, per esempio, invece di ritirare i verificatori Osce in vista e/o preparazione dei bombardamenti, si poteva potenziarne fortemente la presenza portandoli da poche migliaia a decine di migliaia); impiego di forze di intervento non armate. * Comunque sia, l'introduzione nel diritto internazionale di una norma che sancisca, in determinate e ben specificate condizioni, "interventi armati umanitari" comporta l'evoluzione del diritto internazionale in direzione di una revisione dei principi di sovranita' e non-intervento. Ma cio' puo' avere implicazioni assai radicali. Se possono essere legittimati determinati e ben limitati interventi armati da parte della comunita' internazionale allo scopo di (cercare di) porre fine a massicce violazioni di diritti basilari perpetrate contro intere popolazioni dai loro governi o da fazioni coinvolte in una guerra civile, perche' non potrebbero parimenti essere legittimati interventi coercitivi (non dico armati!) da parte della comunita' internazionale nei confronti di stati - ma anche di attori non statali - le cui politiche economiche comportano palesi e gravi violazioni di diritti umani basilari tra le popolazioni del pianeta? E perche' non dovrebbero trovare legittimazione - sempre che sia possibile attuarle - misure volte a introdurre un sistema di tassazione coercitiva globale degli stati (e delle multinazionali) al fine di realizzare una ridistribuzione un po' piu' equa delle ricchezze e risorse del pianeta e garantire cosi' l'effettiva fruizione di diritti umani basilari per un numero crescente di persone? Cio' puo' a sua volta comportare una revisione del principio di sovranita' territoriale come sancito nell'articolo 1 comma 2 dei due Patti del '66 per cui "tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali". E' vero che questo articolo puo' essere visto come volto a tutelare dallo sfruttamento i popoli piu' poveri e deboli; ma e' parimenti chiaro che esso favorisce fortemente anche quelli che sono piu' ricchi, lo siano per fortuna naturale, o come frutto di passate immani violenze e violazioni di diritti nei confronti di altri popoli, o per ambedue questi fattori. La funzione del sistema dei diritti - presi sul serio - e' quella di costituire una barriera alla violenza in tutte le sue forme, da quella militare, a quella strutturale, a quella culturale. La grande sfida cui tale sistema si trova di fronte nel XXI secolo e' nientemeno che quella di riuscire a imporsi a livello globale. A rischio, altrimenti, di rivelarsi un inganno di piu'. 4. MATERIALI. MARIA CARROZZA INTERVISTA PAT PATFOORT [Dalla mailing list del gruppo di lavoro tematico sulla nonviolenza e i conflitti della Rete di Lilliput (glt-nonviolenza at liste.retelilliput.org) riprendiamo questa intervista. Maria Carrozza (per contatti: carrma at libero.it) ha scritto articoli e interviste sui temi della pace diffusi nella rete telematica. Pat Patfoort, antropologa e biologa, e' impegnata nei movimenti nonviolenti e particolarmente nella formazione alla nonviolenza. Tra le opere di Pat Patfoort: Una introduzione alla nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, 1988; Costruire la nonviolenza, La Meridiana, Molfetta (Ba) 1992; Io voglio, tu non vuoi. Manuale di educazione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2001] Quella che segue e' un'intervista con l'antropologa Pat Patfoort, che ha messo a punto, nel corso dei suoi studi, il "metodo dell'Equivalenza", un sistema efficace e nonviolento per la risoluzione dei conflitti. E lo ha sperimentato come metodo educativo e come strumento di mediazione, tanto all'interno delle carceri o nei conflitti interetnici, quanto all'interno della famiglia. "Difendersi senza attaccare" e' il titolo del prossimo libro dell'antropologa belga Pat Patfoort, ma soprattutto e' una formula suggestiva per descrivere in sintesi il metodo dell'Equivalenza, il sistema nonviolento per la soluzione dei conflitti da lei teorizzato, elaborato lungo un percorso di studio e di lavoro ultradecennale, che ha portato la studiosa fiamminga, trainer e mediatrice internazionale in diverse parti del mondo, e negli ultimi anni anche in Sardegna. In poche (e non certo esaustive) parole, mentre solitamente, in uno scambio di opinioni, lo scopo e' di "vincere" sull'altro e di prevaricarlo, di sottometterlo alle proprie ragioni, con il metodo dell'Equivalenza prevale lo sforzo di mettere sul piatto della bilancia le proprie convinzioni, valori, stati d'animo, per giungere ad una soluzione propositiva e "creativa" del conflitto d'idee. L'Equivalenza, che si pone come alternativa al sistema comune e prevalente di comunicazione (codificato dalla studiosa come modello del Maggiore/minore), puo' essere decritta in negativo: non e' violenza e non provoca sofferenza e rapporti di oppressione tra le persone (per un approfondimento della tematica si consiglia la lettura dei testi della Patfoort pubblicati in Italia, Costruire la nonviolenza: per una pedagogia dei conflitti, La Meridiana, Molfetta (Bari) 1992; e Io voglio, tu non vuoi. Manuale di educazione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2001). Chi ha portato Pat Patfoort nell'isola e' l'associazione "La Triangola", la onlus che ha aperto a Cagliari uno dei primi sportelli di Counseling e di Mediazione dei conflitti (per informazioni: tel. 070725139 e 070823154, e-mail: frances.baro at virgilio.it) e che, nell'ultima settimana di ottobre, ha organizzato un ciclo di seminari con Pat Patfoort: uno a Cagliari e una quattro giorni a Sassari. Attraverso "La Triangola", arriviamo a incontrare Pat Patfoort, che ci aspetta sorridente e disponibile a rispondere alle nostre domande. * Maria Carrozza: Come e' diventata mediatrice e qual e' la filosofia-guida del suo studio sulla gestione nonviolenta dei conflitti? Pat Patfoort: Il mio figlio maggiore ha 30 anni e 32, 33 anni fa ho iniziato a riflettere sull'educazione nonviolenta. Il lavoro con il centro di Bruges e' iniziato 13 anni fa. La struttura si chiama "Il fiore di fuoco", un fiore virtuale, secondo un'antica leggenda musulmana, che trasmette molto amore solo a chi coltiva la propria forza interiore. Il fiore significa dolcezza, bonta', il fuoco e' forza. Questi due poli, nella mia visione di nonviolenza, interagiscono: per essere nonviolenti bisogna avere consapevolezza delle proprie qualita', bisogna avere autostima. * Maria Carrozza: ... che e' anche un concetto fondamentale della teoria dell'Equivalenza. Quale importanza da' all'autostima? Pat Patfoort: Per me e' molto semplice: l'autostima negli esseri umani, specie nei bambini, deve essere coltivata, non repressa. Ad esempio, nel rapporto tra padre e figlio, piuttosto che fare molte critiche, sottolineare cio' che non va nel bambino, che avrebbe potuto fare meglio, il padre potrebbe prestare piu' attenzione alle qualita', alle attitudini personali, ai progressi che fa suo figlio. * Maria Carrozza: E invece cosa accade? Pat Patfoort: Generalmente in famiglia non va cosi': un bambino che mostra empatia con il mondo che lo circonda, che osserva le cose, viene lodato meno di uno bravissimo a scuola, che sa far di conto velocemente, che sa leggere ad un'eta' precoce e cosi' via... Considero questa negativita' come la malattia della societa' contemporanea. Noi stessi l'abbiamo dentro il nostro vissuto: ce l'hanno insegnata da piccoli, e da grandi la ripetiamo inconsciamente e l'applichiamo ai nostri figli. Infatti, il momento migliore per avvicinarsi alla nonviolenza e' quando ci nasce un figlio. La nonviolenza serve a questo punto, per aiutare i piccoli a diventare individui forti, senza frustrazioni, che non abbiano bisogno di esercitare la violenza sugli altri per affermarsi nella societa'. * Maria Carrozza: L'Equivalenza e' nato come un metodo educativo, ma lo si puo' sperimentare anche al di fuori del nucleo famigliare. Come e in che realta'? Pat Patfoort: Questo metodo e' funzionale a risolvere conflitti in tutti i contesti sociali, anche in quelli piu' ampi, come, ad esempio, nelle carceri, o in situazioni di guerra, tra gruppi contrapposti. Negli ultimi anni ho lavorato principalmente, in Belgio con i detenuti e in Senegal con i "Ribelli", un movimento di liberazione armato, rappresentativo delle popolazioni del sud, che da piu' di vent'anni si oppone al governo di Dakar. * Maria Carrozza: Come e' arrivata in Senegal? Pat Patfoort: Ho vissuto in Africa per oltre cinque anni, li' sono nati i miei figli. Tre anni fa l'Unicef mi ha incaricata di sviluppare un progetto di mediazione tra l'ala armata e la parte politica dei "Ribelli" (il movimento ha rotto le comunicazioni con il governo nel giugno del 2003). L'agenzia dell'Onu si rendeva conto di non poter svolgere il suo mandato, perche' e' chiaramente impossibile nutrire, curare, salvare gli orfani di guerra, mutilati, rifugiati e abbandonati dalle famiglie, se i bambini si rifiutano di mangiare. In Senegal il quotidiano delle persone e' la violenza e l'oppressione della guerra civile. * Maria Carrozza: E come lavora in questo terribile contesto di disperazione? Pat Patfoort: Il mio compito e' aiutare i Ribelli a liberarsi dalla violenza, che utilizzano esclusivamente a scopo di difesa. Con loro il metodo dell'Equivalenza ha iniziato a funzionare. Infatti, a un certo punto, le due parti del movimento di liberazione hanno ripreso a parlare. Il processo di composizione del conflitto sta prendendo il via, ma il vero problema e' costituito dalla societa' attorno, quella rappresentata del governo centrale di Dakar, che non sa ancora cosa vuol dire gestire un conflitto. * Maria Carrozza: In che senso? Pat Patfoort: Provo a spiegarmi con un'immagine: il governo si comporta come un genitore che, per ottenere ad ogni costo la pace tra i suoi figli, e' convinto che basti costringerli a tenersi per mano. In Senegal e' accaduto questo, quando Dakar ha dichiarato unilateralmente la fine della guerra civile, organizzando una grande festa, alla quale avrebbero dovuto partecipare tutti i Ribelli. Ma cosi' non e' stato: l'ala armata del movimento non ha accettato quella festa, era troppo presto per accettarla, ha fatto un passo indietro e i negoziati per la pace si sono di nuovo arrestati. * Maria Carrozza: Passiamo al lavoro con i detenuti: come e perche' e' iniziato? Pat Patfoort: Anche in Belgio la mediazione e' un fatto nuovo, e' un esperimento del Ministero della Giustizia per combattere il problema del sovraffollamento e delle rivolte nelle carceri, dove il 70% dei detenuti ha meno di 30 anni. Come usciranno dal carcere tutti questi uomini, come dei criminali, o come persone piu' responsabili? Queste sono le due alternative. E' ovvio preferire la seconda. Ma come arrivare al risultato? * Maria Carrozza: Gia', come? Pat Patfoort: Con il metodo nonviolento. Anche i detenuti, gli assassini ad esempio, quelli che hanno ucciso al culmine di un'escalation di violenza, rispondono bene al sistema dell'Equivalenza, un metodo che non ha dei contenuti da imporre, ma la funzione di trovare una soluzione ad un qualsivoglia conflitto. * Maria Carrozza: Parliamo della sua esperienza in Sardegna? Per alcuni, che fanno riferimento al codice barbaricino, e' una terra governata da un forte senso dell'identita', dalla vendetta e dall'invidia, che renderebbero la societa' sarda e le sue dinamiche non paragonabili ad altre esperienze. Cosa ne pensa? Pat Patfoort: Che la vostra sia una comunita' particolare, lo so. Ma anche in Sardegna ho individuato le stesse identiche dinamiche che alimentano i conflitti in ogni parte del mondo. Ad esempio, in tre paesi confinanti dove ho lavorato si parlava di rivalita', di attrito tra le diverse cittadinanze. Alcuni dicevano, invece, che i conflitti non esistevano, che non sono mai esistiti: insomma, facevano finta di niente. Ma queste dinamiche accadono in tutto il mondo. Penso, ad esempio, al Kossovo, dove sono stata. Quest'anno, dopo la morte in un fiume di tre ragazzini albanesi, si e' arrivati quasi di nuovo alla guerra civile. Ancora oggi i kossovari serbi per fare la spesa al mercato ci vanno sotto scorta. * Maria Carrozza: Quindi lei e' convinta che il metodo dell'Equivalenza sia, per cosi' dire, esportabile in tutto il mondo? Pat Patfoort: Si', certamente. E proviamo anche a ribaltare la domanda: il sistema Maggiore/minore funziona per risolvere i conflitti? La risposta e' scontata: il sistema Maggiore/minore ha sempre dato molti problemi. Pensiamo all'Iraq, dove il modello e' all'apice, o in Palestina... E' chiaro che non funziona e l'Equivalenza e' un'alternativa. C'e' ancora molto da scoprire in materia, ma occorre provare. L'Equivalenza sembra una follia, ma solo perche' non ci siamo abituati. 5. ESPERIENZE. THERESA WOLFWOOD INTERVISTA ROSITA ESCOBAR [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione la sua traduzione di questo articolo di Theresa Wolfwood pubblicato su www.awakenedwoman.com. Theresa Wolfwood e' la fondatrice del Barnard-Boeker Centre Foundation (Bbcf) che organizza e sostiene azioni per il cambiamento sociale ed l'educazione alla pace, alla giustizia sociale, ai diritti umani ed ai diritti delle donne. Geologa, ha lavorato in Canada, Usa, Etiopia ed Eritrea per governi e istituti scientifici. E' la coordinatrice delle Donne in nero di Vancouver, e la direttrice dell'organizzazione Transcend: Art for Peace che raggruppa artisti impegnati per la pace. Ha fatto lavoro di volontariato sociale in Nicaragua, Eritrea, Messico (Chiapas, in cui era osservatrice internazionale per i diritti umani) e Guatemala. Poeta, saggista e fotografa, alcuni dei suoi lavori sono nel sito www.islandnet.com/~bbcf, se invece si vogliono vedere gli striscioni per la pace da lei creati, ve ne sono alcuni su www.tapnet.info] Il marchio della linea di abiti per donna "Jennifer Moore", assieme a molti altri, utilizza il lavoro di donne e bambine del Guatemala. Migliaia di esse lavorano nelle "maquilas" che producono abiti esclusivamente per l'esportazione, quegli abiti che finiscono in vendita nei nostri negozi a prezzi esorbitanti. Rosita Escobar sta girando il mondo per raccontare le storie di queste donne e ragazze, grazie all'aiuto dell'Ecumenical Task Force for Justice in the Americas. Rosita e' la direttrice dell'organizzazione "Donne in solidarieta'" (Ames e' la sigla in spagnolo), che riunisce queste lavoratrici. Il gruppo si e' riunito per la prima volta nove anni or sono in un parco, una domenica pomeriggio in cui le donne si trovarono insieme con nulla in mano eccetto il proprio desiderio e la speranza di organizzarsi. Subito dopo, una sostenitrice forni' loro i fondi iniziali, e vinsero un'auto in una lotteria: il vento comincio' a girare. Le donne si incontrano regolarmente ogni domenica, per discutere e organizzare seminari. La domenica e' il loro solo giorno libero, in una settimana lavorativa di 66 ore. Eppure, centinaia di costoro hanno l'energia per "unirsi in un mondo di speranza", come dice Rosita. "Quest'unita' da' loro speranza nel mezzo del dolore e dello sfruttamento". * Sebbene la guerra civile in Guatemala sia finita, gli accordi di pace, che prevedevano la riforma agraria, democrazia e assistenza sociale, non sono stati implementati. Solo quest'anno, 500 comunita' rurali sono state sfrattate con violenza dalle loro terre. Le donne e i bambini di questi gruppi, fino ad ora circa 150.000, non hanno altra scelta che il lavoro nelle "maquilas". Solo per continuare ad esistere, una famiglia ha necessita' di circa 300 dollari al mese: le lavoratrici di una "maquila" a Guatemala City ne guadagnano in media 200. Percio' i bimbi lasciano la scuola molto presto, e si aggiungono a sorelle, fratelli e madri su un autobus scolastico che li trasporta in una fabbrica sporca, affollata e senza ventilazione. A dodici anni un bambino puo' lavorare legalmente, ma ci sono creature di 7 anni che lavorano in queste fabbriche. Gli adulti hanno ben poche garanzie e pochissimi raggiungeranno una pensione decente. Persino gli ospedali destinati ai poveri si fanno pagare. Ames lavora con gruppi affini in Nicaragua e Honduras, dove gli stipendi sono persino pu' bassi. L'unita' e la solidarieta' sono importanti; tutti coloro che lavorano nelle "maquilas" hanno diritto a sperimentare migliori condizioni, percio' Ames incoraggia e promuove la comunicazione e la relazione con altri gruppi a livello globale. Le lavoratrici di Ames si trovano ogni domenica a seguire seminari sull'eguaglianza di genere, sui diritti del lavoro e sui diritti umani; uno speciale training insegna pronto soccorso infermieristico, un piccolo ospedale fornisce alle donne i servizi di base. Cliniche mobili di Ames girano per le comunita' delle lavoratrici per fornire assistenza sanitaria alle loro famiglie. Uno dei loro scopi futuri e' la creazione di un tribunale per i diritti dei lavoratori, e nuovi programmi diretti ai giovani (educazione ai diritti umani, educazione sanitaria soprattutto riguardo alle malattie a trasmissione sessuale, programmi ricreativi) si stanno avviando. Ames offre anche assistenza legale a chi ne abbia bisogno. Io ho incontrato Rosita in Canada: lei ha osservato che la solidarieta' e' la cosa piu' importante, perche', ha detto, "vi sono abusi dei diritti umani anche in Canada, e la consapevolezza e la solidarieta' daranno forza anche a voi. L'energia per organizzarsi viene quando si costruisce solidarieta'". Rosita ci ha pregato di lavorare con istituzioni e sindacati, chiedendo prodotti "liberi dal sudore" e regolamenti che proteggano i lavoratori, di sostenere il commercio equo, e di informare l'opinione pubblica. In Canada gia' molte universita', ad esempio, hanno preso la decisione di non comprare i prodotti dello sfruttamento. Ho visto quella bella camicia nel negozio, una "Jennifer Moore". L'ho lasciata li', non ne avevo veramente bisogno. Ma Rosita ci ha detto che le lavoratrici e i lavoratori del Guatemala non ci stanno chiedendo un boicottaggio: hanno bisogno di quel lavoro. Percio' mi sono domandata come riconciliare il nostro vasto potere d'acquisto con la vita delle lavoratrici guatemalteche. Ho deciso che faro' informazione con i proprietari dei negozi, e chiedero' ai negozi del commercio equo di espandere la loro attivita'. Ho deciso anche che mandero' una donazione ad Ames, almeno l'equivalente dello sperequato profitto che si sarebbe guadagnato dalla camicia che mi piaceva. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 797 del 2 gennaio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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