La nonviolenza e' in cammino. 796



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 796 del primo gennaio 2005

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace ricorda Eliseo Milani
2. Vittorio Merlini: Una lettera da Krishnammal
3. Giuliano Pontara: La riconciliazione difficile
4. Giovanni Paolo II: Non lasciarti vincere dal male ma vinci con il bene il
male
5. Da tradurre: Emilia Ferreiro, Vigencia de Jean Piaget
6. Riletture: Germaine Greer, L'eunuco femmina
7. Riletture: Germaine Greer, La donna intera
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. LIDIA MENAPACE RICORDA ELISEO MILANI
[Ringraziamo di cuore Lidia Menapace (per contatti:
lidiamenapace at aliceposta.it) per questo intervento.
Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi
impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente
universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e
significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa'
civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli
interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di
convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un
movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La
Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001.
Eliseo Milani e' stato una grande, nobile, indimenticabile figura del
movimento operaio e della lotta degli oppressi per la liberazione
dell'umanita' intera]

Era un uomo molto affascinante coraggioso determinato: il coraggio lo ha
dimostrato anche negli ultimi anni di vita quando sapeva e diceva di essere
vivo per scommessa, eppure non cedeva al male, con una capacita' molto
elevata di resistere e persino di riderci su.
Tra le persone che dettero vita al "manifesto" come impresa politica e come
giornale, con altri della federazione del Pci di Bergamo e con i compagni di
Napoli Eliseo era  parte di uno dei pochi nuclei operai e di organizzazione
che si staccarono o furono espulsi dal Pci. Segno di un grande coraggio
esistenziale e politico, dato che - piu' di altri - ebbe la capacita' di
dare giudizi distaccati e "!aici" sul grande partito-chiesa del quale aveva
fatto parte.
Se il resto del gruppo storico non forzo' le uscite dal Pci, che potevano
essere numerose e significative, non lo si dovette certo alla pressione di
compagni come Eliseo e altri di origine operaia, che comunque si buttarono
con grande convinzione nel movimento del Sessantotto, soprattutto a
proposito di nuova analisi della composizione di classe, delle nuove figure
operaie, della organizzazione consigliare in  fabbrica, delle 150 ore e
della organizzazione sociale in qualche modo diretta dalle fabbriche, che
nel Sessantotto era ancora possibile, se il movimento non fosse stato
arrestato, quando la organizzazione del territorio stava passando oltre i
consigli di fabbrica, per avviare i consigli di zona.
Non voglio comunque usare Eliseo per fare una ricostruzione critica degli
errori o manchevolezze del "manifesto". Penso che mi strizzerebbe sorridendo
gli occhi e mi direbbe: "Ma perche' non parli come mangi e non dici le cose
che conosci direttamente, eh Lidia!".
*
Avevo verso di lui un affetto sincero e profondo, lo ammiravo. Anche la sua
raffinatezza del vestire, la raggiunta ricchezza e precisione del parlare e
insomma la sua caratteristica di intellettuale operaio erano dimostrazione
vivente della grandissima opera di  alfabetizzazione politica (ma ben piu':
era una cultura universitaria!) che il Pci era riuscito a diffondere nella
classe operaia (e tra le donne) con le scuole di partito, con una opera
molto frequente precisa programmata di costruzione di soggettivita'.
Ellseo era uno dei frutti piu' significativi di quel lavoro e anche dei piu'
schietti, dato che non ne ricavo' mai un atteggiamento di tipo "religioso"
verso il partito.
Questo gli va riconosciuto perche' non era frequente nemmeno tra gli altri
"grandi" del primo gruppo del "manifesto".
*
Voglio concludere ricordando che una estate - credo  nel '73 o '74 - fu
nostro ospite per un po' di giorni in val di Non a Cles, dove usavamo
passare le vacanze al paese natio di mio marito.
Percorse una valle tutta agricola allora, interamente agricola, a parte "La
frabicia", la fabbrica cosi' unica da essere detta tale per antonomasia, ed
era una fabbrica di cemento che c'e' ancora. Allora la valle era tutta un
frutteto di varie qualita' e non una  noiosa monocultura come oggi. Le
stagioni erano scandite dalla fioritura dei meli, e quando era molto forte
si diceva a proposito di una zona detta "Franza" (Francia): "e' nevega' en
Franza", tanto era soffice e compatto il manto di fiori bianchi.
Eliseo ascoltava le nostre chiacchiere di vallata e osservava con curiosita'
il fitto tessuto agricolo e la presenza contadina che nella Bergamasca non
esisteva piu', dato che Bergamo e Brescia erano province di antica e diffusa
industrializzazione, e discuteva sul perche' zone di cosi' profonda radice
cattolica si differenziassero tanto nelle scelte politiche e di voto. Era la
struttura produttiva che consentiva nella Bergamasca una significativa
presenza comunista e un fervido dibattito tra i cattolici  e nella val di
Non solo di democristiani.
*
A un certo punto ci siamo un po' persi di vista e ci incontravamo
occasionalmente nelle stazioni (tra i luoghi che frequento di piu') e dove
anche Eliseo si poteva trovare quando si muoveva tra Roma (dove si era alla
fine trasferito) e Bologna dove aveva sua figlia.
Credo che anche lui  mi volesse bene in quel suo modo schivo e un po'
rustico, da bergamasco. Ma del resto io pure sono montanara.

2. APPELLI. VITTORIO MERLINI: UNA LETTERA DA KRISHNAMMAL
[Ringraziamo Vittorio Merlini (per contatti: e-mail: guedrara at interfree.it,
tel. 053661062, cell. 3385035421) per averci inviato questo intervento.
Vittorio Merlini, agricoltore a Sestola sull'Appennino emiliano, dove vive
nella comunita' della Guedrara, formatore alla nonviolenza, gia' segretario
della Difesa popolare nonviolenta nell'ambito della campagna di obiezione di
coscienza alle spese militari (Osm), referente del "Gruppo 1%", cui si
aderisce destinando l'1% del proprio reddito a progetti di solidarieta'
attraverso un fondo comune, e' una delle figure piu' note e piu' vive della
nonviolenza in Italia.
Krishnammal, segretaria generale del Lafti, e' insieme a suo marito
Jagannathan una delle piu' grandi figure della nonviolenza nel mondo]

"Aiya en pillayai Pathingala": "hai visto i miei bambini?". E' il lamento
che porta il vento quando ci si avvicina a Velankanni e Nagapattinam.
Cosi' ci scrive Krishnammal (l'animatrice dell'organizzazione gandhiana
Lafti) dall'India.
E aggiunge: "E' commovente vedere i bimbi che hanno perso i loro genitori
ricevere vestiti con un sorriso nei campi di accoglienza".
Questo e' il volto dell'India in questa che loro chiamano semplicemente
"inondazione".
Questi alcuni dati del distretto di Nagapattinam, nel Tamil Nadu,
vicinissimo allo Sri Lanka: su 140 chilometri di costa 20 villaggi
cancellati e 38 molto danneggiati; l'onda alta 9-12 metri e' arrivata alle
ore 8,45 del 26 dicembre; 10.000 i morti del Tamil Nadu, di cui la meta' a
Nagapattinam; 80.000 gli sfollati che ora sono assistiti in 73 centri di
accoglienza; 10.000 case in mattoni distrutte e 7.000 capanne risucchiate
dal mare; bisogni urgenti: coperte, vestiti e medicine per un costo a
persona di 100 rupie (due euro); una casetta prefabbricata costa 700 euro; i
nostri 200 bambini del progetto "Operazione futuro di speranza" (sostegno a
distanza) sono salvi perche' gli ostelli distano 12 chilometri dal mare.
Cosi' conclude il suo messaggio Krishnammal: "abbiamo messo in atto alcuni
programmi di aiuti alimentari coadiuvati dalla gente di buona volonta'.
Aspettiamo il vostro aiuto e la vostra preghiera".
Overseas ha aperto un conto per la raccolta di fondi: causale "Emergenza
maremoto" c/c 1298672, coordinate bancarie ABI 5387 CAB 67060 (Banca
Popolare dell'Emilia).

3. RIFLESSIONE. GIULIANO PONTARA: LA RICONCILIAZIONE DIFFICILE
[Ringraziamo Giuliano Pontara (per contatti:
giuliano.pontara at philosophy.su.se) per averci messo a disposizione la sua
introduzione al libro di Alejandro Bendana e Charles Villa-Vicencio, La
riconciliazione difficile, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002. Su Giuliano
Pontara, che e' uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello
internazionale, riproduciamo di seguito una breve notizia biografica gia'
apparsa in passato su questo notiziario (e nuovamente ringraziamo di tutto
cuore Giuliano Pontara per avercela messa a disposizione): "Giuliano Pontara
e' nato a Cles (Trento) il 7 settembre 1932. In seguito a forti dubbi sulla
eticita' del servizio militare, alla fine del 1952 lascia l'Italia per la
Svezia dove poi ha sempre vissuto. Ha insegnato Filosofia pratica per oltre
trent'anni all'Istituto di filosofia dell'Universita' di Stoccolma. E' in
pensione dal 1997. Negli ultimi quindici anni Pontara ha anche insegnato
come professore a contratto in varie universita' italiane tra cui Torino,
Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, Trento. Pontara e' uno dei
fondatori della International University of Peoples' Institutions for Peace
(Iupip) - Universita' Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la
Pace (Unip), con sede a Rovereto (Tn), e dal '94 e' coordinatore del
Comitato scientifico della stessa e direttore dei corsi [si e' ora dimesso,
insieme all'intero comitato scientifico - ndr]. Dirige per le Edizioni
Gruppo Abele la collana "Alternative", una serie di agili libri sui grandi
temi della pace. E' membro del Tribunale permanente dei popoli fondato da
Lelio Basso e in tale qualita' e' stato membro della giuria nelle sessioni
del Tribunale sulla violazione dei diritti in Tibet (Strasburgo 1992), sul
diritto di asilo in Europa (Berlino 1994), e sui crimini di guerra nella ex
Jugoslavia (sessioni di Berna 1995, come presidente della giuria, e sessione
di  Barcellona 1996). Pontara ha pubblicato libri e saggi su una
molteplicita' di temi di etica pratica e teorica, metaetica  e filosofia
politica. E' stato uno dei primi ad introdurre in Italia la "Peace Research"
e la conoscenza sistematica del pensiero etico-politico del Mahatma Gandhi.
Ha pubblicato in italiano, inglese e svedese, ed alcuni dei suoi lavori sono
stati tradotti in spagnolo e francese. Tra i suoi lavori figurano: Etik,
politik, revolution: en inledning och ett stallningstagande (Etica,
politica, rivoluzione: una introduzione e una presa di posizione), in G.
Pontara (a cura di), Etik, Politik, Revolution, Bo Cavefors Forlag,
Staffanstorp  1971, 2 voll., vol. I, pp. 11-70; Se il fine giustifichi i
mezzi, Il Mulino, Bologna 1974; The Concept of Violence, Journal of Peace
Research , XV, 1, 1978, pp. 19-32; Neocontrattualismo, socialismo e
giustizia internazionale, in N. Bobbio, G. Pontara, S. Veca, Crisi della
democrazia e neocontrattualismo, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr.
spagnola, Crisis de la democracia, Ariel, Barcelona 1985; Utilitaristerna,
in Samhallsvetenskapens klassiker, a cura di M. Bertilsson, B. Hansson,
Studentlitteratur, Lund 1988, pp. 100-144; International Charity or
International Justice?, in Democracy State and Justice, ed. by. D.
Sainsbury, Almqvist & Wiksell International, Stockholm 1988, pp. 179-93;
Filosofia pratica, Il Saggiatore, Milano 1988; Antigone o Creonte. Etica e
politica nell'era atomica, Editori Riuniti, Roma 1990; Etica e generazioni
future, Laterza, Bari 1995; tr. spagnola, Etica y generationes futuras,
Ariel, Barcelona 1996; La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1996; Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo
Abele,  Torino 1996; Breviario per un'etica quotidiana, Pratiche, Milano
1998; Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, LIV, n. 10, ottobre 1998, pp.
35-49. E' autore delle voci Gandhismo, Nonviolenza, Pace (ricerca
scientifica sulla), Utilitarismo, in Dizionario di politica, seconda
edizione, Utet, Torino 1983, 1990 (poi anche Tea, Milano 1990, 1992). E'
pure autore delle voci Gandhi, Non-violence, Violence, in Dictionnaire de
philosophie morale, Presses Universitaires de France, Paris 1996, seconda
edizione 1998. Per Einaudi Pontara ha curato una vasta silloge di scritti di
Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, nuova edizione, Torino
1996, cui ha premesso un ampio studio su Il pensiero etico-politico di
Gandhi, pp. IX-CLXI". Una piu' ampia bibliografia degli scritti di Giuliano
Pontara (che comprende circa cento titoli) puo' essere letta nel n. 380 del
10 ottobre 2002 di questo notiziario]

I due scritti che costituiscono questo volume sono l'elaborazione dei
seminari sulla Riconciliazione tenuti dai rispettivi autori nell'ambito
nella terza settimana di un corso internazionale sui problemi della
diplomazia popolare, della nonviolenza, della trasformazione dei conflitti e
temi affini, che dal l993 si svolge annualmente presso la International
University of Peoples'Institutions for Peace (Iupip) - Universita'
internazionale delle istituzioni dei popoli per la pace (Unip) - con sede a
Rovereto in Trentino. Entrambi gli autori sono stati a lungo e sono tuttora
impegnati in processi e progetti attivi di riconciliazione, in continua
dialettica tra pensiero e azione. Charles Villa-Vicencio, l'autore del
primo, piu' lungo e sistematico scritto, e' un sudafricano che ha lavorato
con la Commissione di verita' e riconciliazione nel suo paese presieduta da
Desmond Tutu; attualmente dirige lo Institute for Justice and Reconciliation
in South Africa. Alejandro Bendana, autore del secondo scritto, piu' breve e
anche meno sistematico, ma non meno incisivo, e' un nicaraguese che ha
lottato con i sandinisti; e' stato rappresentante del governo sandinista
all'Onu e ha lavorato in progetti di incontro e riabilitazione di ex
combattenti contras e sandinisti; attualmente  dirige il Centro de  Estudios
Internacionales di Managua. I due autori provengono non solo da paesi e
situazioni diverse, ma anche da concezioni differenti: Villa-Vicencio e'
pastore e teologo protestante, Bendana e' un laico di tendenza marxista. I
due scritti nel presente volume rispecchiano in parte queste differenze e,
proprio per questo, s'integrano a vicenda.
*
La riconciliazione e' difficile - per molte e svariate ragioni.
Una e non l'ultima, e' che la stessa parola "riconciliazione" e' un termine
vago, usato in modi diversi e che si presta assai bene ad essere
strumentalizzato in operazioni retoriche la cui funzione e' quella di
coprire violenze, soprusi, violazioni massicce di diritti umani e mantenere
indebiti privilegi. Cio' vale anche nel caso del linguaggio dei diritti cui
negli ultimi quindici anni si e' ricorso sempre piu' spesso in maniera
puramente retorica per dare una patina di giustificazione ufficiale ad
operazioni, anche militari, in realta' volte a realizzare precisi obiettivi
geopolitici e che con la tutela dei diritti dell'uomo hanno ben poco da
fare. Cosi', come e' importante distinguere tra la teoria, la cultura e la
salvaguardia dei diritti umani fondamentali presi sul serio, da una parte, e
la retorica dei diritti, dall'altra, altrettanto importante e' distinguere
la riconciliazione presa sul serio dalla retorica della riconciliazione. E
la riconciliazione presa sul serio e' difficile - tanto piu' difficile
quanto piu' violento e protratto il conflitto tra le parti chiamate in
causa.
Come possono una o piu' popolazioni dilaniate da una guerra, da una guerra
civile, o martoriate da una dittatura, divise da odi, rabbia, paura,
sfiducia, cominciare - o ritornare - a convivere tra loro e con il proprio
passato in una situazione di pace stabile e dunque equa? Lasciare il passato
al passato, consegnarsi ad una specie di oblio collettivo e guardare
avanti - come in gran parte e' avvenuto nella transizione post-franchista in
Spagna?  Questa e' la ricetta proposta dal generale Pinochet: "L'unica cosa
da fare, cari amici, e' dimenticare. E non si dimentica riaprendo casi
giuridici e gettando qualcuno in galera. No. D-i-m-e-n-t-i-c-a-r-e. Questa
e' la parola. E per realizzare cio' ambedue le parti debbono dimenticare"
(Pinochet, 13 settembre 1995, cit. in Amnesty International, AMR 22/01/96,
p.12). Oppure fare giustizia, punire severamente i perpetratori di
violenza - chi, quanti, come? O fare luce sulla verita' e poi perdonare
tutto e andare avanti?
*
La riconciliazione, come e' intesa dai due autori in questo libro, implica
una risposta negativa a tutte e tre queste domande: non e' oblio del
passato, non puo' essere un modo comodo di mantenere indebiti privilegi e
sfuggire alle proprie responsabilita'; va ben oltre la giustizia penale,
punitiva; e non comporta necessariamente il perdono - che a livello
giuridico assume la figura dell'amnistia e a livello morale e' una cosa
personale che riguarda i singoli individui e non le societa'.
Entrambi gli autori vedono la riconciliazione come un lungo e complesso
processo di trasformazione nonviolenta di un conflitto (non quindi di
negazione del conflitto) volto a bloccare i meccanismi di deumanizzazione e
brutalizzazione intimamente connessi alla violenza e teso a tutelare diritti
fondamentali precedentemente violati e a costruire - o ricostruire -
rapporti di (crescente) fiducia e costruttiva collaborazione a tutti i
livelli - personale, istituzionale e strutturale. Dal Sudafrica al
Nicaragua, dal Ruanda ai Balcani, dal Guatemala all'Afghanistan il processo
di riconciliazione presenta tutta una serie di dimensioni - psicologiche,
sociali, economiche e politiche - che sono profondamente intrecciate e
nessuna delle quali puo' essere ignorata se tale processo ha da svilupparsi.
La riconciliazione, in quanto processo di trasformazione nonviolenta del
conflitto, si realizza per gradi e in modi diversi, secondo i contesti
conflittuali in cui il processo si verifica: ma deve venire da dentro e
coinvolgere le popolazioni dal basso; non puo' essere imposta ne' dall'alto
ne' dal di fuori. Il processo e' certamente condizionato dalle reali
relazioni di potere tra le parti in conflitto e puo' quindi richiedere, in
certe situazioni, dei compromessi: tra questi puo' rientrare l'istituzione
di amnistie che, come Villa-Vicencio rileva, quando sono concesse a
determinate condizioni non equivalgono ad impunita'. Vi e' una notevole
differenza, per esempio, tra l'amnistia generale decretata in Cile da
Pinochet prima di passare il governo ai politici civili, e l'amnistia
condizionata da un racconto veritiero da parte dei perpetratori delle
violenze commesse per motivazioni politiche ("amnesty in return for the
truth"), che la Commissione per l'amnistia istituita in Sudafrica poteva
concedere.
*
Uno dei mezzi cui si e' fatto ricorso in nome della riconciliazione sono i
diversi tipi di Commissioni di verita' istituite in vari paesi, a cominciare
da quelli latinoamericani: Uruguay, Argentina, Cile, El Salvador, Guatemala.
Nei primi tre, dopo la fine delle dittature militari, tali commissioni
furono istituite dall'alto, con decreto presidenziale, ed ebbero un mandato
(estremamente) limitato all'investigazione di casi di desaparecidos e di
assassinio, ma non di casi di torture, sevizie, imprigionamento illegale e
altre violazioni di diritti umani; inoltre, furono soggette al divieto di
fare i nomi delle persone responsabili dei crimini documentati. In El
Salvador (nel l992) e in Guatemala (nel 1996) siffatte commissioni furono
istituite dall'Onu con il mandato di investigare le grandi violenze e
massicce violazioni di diritti umani avvenute durante le orribili guerre
civili che martoriarono le popolazioni dei due paesi rispettivamente per
dodici e per oltre trent'anni: settantacinquemila persone uccise in El
Salvador, centomila in Guatemala, senza contare i desaparecidos, i torturati
ma non uccisi, le persone rese invalide per tutta la vita.
In El Salvador, dove la commissione era composta di tre eminenti membri non
salvadoregni nominati dal Segretario Generale dell'Onu, la commissione ebbe
sei mesi per condurre le sue investigazioni. Nel rapporto finale, pubblicato
nel marzo del '93, la commissione denunciava le violenze commesse da tutte
le parti ma soprattutto dalla polizia, dall'esercito e dai gruppi
paramilitari d'estrema destra, individuando anche i nomi di alcune delle
persone responsabili di tali violenze, e suscitando con cio' gran rabbia nei
quadri militari salvadoregni pur sempre potenti. Tanto che, cinque giorni
dopo la pubblicazione del rapporto, il governo decretava un'amnistia
generale.
In Guatemala, la Commissione per la Chiarificazione Storica (Ceh) delle
violenze e delle violazioni di diritti perpetrate nel corso della guerra
civile dal 1960 al l996 (era composta da due membri guatemaltechi e dal
commissario dell'Onu per il monitoraggio dei diritti umani in Guatemala)
ebbe un mandato molto limitato, dovette lavorare dietro porte chiuse e fu
soggetta al divieto di identificare i nomi delle persone individuate come
responsabili di atti criminali. Profondamente insoddisfatti dai lavori e dai
risultati della commissione, gruppi della societa' civile guatemalteca da
lungo impegnati, col supporto di forze di societa' civile transnazionale
(tra l'altro della Peace Brigades International) nel monitoraggio e nella
difesa dei diritti umani, istituirono una loro commissione di verita'
alternativa. Il rapporto finale, "Guatemala, Nunca Mas", fu presentato
pubblicamente il 26 aprile l998 dall'arcivescovo Juan Gerardi nella
cattedrale metropolitana: quattro volumi in cui erano documentate 55.000
violazioni di diritti umani - l'ottanta per cento attribuite alle forze
armate del paese. Due giorni dopo, la notte del 28 aprile, Juan Gerardi
veniva assassinato.
Fatta eccezione per la commissione alternativa in Guatemala, la credibilita'
delle varie commissioni di verita' nei paesi latinoamericani e' sempre stata
bassa, non ultimo agli occhi delle stesse popolazioni di quei paesi e
specialmente a quelli dei gruppi piu' impegnati sui diritti umani, ed alto
e' sempre stato il dubbio che esse fossero un modo di seppellire un passato
terribile il piu' presto e in maniera piu' indolore possibile negli archivi
della storia.
Altro e' il discorso sulla credibilita' ed efficacia della Commissione di
verita' e riconciliazione che ha operato in Sudafrica. Preceduta da un
intenso dibattito pubblico, nonche' da un attento esame dei funzionamenti e
da una valutazione critica dei risultati raggiunti dalle commissioni di
verita' latino-americane, tale Commissione fu formalmente istituita con il
Promotion of National Unity and Reconciliation Act firmato dal presidente
Nelson Mandela il 19 maggio 1995. A differenza delle varie commissioni di
verita' ufficiali in America Latina quella sudafricana fu caratterizzata
dalla pubblicita' delle sedute. Su di essa qui non mi dilungo perche' ne
tratta il primo capitolo dello scritto di Villa-Vicencio. Come lo stesso
autore rileva, e' troppo presto per dire se e in quale misura la commissione
abbia contribuito ad un (lento e difficile) processo di riconciliazione in
Sudafrica.
Una delle funzioni delle commissioni di verita', quando lavorano seriamente,
e' quella di dare alle vittime di soprusi e violenze la possibilita' di
testimoniare in pubblico i crimini di cui sono state fatti oggetto; un'altra
e' quella di riabilitare le vittime, di restituire ad esse la loro dignita'
e onorare la memoria di quelli che sono caduti.  Un'ulteriore funzione puo'
essere quella - che in effetti ebbe la Commissione di verita' e
riconciliazione in Sudafrica - di stabilire risarcimenti alle vittime sia da
parte dei loro aguzzini sia da parte della societa'. Come rileva
Villa-Vicencio, tale tipo di giustizia "riparatoria" (restorative), che sta
"a meta' strada tra la vendetta e il perdono", si presenta in certe
situazioni come il sostituto di un'impossibile o indesiderabile giustizia
penale punitiva nei confronti dei responsabili dei soprusi e delle violenze.
*
Ma le commissioni di verita', anche quando espletano bene le loro funzioni,
e la giustizia "riparatoria" sono mezzi efficaci per un processo di
riconciliazione soltanto se sono affiancate da politiche volte a realizzare
quelle profonde riforme istituzionali e strutturali necessarie per
rettificare le grandi ingiustizie sociali, economiche e politiche che stanno
alla base dei conflitti violenti. Anche se tutto non si puo' fare in breve
tempo, e ogni processo concreto di riconciliazione si sviluppa per tappe -
la prima delle quali e' certamente la fine delle ostilita' armate, delle
uccisioni, delle torture, delle violenze dirette -, senza politiche di
giustizia distributiva del tipo indicato quello che viene presentato come un
processo di riconciliazione puo' rivelarsi un inganno di piu'. Su tale
conclusione gli autori dei due saggi che costituiscono il presente volume
concordano, ma tra i due e' Bendana quello che su essa insiste con maggior
forza, inserendo il discorso sulla riconciliazione in quello sulla
globalizzazione.
La riconciliazione, come processo di trasformazione nonviolenta del
conflitto, e' tesa ad una diminuzione della violenza in tutte le sue forme -
tanto quella diretta, armata, quanto quella indiretta, strutturale. E
siccome sia l'una sia l'altra si nutrono oggi, spesso reciprocamente, a
livello globale, i processi di riconciliazione a livello locale si trovano
ad essere sempre piu' interconnessi con, e condizionati da, strutture,
attori e politiche globali. Tra le prime vi e' il Mercato; tra i secondi vi
sono le grandi alleanze militari come la Nato o grandi potenze militari ed
economiche come gli Usa; tra le terze figurano le politiche della Banca
Mondiale, del Fmi e della Wto. Qui, secondo Bendana, vanno individuati
alcuni gravi ostacoli per i processi di riconciliazione intesi come processi
di trasformazione nonviolenta dei conflitti. La logica del mercato teso alla
massimizzazione del profitto, e che oggi funziona nell'ambito di un
paradigma neoliberista globale uscito vincente dalla guerra fredda, gli
interessi geopolitici degli Usa, le politiche di aggiustamento strutturale
dettate dalle istituzioni di Bretton Wood, costituiscono congiuntamente
gravissimi ostacoli a processi di riconciliazione in quanto sono tra le
maggiori cause di quelle disparita' e disuguaglianze che tali processi sono
tesi ad eliminare o quanto meno a diminuire. In quest'ottica si colloca
anche la critica di Bendana alle politiche di "aiuto umanitario" da parte di
paesi "donatori" del Nord a paesi del Sud smembrati da terribili guerre
civili e a quel mondo delle Ong che, magari con buone intenzioni, in realta'
fa il gioco dei paesi "donatori" e costituisce un ostacolo, invece che una
risorsa, per la messa in moto di processi seri di riconciliazione.
*
La riconciliazione, intesa come processo di trasformazione nonviolenta di
conflitti violenti, e' parte di una piu' generale visione della conduzione
nonviolenta dei conflitti e presuppone una filosofia generale della
nonviolenza. Ne' Villa-Vicencio ne' Alejandro Bendana nei rispettivi scritti
di cui consiste questo volume articolano un discorso in questo senso. Ma un
articolato discorso sulla nonviolenza esiste, ed e' quello che in parte si
ispira a Gandhi il quale ha portato la teoria, oltre che la pratica, della
nonviolenza a nuovi livelli e che per la riconciliazione tra indu' e
musulmani nel subcontinente asiatico ha lottato in modo nonviolento per gran
parte della sua vita - anche se bisogna riconoscere che, a quasi
cinquant'anni dalla morte del Mahatma, assassinato proprio per il suo
tentativo di riconciliazione, pure tra questi due gruppi la riconciliazione
e' tuttora difficile. Ma quali altre strade vi sono?

4. DOCUMENTI. GIOVANNI PAOLO II: NON LASCIARTI VINCERE DAL MALE MA VINCI CON
IL BENE IL MALE
[Riproduciamo il testo del messaggio del papa Giovanni Paolo II per la
celebrazione della giornata mondiale della pace del primo gennaio 2005]

1. All'inizio del nuovo anno, torno a rivolgere la mia parola ai
responsabili delle Nazioni ed a tutti gli uomini e le donne di buona
volonta', che avvertono quanto necessario sia costruire la pace nel mondo.
Ho scelto come tema per la Giornata Mondiale della Pace 2005 l'esortazione
di san Paolo nella Lettera ai Romani: "Non lasciarti vincere dal male, ma
vinci con il bene il male" (12, 21). Il male non si sconfigge con il male:
su quella strada, infatti, anziche' vincere il male, ci si fa vincere dal
male.
La prospettiva delineata dal grande Apostolo pone in evidenza una verita' di
fondo: la pace e' il risultato di una lunga ed impegnativa battaglia, vinta
quando il male e' sconfitto con il bene. Di fronte ai drammatici scenari di
violenti scontri fratricidi, in atto in varie parti del mondo, dinanzi alle
inenarrabili sofferenze ed ingiustizie che ne scaturiscono, l'unica scelta
veramente costruttiva e' di fuggire il male con orrore e di attaccarsi al
bene (cfr Rm 12, 9), come suggerisce ancora san Paolo.
La pace e' un bene da promuovere con il bene: essa e' un bene per le
persone, per le famiglie, per le Nazioni della terra e per l'intera
umanita'; e' pero' un bene da custodire e coltivare mediante scelte e opere
di bene. Si comprende allora la profonda verita' di un'altra massima di
Paolo: "Non rendete a nessuno male per male" (Rm 12, 17). L'unico modo per
uscire dal circolo vizioso del male per il male e' quello di accogliere la
parola dell'Apostolo: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene
il male" (Rm 12, 21).
*
Il male, il bene e l'amore
2. Fin dalle origini, l'umanita' ha conosciuto la tragica esperienza del
male e ha cercato di coglierne le radici e spiegarne le cause. Il male non
e' una forza anonima che opera nel mondo in virtu' di meccanismi
deterministici e impersonali. Il male passa attraverso la liberta' umana.
Proprio questa facolta', che distingue l'uomo dagli altri viventi sulla
terra, sta al centro del dramma del male e ad esso costantemente si
accompagna. Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di
uomini e di donne che liberamente lo scelgono. La Sacra Scrittura insegna
che, agli inizi della storia, Adamo ed Eva si ribellarono a Dio e Abele fu
ucciso dal fratello Caino (cfr Gn 3-4). Furono le prime scelte sbagliate, a
cui ne seguirono innumerevoli altre nel corso dei secoli. Ciascuna di esse
porta in se' un'essenziale connotazione morale, che implica precise
responsabilita' da parte del soggetto e chiama in causa le relazioni
fondamentali della persona con Dio, con le altre persone e con il creato.
A cercarne le componenti profonde, il male e', in definitiva, un tragico
sottrarsi alle esigenze dell'amore (1). Il bene morale, invece, nasce
dall'amore, si manifesta come amore ed e' orientato all'amore. Questo
discorso e' particolarmente chiaro per il cristiano, il quale sa che la
partecipazione all'unico Corpo mistico di Cristo lo pone in una relazione
particolare non solo con il Signore, ma anche con i fratelli. La logica
dell'amore cristiano, che nel Vangelo costituisce il cuore pulsante del bene
morale, spinge, se portata alle conseguenze, fino all'amore per i nemici:
"Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete dagli da bere" (Rm
12, 20).
*
La "grammatica" della legge morale universale
3. Volgendo lo sguardo all'attuale situazione del mondo, non si puo' non
constatare un impressionante dilagare di molteplici manifestazioni sociali e
politiche del male: dal disordine sociale all'anarchia e alla guerra,
dall'ingiustizia alla violenza contro l'altro e alla sua soppressione. Per
orientare il proprio cammino tra gli opposti richiami del bene e del male,
la famiglia umana ha urgente necessita' di far tesoro del comune patrimonio
di valori morali ricevuto in dono da Dio stesso. Per questo, a quanti sono
determinati a vincere il male con il bene san Paolo rivolge l'invito a
coltivare nobili e disinteressati atteggiamenti di generosita' e di pace
(cfr Rm 12, 17-21).
Parlando all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dieci anni or sono,
della comune impresa al servizio della pace, ebbi a far riferimento alla
"grammatica" della legge morale universale (2), richiamata dalla Chiesa nei
suoi molteplici pronunciamenti in questa materia. Ispirando valori e
principi comuni, tale legge unisce gli uomini tra loro, pur nella diversita'
delle rispettive culture, ed e' immutabile: "rimane sotto l'evolversi delle
idee e dei costumi e ne sostiene il progresso... Anche se si arriva a negare
i suoi principi, non la si puo' pero' distruggere, ne' strappare dal cuore
dell'uomo. Sempre risorge nella vita degli individui e delle societa'" (3).
*
4. Questa comune grammatica della legge morale impone di impegnarsi sempre e
con responsabilita' per far si' che la vita delle persone e dei popoli venga
rispettata e promossa. Alla sua luce non possono non essere stigmatizzati
con vigore i mali di carattere sociale e politico che affliggono il mondo,
soprattutto quelli provocati dalle esplosioni della violenza. In questo
contesto, come non andare con il pensiero all'amato Continente africano,
dove perdurano conflitti che hanno mietuto e continuano a mietere milioni di
vittime? Come non evocare la pericolosa situazione della Palestina, la Terra
di Gesu', dove non si riescono ad annodare, nella verita' e nella giustizia,
i fili della mutua comprensione, spezzati da un conflitto che ogni giorno
attentati e vendette alimentano in modo preoccupante? E che dire del tragico
fenomeno della violenza terroristica che sembra spingere il mondo intero
verso un futuro di paura e di angoscia? Come, infine, non constatare con
amarezza che il dramma iracheno si prolunga, purtroppo, in situazioni di
incertezza e di insicurezza per tutti?
Per conseguire il bene della pace bisogna, con lucida consapevolezza,
affermare che la violenza e' un male inaccettabile e che mai risolve i
problemi. "La violenza e' una menzogna, poiche' e' contraria alla verita'
della nostra fede, alla verita' della nostra umanita'. La violenza distrugge
cio' che sostiene di difendere: la dignita', la vita, la liberta' degli
esseri umani" (4). E' pertanto indispensabile promuovere una grande opera
educativa delle coscienze, che formi tutti, soprattutto le nuove
generazioni, al bene aprendo loro l'orizzonte dell'umanesimo integrale e
solidale, che la Chiesa indica e auspica. Su queste basi e' possibile dar
vita ad un ordine sociale, economico e politico che tenga conto della
dignita', della liberta' e dei diritti fondamentali di ogni persona.
*
Il bene della pace e il bene comune
5. Per promuovere la pace, vincendo il male con il bene, occorre soffermarsi
con particolare attenzione sul bene comune (5) e sulle sue declinazioni
sociali e politiche. Quando, infatti, a tutti i livelli si coltiva il bene
comune, si coltiva la pace. Puo' forse la persona realizzare pienamente se
stessa prescindendo dalla sua natura sociale, cioe' dal suo essere "con" e
"per" gli altri? Il bene comune la riguarda da vicino. Riguarda da vicino
tutte le forme espressive della socialita' umana: la famiglia, i gruppi, le
associazioni, le citta', le regioni, gli Stati, le comunita' dei popoli e
delle Nazioni. Tutti, in qualche modo, sono coinvolti nell'impegno per il
bene comune, nella ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio.
Tale responsabilita' compete, in particolare, all'autorita' politica, ad
ogni livello del suo esercizio, perche' essa e' chiamata a creare
quell'insieme di condizioni sociali che consentono e favoriscono negli
esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona (6).
Il bene comune, pertanto, esige il rispetto e la promozione della persona e
dei suoi diritti fondamentali, come pure il rispetto e la promozione dei
diritti delle Nazioni in prospettiva universale. Dice in proposito il
Concilio Vaticano II: "Dall'interdipendenza ogni giorno piu' stretta e poco
alla volta estesa al mondo intero deriva che il bene comune... diventa oggi
sempre piu' universale ed implica diritti e doveri che interessano l'intero
genere umano. Pertanto ogni comunita' deve tener conto delle necessita' e
delle legittime aspirazioni delle altre comunita', anzi del bene comune di
tutta la famiglia umana" (7). Il bene dell'intera umanita', anche per le
generazioni future, richiede una vera cooperazione internazionale, a cui
ogni Nazione deve offrire il suo apporto (8).
Tuttavia, visioni decisamente riduttive della realta' umana trasformano il
bene comune in semplice benessere socio-economico, privo di ogni
finalizzazione trascendente, e lo svuotano della sua piu' profonda ragion
d'essere. Il bene comune, invece, riveste anche una dimensione trascendente,
perche' e' Dio il fine ultimo
delle sue creature (9). I cristiani inoltre sanno che Gesu' ha fatto piena
luce sulla realizzazione del vero bene comune dell'umanita'. Verso Cristo
cammina e in Lui culmina la storia: grazie a Lui, per mezzo di Lui e in
vista di Lui, ogni realta' umana puo' essere condotta al suo pieno
compimento in Dio.
*
Il bene della pace e l'uso dei beni della terra
6. Poiche' il bene della pace e' strettamente collegato allo sviluppo di
tutti i popoli, e' indispensabile tener conto delle implicazioni etiche
dell'uso dei beni della terra. Il Concilio Vaticano II ha opportunamente
ricordato che "Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa e'
contenuto all'uso di tutti gli uomini e popoli, sicche' i beni creati devono
pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per
compagna la carita'" (10).
L'appartenenza alla famiglia umana conferisce ad ogni persona una specie di
cittadinanza mondiale, rendendola titolare di diritti e di doveri, essendo
gli uomini uniti da una comunanza di origine e di supremo destino. Basta che
un bambino venga concepito perche' sia titolare di diritti, meriti
attenzioni e cure e qualcuno abbia il dovere di provvedervi. La condanna del
razzismo, la tutela delle minoranze, l'assistenza ai profughi e ai
rifugiati, la mobilitazione della solidarieta' internazionale nei confronti
di tutti i bisognosi non sono che coerenti applicazioni del principio della
cittadinanza mondiale.
*
7. Il bene della pace va visto oggi in stretta relazione con i nuovi beni,
che provengono dalla conoscenza scientifica e dal progresso tecnologico.
Anche questi, in applicazione del principio della destinazione universale
dei beni della terra, vanno posti a servizio dei bisogni primari dell'uomo.
Opportune iniziative a livello internazionale possono dare piena attuazione
al principio della destinazione universale dei beni, assicurando a tutti -
individui e Nazioni - le condizioni di base per partecipare allo sviluppo.
Cio' diventa possibile se si abbattono le barriere e i monopoli che lasciano
ai margini tanti popoli (11).
Il bene della pace sara' poi meglio garantito se la comunita' internazionale
si fara' carico, con maggiore senso di responsabilita', di quelli che
vengono comunemente identificati come beni pubblici. Sono quei beni dei
quali tutti i cittadini godono automaticamente senza aver operato scelte
precise in proposito. E' quanto avviene, a livello nazionale, per beni
quali, ad esempio, il sistema giudiziario, il sistema di difesa, la rete
stradale o ferroviaria. Nel mondo, investito oggi in pieno dal fenomeno
della globalizzazione, sono sempre piu' numerosi i beni pubblici che
assumono carattere globale e conseguentemente aumentano pure di giorno in
giorno gli interessi comuni. Basti pensare alla lotta alla poverta', alla
ricerca della pace e della sicurezza, alla preoccupazione per i cambiamenti
climatici, al controllo della diffusione delle malattie. A tali interessi,
la Comunita' internazionale deve rispondere con una rete sempre piu' ampia
di accordi giuridici, atta a regolamentare il godimento dei beni pubblici,
ispirandosi agli universali principi dell'equita' e della solidarieta'.
*
8. Il principio della destinazione universale dei beni consente, inoltre, di
affrontare adeguatamente la sfida della poverta', soprattutto tenendo conto
delle condizioni di miseria in cui vive ancora oltre un miliardo di esseri
umani. La Comunita' internazionale si e' posta come obiettivo prioritario,
all'inizio del nuovo millennio, il dimezzamento del numero di queste persone
entro l'anno 2015. La Chiesa sostiene ed incoraggia tale impegno ed invita i
credenti in Cristo a manifestare, in modo concreto e in ogni ambito, un
amore preferenziale per i poveri (12).
Il dramma della poverta' appare ancora strettamente connesso con la
questione del debito estero dei Paesi poveri. Malgrado i significativi
progressi sinora compiuti, la questione non ha ancora trovato adeguata
soluzione. Sono trascorsi quindici anni da quando ebbi a richiamare
l'attenzione della pubblica opinione sul fatto che il debito estero dei
Paesi poveri "e' intimamente legato ad un insieme di altri problemi, quali
l'investimento estero, il giusto funzionamento delle maggiori organizzazioni
internazionali, il prezzo delle materie prime e cosi' via" (13). I recenti
meccanismi per la riduzione dei debiti, maggiormente centrati sulle esigenze
dei poveri, hanno senz'altro migliorato la qualita' della crescita
economica. Quest'ultima, tuttavia, per una serie di fattori, risulta
quantitativamente ancora insufficiente, specie in vista del raggiungimento
degli obiettivi stabiliti all'inizio del millennio. I Paesi poveri restano
prigionieri di un circolo vizioso: i bassi redditi e la crescita lenta
limitano il risparmio e, a loro volta, gli investimenti deboli e l'uso
inefficace del risparmio non favoriscono la crescita.
*
9. Come ha affermato il Papa Paolo VI e come io stesso ho ribadito, l'unico
rimedio veramente efficace per consentire agli Stati di affrontare la
drammatica questione della poverta' e' di fornire loro le risorse necessarie
mediante finanziamenti esteri - pubblici e privati - concessi a condizioni
accessibili, nel quadro di rapporti commerciali internazionali regolati
secondo equita' (14). Si rende doverosamente necessaria una mobilitazione
morale ed economica, rispettosa da una parte degli accordi presi in favore
dei Paesi poveri, ma disposta dall'altra a rivedere quegli accordi che
l'esperienza avesse dimostrato essere troppo onerosi per determinati Paesi.
In questa prospettiva, si rivela auspicabile e necessario imprimere un nuovo
slancio all'aiuto pubblico allo sviluppo, ed esplorare, malgrado le
difficolta' che puo' presentare questo percorso, le proposte di nuove forme
di finanziamento allo sviluppo (15). Alcuni governi stanno gia' valutando
attentamente meccanismi promettenti che vanno in questa direzione,
iniziative significative da portare avanti in modo autenticamente condiviso
e nel rispetto del principio di sussidiarieta'. Occorre pure controllare che
la gestione delle risorse economiche destinate allo sviluppo dei Paesi
poveri segua scrupolosi criteri di buona amministrazione, sia da parte dei
donatori che dei destinatari. La Chiesa incoraggia ed offre a questi sforzi
il suo apporto. Basti citare, ad esempio, il prezioso contributo dato
attraverso le numerose agenzie cattoliche di aiuto e di sviluppo.
*
10. Al termine del Grande Giubileo dell'Anno 2000, nella Lettera apostolica
Novo millennio ineunte ho fatto cenno all'urgenza di una nuova fantasia
della carita' (16) per diffondere nel mondo il Vangelo della speranza. Cio'
si rende evidente particolarmente quando ci si avvicina ai tanti e delicati
problemi che ostacolano lo sviluppo del Continente africano: si pensi ai
numerosi conflitti armati, alle malattie pandemiche rese piu' pericolose
dalle condizioni di miseria, all'instabilita' politica cui si accompagna una
diffusa insicurezza sociale. Sono realta' drammatiche che sollecitano un
cammino radicalmente nuovo per l'Africa: e' necessario dar vita a forme
nuove di solidarieta', a livello bilaterale e multilaterale, con un piu'
deciso impegno di tutti, nella piena consapevolezza che il bene dei popoli
africani rappresenta una condizione indispensabile per il raggiungimento del
bene comune universale.
Possano i popoli africani prendere in mano da protagonisti il proprio
destino e il proprio sviluppo culturale, civile, sociale ed economico!
L'Africa cessi di essere solo oggetto di assistenza, per divenire
responsabile soggetto di condivisioni convinte e produttive! Per raggiungere
tali obiettivi si rende necessaria una nuova cultura politica, specialmente
nell'ambito della cooperazione internazionale. Ancora una volta vorrei
ribadire che il mancato adempimento delle reiterate promesse relative
all'aiuto pubblico allo sviluppo, la questione tuttora aperta del pesante
debito internazionale dei Paesi africani e l'assenza di una speciale
considerazione per essi nei rapporti commerciali internazionali,
costituiscono gravi ostacoli alla pace, e pertanto vanno affrontati e
superati con urgenza. Mai come oggi risulta determinante e decisiva, per la
realizzazione della pace nel mondo, la consapevolezza dell'interdipendenza
tra Paesi ricchi e poveri, per cui "lo sviluppo o diventa comune a tutte le
parti del mondo, o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone
segnate da un costante progresso" (17).
*
Universalita' del male e speranza cristiana
11. Di fronte ai tanti drammi che affliggono il mondo, i cristiani
confessano con umile fiducia che solo Dio rende possibile all'uomo ed ai
popoli il superamento del male per raggiungere il bene. Con la sua morte e
risurrezione Cristo ci ha redenti e riscattati "a caro prezzo" (1 Cor 6, 20;
7, 23), ottenendo la salvezza per tutti. Con il suo aiuto, pertanto, e'
possibile a tutti vincere il male con il bene.
Fondandosi sulla certezza che il male non prevarra', il cristiano coltiva
un'indomita speranza che lo sostiene nel promuovere la giustizia e la pace.
Nonostante i peccati personali e sociali che segnano l'agire umano, la
speranza imprime slancio sempre rinnovato all'impegno per la giustizia e la
pace, insieme ad una ferma fiducia nella possibilita' di costruire un mondo
migliore.
Se nel mondo e' presente ed agisce il "mistero dell'iniquita'" (2 Ts 2, 7),
non va dimenticato che l'uomo redento ha in se' sufficienti energie per
contrastarlo. Creato ad immagine di Dio e redento da Cristo "che si e' unito
in certo modo ad ogni uomo" (18), questi puo' cooperare attivamente al
trionfo del bene. L'azione dello "Spirito del Signore riempie l'universo"
(Sap 1, 7). I cristiani, specialmente i fedeli laici, "non nascondano questa
speranza nell'interiorita' del loro animo, ma con la continua conversione e
la lotta 'contro i dominatori di questo mondo di tenebra e contro gli
spiriti del male' (Ef 6, 12) la esprimano anche attraverso le strutture
della vita secolare " (19).
*
12. Nessun uomo, nessuna donna di buona volonta' puo' sottrarsi all'impegno
di lottare per vincere con il bene il male. E' una lotta che si combatte
validamente soltanto con le armi dell'amore. Quando il bene vince il male,
regna l'amore e dove regna l'amore regna la pace. E' l'insegnamento del
Vangelo, riproposto dal Concilio Vaticano II: "La legge fondamentale della
perfezione umana, e percio' anche della trasformazione del mondo, e' il
nuovo comandamento della carita'" (20).
Cio' e' vero anche in ambito sociale e politico. A questo proposito, il Papa
Leone XIII scriveva che quanti hanno il dovere di provvedere al bene della
pace nelle relazioni tra i popoli devono alimentare in se' e accendere negli
altri "la carita', signora e regina di tutte le virtu'" (21). I cristiani
siano testimoni convinti di questa verita'; sappiano mostrare con la loro
vita che l'amore e' l'unica forza capace di condurre alla perfezione
personale e sociale, l'unico dinamismo in grado di far avanzare la storia
verso il bene e la pace.
In quest'anno dedicato all'Eucaristia, i figli della Chiesa trovino nel
sommo Sacramento dell'amore la sorgente di ogni comunione: della comunione
con Gesu' Redentore e, in Lui, con ogni essere umano. E' in virtu' della
morte e risurrezione di Cristo, rese sacramentalmente presenti in ogni
Celebrazione eucaristica, che siamo salvati dal male e resi capaci di fare
il bene. E' in virtu' della vita nuova di cui Egli ci ha fatto dono che
possiamo riconoscerci fratelli, al di la' di ogni differenza di lingua, di
nazionalita', di cultura. In una parola, e' in virtu' della partecipazione
allo stesso Pane e allo stesso Calice che possiamo sentirci "famiglia di
Dio" e insieme recare uno specifico ed efficace contributo all'edificazione
di un mondo fondato sui valori della giustizia, della liberta' e della pace.
Dal Vaticano, 8 Dicembre 2004.
*
Note
1. A questo proposito, Agostino afferma: "Due amori hanno fondato due
citta': l'amore di se', portato fino al disprezzo di Dio, ha generato la
citta' terrena; l'amore di Dio, portato fino al disprezzo di se', ha
generato la citta' celeste" (De Civitate Dei, XIV, 28).
2. Cfr Discorso per il cinquantesimo anniversario della fondazione dell'Onu
(5 ottobre 1995), 3: Insegnamenti XVIII/2 (1995), 732.
3. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1958.
4. Giovanni Paolo II, Omelia presso Drogheda, Irlanda (29 settembre 1979),
9: AAS 71 (1979), 1081.
5. Secondo una vasta accezione, per bene comune s'intende 'l'insieme di
quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai
singoli membri, di raggiungere la propria perfezione piu' pienamente e piu'
speditamente". Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 26.
6. Cfr Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961), 417.
7. Cost. past. Gaudium et spes, 26.
8. Cfr Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961), 421.
9. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991),
844.
10. Cost. past. Gaudium et spes, 69.
11. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991),
837.
12. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42: AAS 80
(1988), 572.
13. Discorso ai partecipanti alla Settimana di studio della Pontificia
Accademia delle Scienze (27 ottobre 1989), 6: Insegnamenti XII/2 (1989),
1050.
14. Cfr Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 56-61: AAS 59 (1967),
285-287; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 33-34: AAS
80 (1988), 557-560.
15. Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio al Presidente del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace: "L'Osservatore Romano" 10 luglio 2004, p. 5.
16. Cfr n. 50: AAS 93 (2001), 303.
17. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 17: AAS 80
(1988), 532.
18. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 22.
19. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 35.
20. Cost. past. Gaudium et spes, 38.
21. Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII 11 (1892), 143; cfr Benedetto
XV, Lett. enc. Pacem Dei: AAS 12 (1920), 215.

5. DA TRADURRE. EMILIA FERREIRO: VIGENCIA DE JEAN PIAGET
Emilia Ferreiro, Vigencia de Jean Piaget, Siglo Veintiuno Editores,
Mexico-Madrid 1999, pp. 136. Una raccolta di saggi dell'illustre studiosa
sul suo non dimenticato maestro.

6. RILETTURE. GERMAINE GREER: L'EUNUCO FEMMINA
Germaine Greer, L'eunuco femmina, Bompiani, Milano 1972, 1979, pp. XXIV
+380. Un libro classico, e indimenticabile.

7. RILETTURE. GERMAINE GREER: LA DONNA INTERA
Germaine Greer, La donna intera, Mondadori, Milano 2000, 2001, pp. VI + 390,
euro 8,26. Una lettura indispensabile.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 796 del primo gennaio 2005

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