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La nonviolenza e' in cammino. 793
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 793
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 29 Dec 2004 00:19:44 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 793 del 29 dicembre 2004 Sommario di questo numero: 1. Il Movimento Nonviolento aderisce all'iniziativa umanitaria del Lafti per le vittime del maremoto 2. Appello di "Medici senza frontiere" 3. Due catastrofi 4. Nanni Salio: Il potere sta sulla canna della bici 5. "Tra noi e Lynndie...". Un incontro tra donne 6. Riletture: Agnes Heller, La teoria dei bisogni in Marx 7. Riletture: Agnes Heller, La teoria, la prassi e i bisogni 8. Riletture: Agnes Heller, Morale e rivoluzione 9. Riletture: Agnes Heller, Le condizioni della morale 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. APPELLI. IL MOVIMENTO NONVIOLENTO ADERISCE ALL'INIZIATIVA UMANITARIA DEL LAFTI PER LE VITTIME DEL MAREMOTO [Da Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta (per contatti: e-mail: azionenonviolenta at sis.it; sito: www.nonviolenti.org), riceviamo e diffondiamo questo appello. Nella lettera di invio Mao Valpiana aggiunge: "Conosciamo e stimiamo molto Krishnammal e Jagannathan, due instancabili e straordinari amici della nonviolenza. In questi giorni Alberto ed Anna Luisa L'Abate sono in India, nei villaggi gandhiani". Sulle luminose figure di Krishnammal e Jagannathan cfr. il bel libro di Laura Coppo, Terra gamberi contadini ed eroi, Emi, Bologna 2002. Sul Lafti cfr. la scheda di Stefano Longagnani nel n. 439 dell'8 dicembre 2002 di questo notiziario] Il Movimento Nonviolento aderisce all'iniziativa umanitaria lanciata dal Lafti per inviare aiuti alle popolazioni colpite dal maremoto. * Cari amici, vi trasmetto le informazioni che ho richiesto all'associazione italiana Overseas che sostiene l'organizzazione Lafti di Krishnammal Jagannathan, la leader gandhiana che ricorderete perche' fu in Italia anche quattro anni fa (nota anche per la vincente campagna nonviolenta contro le multinazionali dei gamberetti, che distruggevano le economie locali dei pescatori). Il Lafti opera da oltre 35 anni a favore della popolazione della poverissima regione indiana del Tamilnadu. Attualmente era impegnato a soccorrere le famiglie di contadini della zona di Nagapattinam, che grazie alla instancabile azione di Krishnammal, del marito Jagannathan e della loro comunita' gandhiana, avevano ottenuto 10.000 acri da coltivare, e che ad ottobre erano state drammaticamente colpite da inondazioni che ne avevano distrutto le abitazioni, vanificato i raccolti, costringendole gia' allo sfollamento e a morire di fame. Chi puo' partecipare alla sottoscrizione straordinaria a favore della popolazione puo' servirsi del conto corrente postale sottoindicato. Cari saluti, Maria Antonietta * Da Overseas: Cara Maria Antonietta, abbiamo appena ricevuto una lettera elettronica dal segretario del Lafti che ci ha aggiornato sulla drammatica situazione che stanno vivendo. Riportiamo il testo della lettera: "Tutto il Tamilnadu, e in particolare la nostra area di Nagapattinam e' stata gravemente colpita. Le citta' di Nagapattinam e Velankanni (che distano soltanto 13 chilometri dalla sede del Lafti) sono state danneggiate moltissimo. Ma la sede del Lafti e gli ostelli dell'"Operazione futuro di speranza" non hanno subito conseguenze, nessun danno alle persone e alle cose. Nelle due citta' di Nagapattinam e Velankanni sono morte piu' di 5.000 persone, 12 villaggi completamente cancellati. In questi 12 villaggi non e' sopravissuto nessun abitante, ne' sono rimaste le tracce delle loro povere abitazioni". Il Lafti ci mandera' al piu' presto altre informazioni sugli aiuti che sta portando alla popolazione. Ci dicono inoltre che Amma e Appa [Krishnammal e Jagannathan] si trovano a Madras e possiamo immaginare con quanta apprensione e dolore stiano vivendo questi momenti. La lettera si conclude con l'invito "Pray God" (preghiamo Dio). Ed e' quello che cerchiamo di fare mentre ci facciamo promotori di una sottoscrizione straordinaria "Emergenza maremoto". Per la sottoscrizione straordinaria abbiamo acceso un apposito conto corrente presso la Banca Popolare dell'Emilia Romagna, filiale di Spilamberto: n.1298672 CAB 5387 ABI 67060 "Overseas-onlus Emergenza maremoto". Sara' nostra cura trasmettere agli interessati le informazioni che ci inviera' il Lafti. Mario Cavani, Overseas onlus, via Castelnuovo R.ne 1190, 41057 Spilamberto (Mo), tel. 059785425, fax: 0597860055, e-mail: overseas at overseas-onlus.org, sito: www.overseas-onlus.org 2. APPELLI. APPELLO DI "MEDICI SENZA FRONTIERE" [Da Enzo Mazzi, animatore della comunita' dell'Isolotto di Firenze (per contatti: emazzi at videosoft.it), riceviamo e diffondiamo questo appello. Enzo Mazzi nella lettera di invio aggiunge: "Perche' i nostri contributi seguano percorsi il piu' possibile diretti e meno dispersivi, vi segnalo 'Medici senza frontiere' e vi trasmetto il loro appello"] In seguito al violento maremoto che ha colpito il Sudest asiatico, "Medici senza frontiere" (MSF) lancia una campagna di raccolta di fondi straordinaria per avviare i primi soccorsi. In queste ore si sta completando l'invio di un aereo cargo con 32 tonnellate di medicine e materiale medico per le operazioni di soccorso. Questa prima spedizione permettera' di avviare l'assistenza per le 30.000 e le 40.000 persone nel nord di Sumatra, la regione piu' vicina all'epicentro del terremoto. Dieci operatori del pool d'emergenza sono stati gia' mobilitati per valutare i bisogni in India, Malesia e Indonesia. Due persone sono in stand-by per valutare la situazione. Un altro team di quattro persone e' pronto a raggiungerli in 24 ore. "In occasione di disastri naturali di questa portata, l'immediatezza dell'intervento puo' fare la differenza nel salvare migliaia di persone. "Medici senza frontiere" ha deciso di lanciare una campagna di raccolta di fondi per allestire strutture mediche, fornire ripari e ripristinare le condizioni igieniche per i senzatetto e gli sfollati", dichiara Stefano Savi, direttore generale di "Medici senza frontiere Italia". Per sostenere le azioni di soccorso e' necessario raccogliere almeno 1,5 milioni di euro: per questo abbiamo bisogno del tuo aiuto. Ora. Donazioni on line con carta di credito: www.medicisenzafrontiere.it Conto corrente postale: 87486007 Banca Popolare Etica c/c 000000115000 ABI: 05018 CAB: 12100 CIN: B Agenzia Unica Numero verde: 800996655 Causale "Maremoto in Asia" Per informazioni: Medici Senza Frontiere Onlus, via Volturno 58, 00185 Roma, tel. 064486921, fax: 0644869220, e-mail: msf at msf.it; sede di Milano: largo Settimio Severo 4, 20144 Milano. 3. EDITORIALE. DUE CATASTROFI Due catastrofi. In Asia. In Iraq. Per quanto e' in potere degli esseri umani questo occorre fare: smettere di uccidere; soccorrere i superstiti. Salvare le vite umane invece di sopprimerle. 4. EDITORIALE. NANNI SALIO: IL POTERE STA SULLA CANNA DELLA BICI [Ringraziamo Nanni Salio (per contatti: regis at arpnet.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso su "Azione nonviolenta" n. 12 del dicembre 2004. Giovanni (Nanni) Salio, torinese, nato nel 1943, ricercatore nella facolta' di Fisica dell'Universita' di Torino, segretario dell'Ipri (Italian Peace Research Institute), si occupa da alcuni decenni di ricerca, educazione e azione per la pace, ed e' tra le voci piu' autorevoli della cultura nonviolenta in Italia; e' il fondatore e l'attuale presidente del Centro studi "Domenico Sereno Regis", dotato di ricca biblioteca ed emeroteca specializzate su pace, ambiente, sviluppo (sede: via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel. +39.011532824 - 011549005, fax: +39.0115158000, e-mail: regis at arpnet.it, sito: www.cssr-pas.org). Opere di Giovanni Salio: Difesa armata o difesa popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento, II edizione riveduta, Perugia 1983; Ipri (a cura di Giovanni Salio), Se vuoi la pace educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; con Antonino Drago, Scienza e guerra: i fisici contro la guerra nucleare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Le centrali nucleari e la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Progetto di educazione alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1991; Ipri (introduzione e cura di Giovanni Salio), I movimenti per la pace, vol. I. Le ragioni e il futuro, vol. II. Gli attori principali, vol. III. Una prospettiva mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Le guerre del Golfo e le ragioni della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1991; con altri, Domenico Sereno Regis, Satyagraha, Torino 1994; Il potere della nonviolenza: dal crollo del muro di Berlino al nuovo disordine mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; Elementi di economia nonviolenta, Movimento Nonviolento, Verona 2001; con D. Filippone, G. Martignetti, S. Procopio, Internet per l'ambiente, Utet, Torino 2001] Il rapporto tra nonviolenza e politica e' mediato dal potere. Ma ci sono molti modi di intendere sia la politica sia il potere. Nella tradizione dominante della teoria del cosiddetto realismo politico (che in realta' e' ben poco realista) vale quanto sostiene C. Wrights Mill: "tutta la politica e' una lotta per il potere; la forma estrema del potere e' la violenza" (citato da Ekkehart Krippendorff, a pag. 69 del suo importantissimo saggio, Critica della politica estera, Fazi, Roma 2004, al quale faro' ampiamente riferimento). E la politica, a sua volta, e' intesa sia come politica estera sia come politica interna. In entrambi i casi, la nascita dello stato moderno avviene attraverso la centralizzazione, il monopolio, del potere inteso come dominio e uso della violenza attraverso lo strumento militare (eserciti all'esterno, forze di polizia all'interno, ma quando occorre sono strumenti intercambiabili). Una visione politica della nonviolenza non puo' quindi fare a meno di confrontarsi criticamente con le varie forme e concezioni di potere. Gia' Kant distingueva tra la falsa politica, quella che secondo Machiavelli si propone come "scienza del dominio" per acquisire e mantenere il potere, ma che inevitabilmente si deve confrontare anche con la perdita del potere, e la "vera politica", che "non puo' fare alcun passo senza aver prima reso omaggio alla morale" (vedi Krippendorff, pag. 68). * Possiamo analizzare le strutture di potere mediante lo schema seguente [date le caratteristiche grafiche del nostro notiziario non possiamo riprodurre qui lo schema, per la visione del quale rinviamo al fascicolo di "Azione nonviolenta" in cui questo testo e' apparso. Ne diamo comunque una descrizione esterna: due segmenti perpendicolari definiscono un quadrante, il segmento verticale ha in alto la didascalia "potere dall'alto (dominio)" e in basso al didascalia "potere dal basso (nonviolento, di liberazione"; il segmento orizzontale reca a sinistra di chi legge la didascalia "potere individuale", e a destra "potere collettivo". Nel quadrante in alto a sinistra per chi legge ci sono i tre item: leader autoritari, dittatori, presidenzialismo; nel quadrante in alto a destra: eserciti, multinazionali, complesso militare-industriale; nel quadrante in basso a sinistra: empowerment individuale, testimonianza nonviolenta, azione diretta nonviolenta; nel quadrante in basso a destra di chi legge: people power, difesa popolare nonviolenta, potere di tuti (Capitini) - ndr-] * Come abbiamo gia' detto, il potere dall'alto e' un potere di dominio e la guerra altro non e', parafrasando Clausewitz, che "la prosecuzione della politica con altri mezzi", ovvero mediante gli eserciti (Krippendorff, p. 31). Ma l'intreccio tra la politica, cosi' come e' comunemente intesa dai realisti, e la guerra e' talmente perverso che si puo' anche ribaltare la massima clausewitziana sostenendo, con Foucault, che "la politica e' la prosecuzione della guerra con altri mezzi". Oggi piu' che mai vediamo come le quattro forme classiche di potere (politico, economico, militare e culturale) siano cosi' intrecciate e centralizzate nelle mani di ristrette elites che la formula piu' corretta e' quella usata sin dagli anni '60 nientemeno che da un generale nonche' presidente degli Stati Uniti, Eisenhower, che denuncio' il pericolo del nascente "complesso militare-industriale" cresciuto ai giorni nostri sino a diventare complesso militare-industriale-scientifico-mediatico. * Il potere dal basso, esercitato mediante la lotta nonviolenta, puo' assumere la forma individuale di testimonianza e di azione diretta oppure quella collettiva di "people power" che si e' manifestata piu' volte nel corso della storia, come e' ampiamente documentabile. In entrambi i casi si deve attivare un processo di empowerment, riacquisizione di potere personale e collettivo, che permetta di avviare un circolo virtuoso di fiducia e di lotta (vedi John Friedman, Empowerment. Verso il potere di tutti, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi 2004). Ma il potere dal basso puo' basarsi anch'esso sulla violenza e l'imposizione, secondo la formula maoista che "il potere sta sulla canna del fucile". Ma questa massima puo' essere resa in forma nonviolenta sostenendo che "il potere sta sulla canna della bici", ovvero su un modello di sviluppo e uno stile di vita autenticamente sostenibili, su tecnologie appropriate (di cui la bici e' il prototipo per eccellenza) e sulla capacita' di trasformazione nonviolenta dei conflitti, dal micro al macro (Dpn: difesa popolare nonviolenta). * Il potere centralizzato e' oggi reso ancora piu' temibile dalla tecnoscienza, piegata agli interessi di pochi (armi nucleari e di distruzione di massa; tecnologie di condizionamento, propaganda e manipolazione mediatica; fonti energetiche ad alta potenza; biotecnologie utilizzate per espropriare saperi millenari e creare dipendenza). Ma al tempo stesso non dimentichiamo che la formula machiavellica del potere prevede anche che prima o poi i potenti cadano e tramontino. Cosi' come e' avvenuto nel 1989, quando il "people power" dimostro' in pieno la capacita' di sconfiggere senza colpo ferire quello che la propaganda statunitense considerava l'"impero del male", anche il falso "impero del bene", quello degli Usa, non gode di buona salute. L'analisi svolta da Galtung e' quanto mai illuminante e ne prevede la fine entro i prossimi quindici anni, accelerata dalla rielezione di Bush (vedi: The Fall of the US Empire, nel sito www.transcend.org). Compito della nonviolenza politica e' di sostenere, contro ogni propaganda e falsa evidenza, che "esistono alternative", che "il re e' nudo" e che la nonviolenza e' la strada piu' efficace per costruire i tanto agognati nuovi mondi possibili. Ma questo comporta l'assunzione in pieno di responsabilita', di capacita' progettuali, di grande lungimiranza, continuita' di azione e di elaborazione, superamento creativo dei conflitti interni ai movimenti e della loro deleteria frammentazione, dei particolarismi, delle idiosincrasie personali e delle beghe da cortile. * Proviamo a immaginare, a mo' di esercizio, ma senza alcuna pretesa di esaustivita', quale potrebbe essere un programma politico che si richiami alla nonviolenza, quello che Gandhi chiamava il "programma costruttivo" e chiediamoci anche qual e' il soggetto, o i soggetti, che possono proporlo, sostenerlo e realizzarlo, e con quali modalita'. Secondo l'analisi di Luigi Bonanate (La politica internazionale tra terrorismo e guerra, Laterza, Roma-Bari 2004) nell'ultimo decennio la politica estera e' sempre piu' diventata "politica interna del mondo" ed e' difficile distinguere tra interno ed esterno. Comunque sia, in politica estera, intesa in senso tradizionale, possiamo ravvisare due principali priorita'. La prima e' la riforma delle Nazioni Unite in senso popolare, assembleare, democratico, come proposto da vario tempo nelle sedi e dagli autori piu' autorevoli. La seconda e' la progettazione della transizione dall'attuale modello di difesa, aggressivo, offensivo, funzionale alla guerra e che produce insicurezza, alla Difesa popolare nonviolenta (Dpn). La fase intermedia di questa transizione (transarmo) vedra' convivere forme di difesa difensiva (ancora militare) con la nascente Difesa popolare nonviolenta (Dpn) e con la costituzione dei Corpi civili di pace (Ccp), di cui gia' oggi esistono molteplici esempi spontanei, dal basso, coordinati dalla Rete dei Corpi civili di pace (sito: www.reteccp.org). Ma politicamente, questo significa riduzione programmata delle spese militari, riconversione dell'industria bellica e degli eserciti. E' la tanto auspicata politica minima del "5%". Ogni anno, per un'intera legislatura, e poi per quelle a venire, occorre programmare in termini quantitativi, e non solo con l'aria fritta della retorica della pace, un diverso uso delle risorse economiche. Oggi stiamo andando esattamente in senso opposto. E questo vale tanto per l'Italia quanto per l'Unione Europea, che dovrebbe scegliere la strada del transarmo e della neutralita'. * Sul piano della politica interna, individuiamo almeno tre principali priorita'. Primo, progettare la transizione dall'attuale modello di sviluppo ad alta intensita' energetica e di potenza, con un impatto ambientale insostenibile, a un modello a bassa potenza, centrato sull'uso di fonti energetiche rinnovabili, sul risparmio e l'efficienza energetica e su uno stile di vita ispirato alla semplicita' volontaria e alla gioia di vivere e alla felicita' che ne deriverebbero. Anche in questo caso, uscire dall'aria fritta significa programmare di anno in anno la riduzione del 5% dei consumi di combustibili fossili e l'incremento di fonti alternative. Il recente lavoro di Hermann Scheer (Il solare e l'economia globale, Edizioni Ambiente, Milano 2004) e' l'esempio piu' concreto di tale possibilita' e dovrebbe diventare un manuale di studio per ognuno di noi. Il secondo punto riguarda la promozione e diffusione della cultura della nonviolenza in ogni campo: da quello mediatico a quello educativo, da quello accademico (con la rottura dei paradigmi dominanti) a quello dell'immaginario collettivo (artistico, musicale, progettuale, urbanistico). Questa e' un'azione capillare che abbiamo cominciato anni fa e continua in un leggero crescendo, ma occorre farne una priorita' soprattutto nei confronti di quella stragrande quantita' di cittadine e cittadini che attendono un messaggio chiaro per uscire dall'apatia. Terzo, la qualita' delle relazioni interpersonali, di genere, intergenerazionali. Il vecchio slogan femminista "il personale e' politico" e' quanto mai attuale: senza "l'altra meta' del cielo" non si fa nessuna rivoluzione nonviolenta. In questo campo siamo di fronte al "potere senza volto" del maschilismo, delle strutture violente ereditate dal passato. Sono forme di potere, come quello della mafia e del capitalismo (non a caso intrecciate al maschilismo) contro le quali e' piu' difficile lottare rispetto alle situazioni in cui il potere ha un volto ed e' concentrato in gruppi piu' facilmente identificabili. * Infine, bisogna passare all'azione con maggiore incisivita': moltiplicare la presenza attiva dei Gan (gruppi di azione diretta nonviolenta), investendo quanto basta nell'addestramento all'azione diretta nonviolenta; rilanciare e sostenere ogni forma di obiezione di coscienza (alle spese militari e per la difesa popolare nonviolenta, alla ricerca militare, al lavoro nell'industria bellica, al servizio militare trasformando i soldati in refusnik); appoggiare le campagne di boicottaggio come forme di autentica disobbedienza civile (e non solo sociale e/o incivile) all'insegna di parole come: diserta i supermercati; diserta le autostrade; diserta la tv. Tempo fa mi fu posta una domanda imbarazzante e intelligente: "Da quanto tempo non andate in carcere?". L'efficacia dell'azione nonviolenta si misura anche dal grado di fastidio che si riesce a dare al potere costitutito. La vera disobbedienza civile, di Gandhi e Martin Luther King, si svolgeva all'insegna della parola d'ordine "riempire le carceri". Chi prende l'iniziativa guida il gioco, e se non la prendiamo noi la prenderanno altri, prima o poi. Ed e' probabile che se non si vedono o non si conoscono le tecniche e i metodi dell'azione nonviolenta si ricorra tout court alle scorciatoie dell'azione diretta violenta. * E il soggetto? Siamo noi nel senso piu' ampio, con una grande responsabilita' dei movimenti, formali e informali, dell'area nonviolenta a trasformare i lillipuziani in una forza resistente organizzata e non in una generica armata brancaleone. Ma su tutti questi punti occorrera' ritornare e meditare a lungo in quelli che proporrei di chiamare "laboratori creativi di nonviolenza politica", simili ai Centri di orientamento sociale (Cos) di capitiniana memoria, ma aggiornati ai tempi nostri, affamati di partecipazione, ricchi di esperienze, ma ancora poveri di capacita' operativa. 5. RIFLESSIONE. "TRA NOI E LYNNDIE...". UN INCONTRO TRA DONNE [Ringraziamo Tiziana Plebani (per contatti: plebani at marciana.venezia.sbn.it) per averci messo a disposizione questa sintesi dell'incontro "Tra noi e Lynndie...", organizzato dalla Rete di donne per la pace di Venezia-Mestre il 21 dicembre 2004] * Intervento di apertura di Tiziana Plebani L'incontro nasce dall'orrore suscitato, nel maggio scorso, da cio' che era successo ad Abu Ghraib, ma anche per emergere di altre figure di donne assai visibili sulla scena del mondo, le kamikaze, le martiri, le soldatesse: avevo richiesto subito alle amiche di riflettere insieme, inviando anche alle amiche lontane in rete un invito alla discussione. Come noi altre donne, altrove, si sono interrogate organizzando dibattiti pubblici a Roma e Milano, di cui ha dato conto "Il Paese delle donne", oppure avviando una riflessione su "Via Dogana", "Dea", "Leggendaria", il sito della Libera Universita' delle donne di Milano, o in articoli sul "Manifesto" o altre riviste. Nostro desiderio allora era quello di riuscire a creare un dibattito piu' allargato in questa citta' ma il clima politico ingombro dalle elezioni di giugno, gli impegni e i nostri tempi hanno rallentato e in fine impedito la realizzazione di questo desiderio. Non abbiamo abbandonato tuttavia questo scenario e il suo interesse e abbiamo pensato che valesse la pena di riproporlo. Il tempo produce infatti degli scatti di pensiero e soprattutto permette di sciogliere forse dei grumi di sentimenti che si erano fortemente associati a queste figure femminili, ragionando con maggiore lucidita'. Inoltre ora abbiamo il vantaggio di poter avviare la discussione partendo gia' dalle parole e dalle elaborazioni che nel frattempo alcune donne hanno prodotto su questo. * Se guardo a me, la parola che allora avevo preso, anche accettando di scrivere, come propostomi da Luisa Muraro, per "Via Dogana", non era stata provocata tanto da queste figure femminili ma da cio' che era successo e che minacciava, ai miei occhi, le fondamenta del vivere e del vivere insieme, rappresentato dallo strumento dell'umiliazione, dall'uso del dominio sessuale su corpi diversi, di diverse culture, ma anche e soprattutto dalla spettacolarizzazione del disprezzo della vita, in opposizione al principio della convivenza. Qualsiasi ideologia ma anche qualsiasi ragione (pensiamo ai casi della resistenza irachena o palestinese) che non ne tenga conto produce morte, barbarie, ritorsioni, catena senza fine di orrori. E il simbolico pericoloso che viene creato e' quello di luoghi di vita insicuri, citta' in cui si annida la paura perche' l'altro fa e deve fare paura, un continuo ammonire all'11 settembre come fine della possibilita' di convivenza. Sempre piu' la mia risposta percorre un mio radicamento nel contesto, agendo la capacita' di convivere, lavorando per la citta' come luogo d'accoglienza e dialogo, anche nel conflitto, indispensabile visto le questioni in gioco. Sono molto piu' attenta al vicinato, sto frequentando il Forum che e' nato nel mio quartiere a Dorsoduro per discutere le proposte urbanistiche a forte impatto sulla residenza e indirizzarle a miglior utilizzo. E ho elaborato un progetto di discussioni e pratiche di incontro in citta' con le diverse realta' che la percorrono, che spero possa trovare condivisione. * Tuttavia cio' non basta, come e' stato messo in evidenza anche da tante donne nei materiali che si sono appunto sedimentati nella discussione su questi tempi. Cio' che ci mette in crisi, che per molte e' gia' uno scarto rispetto al passato, forse anche un guadagno dei tempi, e' l'autorefenzialita' delle nostre pratiche di relazioni: esse mostrano i loro limiti, che sono forse limiti soprattutto rispetto ai nostri desideri attuali, al nostro bisogno attuale di essere nel mondo, ne' piu' riparate. Vorrei ricordare le parole di Lia Cigarini nell'ultimo "Via Dogana", che possono costituire una base di riflessione sul senso del limite: "il trauma iracheno e la consapevolezza di uno stato di guerra che e' mondiale e permanente ha messo in discussione i contesti piccoli del nostro agire relazionale e ci spinge a disegnare un orizzonte piu' ampio. Il bisogno di fare ordine simbolico - che e' tanta parte della politica delle donne - a fronte di accadimenti sempre piu' rapidi e sovrastanti, non puo' che allargare il contesto del nostro pensare e agire. Secondo me, non ha piu' senso dire: la pratica di relazione la agisco li' dove sono, non ha senso perche' in realta' siamo qui e siamo altrove". * Come qualcuna sa ho espresso a quel tempo il desiderio di esprimere una riparazione, e cio' non era un sentimento transitorio, nel senso che perdura ancora il bisogno e la necessita' del valore simbolico di una riparazione, di una messa in atto di una pietas e anche di un sentimento d'amore per tutti gli offesi. Ho avuto poco coraggio forse nel perseguire cio', l'amore mette a nudo e puo' far sentire ridicoli; abbiamo avuto poco coraggio perche' la scena del mondo e' faticosa ma credo che ci siano gesti e pratiche che sanno parlare del pensiero d'amore e farsi riconoscere da tutti come verita'. Non e' facile individuarli ma cio' e' ancora piu' necessario non solo per riparare ma per rifondare la convivenza, perche' si possa ancora credere nell'abitabilita' di questi luoghi di vita, in cui c'e' convivenza reale, lavoro quotidiano delle donne e anche degli uomini. Dobbiamo non farci soverchiare dalla voce dei media, dai tamburi di morte che vengono continuamente fatti rullare. Sappiamo che c'e' un'opera d'amore in atto che permette alle donne e agli uomini di vivere e di vivere anche in bellezza, che mi permette di vivere, che ci permette di vivere. C'e' proprio da difenderci da quest'opera di convincimento della nostra barbarie. E c'e' bisogno di una visibilita' che esca dall'autoreferenzialita' appunto dei piccoli contesti, che dia voce e visibilita' all'amore. * Per quanto riguarda Lynndie, adesso che e' passato del tempo, mi sono chiesta: ma com'e' che nessuna di noi, o delle donne come noi in America, l'ha contattata? perche' non abbiamo saputo entrare in relazione con lei? Quest'immagine di donna e' un'immagine estrema, il comportamento di Lynndie non e' quello delle donne, sia chiaro, non si confonda, non e' il genere femminile a essere tirato in causa, ma e' chiaro che non ci puo' lasciare indifferenti. Che cosa significa Lynndie l'hanno detto in molti e molte ma non sappiamo che cosa lei abbia pensato. Non mi interessano le analisi su di lei: dobbiamo dialogare con lei, non con i pensieri, buoni o cattivi, su di lei. Ora Lynndie e' un'estremo ma vi sono tante donne che scelgono vie estreme o comunque indifferenti al progetto di responsabilita' sulla vita e dell'amore della madre. Rifiuto totalmente l'idea che siano uomini travestiti, donne fallocrate: sono orribili parole che vanno proprio espulse dal nostro lessico. Penso che queste immagini di donne, dobbiamo riuscire a contenerle, per cosi' dire, a tenerle dentro l'orizzonte, riuscendo a dialogare e a fare insieme un percorso, costruendo una relazione; se invece le espelliamo dall'orizzonte di senso credo non sia affatto una buona cosa per tutte noi. Certo, anch'io, come Luisa Muraro e altre tra noi, sono piu' preoccupata dalle donne carrieriste, schiacciasassi, aggressive che incontro sul lavoro che interrogano il nostro percorso nella storia. C'e' tanto desiderio di arrivare (poi non si sa dove), di avere cose, beni, ma sostanzialmente di contare, di avere potere. E la nostra riflessione sul potere forse e' ancora all'inizio; siamo sempre piu' coinvolte nella gestione di progetti, uffici, io dirigo il mio ufficio e alcune persone, mi occupo di una piccola comunita' come e' la mia famiglia, non si creda che non vi sia potere in questo. Il potere non e' negativo in se', c'e' il potere di fare bene. Il potere, micro, medio, grande, ha una sua positiva e negativa attrazione. Siamo ancora sbalordite dall'ammissione di avere potere. Chi tra noi ha scelto la via della politica istituzionale si confronta con una strada di potere piu' immediatamente visibile, ma che rapporto ha con il potere di risicare e tiranneggiare i nostri cari, colleghi e colleghe? Tra Lynndie e noi un percorso da fare e' forse quello di interrogarci sulla micro e macrofisica del potere. Inoltre tutti quelli che ambiscono a plasmare il mondo a propria somiglianza, a trasformarlo cercano strumenti, leve (= potere) per realizzare cio', e dai piccoli contesti guardano inevitabilmente ai grandi contesti; si tratta di una discussione che e' presente, come sappiamo, anche nel movimento dei movimenti. * * Intervento di apertura di Franca Marcomin Abbiamo pensato e preparato l'incontro di oggi sulle interrogazioni proposte dal documento di invito, in particolare su cosa ci hanno provocato le immagini della donna torturatrice di Abu Ghraib. Nel mondo delle donne in questi mesi sono circolati pensieri, elaborazioni interessanti e incontri pubblici, dai quali abbiamo tratto spunto per le nostre riflessioni che vi proponiamo oggi. Riteniamo importante creare luoghi di pensiero in citta' e su questo lavoriamo, ma anche su gesti concreti se vengono individuati. Il movimento femminista si interroga sulla delega che e' stata consegnata alle donne di una funzione salvifica del mondo. Parlando con alcuni amici delusi dal fatto che anche le donne possano commettere le barbarie prodotte storicamente da uomini, dicevo loro che dovevano finalmente prendersi la responsabilita' di non distruggere il mondo sicuri, anche se inconsapevoli, dell'opera di civilta' e di riparazione operata dal genere femminile. Come e' stato scritto ed e' cio' che io condivido, le torturatrici e le kamikaze producono la vanificazione di qualunque visione essenzialista delle differenza tra i sessi, quindi la differenza sessuale non e' un dato biologico ma un progetto, una scelta nella propria vita. "Per una che tortura ce ne sono milioni che lavorano ogni giorno e dappertutto", ci sono le Simone, ecc. * Nell'ampio dibattito circolato ci si interroga se l'orrore di cui si fanno carico torturatrici e kamikaze e' da imputare all'omologazione delle donne all'ordine fallocentrico in forma di emancipazione e diritti di accesso paritario a tutto, guerra e carriera militare comprese, o a una ritorsione sadica e umiliante del gentil sesso sul sesso forte, o e' un frutto e una deriva, dice Muraro, del protagonismo femminile e del movimento di liberta' femminile dalla fissita' dei ruoli sessuali. Ma e' vero, come dice Ida Dominjanni sul "Manifesto" che dopo Lynndie (la torturatrice di Abu Ghraib) piu' niente e' come prima? Ma conflitti ed orrori non sono da sempre presenti nella storia, anche prodotti da donne? Cosa e' cambiato e sta cambiando? Per rispondere a queste domande ho avuto bisogno di ripensare alle analisi e ai guadagni elaborati nelle Donne in nero sul rapporto donne e guerra. Bisogna ritornare a ragionare su questo rapporto, perche' non c'e' solo in atto una guerra tra uomini, anche se poi sappiamo che nelle guerre moderne non muoiono tanto i soldati quanto le popolazioni civili, ma e' in atto una guerra tra i sessi. * Cio' che e' nuovo sembra l'ingresso sulla scena pubblica e nei media della pornografia come strumento bellico, l'ingresso sulla scena dei corpi sessuati, assenti come categoria nella politica che e' pubblica quindi opposta a cio' che e' privato, il mondo dei corpi e dell'amore governati dalle donne, e assenti in un pensiero occidentale fondato proprio sulla separazione tra corpo e mente. E' stato femminista il rifiuto della categoria amico-nemico delle guerre, cioe' del sistema binario del pensiero occidentale, tra cui le categorie pubblico-privato, natura-donna/cultura-uomo. Uomini e donne diventano macchine in guerra, nello stato di assoluta rottura di relazioni e nel dominio della categoria amico-nemico. Cosi' come le torture rappresentano la radicalita' dell'incapacita' sia di identificazione con l'altro da se' che di civilta' delle relazioni. Abu Ghraib rappresenta non solo la deriva della perdita dell'innocenza delle donne come icona del buono per natura, ma anche la deriva della democrazia e dello stato di diritto dell'Occidente che Bush-Blair-Berlusconi vogliono esportare con la guerra, provocando lo scontro tra civilta' cui stiamo assistendo. Leggevo che nel mondo islamico le immagini della donna torturatrice possono provocare ritorsioni contro i diritti delle donne, perche' vengono presentate come simbolo dell'emancipazione delle donne occidentali, nella semplificazione che tutto il mondo occidentale e' cosi', come noi spesso crediamo che tutto il mondo islamico sia un blocco omogeneo. * L'ultima considerazione che voglio fare e' collegarci con un altro pezzo della nostra storia di rete di donne che da due anni ha lavorato sui temi della globalizzazione, di cui pubblicheremo presto un libretto. Siamo in scenari mondiali in continua evoluzione, leggevo recentemente che c'e' chi afferma che stiamo uscendo dalla globalizzazione, siamo in scenari mondiali dove la guerra e' diventato uno strumento di ordine e governo del mondo, dove la globalizzazione dei mercati e delle merci ha comunque provocato la libera circolazione delle persone, anche se con molte piu' difficolta' date dalle normative sull'immigrazione dei vari Paesi, e questo e' un dato positivo di interrogazione e crescita sulla convivenza tra diversita'. Contemporaneamente e' nato e cresciuto il movimento dei movimenti, a cui le donne non solo appartengono ma ne sono matrici e genitrici insieme ad altre soggettivita'. Movimento che, afferma il testo di Benasayag-Aubenas "Resistere e' creare", ha mutuato dalla pratica femminista "il personale e' politico" per dire che e' dalla quotidianita' che inizia il nuovo mondo possibile, dal qui e ora della situazione, quindi dal contesto come dicono le donne. Si trasforma la societa' non dalla conquista dello Stato e dall'attesa messianica del futuro, ma dal pensare globalmente e agire localmente di un'azione locale in funzione del globale, come ha piu' volte affermato il mondo ecologista, e come ha scritto Lia Cigarini su "Via Dogana" di giugno 2003 "della necessita' di una nuova pratica politica delle donne che sta nel piccolo gruppo e in un altrove". * Dibattito. Primo intervento. Giuseppina Chiede la ragione ultima di questo dibattito. Di che cosa ci stiamo lamentando? Della crudelta' di alcune donne? Io non mi sono stupita di cio' che e' accaduto. Le analisi che sono state fatte sono interessanti ma non c'e' nulla di nuovo. Lynndie proviene dalla provincia americana, in cui regna l'ignoranza. Vorrei sapere se avete pensato a gesti concreti di riparazione. * Secondo intervento: Franca Tombari Cio' che e' successo ha prodotto uno spaesamento: adesso cosa penso [delle donne]? Ma in realta' io sono stata piu' colpita dal riapparire delle torture, di conoscere che vi erano luoghi segreti in cui si tornava a torturare come nei paesi del Centro e Sud America degli anni '70. Io penso che in certe situazioni le persone si comportino e pensino con categorie neutre, credo che per Lynndie sia stato cosi'. Soprattutto cio' che accade e' una scissione tra le diverse sfere del vissuto e dei diversi luoghi, quella professionale, quella sentimentale, ecc: Lynndie rappresenta una tragedia della scissione e dell'inconsapevolezza. Questa donna sta pagando in carcere, altri no. E' contemporaneamente vittima e carnefice. * Terzo intervento: Pia Miani Le immagini di torture e umiliazioni sessuali rinviano, in me, al dominio della cultura sado-maso tipica della cultura inglese e anglosassone. Mi ricordano le foto delle scene dei club sado-maso dove le donne sono pagate per procurare dolore nel godimento sessuale. E' una cultura maschile che ha represso la parte femminile del vivere, il piacere, la vita, la bellezza, e che persegue l'obiettivo di far crescere popoli guerrieri e dominatori. In questo gli americani sono i nipoti dell'impero britannico. Per quanto riguarda lo stupore sull'emergere di cattiveria femminile esso riguarda l'appiattimento maschile della personalita': noi donne siamo composte da tante parti, siamo meno schematiche, piu' complesse come raccontano anche i miti. * Quarto intervento: Gigetta Pagnin Cio' che e' successo ha chiuso un circolo nella mia riflessione: ho compreso che il femminismo non dava risposta e parole per spiegare l'accaduto. Ma nella perdita d'innocenza, e nell'accaduto, si e' prodotto uno scuotimento e un'interrogazione del presente che va colta sino in fondo. Se i contesti possono fornire delle motivazioni dell'azione delle singole, la questione centrale si pone all'interno della cultura del femminismo. Il suo limite, ora ci accorgiamo, e' stata la fusionalita': la differenza di genere non da' conto della differenza esistente nelle varie persone e dei contesti. Si tratta di un errore interpretativo messo in atto anche dal movimento operaio che ha creato un'unica identita'. Io vi ringrazio di questo incontro e di questa opportunita' proprio perche' da' voce a un insoluto. Una frase del vostro invito al dibattito e' cruciale di cio' che sta al centro della questione: Mai come ora cio' che e' stato trasmesso delle torture e delle donne torturatrici, ma anche delle immagini delle donne kamikaze palestinesi e cecene, interroga il movimento delle donne sulla "catastrofe simbolica del primato e dell'alterita' femminile sulla specie e sulla relazione con l'altro". Io non ho risposta ora a cio' perche' e' una nuova interrogazione che produce altre domande, ora avverto solo il dolore prodotto dallo scuotimento che pero' produce una crescita. Sulla questione proposta da Tiziana in relazione alle parole di Lia Cigarini sul limite del piccolo gruppo va ricordato che questo piccolo gruppo ci ha permesso di creare ed elaborare molto della ricchezza che abbiamo ora a disposizione, e' stato un luogo molto produttivo, tuttavia e' vero che non e' adeguato ad affrontare le grandi questioni. E anche a questa domanda per ora non ho risposte. Sulla riparazione di cui hanno parlato Luisa Muraro e Tiziana devo affermare che questa parola non mi basta, per la nostra responsabilita' come occidentali verso una cultura di morte: una riparazione mi pare poca cosa. Con l'11 settembre io ho sentito di voler rompere con la cultura occidentale. Per quanto riguarda la complessita' messa in campo da Tiziana, vorrei dire che e' una parola che non mi piace perche' spesso la usiamo quando non sappiamo rispondere alle questioni, e mi pare un modo per rimuovere. * Quinto intervento: Giorgia Reberschak La nostra civilta' genera mostri: la guerra e' un mostro. Non c'e' da meravigliarsi se talora vi sono mostri anche al femminile. Ne conosciamo alcune ragioni legate al contesto di Lynndie: ignoranza della provincia americana, la ricerca di soldi e benessere. Ma queste donne sono casi di malessere individuale che non mettono in gioco il valore delle donne. Sono casi enfatizzati dai media. Non parlerei nel caso di queste torturatrici ne' di protagonismo ne' di imitazione del mondo maschile: piuttosto di un bisogno di farsi accettare dal mondo maschile. Credo che siano piu' pericolose alcune altre donne in posizioni di potere come Condoleezza Rice e su queste donne bisogna maggiormente interrogarsi. * Sesto intervento: Adriana Sbrogio' La riparazione e', credo anch'io, il punto di partenza: l'unica salvezza e' il riuscire a far entrare nella storia e nella politica l'amore, non si puo' fare altro. Noi siamo fortunate perche' anche se si puo' dire che siamo in guerra non abbiamo un presente di guerra, non dobbiamo ripararci e difenderci, ma dobbiamo mettere in atto delle azioni preventive di pace, come noi abbiamo cercato di fare a Spinea facendo dialogare due giunte di opposti schieramenti. Noi dobbiamo far prevalere la relazione umana. La nostra scelta, come gruppo di Spinea, e' stata quella di lavorare con gli uomini perche' essi si facciano carico dei valori del pensiero delle donne. Bisogna cioe' cominciare a dialogare e a confrontarsi con il maschile che governa il mondo, per far entrare l'amore nella storia. * Settimo intervento: Laura Guadagnin Prima di parlare di lavoro con gli uomini e di amore nella storia bisognerebbe affrontare davvero le difficolta' di amore tra le donne che io vivo quotidianamente. Noi non abbiamo dimestichezza con l'ombra, il negativo, le difficolta' tra le donne. Cio' che e' successo, le immagini delle donne come Lynndie, sono lo specchio del rimosso dell'occidente e dei rapporti di barbarie, dell'immaginario occulto e quindi questo scossone e' positivo perche' ci stana dalle nostre posizioni e ci fa riflettere su questo negativo emerso. * Ottavo intervento: Mara Bianca Queste immagini di donne sono anche un prodotto del percorso di emancipazione e come tale dobbiamo acquisirle in tutti i significati che hanno, ma ricordandoci che il percorso emancipatorio non e' una strada liquidabile solo come negativa. L'orrore in campo adesso mostra il livello di insicurezza che stiamo vivendo e l'arruolamento delle donne nel presunto o reale scontro di civilta', mostra la riduzione di una differenza femminile al maschile. Ma dobbiamo ricordarci che le condizioni di vita reali hanno a che fare con la liberta'. La differenza sessuale deve stare nella liberta' di scelta, entrano in campo le soggettivita'. * Nono intervento: Carla Turola Ho sentito molto l'impatto di quelle immagini di donne come Lynndie, ma non credo che l'analisi vada fatta ricercando le cause psicologiche, ma vada interrogato il piano simbolico in gioco. Quelle immagini per me hanno rappresentato la messa in scena di un punto di caduta nella relazione tra gli uomini e le donne. Va quindi operata una riparazione del simbolico di tale relazione, recuperando il senso di civilta' nei rapporti: e questo puo' avvenire solo immettendo gesti d'amore nella storia. Credo che anche gli uomini siano stati interrogati in questa guerra sulla loro mancanza di civilta', del collasso, dell'abisso in cui sono state risucchiate anche alcune donne. Non e' tanto una negativita' femminile che va interrogata, come dice Laura, ma deve essere agito un atto d'amore che sia in grado di tagliare con la ripetizione del negativo, di spalancare una porta. L'amore della realta' puo' divenire una pratica politica? * Decimo intervento: Nicoletta Riflette sulla staticita' dell'immaginario sul femminile, costruito anche dal femminismo, che cozza con queste realta' e identita' diverse. Le donne sono invece diverse, hanno identita' molteplici. La sclerotizzazione di un femminile buono per natura non da' strumenti per capire la complessita' delle donne, l'idealizzazione delle donne non s'incarna nelle donne vere. * Undicesimo intervento: Maria Sangiuliano L'immagine di Lynndie non e' entrata nei miei incubi perche' e' un'immagine dei media, come si e' visto anche nel caso delle due Simone, strumentalizzate come bene assoluto dal nostro governo, fino a che non hanno avuto parola, contro un male assoluto rappresentato dalla torturatrice. Negli assoluti non c'e' liberta' di scelta. Su quali paure e desideri agiscono i media? C'e' paura del protagonismo femminile e quindi un bombardamento di immagini negative di donne, comprese quelle che uccidono i figli. Viene proposto un modello aggressivo del femminile, c'e' in campo una guerra tra sessi. Dobbiamo riflettere sulla manipolazione e sull'uso politico delle immagini, opporci all'uso della liberta' delle donne per fare la guerra. 6. RILETTURE. AGNES HELLER: LA TEORIA DEI BISOGNI IN MARX Agnes Heller, La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano 1974, 1978, pp. 168. All'epoca fu un libro molto letto e molto amato, e aiuto' a superare vecchi schematismi, ad aprire degli occhi. Merita di essere riletto anche oggi. 7. RILETTURE. AGNES HELLER: LA TEORIA, LA PRASSI E I BISOGNI Agnes Heller, La teoria, la prassi e i bisogni, Savelli, Roma 1978, pp. 160. "La critica della vita quotidiana in sei saggi", recita il sottotitolo; piu' due interviste. Da rileggere. 8. RILETTURE. AGNES HELLER: MORALE E RIVOLUZIONE Agnes Heller, Morale e rivoluzione, Savelli, Roma 1979, pp. 128. Una bella, ampia intervista frutto di uno scambio epistolare, a cura di Laura Boella e Amedeo Vigorelli. 9. RILETTURE. AGNES HELLER: LE CONDIZIONI DELLA MORALE Agnes Heller, Le condizioni della morale, Editori Riuniti, Roma 1985, pp. 68. "Vorrei formulare la questione fondamentale della filosofia morale in questo modo: le persone virtuose esistono; come sono possibili?". Aureo libretto. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 793 del 29 dicembre 2004 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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