segmi di speranza



cordiali saluti
ettore masina


LETTERA 99  giugno 2004
marzo 2004 

1
Benché la storia non sia mai un prato fiorito sul quale distenderci per
lasciarci andare a sogni tranquilli, e il panorama politico mondiale abbia
piuttosto l'aspetto, a prima vista, di un deserto aspro e roccioso,
tuttavia, a chi fortemente lo vuole, non è impossibile cogliere nei nostri
giorni, anche quelli più bui, piccoli semi di speranza. Essi non cancellano
i dolori, tanto meno gli orrori che ci circondano: ma ci comunicano forza,
ci sussurrano che la causa dell'uomo non è perduta, che è possibile
recuperare valori e strutture di civiltà che parevano per sempre demolite.
Per esempio. Da Abu Grahib a Guantanamo e a Gaza, dalla Papuasia al Darfur
e alla regione dei Grandi Laghi africani, se appoggiamo l'orecchio al cuore
della Madre Terra sembra di ascoltare il battito di tamburi selvaggi che
lanciano un messaggio  devastante, anzi due: il primo è quello che afferma
"non siamo tutti eguali, gli altri non sono veramente esseri umani", il
secondo ripete il ringhio di Caino. "sono forse io il custode di mio
fratello?". Questa cultura  della negazione di ogni dignità del "diverso e
dunque nemico" dall'11 settembre del 2001 non apparteneva più soltanto ai
popoli che usiamo definire "primitivi": aveva permeato la cultura
ufficiale, "di governo", della più grande democrazia del pianeta. Il
presidente Bush e la sua tribù guerriera di sedicenti giuristi e polemologi
avevano finito per fare strame del diritto internazionale e dei diritti
umani, avocando alla Casa Bianca ogni potere di gestire la Enduring Freedom
secondo il proprio imperio: non per niente Libertà Durevole è il nome
"liberal" di quella che Dobliù aveva, a tutta prima, chiamato Giustizia
Infinita: dunque onnipo-tente e senza freni né controlli. Ma ecco che la
Corte Suprema degli Stati Uniti ha avuto un sussulto: e ha deliberato che
l'atroce regime carcerario di Guantanamo (600 persone, alcune minorenni,
torturate durante gli interrogatori, chiuse in gabbia come animali feroci e
spinte alla follìa da una detenzione di cui ignorano la durata)
contravviene a ogni legge degli States, alla Costituzione americana e a
ogni convenzione internazionale. Secondo la Corte, i detenuti hanno il
diritto di appellarsi ai tribunali civili per ottenere informazioni e
migliore trattamento.
Non è, questo, soltanto un recupero della dignità per i vinti: è la
riaffer-mazione di uno dei principî fondanti della denocrazia: nessun
governo può combattere neppure i fenomeni più paurosamente eversivi, usando
mezzi scelti a sua totale discrezionalità. Di più: di fronte
all'attribuzione di poteri speciali a Bush, votata da una quasi unanimità
del Congresso nello stato di choc seguito al massacro delle Due Torri, la
Corte ha sottolineato che "lo stato di guerra non conferisce carta bianca
al Presidente quando si tratta di diritti dei cittadini".
2
Negli stessi giorni, l'ONU si pronunziava contro la pretesa imperiale di
Washington di sottrarre alla Corte penale internazionale i soldati
americani imputati di crimini contro l'umanità. In pratica sarà certamente
ben difficile arrestarli e portarli a giudizio, anche perché Washington da
tempo ha stretto in proposito patti bilaterali con molti governi ma di
fatto viene restaurata almeno la certezza del diritto.
Pochi giorni prima di questa decisione 31 "esperti" della Commissione ONU
per i diritti umani avevano chiesto di avere immediatamente accesso alle
carceri  di Guantanamo , dell'Iraq e dell'Afghanistan perché "i recenti
sviluppi hanno allarmato la comunità internazionale riguardo allo status,
le condizioni di detenzione e il trattamento dei prigionieri". Ridotto
dalle guerre dei Bush (padre e figlio) al rango di notaio dell'imperialismo
petroliero, l?ONU riprende ora un po' di prestigio, nel fallimento delle
guerre preventive.
3
Anche in Medio Oriente è accaduto qualcosa di nuovissimo. la Corte suprema
israeliana ha stabilito che alcuni tratti del Muro costruito da Sharon "a
difesa dai terroristi arabi" provocano alla popolazione palestinese "tali
sofferenze che lo Stato deve trovare un'alternativa, che forse garantirà
minore sicurezza ma danneggerà meno la popolazione locale".
Questa decisione, subito fieramente impugnata dagli oltranzisti israeliani,
non proscrive, com'è chiaro, la costruzione del Muro, sulla cui legittimità
è chiamata a pronunziarsi, per mandato dell'assemblea generale dell'ONU, la
Corte internazionale di giustizia dell'Aja, ma riconosce per la prima volta
la spietatezza del regime militare nei territori occupati .Come ha scritto
il quotidiano israeliano Maariv, "apre un varco in quello che sinora è
stato il dogma ideologico e politico della sicurezza di Israele". In onore
di quel dogma, la Corte, anni fa, ammise l'uso della tortura sui
prigionieri palestinesi (la dizione fu "pressioni fisiche moderate"); forse
i giudici sono mutati, forse la testimonianza dei refuznik e le critiche di
una vasta opinione pubblica internazionale cominciano a pesare: per la
prima volta un ente israeliano di tale importanza si rifiuta di avallare
l'espropriazione delle terre palestinesi (con la conseguente condanna alla
disoccupazione e alla fame), lo sradicamento di milioni e milioni di
alberi, la separazione forzata di decine di migliaia di persone dai loro
campi, dalle loro famiglie, dai loro villaggi, dalle loro scuole, dai loro
posti di lavoro e dai loro ospedali. Imponendo, di contro, i disagi, le
miserie e le paure di una vita collettiva regolata dall'apertura o dalia
chiusura di un cancello o di un chek-point..
3
Prima o poi vi parlerò del mio lungo viaggio nelle scuole italiane. Un mio
romanzo sulla resistenza è stato adottato come libro di lettura da circa
150 istituti ed io sono poi andato ad incontrare i miei giovani lettori: da
Tor Tre Teste (Roma) a Merano, da Gardolo (Trento) a Foggia,  da Montopoli
in Val d'Arno a Foligno, da Rimini a Bassano del Grappa, a Milano, etc.
etc. Penso di avere incontrato tremila ragazzi e forse più.
Qui voglio anticipare che gli studenti che ho ascoltato, grazie ai loro
meravigliosi insegnanti, non soltanto apparivano capaci di critiche, di
modi di esprimersi, di interessi assolutamente maturi, ma anche impegnati
in una pluralità di attività che uscivano dalle strette mura (sempre più
stette!)  dei programmi scolastici: per fare un esempio, i problemi dei
diritti umani e della solidarietà. Troppo spesso noi adulti non conosciamo
la straordinaria rete di iniziative che preparano i cittadini di domani,
salvandoli dalle insidie dell'egoismo, del razzismo e anche di un
nozionismo che non respira cultura. E' commovente immergersi in queste
realtà; e ne nascono speranze che non devono essere deluse dal cinismo e
dalla nostra pigrizia.
Un saluto affettuoso
ettore masina
P.S. LETTERA viene inviata a chiunque me ne faccia richiesta. Il mio
indirizzo è: via Cinigiano 13, 00139 Roma, tel. (06) 810.22.16. Un
contributo alle spese di fotocopiatura  e postali è assai gradito. I
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Cascio, via Leone Magno 56, 00167 Roma.
LETTERA può essere liberamente riprodotta in tutto o in parte. Sarò
riconoscente a chi, facendolo, vorrà darmene notizia