[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
ex-immigrati... alle Europee: un'inchiesta di MIGRA
- Subject: ex-immigrati... alle Europee: un'inchiesta di MIGRA
- From: "Daniele Barbieri" <pkdick at fastmail.it>
- Date: Wed, 9 Jun 2004 20:10:59 +0200
questo testo da doman pomeriggio sarà sul sito di Migra (cioè <http://www.migranews.net>www.migranews.net) da dove può essere ripreso, citando la fonte. (db) Ex immigrati, ora italiani, in corsa per Bruxelles: cinque storie per chi non crede all’Europa dei muri di Daniele Barbieri e Manfredo Pavoni Gay Poche ore al voto. Nelle liste dei candidati al Parlamento europeo abbiamo cercato dati anagrafici insoliti… ovvero di cittadine e cittadini che oggi hanno – è evidente – la nazionalità italiana ma sono nati fuori da qui, anzi fuori dalla comunità europea. E dunque sono per l’appunto extra-comunitari; che è solo un dato tecnico pur se in certi manicheismi purtroppo suona quasi come una parolaccia. Siamo un Paese a immigrazione relativamente giovane e ciò giustifica (fino a un certo punto però) se ancora ci stupiamo nel vedere un nazionale di basket un po’ più scuro della media o un sindaco abruzzese nato in Siria. Nel bene e nel male gli Usa - che invece sono un Paese costruito da migranti – non si sorprendono più nel vedere un politico di primo piano che sceglie di conservare il suo cognome greco e semmai si interrogano sul perché quell’attore tanto famoso abbia sentito il bisogno di "americanizzare" il cognome polacco. Non abbiamo trovato molti "ex immigrati" nelle liste. E forse anche il numero esiguo è un indicatore; come lo è l’assenza di "cittadini nati altrove" tanto nelle liste Ds, cioè della forza politica più forte del centro-sinistra, quanto di An che pure di recente sembrava aver compiuto una "svolta" (per molti versi sorprendente) proprio sul terreno dei diritti elettorali. Fra loro abbiamo scartato qualche nome - non ci sembrava realmente significativa, da un punto di vista socio-politico, come extra-comunitaria una persona nata negli Usa o in Svizzera – e in un paio di casi ci ha tradito il cellulare… Non lo diciamo per giustificarci – come è noto "la fatica del giornalista non fa notizia" – quanto per dare un’informazione aggiuntiva: non solo alcuni dei già pochi "ex immigrati" in lista sono privi di uffici elettorali (e fin qui…) ma i loro partiti li sostengono poco quando non li ignorano del tutto. Se aggiungiamo appunto i cellulari scarichi e il fatto che c’è chi sembra poco interessato a "far campagna" forse ne emerge la conferma che si tratta ancora di "candidati di colore" - il gioco di parole era pressoché inevitabile – buoni solo per le chiacchiere e non ancora per la concretezza dei fatti, delle scelte politiche, della necessità di rappresentare quella società multi-etnica e multi-culturale che pure visibilmente già esiste. Il mediatore co-co-co (proposta di titolino interno) "Sono talmente flessibile che potrei fare il contorsionista al circo": così Karem Abrebi si presenta, scherzando ma non troppo… come molti "co-co-co". Candidato da Rifondazione per le elezioni europee nell’Italia del centro, Abrebi vive a Porto san Giorgio. "Sono arrivato qui nel 1980 da Tunisi, dove già studiavo Lettere Italiane. Avevo 23 anni e per l’ultimo anno di studi ho scelto Macerata. Laurea e poi altri due anni di post-laurea linguistica. A cambiarmi la vita l’incontro, a Giurisprudenza, con mia moglie. Una bella storia: ora abbiamo tre figli, il più grande ha già 20 anni". L’esperienza politica di Karem Abrebi è quasi tutta italiana ma le sue riflessioni incrociano il Psi, il Mediterraneo e … i mondiali di calcio. "Pur con i suoi difetti la Tunisia è sempre stato uno dei Paesi arabi comunque più aperti. Ma lì io non ho avuto la possibilità di prender parte alle attività politiche come avrei voluto. Nel 1987 invece mi sono iscritto al Psi, soprattutto perché mi piaceva la sua politica estera con un’intelligente attenzione al mondo arabo. Ricordo che quando nell’estate del 1982 andai con mia moglie in Tunisia rimanemmo stupiti dei festeggiamenti quando l’Italia vinse la Coppa del mondo di calcio: a Tunisi si gioiva neanche fossimo fra italiani. E’ significativo che di recente l’aria sia molto cambiata. Oggi in Tunisia tanti ce l’hanno con l’Italia, dicono che è serva dell’America. Credo che anche per storia e per posizione geografica l’Italia avrebbe avuto tutto l’interesse a mantenere buoni rapporti con i Paesi mediterranei, mentre oggi ha perso molto (anche a livello economico) per la sua scelta di seguire sempre quel che fanno gli Usa. Io mi auguro che anche queste elezioni europee siano un segno tangibile che occorre cambiare, insomma che i governi filo-americani facciano le valigie, come i popoli chiedono in totale divergenza con certi leader. Se la Spagna purtroppo l’ha dovuto fare sotto un attacco terrorista, spero che l’Italia lo faccia per scelta, per volontà popolare perché il suo popolo non ha una vocazione guerrafondaia. Questa scelta di pace è un discorso che in Italia va anche oltre la sinistra, basta ricordare l’ex Democrazia cristiana". Parole chiare anche sul ruolo della sua candidatura e sul futuro prossimo: idee e analisi che Karem Abrebi riassume così. "In questa campagna elettorale il mio compito principale è ovviamente portare avanti la questione dell’immigrazione: qui do anche il contributo della mia cultura originaria in un’Italia che purtroppo non si è adeguato alla linea europea sul diritti di voto ai residenti (come hanno già fatto Irlanda, Norvegia, e altri). Penso che in un Paese moderno e democratico non si possa disgiungere il diritto di voto dal pagare le tasse e lavorare qui. Gli immigrati mandano i figli a scuola, molti neanche parlano più le lingue dei genitori, sarebbe assurdo considerarli stranieri… Così nelle Marche dove vivo e a livello nazionale ho sostenuto la campagna per il diritto di voto. Questo non esaurisce il mio impegno, perché io difendo ovviamente anche i diritti degli italiani. Oggi le classi normali – insomma tutti, tranne i ricchi - sono in crisi, è duro arrivare a fine mese e non c’entra l’euro: purtroppo non si sono predisposti strumenti di controllo sui prezzi, ma anche le vicende di Parmalat o Cirio mostrano brutte commistioni fra politica e finanza e la dicono lunga sul divario fra cittadini normali che se chiedono un prestito trovano solo rifiuti mentre le èlites dalle banche ottengono tutto, anche se non hanno i conti in regola. Speriamo che stavolta votino in tanti: non amo quelli che si astengono e magari poi recriminano se le cose vanno male. In democrazia il voto è l’unica arma a disposizione. Io l’apprezzo anche più di voi perché nei Paesi arabi quasi mai le elezioni sono veramente libere". Dietro il candidato, ecco il co-co-co. "Dico a mia moglie, per scherzo, che ormai sono talmente flessibile che ormai potrei fare il contorsionista al circo. Però mi piace il lavoro di sostegno linguistico, è proprio l’attività che mi sono scelto e penso di saper fare bene. Vorrei ancora sottolineare una questione. Il fenomeno delle migrazioni oggi è visto in modo duplice: negativo per la destra che vede solo pericoli, mentre la sinistra ha una posizione più aperta ma ancora un po’ folclorica, superficiale. Io ho una terza posizione: gli immigrati sono portatori di culture, di visioni del mondo diverse e tutti abbiamo qualcosa da imparare e da insegnare". Alla domanda se c’è qualche punto negativo nella sua campagna europea, Abrebi risponde con schiettezza. "Credo che la mia candidatura non sia di colore, del resto sono iscritto a Rifondazione dal 2002. Ho incontrato solo qualche ostilità per una vicenda che ci tengo a spiegare. Al tempo della guerra in Jugoslavia, che mi fece molto arrabbiare, ero uscito dal Psi e da un po’ mi disinteressavo di politica; ma nel 2000 la lista Sgarbi mi propose di candidarmi: io ero un po’ confuso sulle reali intenzioni di quella lista e accettai, poi mi resi conto che avevo sbagliato. Giorni fa qualcuno mi ha criticato per questo errore del passato ma io credo che nessuno sia senza macchia: anche l’Urss non è sempre stata un modello di democrazia (le invasioni di Cecoslovacchia e Afghanistan, tanto per dire). E’ l’unico punto negativo mentre gli aspetti positivi sono tanti: come le telefonate di congratulazioni che mi arrivano, anche da sconosciuti, dopo gli articoli o dopo i comizi. Penso che la gente apprezzi il mio impegno: perché invece mettere immigrati (o italiani) non preparati nelle liste sarebbe grave; io sostengo che la politica sia una cosa seria anche se purtroppo nel Parlamento italiano sono passati mafiosi, razzisti e pure la porno-star Cicciolina. Invece un deputato di origini straniere non sarebbe uno scandalo, anzi. E spero che presto lo vedremo". In fuga da un 11 settembre, quello del ’73 (prop di titolo interno) Rodrigo Rivas è nato a Santiago del Cile e vive in Italia dal 1974 in seguito al colpo di Stato del 1973. Laureato in Scienze Politiche ed Economia, è giornalista professionista. E’ stato capo redattore della casa editrice Mazzotta, direttore del Cespi, di Radio Popolare di Milano, del giornale Mani Tese, insegnante universitario a Milano e Pavia, nonché docente in diverse università straniere (Algeri, San José, Bogotà, Lima, Buenos Aires, Guayaquil), autore di una cinquantina di volumi in italiano. E’ anche promotore e relatore, insieme ai Verdi e alla sinistra piemontese, del seminario sull’alimentazione sostenibile nel Social Forum di Porto Alegre 2003. Attualmente è "Promotore Sociale dell’Ambito territoriale 1" (Alto Tevere Umbro), oltreché collaboratore dei mensili L’altra pagina e Arcipelago, della "Scuola per la pace" della Provincia di Lucca, del Centro studi Villa Montesca (a Città di Castello) e vicepresidente della Fondazione Neno Zanchetta (a Lucca) "per la difesa dei popoli indigeni". "Ho deciso di candidarmi perché la situazione politica del Paese è a rischio di degrado. L’attuale governo italiano è un insieme di avventurieri mentre le politiche militariste e neo-liberiste che stanno portando avanti rischiano di liquidare i diritti sociali economici e culturali che i lavoratori avevano conquistato negli ultimi 50 anni. E ho deciso di candidarmi nella lista dei Verdi perché questo governo ha creato diversi danni anche all’ambiente e più in generale non ha fatto nulla per sostenere il protocollo di Kioto e spingere gli Stati Uniti a firmare l’accordo sulle emissioni industriali". Rivas ha impostato la sua campagna elettorale sulle tematiche della pace, del lavoro dell’ambiente e dei diritti. In queste settimane ha incontrato tanti immigrati che vivono in Italia e che gli hanno parlato delle loro difficoltà: dal lavoro alla casa alla cittadinanza. "Sui migranti bisogna fare una grande campagna in Europa per una migliore informazione e per affermare un kit minimo di diritti. Vuoi un esempio? Le merci viaggiano sempre più liberamente e le persone al contrario sono schedate, fermate in centri di identificazione, ammesse in Europa solo in quanto forza-lavoro da sfruttare e poi da espellere. Eppure, i migranti spesso fuggono da guerre e disastri economici la cui responsabilità pesa direttamente sull’Occidente. I media ti fanno vedere un mondo, quello occidentale, pieno di auto, case lussuose merci e ricchezza mentre tu che vivi in Africa, Asia e Latino-America non hai quasi nulla. Poi quando cerchi di migliorare la tua condizione di vita vieni punito da mancanza di diritti, sfruttamento, precarietà nel migliore dei casi; nel peggiore vieni fermato e condotto in un Cpt (Centro di permanenza temporanea) e poi espulso. Se sarò eletto mi batterò per superare la Bossi-Fini e per creare un’Europa che sia anche uno spazio di diritti e solidarietà". Parlando con Rodrigo Rivas viene fuori che il lavoro è stato un tema fondamentale nella sua campagna. "La discriminazione dei migranti è evidente. Basti pensare all’aumento degli infortuni e dei morti sul lavoro, nell’edilizia ma anche nell’industria pesante. In Italia i migranti sono costretti a fare i lavori che nessuno vuol fare. Quanti laureati, medici, ingegneri lavorano come muratori, nei mercati ortofrutticoli o come ambulanti? In Francia il ministro degli Interni è un immigrato mentre in California, aldilà del personaggio, il governatore è un tipo arrivato negli Stati Uniti solo da 15 anni. La situazione italiana è unica in Europa. Un Paese tradizionalmente di emigrazione, dove tutto era pensato per far andare via la gente, anziché accoglierla. Credo sia un dato importante la presenza in questa elezione di candidati immigrati che avendo la cittadinanza italiana possono trovar posto nelle liste elettorali. Significa che gli immigrati non hanno tutti l’anello al naso e che, come dicono a Milano, non sono tutti dei baluba". La Palestina nel cuore e forse a Bruxelles (prop di titolino interno) Bassam Saleh, candidato nelle liste dei Comunisti italiani, è di origini palestinesi. Nel 1990 riesce a ottenere la cittadinanza per aver sposato un’italiana originaria dell’Uruguay. Saleh è nato a Burqa in Cisgiordania nel 1967 poco dopo l’occupazione israeliana e, come tante altre, la sua famiglia è costretta a trasferirsi prima in Kuvait, poi in Giordania. Nel 1970 arriva in Italia e studia all’università di Perugia. A Roma nel 1988 Saleh fonda un’associazione culturale palestinese e nel 2003 viene eletto presidente della Comunità palestinese di Roma e del Lazio. Di mestiere fa il mediatore culturale per lo sviluppo delle attività imprenditoriali, collabora con la Cgil, e con diverse testate giornalistiche come Rinascita, Radio città aperta e Contropiano. "Ho accettato la candidatura come indipendente nelle liste dei Comunisti italiani, che mi è stata proposta da un gruppo di amici e intellettuali sia italiani che palestinesi, perché credo fondamentale portare la questione della Palestina in Europa. Per la prima volta in una elezione europea ci sono alcuni candidati immigrati. Ma i giornali italiani hanno dato scarsissimo spazio alla nostra presenza nelle liste europee. Credo che questo dimostri da un lato la paura e i ritardi nel capire l’importanza di integrare e dare pieni diritti agli immigrati che da anni vivono e lavorano in questo Paese, dall’altro c’è anche un ritardo degli immigrati nell’entrare attivamente nella vita politica e sociale del Paese di arrivo. Penso che ci sia poco tempo per l’impegno politico, con problemi più urgenti come un contratto di assunzione, la casa, la scuola. Forse risolti questi problemi, che per un immigrato restano enormi, ci sarà tempo per un maggiore impegno". La questione palestinese è uno dei punti essenziali nel programma, di Saleh Bassam ma non è l’unica. E così? "Durante la campagna elettorale ho potuto ascoltare i problemi degli immigrati in Italia, la necessità di una politica sociale ed economica che tenga conto di loro, il desiderio di non dover essere costretti a emigrare ma poter venire in Europa per formarsi, studiare e poi magari tornare nel proprio Paese con un bagaglio di professionalità e competenze. Vorrei lavorare per una Europa che abbia un maggior peso politico e sociale, per un’Europa che si impegni sul fronte della solidarietà e della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. Su due punti dell’agenda politica mi sento particolarmente impegnato. Sul piano interno nella battaglia per il superamento della legge Bossi-Fini, per la chiusura dei Cpt (Centri di permanenza temporanea) e in più in generale per cambiare radicalmente le attuali politiche nei confronti dell’immigrazione; sul piano internazionale per cancellare il debito dei Paesi poveri e rilanciare una economia che miri a uno sviluppo equo e solidale. Ma un'altra battaglia importante è quella della cittadinanza. Non è ammissibile che in Italia si possa vivere e lavorare onestamente per anni e magari non riuscire a diventare cittadino italiano. Ho tanti amici apolidi che da anni non riescono ad avere la cittadinanza a causa della loro origine palestinese. Non parliamo poi dei musulmani o più in generale dei rifugiati politici. Attualmente l’unica strada sicura per acquisire diritti di cittadinanza è il matrimonio". Un senegalese felice a Trento (proposta di titolino interno) "La mia esperienza è abbastanza fortunata. Avevo 30 anni quando, nel 1989, sono arrivato in Italia, e quasi subito ho potuto mettermi in regola (grazie alla legge Martelli). Ho incontrato quella che poi è diventata mia moglie e ora abbiamo un bel figlio di 12 anni. Anche rispetto al lavoro non ho avuto grandissime difficoltà: prima in edilizia, poi nella raccolta dell’uva e in altri lavori nei campi, infine in fabbrica. Esperienze anche faticose, dure ma comunque positive. Di politica mi interessavo già in Senegal dove sono nato 46 anni fa perché credo che non bisogna disertare la partecipazione. Così, arrivato in Italia, mi è stato naturale impegnarmi per l’inserimento dei migranti, lavorando nelle istituzioni e nella società per favorire il dialogo. Sono tra i fondatori di "Oltre frontiere" che è un’associazione impegnata nel confronto fra culture diverse. Abito a Lasino e in pratica sono sempre rimasto a Trento o nei dintorni". Questo è il sintetico ritratto che di sé disegna Mamadou Seck, in lizza alle elezioni del Parlamento europeo dove Rifondazione comunista lo presenta nella seconda circoscrizione, quella dell’Italia nord-orientale. Quanto ai suoi rapporti con Rifondazione, lui li descrive così. "Sono tesserato da tre anni e nel novembre dell’anno scorso mi hanno offerto la candidatura alle provinciali dove ho ottenuto un bel risultato, in pratica sono risultato il terzo più votato. Questa campagna europea sicuramente è più difficile ma sono felice dell’esperienza di potermi confrontare anche fuori dal trentino, cioè con altre realtà italiane. Non tutto va sempre liscio ma sinceramente le difficoltà o le incomprensioni sono piccolezze sulle quali non vale soffermarsi. Confesso invece che all’inizio – parlo cioè delle elezioni provinciali - ero scettico. Perciò quando mi proposero un posto in lista, la prima reazione fu perplessa: un po’ perché preferivo impegnarmi in attività culturali (la politica oggi è malvista, spesso screditata… piaccia o meno è così) e un po’ perché non volevo essere un candidato solo di facciata, folcloristico. Riflettendo e parlando con i miei amici italiani ho invece deciso che questa presenza poteva essere importante. Insomma non mi sento di essere una bandiera da sventolare ma certo una candidatura come la mia può essere importante anche a livello simbolico, per dare un segnale forte della società futura che si vuole costruire insieme. Questa convinzione ovviamente è uscita rafforzata dal buon risultato che ho ottenuto alle elezioni provinciali. Ognuno ha i suoi interessi e le sue competenze, dunque io non mi occupo di tutto ma dedico tutte le mie energie soprattutto ai problemi sociali (di tutti i cittadini, non solo degli immigrati). A convincermi della serietà di Rifondazione è stata anche la prima conferenza nazionale sull’immigrazione, che si é tenuta l’anno scorso a Bologna". E’ un realista Seck perciò dubita di "finire a Bruxelles" ma resta convinto che la sua presenza in lista, gli incontri e i comizi fatti siano un segnale utile, possano aiutare a riflettere. E aggiunge: "Se poi fossi eletto… io o beninteso anche un altro di noi giunti come migranti in Italia, sarebbe una bella novità e ovviamente renderebbe un po’ più facile portare avanti le nostre lotte sui diritti. In primo luogo occorre ribadire a livello europeo che la cittadinanza non deve essere data solo per nascita ma anche per residenza. Quando vengo riconosciuto come cittadino, di conseguenza difendo meglio tutti gli altri diritti". Il sindaco siriano-aquilano, anzi no sudista e mediterraneo (proposta di titolino interno) "Quando mi hanno eletto sindaco, mi sono ricordato di essere nato altrove… visto che il nostro paesino venne invaso dai giornalisti. Qui infatti nessuno mi considera un immigrato, anche perché sono da tempo italiano a tutti gli effetti ". Per l’anagrafe è Mahmoud Srour ma davvero tutti lo conoscono come Mimmo. Nasce in Siria nel 1948, nel ’69 arriva in Italia per studiare ingegneria (si laurea nel ’76) e qui si sposa: così rimane a L’Aquila, diviso fra il lavoro di ingegnere civile e la famiglia (due figli). Arriva alla politica per un caso, o forse non troppo: "chi di noi ha radici nel Medio Oriente ha una passione particolare per la politica che ci dovrebbe aiutare a risolvere difficoltà, ingiustizie e tragedie di questa parte del mondo, basterebbe pensare alla questione palestinese" racconta con il suo caratteristico tono pacato, con un linguaggio minuzioso che scava alla ricerca dell’aggettivo più preciso e della frase priva di ambiguità. "Sono arrivato in questo Paese quando gli immigrati erano più che altro studenti ma anche l’Italia allora era molto diversa: ancora partivano dall’Italia gli emigrati e negli anni ’70 dalla Svizzera soprattutto ci arrivavano storie drammatiche: fra i meno giovani c’è chi ricorderà la frana che uccise moltissimi italiani…." … Chi ha 50 anni difficilmente può dimenticare quella strage e lo scandaloso processo che ne seguì. "Infatti. Anche il compianto Nino Manfredi nel film Pane e cioccolata impersonava uno di quegli italiani, dall’incerta identità, che giravano il mondo con valigie di cartone. La mia storia è diversa: una laurea, la famiglia, un lavoro, la piena integrazione, la nazionalità italiana e poi la politica attiva. Nel ’96 mi fu proposto da una lista civica di candidarmi a sindaco nel paese Sant’Eusanio Forconesi: ho stravinto (70 per cento dei voti), ora sono al secondo mandato. Non mi ero accorto fino allora di essere straniero, ovviamente il merito di ciò va soprattutto ai miei concittadini… E invece, dopo la vittoria elettorale, è scoppiato un pandemonio nazionale con i giornalisti di tutt’Italia che volevano conoscere l’immigrato sindaco. Già allora insomma la società reale era più avanti di quella ufficiale. Questo è un punto importante da chiarire. Io sono italiano e dunque non credo di poter rappresentare gli attuali immigrati: non ho dormito in macchina, non ho avuto difficoltà di trovar casa o lavoro. D’altro canto però come sindaco ma anche come persona nata fuori dall’Italia ho seguito le questioni legate alle recenti migrazioni che certo non si devono e non si possono affrontare con le cannoniere… come vorrebbe qualcuno. Eppure fino alla legge Martelli, l’immigrazione era vista solo come problema d’ordine pubblico non come questione sociale". La legge Martelli fu un passo in avanti, poi altri se ne sono fatti indietro. Vorrei il suo parere al proposito, anche perché nel frattempo la situazione geo-politica è molto mutata. "L’Italia è un Paese anziano, cioè con un’età media elevata mentre sull’altra sponda del Mediterraneo ci sono Paesi giovani dove con le antenne paraboliche vedono che a poca distanza da loro si sta meglio. Se aggiungiamo ingiustizie sociali, crisi e guerre, si capisce perché molti partano per venire qui: i problemi andrebbero risolti prima con la politica, se non lo si fa credo che fermare migranti e profughi sia pressoché impossibile. Io mi sono iscritto al Partito popolare e sono stato responsabile per due anni dell’ufficio che si occupava del Mediterraneo. Poi non sono stato d’accordo con la svolta in corso, così ho aderito all’Udeur-Alleanza popolare del quale ora sono segretario per la Regione Abruzzo e membro dell’ufficio politico: dunque mi sono impegnato nella politica a 360 gradi. Ho fatto del dialogo fra culture e popoli la mia religione, non credo allo scontro di civiltà (anzi penso che qualcuno l’abbia programmato a tavolino ma questo è un lungo discorso che ci porterebbe lontano). Come persona piango per le vittime del terrorismo e come sindaco sono doppiamente in lutto perché quel maledetto 11 settembre morì anche una quarantenne di Sant’Eusanio Forconesi, si chiamava Lorena Lisi, in quella tragedia con lei sono morti cristiani di ogni tipo ma anche indù, ebrei, musulmani. Oggi sono felice per il rilascio degli ostaggi ma questo non deve farci dimenticare che in Irak ci sono stati gravi errori (a partire dalle strombazzate armi di distruzione che poi non c’erano e non potevano esserci dopo tanti anni di embargo) nè può impedirci di affermare che il terrorismo non si combatte così, sparando nel mucchio". Dunque per lei la campagna elettorale non è una novità come per altri candidati. Vale però egualmente la domanda: se fosse eletto al Parlamento europeo su cosa si attiverebbe? O su cosa vorrebbe che si impegnasse un altro immigrato - anzi ex immigrato – arrivato a Bruxelles? "Io sono candidato nella circoscrizione centro-meridionale e come ipotetico rappresentante a Bruxelles di quest’Europa del sud dovrei intanto prendere atto che è un momento difficile: l’allargamento dell’Unione ha aspetti positivi ma significa anche spostare verso Nord il baricentro della nuova Europa. Ma io credo invece che sia fondamentale mantenere gli accordi di Barcellona sul partneriato mediterraneo, che dovrebbero trovare piena attuazione entro il 2010: il futuro dei nostri figli (in particolare nel Sud d’Italia) è nella combinazione Europa-Mediterraneo, in una zona di libero scambio che coinvolga tutti Paesi che si affacciano su questo mare. Noi popoli mediterranei abbiamo in comune una storia e molte ricchezze: non ci fu solo la battaglia di Lepanto, ma il felice regno di Federico 2°, o lo studio di Avicenna a Padova, o la scuola medica di Salerno… L’Italia aveva un ruolo importante e mi spiace che l’attuale governo in due anni sia riuscito a dissipare il lavoro dei Moro, degli Andreotti, dei Craxi, cioè a distruggere 40 anni di politica intelligente verso i nostri vicini. Sino a poco tempo essere italiano era un lasciapassare in tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Ora non più così ma questo non è nel nostro interesse. Da meridionale il mio ruolo sarebbe rilanciare questa politica di intese, certo senza dimenticare le mie radici, che possono essere un contributo in più. Il mio slogan è che: serve un ponte sul Mediterraneo. Ponte di idee, sia chiaro". Qualche anno fa in un libro intitolato La Babele ambulante - che raccoglieva gli atti di un convegno del ’99 all’istituto San Gallicano - proprio Srour concludeva con il simpatico ricordo del napoletano sconosciuto che gli spedisce il testo di Monastero a Santa Chiara mentre la professoressa sdi Ravenna, anch’essa mai conosciuta prima, gli invia notizie sulla città romana di Bossra in Siria. E concludeva Srour con parole ancora valide e che probabilmente potrebbero essere sottoscritte da tutti gli altri intervistati in questa inchiesta: "Sono fiducioso in un futuro fondato sul dialogo nel rispetto delle diversità e delle peculiarità di ciascuno". ----------------------- f i n e
- Prev by Date: Turchia: i prigionieri di coscienza turchi rilasciati oggi non devono subire ulteriori processi
- Next by Date: salutiamo con gioia la scarcerazione di Leyla Zana e degli altri deputati curdi
- Previous by thread: Turchia: i prigionieri di coscienza turchi rilasciati oggi non devono subire ulteriori processi
- Next by thread: salutiamo con gioia la scarcerazione di Leyla Zana e degli altri deputati curdi
- Indice: