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Non vorrei approfittare della vostra pazienza, ma mi piacerebbe
confrontarmi con voi su questa mia, si fa per dire, riflessione, che non ho
inviato ad alcun giornale.



Ho letto l'intervista che Massimo D'Alema ha rilasciato a Repubblica.
Registro alcune affermazioni e un'omissione che, a mio parere,
compromettono la possibile condivisione di qualche altro contenuto.

L'omissione è sul valore delle manifestazioni esplicite di milioni di
persone contro la politica di Bush (negli Stati Uniti, ieri, la stampa
parlava esclusivamente, e con malcelata soddisfazione, di quella di Roma).

La prima affermazione: il possibile successo del listone spaventa "apparati
della sinistra che temono di perdere le proprie rendite di posizione". Di
chi parla D'Alema? Varrebbe la pena, a volte, di essere più espliciti,
soprattutto da parte di una personalità politica che di apparati ha qualche
conoscenza.

La seconda affermazione: "non dovremo mai più trovarci nei cortei e nelle
piazze dove c'è gente che urla quegli slogan orribili". Sul contenuto degli
slogan mi sono già espresso ieri. Ma ciò che dice D'Alema mi pare difficile
da condividere e persino da comprendere. Ultimamente, per via dei numerosi
impegni nazionali e internazionali, D'Alema ha partecipato a pochissime
manifestazioni, mi pare che nei tre anni trascorsi non ne abbia indetta o
sollecitata neppure una. E tuttavia la sua lunga militanza dovrebbe quanto
meno svegliare la memoria e suggerire di riflettere sul fatto che è davvero
difficile prevedere chi viene, e con quale spirito, alle manifestazioni.
Una volta c'era il ferreo servizio d'ordine del PCI, ma qualche
stupidaggine ci scappava persino allora. A Roma, mi pare, il movimento
pacifista e gli organizzatori si sono adoperati con fatica, ma anche con
indubbio successo, per governare una giornata difficile. Mi sarei aspettato
da D'Alema che ne prendesse almeno atto, senza pretendere espliciti e
compromettenti complimenti. Invece, proprio dopo questo successo, arriva
l'anatema. Perché D'Alema non si chiede da dove vengono, o chi li manda,
quei dieci o venti o anche trenta, a essere generosi con i conteggi? Non ne
sa niente, nonostante la acquisita conoscenza degli apparati (non di
sinistra, ovviamente)? Così giudicando, invece, finisce con l'attribuire la
responsabilità dello slogan a tutto il corteo; e così attribuendo non si
differenzia, purtroppo, da Fini e da La Russa.

La terza affermazione: "è nato un grande soggetto riformista (manco a
dirlo, ndr) di tipo europeo, e come accade in tutta Europa il governo del
Paese si fonda su una grande forza essenziale, intorno al 35% dei consensi
elettorali". E il restante 16% dove lo si cerca? Dove capita? Fra quelli
degli apparati spaventati? Con le mance o con la condivisione di programmi
e di scelte? Non è dato sapere. Attendiamo con ansia la prossima intervista.

A proposito, l'intervistatore è il vicedirettore di Repubblica Massimo
Giannini, lo stesso che intervistò D'Alema alla Festa nazionale dell'Unità
di due anni fa. In quell'occasione, ricordo, D'Alema riconobbe di essere
"un problema, ma un problema irrisolvibile". Se, al di là della battuta,
fosse davvero così, temo che il problema sarà sempre più di tutti noi.

            Un caro saluto, Giuliano Giuliani