I sequestratori non ci ci chiedono di uccidere ma di manifestare, facciamolo in ogni modo



Care tutte e tutti,
Ho saputo appena scesa dall'aereo a Bruxelles del messaggio dei rapitori
irakeni. Non posso tornare subito a Roma come vorrei, qui al Parlamento
Europeo vi è la delegazione del Parlamento Palestinese. Devo restare,
malgrado l'emergenza.
Solo due righe perchè tra qualche minuto inizio gli incontri.
Ho parlato in Italia solo con poche persone del movimento.
Mi hanno  meravigliato alcune risposte.
Non mi sembravano cosi' diverse da quelle che ogni giorno sentiamo da parte
dei rappresentanti del nostro governo o da forze politiche che in nome del
senso della responsabilità rischiano di perderla.
Ho sentito frasi come "non possiamo cedere al ricatto", etc. etc.
Mi rendo conto della complessità della situazione, cosi' come ritengo sia
necessario valutare attentamente ogni singolo scenario o possibilità di
sviluppo e di tragedia. Ma la nostra cultura di pace, deve avere ben
chiaro, che quello che ci chiedono, se da un parte è un ricatto e
l'accettazione di metodi dai quali rifuggiamo, dall'altro ci offrono la
soluzione di quello che noi vogliamo, la liberazione degli ostaggi, che
nessuno venga ucciso.
Manifestare sarebbe un appoggio non al gesto dei sequestratori, ma alla
nostra umanità calpestata e distrutta ogni giorno dai fondamentalismi
imperiali di Bush o di Al Qaeda.Il nostro mezzo per liberare gli ostaggi.
Sarebbe un appoggio alla popolazione iraqena che non ha ancora cibo, acqua,
luce e che l'assedio e la brutalità dell'occupazione militare della
coalizione o degli attacchi contro autobus di bambini e popolazione civile
la rendono ancora una volta vittima, prima di un regime dittatoriale, poi
dell'embargo e ora della guerra imperiale.
Abbiamo manifestato e manifestiamo quotidianamente contro questa guerra e
contro tutte le guerre, continuiamo a farlo, le bandiere della pace devono
riapparire su tutti i balconi, le persone devono uscire per le strade,
tutti a chiedere pace e il ritiro dell'esercito italiano.
Se i sindaci convocano una manifestazione dobbiamo esserci, chi non potrà
essere a Roma, potrà farlo in tutte le sue città, ponti, paesi.
Penso che dovremmo fare una lettera aperta ai sequestratori e al popolo
iracheno, chiedere di leggerla alla televisioni arabe e non. Se vogliono
entrare in contatto con le forze di pace lo facciano.
Vorrei fare un appello a tutte le madri, padri, amiche,
sorelle per dire ai soldati italiani tornate, chiedete di tornare,
l'eroismo, come ci insegnano i piloti israeliani che si sono rifiutati di
bombardare le case palestinesi, è "il coraggio di rifiutare".
Vorrei riuscire ad organizzare una delegazione di madri che vada prendersi
i figli, o gli amici o i fratelli o gli amanti o i mariti a Nassirya.
In realtà questa richiesta che ci mette pena e angoscia potrebbe essere
un'opportunità,
facciamo diventare virtuoso un circolo vizioso, i sequestratori non
chiedono armi o soldi, non ci chiedono di uccidere o rapire i responsabili
della guerra, ci chiedono manifestate per la pace, manifestate per il
diritto del popolo iracheno a resistere. Noi abbiamo il diritto di
esprimere il nostro o il mio punto di vista  che la resistenza non si fa
uccidendo ostaggi, non si fa uccidendo civili. Ma che il popolo iracheno
possa davvero avere la libertà e la democrazia e che faccia i suoi passi
aiutato e non oppresso e rapinato.
E' possibile. Continuo a dire con le donne del mondo che "tra uccidere e
morire, c'è un altra strada, vivere".
Luisa Morgantini
parlamentare Europea
Donna in Nero
Associazione per la pace
Bruxelles, 27 Aprile 2004