LETTERA



Forse può interessare. E' la lettera mensile che mando ai miei amici.
Sono Ettore Masina, giornalista  e scrittore, fondatore della Rete Radiè
Resch. per due legislature deputato della Sinistra Indipendente, per la
seconda delle quali presidente del Comitato della Camera per i diritti
umani.
Cordiali saluti
ettore masina

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LETTERA 95
febbraio 2004 
1. Niente tricolore per Valery
Dopo il funerale portano fuori dalla chiesa. la bara del soldatino Melis
Valery, classe 1978, e ci si accorge che è nuda. Nessun tricolore, così
come nessun picchetto d'onore, nessuno squillo di tromba. Quasi con rabbia
gli amici gettano sulla cassa la bandiera di una squadra di calcio: il clan
riconosce e onora il suo compagno, ma la Patria è assente: quella dei
presidenti, dei ministri, dei generali, e magari del cardinale Ruini,
questa volta. non c'è. Il soldatino Melis Valery  ha avuto il torto di non
essere stato ucciso in Iraq per un "vile attentato": si potrebbe dire che,
in qualche modo, è morto per "fuoco amico", o,  meglio, per un veleno
"amico": quello dei proiettili all'uranio usati dagli americani nel Kosovo
(e poi in Iraq). Quei proiettili non distruggono e non uccidono soltanto al
momento in cui esplodono; i loro resti sono radioattivi, inquinano il suolo
su cui cadono, gli esseri umani che li avvicinano. Sono 24 i soldati
italiani  che, mandati nei Balcani per una guerra "umanitaria" ormai
dimenticata, sono morti del morbo di Hodgkin, un cancro che lascia poche
speranze. Altri 260 "nostri ragazzi", per usare una terminologia che piace
tanto alle destre patriottiche, soffrono dello stesso male. Uno di essi in
queste ore. è in agonia Il governo non riconosce la loro devastazione come
"causa di servizio. "E' necessario approfondire" dice il ministro della
Difesa, ma certo è che il contingente italiano è, fra i gruppi di militari
stranieri nei Balcani, quello più colpito dal morbo. Il ministro Martino si
domanda perché. Penso che una risposta potrebbe essere che i nostri
soldati, secondo una gloriosa tradizione della nostra burocrazia militare.,
non erano adeguatamente equipaggiati come i colleghi; un'altra risposta è
che forse qualcuno del comando alleato ha scelto per gli italiani l'area di
intervento maggiormente inquinata.
2. I mostri della guerra
Lo stesso giorno dei funerali di Valery i quotidiani pubblicavano una
notizia che arrivava dal Sud Est asiatico. Un gruppo di vietnamiti ha
deciso di fare causa a due delle più grandi multinazionali, la Monsanto e
la Dow Chemical. Sono due colossi industriali produttori di erbicidi e di
insetticidi, oggi monopolisti degli omg. Negli anni '60 e '70  fornirono
alle truppe americane l'Orange B, un defoliante che esse usarono per
stanare dalle foreste i partigiani e le truppe di Hanoi. Vastissime zone
furono irrorate e selve millenarie desertificate. Ho visitato nel gennaio
del 1980 una grande area sulla quale si stendeva prima dell'Orange B una
rigogliosa foresta tropicale. Ne rimanevano soltanto le fotografie: le
montagne erano adesso coperte di arbusti, non vi erano più tornati gli
uccelli, neppure gli insetti, soltanto le zanzare e, tra gli animali, i
cobra. Cito dal mio diario: "Alla fine della guerra gli americani avevano
irrorato di diserbanti più di10 milioni di ettari. In quelle zone vivevano
centinaia di migliaia di persone (Š). Il generale a quattro stelle William
Westmoreland, che comandò le truppe americane dal '65 al '68, parlava dei
vietnamiti come di "termiti". I vietnamiti furono dunque trattati come
insetti - una inedita, e ben presto dimenticata. forma di genocidio e di
ecocidio (Š). Secondo le statistiche del Pentagono, piovvero
complessivamente sulle foreste, le acque e gli abitanti del Vietnam
centrale e meridionale, settantadue milioni di litri di defoliante (Š). Gli
erbicidi non si limitarono a fare dei morti e degli invalidi: l'Agent
Orange penetrò nel seme stesso dell'uomo: e continuava a agire anche
quindici anni dopo che la pace era tornata. (Queste parole sono state
scritte nel 1990 ma sono valide ancora oggi) (Š) Trasformati in arma, i
prodotti usati dalle Miss Marple dell'Occidente per la cura delle loro rose
e dei loro tulipani diedero origine a nuove "varietà" di piante e di
animali; fornirono, cioè, nuovi volti e nuove tragedie agli orrori del Sud
della Terra, facendo nascere bambini atrocemente deformi, somiglianti alle
creature demoniache di Jeronimus Bosch."Š 
"I piloti degli aerei da irrorazione colpirono talvolta anche soldati
americani (Š). Vittime dell'Orange B continuarono a morire o a nascere
anche negli Stati Uniti e in Australia. Nel 1991 una vicenda degna di
Shakespeare sollevò grsnde emozione negli States, protagonisti "i due
Zumwalt". un padre e suo figlio che pubblicarono un libro scritto a quattro
mani. Il figlio stava per morire, colpito da due diverse forme di tumore e
dopo avere generato un figlio fortemente handicappato. In Vietnam aveva
comandato una cannoniera che pattugliava un'ansa del Mekong e che, essendo
il centro di un'area di "disinfestazione", era stata più volte irrorata di
defoliante. L'ordine dell'uso dell'Orange era stato dato da un generale che
era il padre del giova   ne ufficiale. Egli non ignorava che il figlio (e i
suoi soldati) sarebbe stato colpito, ma "era necessario stanare il nemico"
scriveva adesso. E aggiungeva: "Lo rifarei". "Mio padre ha ragione"
scriveva il figlio"-
3. Una feroce idiozia
Ho voluto parlare insieme della morte dei 24 soldati italiani e degli
orrori dell'Orange B, per ricordare ancora una volta (mi pare che ce ne sia
in giro un enorme bisogno) che la guerra è sempre una feroce idiozia.
Feroce la guerra lo è sempre stata e sempre ha prolungato le sue atrocità
oltre gli armistizi. Vedove e orfani, mutilati, ex soldati psichicamente
degradati (il numero dei "veterani" in Vietnam finiti in  case di cura o in
prigione è superiore a quello dei caduti in battaglia), distruzioni
dell'habitat, e così via: dopo ogni guerra il nostro pianeta ha conosciuto
impoverimenti e sofferenze infinite.  "Et tout ça pur rien, et tout ça pour
rien"  (e tutto questo per niente) afferma una stupenda canzone popolare
francese. L'ordine lasciato dagli eserciti è sempre stato quello dei
cimiteri. Ma dal 6 agosto 1945 la guerra è diventata seminagione di orrori
per generazioni e generazioni. La Bomba sganciata quel giorno su Hiroshima
segnalava che l'odio avrebbe colpito i viventi ma anche i nascituri. Da
quel momento, se pure il terrore per l'apocalisse atomica ha fermato i
governanti e i generali sull'orlo dell'abisso, si è inaugurata la strategia
non solo della guerra preventiva  ma anche della guerra  senza fine. Tutte
le armi che contrassegnano gli eserciti della seconda metà del secolo XX e
dei nostri giorni sono l'equivalente di tante piccole Hiroshima.
Alle armi nucleari  e chimiche altre si sono aggiunte. In tutto il mondo,
ogni giorno, in zone in cui teoricamente la pace è tornata da anni e anni,
26 mila persone, in grande maggioranza bambini rimangono mutilati o uccisi
da centinaia di milioni di mine sparse su campi di battaglie che sembrano
lontanissime nel tempo. Una mina rimane in funzione vent'anni, e quando
domandai a uno dei tecnici della produzione italiana (i cui ordigni sono
disseminati tuttora in immense aree) perché non si pensasse di dare a
questi strumenti di ferocia tecnologica una efficacia limitata nel tempo,
mi guardò sorpreso: "Nessuno ce l'ha mai chiesto". Ricordo di avere visto a
Beled Wayn, nell'Ogaden, due bambini somali "saltati" su una delle tante
mine italiane vendute impar-zialmente alla Somalia e all'Etiopia in guerra
fra loro. In un fatiscente ospedale, li curavano amorosamente medici
italiani. "Sono condannati all'ergastolo" mi disse un dottore; e poiché io
mostravo di non capire, spiegò: "Sono figli di pastori, nomadi che ogni
giorno si spostano per 15-20 chilometri. Quando usciranno di qui, i
genitori non potranno fare altro che appoggiarli all'ombra di un muretto
dove camperanno la vita del men-dicante". "Quella"  guerra era finita da
quattro anni, "quella" guerra continua a uccidere.
Con un lunghissimo lavoro politico i pacifisti sono riusciti a far  mettere
fuori-legge da molti paesi le mine-antiuomo ma intanto gli americani hanno
inventato e continuano a usare le cluster-bombs, le bombe a frammentazione,
le quali hanno anch'esse un lungo tempo di attività e grazie alla loro
apparenza di giocattoli sono particolarmente minacciose per i bambini.
Chi sostiene che vi possono essere oggi guerre giuste, paci ristabilite
dopo le battaglie, le occupazioni e le sconfitte o è vergognosamente
disinformato o  mente sapendo di mentire.
4. Profezia e lobby
Il Papa ha ricevuto il presidente spagnolo, Aznar. Subito dopo i quotidiani
si sono affrettati a registrare che, secondo le solite "fonti vaticane bene
informate", Giovanni Paolo II vedrebbe volentieri, in un prossimo futuro,
lo statista di Madrid alla guida della Commissione Europea. Da anni ormai
una fazione della Santa Sede si arroga il diritto (e ha evidentemente i
poteri) di diffondere indiscrezioni sulle convinzioni del Papa, anche se
qualche volta è stata smentita dallo stesso pontefice.
 Se la notizia del favore papale ad Aznar fosse vera, segnerebbe una nuova
sconfitta dell'evangelo e della stessa figura "profetica" di Karol Woytjla.
Aznar, infatti, è l'unico capo di stato cattolico dell'Europa Occidentale
che - contro il volere della maggioranza del suo popolo - ha allineato il
suo Paese agli Usa e al Regno Unito nella guerra all'Iraq definita
illegittima e immorale da Giovanni Paolo II. E' triste vedere come nelle
istituzioni, anche quelle che si  ispirano ai più nobili princìpi prevalga
la tentazione della lobby. Aznar ha scelto la guerra ma per la Santa Sede
un cattolico di potere, anche se infedele, può sempre essere utile.
5. Costruire la pace
Ricevo dall'amico Giorgio Montagnoli di Pisa (e convintamente faccio mia)
la seguente nota: Il Movimento per la Pace ha visto in tutto il mondo, ma
in particolare nel nostro paese, un fiorire di intenzioni, che hanno
comunque necessità di approfondire ragioni e metodi, nel cercare una
strategia che porti ad alternative agli eserciti e agli armamenti nel
compito della difesa, della gestione delle crisi internazionali e del
mantenimento della pace. In questo quadro è stata progettata a Pisa, nello
stesso tempo in cui l'Università ha istituito un corso di laurea in
"Scienze per la Pace", la rivista semestrale Quaderni Saty’graha, che vuole
essere uno strumento per approfondire il metodo nonviolento per trascendere
i conflitti. Il richiamo è alla cultura gandhiana, che accomuna mezzi e
fini dell'azione, e costituisce un metodo più efficace delle strategie
militari, decisivo per trasformare in modo creativo e nonviolento le realtà
che generano l'ingiustizia e la guerra. Il nome scelto per la rivista,
esprime il richiamo al metodo creativo e costruttivo della nonviolenza
gandhiana: Sat è l'essere, la verità intesa come ricerca e tensione verso
la verità; Agraha è il potere che agisce nei conflitti per trasformarli e
trascenderli verso realtà di Pace.
La tradizione della nonviolenza in Italia è grande, come mostrato da molti
maestri come Aldo Capitini, don Milani, Lanza del Vasto, Danilo Dolci, don
Tonino Bello e altri ancora. Essi hanno avuto un effetto notevole sulla
società civile, ma non altrettanto importante sulle grandi istituzioni
culturali, fatto che ha impedito a lungo il riconoscimento istituzionale
degli "studi sulla pace" Gli stessi studi sono stati trattati con
diffidenza dagli accademici, che ne hanno negato il carattere di scienza,
perché poco oggettivi. Johan Galtung, il decano norvegese delle ricerche
sulla pace, ha confutato questa perplessità delineando con chiarezza i
caratteri scientifici degli studi per la pace con l'immagine dell'azione
medica: diagnosi-prognosi-terapia. Allo studio segue l'acquisizione di
capacità funzionali per intervenire con una cura appropriata sulla
malattia, di cui la violenza è il sintomo.
Quaderni Saty’graha, edita dal Centro Gandhi in collaborazione con il
Centro di Scienze per la pace dell'Università di Pisa, pubblica saggi dei
maggiori studiosi italiani ed esteri, ma si propone anche di stimolare la
nascita di gruppi di ricerca che valorizzino giovani studiosi italiani. Il
quarto numero, uscito a gennaio 2004, è incentrato sul contributo della
nonviolenza al pacifismo, che potrebbe indurre nella cultura del movimento
per la pace maggiore consapevolezza degli obiettivi, e delle modalità di
azione più coerenti ed efficaci per il loro raggiungimento. Come è successo
per i numeri precedenti, si tratta di un libro di riferimento per lo studio
personale, una pubblicazione corposa di circa 200 pagine che si articola in
cinque parti. La prima analizza storicamente il modo in cui Gandhi si è
rapportato col pacifismo, e lo attualizza considerando come oggi il metodo
nonviolento si pone di fronte alle più gravi crisi internazionali. Nella
seconda sono compresi i lavori utili allo studio dei conflitti attualmente
in corso nel mondo. Nella parte centrale si esamina il contributo che il
metodo nonviolento introduce nella microconflittualità  sociale (scolastica
e giudiziaria). La quarta sezione è dedicata alla metodologia degli studi
per la pace. Si chiude, infine, con un saggio dedicato al pensiero di Aldo
Capitini, cui è dedicata la copertina del quaderno.
Quaderni Saty’graha (via Santa Cecilia 30, 56127 Pisa; tel. 050-54.25.73;
e-mail:  roccoaltieri at aliceposta.it; sito web:
pdpace.interfree.it/quaderni.html)
L'abbonamento annuo, per due numeri, è di 30 euro (ccp 19254531, intestato
a "Centro Gandhi ONLUS", ma è consentito anche il pagamento tramite banca,
con bonifico intestato al conto corrente postale del Centro Gandhi sopra
riportato, attraverso l'ulteriore indicazione del codice ABI 07601, CAB
14000). La rivista può essere ordinata anche presso le librerie, dove ogni
numero viene venduto come volume singolo (distribuzione PDE, Firenze).
"LETTERA" riprende il cammino
Mi scuso con le amiche e gli amici di "LETTERA" per il lungo periodo di
silenzio. Come alcuni sanno, ho avuto problemi di salute. a  cominciare
dalla frattura di un femore. Sto meglio e dunque, sia pure con le
stampelle, LETTERA riprende il cammino
Tanti affettuosi saluti
ettore masina
P.S. LETTERA viene inviata a chiunque me ne faccia richiesta. Il mio
indirizzo è: via Cinigiano 13, 00139 Roma, tel. (06) 810.22.16. Un
contributo alle spese di fotocopiatura  e postali è assai gradito. I
versamenti possono essere effettuati sul ccp 49249006 intestato a Luca Lo
Cascio, via Leone Magno 56, 00167 Roma.
I testi di LETTERA possono essere integralmente o parzialmente riprodotti.
Sarò grato a chi vorrà darmene notizia.






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