La nonviolenza e' in cammino. 752



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 752 del 7 dicembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Giobbe Santabarbara: da Simone Weil a Lidia Menapace passando per Nelson
Mandela e Desmond Tutu. La nonviolenza giuriscostituente
2. Aschenbach, Venezia, l'Europa
3. L'8 dicembre a Venezia
4. Pax Christi: farsi eco della profezia della nonviolenza
5. Elena Laurenzi: su Maria Zambrano
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: DA SIMONE WEIL A LIDIA MENAPACE PASSANDO
PER NELSON MANDELA E DESMOND TUTU. LA NONVIOLENZA GIURISCOSTITUENTE
[Giobbe Santabarbara e' uno dei collaboratori del "Centro di ricerca per la
pace", solitamente affetto dal male del dottor Vidriera]

La nonviolenza giuriscostituente: ovvero non solo campo di scelte logiche e
morali, non solo metodologia ermeneutica, deliberativa ed operativa, non
solo repertorio di tecniche e di relazioni, non solo testimonianza e
movimento e campagne, progetto di liberazione e principio responsabilita' (e
intreccio e sviluppo del principio speranza di Ernst Bloch con il principio
disperazione di Guenther Anders); ma anche fondatrice di diritto e
istituzioni, di regole pubbliche e pubblica amministrazione, proposta
istitutiva di una convivenza che intrecci e inveri diritti civili e diritti
sociali, gestione consiliare e legalita' codificata, liberta' individuali e
cura comune del pubblico bene, le ragioni della giustizia con quelle della
liberta' e della solidarieta': omnicrazia, per dirla con il denso concetto
di Aldo Capitini.
Nel momento piu' tragico della storia d'Europa Simone Weil penso' e propose
idee luminose per la ricostruzione d'Europa su basi nonviolente; ma propose
anche interventi nonviolenti nel vivo e nel fuoco e nel cuore del conflitto:
che sconcertarono allora i capi della Resistenza per la loro audacia
nonviolenta, ma che oggi possiamo cogliere con maggior chiarezza nella loro
apertura e profondita'.
In quella esperienza cruciale che fu la Resistenza europea contro la
barbarie nazifascista era impegnata anche la giovane partigiana Lidia
Menapace: che si trova ad essere oggi il punto di riferimento di questa
proposta che a noi pare inveri il senso e il fine della Resistenza: la
proposta appunto di un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata,
solidale e nonviolenta. La proposta della nonviolenza giuriscostituente.
La nonviolenza giuriscostituente ha gia' avuto manifestazioni storiche
rilevantissime: la piu' nitida e' forse quella della Commissione per la
verita' e la riconciliazione che in Sud Africa ha saputo essere
realizzazione nonviolenta nell'ambito del diritto penale (l'ambito
apparentemente piu' refrattario alla nonviolenza nella teoria e nella
pratica dello stato hobbesianamente e weberianamente inteso come detentore -
idealtipicamente, va da se', che' nella pratica assai piu' complessa e
caotica e tragica e' la situazione - del monopolio della violenza): se
quell'esito e' stato possibile e' stato certo anche perche' nella lotta
contro l'apartheid una lunga tradizione vi e' stata di nonviolenza: dalle
prime prove di Mohandas Gandhi, dall'indimenticabile Albert Luthuli al
Nelson Mandela che per decenni dal carcere ha resistito, fino alla vittoria.
E in quella vittoria, e in quei metodi nonviolenti, e in quella scelta della
convivenza (nitida gia' nel discorso di Mandela al processo di Rivonia nel
1964: "... Ho combattuto contro la dominazione bianca e ho combattuto contro
la dominazione nera. Ho accarezzato l'ideale di una societa' democratica e
libera in cui tutte le persone vivono insieme in armonia e con pari
opportunita'..."), era gia' inscritta anche la possibilita' che poi si e'
schiusa e dispiegata con la Commissione per la verita' e la riconciliazione,
presieduta da un altro eroe della lotta antiapartheid, Desmond Tutu.
Simone Weil, Nelson Mandela, Desmond Tutu, Lidia Menapace: la nonviolenza in
cammino, la nonviolenza giuriscostituente.
La proposta di Lidia Menapace per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e
smilitarizzata, solidale e nonviolenta, e' qui e adesso non solo
un'aspirazione, ma un'esigenza, e un'urgenza.
Ci pare che essa possa costituire il quadro di riferimento per un'azione
comune dei movimenti di pace e di solidarieta' che non intendono delegare la
politica europea a ristrette oligarchie economiche e burocratiche; ci pare
che essa possa costituire, nella chiarezza delle affemazioni di principio
("L'Europa ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali" senza equivoci o sotterfugi) come nelle sue articolazioni
concrete (difesa popolare nonviolenta, corpi civili di pace, servizio
civile, disarmo, smilitarizzazione, riconversione ad usi civili
dell'industria bellica, eccetera), un "programma costruttivo" persuasivo per
molte e molti.
L'8 dicembre a Venezia la proposta verra' pubblicamente presentata da Lidia
Menapace, dalla "Convenzione permanente di donne contro le guerre", dalle
donne e dagli uomini di volonta' buona che l'8 novembre si sono incontrate e
incontrati nella Casa della nonviolenza di Verona ed hanno steso l'appello
che sta gia' circolando in Italia e in Europa.
Che anche a Venezia sia un felice incontro; e buon lavoro a tutte e tutti.

2. EDITORIALE. ASCHENBACH, VENEZIA, L'EUROPA
La morte di Aschenbach a Venezia ci e' sempre parsa una delle piu' cupe ed
insieme piu' profonde metafore della crisi della cultura europea.
E proprio a Venezia lunedi' 8 dicembre alcune persone che di Thomas Mann
hanno amato non solo i Buddenbrook e la Montagna incantata, ma anche le
Storie di Giuseppe, proporranno alla coscienza europea una via d'uscita
dalla decadenza e dalla crisi, dal "decline and fall" iniziato nel 1914.
Questa via d'uscita, questo "varco attuale della storia" (per usare la densa
formula di Aldo Capitini) e' la nonviolenza, questa tradizione e questo
progetto che dal Sud Africa e dall'India Mohandas Gandhi ha pensato,
praticato, promosso, lanciato come appello all'umanita': la nonviolenza come
grande proposta non solo morale, ma politica, istitutiva non solo di un
ordine e un rigore interiore, ma di civile convivenza, di relazioni sociali
liberanti e solidali.
La nonviolenza come movimento storico, come proposta politica, e fin
giuridica ed istituzionale; la nonviolenza come rottura della subalternita'
alla violenza dello sfruttamento, dell'inquinamento, della guerra, del
terrore, della paura che isola e disgrega; la nonviolenza come opposizione
la piu' nitida e la piu' intransigente alla violenza sia dispiegata che
cristallizzata nell'oppressione che denega il volto dell'altro e dell'altra
e l'umanita' tutta offende ed aliena, e dimidia e degrada ed annichilisce;
la nonviolenza come colloquio corale, azione collettiva, riconoscimento di
umanita' fraterna e sororale; la nonviolenza come solidarieta' fra tutte e
tutti, e come liberazione di tutte e tutti.
Ed e' con la scelta della nonviolenza che puo' riemergere dai flutti ed
infine pienamente inverarsi quell'Europa del diritto e della dignita' umana
che anche Thomas Mann presenti' e per cui volle battersi dall'esilio contro
la barbarie nazista; quell'Europa prefigurata nelle testimonianze dei
martiri della Resistenza antifascista europea, le cui ultime lettere
l'autore della Morte a Venezia presentava rivendicando con pietas ed
orgoglio ad un tempo "l'impulso ad avvicinare la vita umana al bene, a cio'
che e' conforme alla ragione e voluto dallo spirito" (dalla prefazione di
Thomas Mann alle Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea,
Einaudi, Torino).
L'Europa di Rosa Luxemburg, di Virginia Woolf, di Simone Weil, di Etty
Hillesum, di Edith Stein, di Hannah Arendt, di Margarete Buber Neumann, di
Laura Conti, di Ginetta Sagan, di Luce Fabbri, di Darina Silone.
L'Europa costruttrice di pace con mezzi di pace che vogliamo edificare come
soggetto storico attivo e spazio civile condiviso e accogliente ed aperto,
luogo politico nel senso forte arendtiano. Un'Europa neutrale e attiva,
disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta.

3. INCONTRI. L'8 DICEMBRE A VENEZIA
Il convegno veneziano "per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e
smilitarizzata, solidale e nonviolenta" avviene nella solenne cornice del
terzo Salone dell'editoria di pace promosso dalla Fondazione Venezia per la
ricerca sulla pace, lunedi' 8 dicembre, dalle ore 10 alle ore 13, nel Teatro
del Patronato ai Frari.
Per tutte le indicazioni anche logistiche e topografiche si puo' vedere nel
sito www.terrelibere.it/fondacodivenezia
Per ulteriori informazioni e contatti: Giovanni Benzoni (e-mail:
gbenzoni at tin.it), Lidia Menapace (e-mail: llidiamenapace at virgilio.it), Mao
Valpiana (e-mail: azionenonviolenta at sis.it).

4. APPELLI. PAX CHRISTI: FARSI ECO DELLA PROFEZIA DELLA NONVIOLENZA
[Riportiamo di seguito il contenuto integrale del n. 4 di "Pax Christi
news", bimensile telematico di informazione del prestigioso movimento
cattolico nonviolento per la pace. Per contatti: segreteria nazionale di Pax
Christi, via Quintole per Le Rose 131, 50029 Tavarnuzze (Fi), tel.
0552020375, fax: 0552020608, e-mail: info at paxchristi.it, sito:
www.paxchristi.it)]

E' un invito accorato e fraterno quello che il consiglio nazionale di Pax
Christi rivolge ai credenti e alle comunita' cristiane nella forma di una
lettera aperta. "Abbiamo atteso che don Fabio Corazzina e don Renato Sacco
tornassero dall'Iraq dove si erano recati immediatamente dopo il brutale
attacco terroristico a Nassirya - ha precisato mons. Tommaso Valentinetti,
presidente della sezione italiana del movimento cattolico per la pace, e ha
proseguito - abbiamo scelto di pronunciarci su quanto sta accadendo solo
dopo aver ascoltato la gente che vive sulla propria pelle la situazione in
Iraq e avendo constatato le difficolta' e i disagi del momento presente".
La lettera richiama l'attenzione delle chiese cristiane all'annunzio della
nonviolenza indicato come l'unico insegnamento evangelico possibile per
contrastare il dilagare degli odi e della violenza in Iraq come altrove:
"sentiamo forte la chiamata di Dio a convertirci alla nonviolenza - si legge
nel documento - e a farci eco di questa medesima profezia che fiorisce sulle
labbra dell'anziano papa Giovanni Paolo II". Infatti si fa esplicito
riferimento all'appello del papa formulato domenica scorsa nel corso
dell'Angelus: "Quelle parole fanno definitivamente piazza pulita di ogni
altra possibile opzione per dirimere i conflitti", commenta Tonio Dell'Olio,
coordinatore di Pax Christi.
Il documento si conclude con un invito ancora piu' esplicito ai pastori di
tutte le chiese cristiane affinche' non tacciano di fronte ai fenomeni del
terrorismo e della guerra: "A loro piu' che ad altri compete di farsi eco
della profezia della nonviolenza".
Segue il documento, che e' consultabile anche sul sito www.paxchristi.it
*
Farsi eco della profezia della nonviolenza
Lettera aperta ai credenti e alle comunita' cristiane

Partecipiamo con immenso dolore e con tanta tristezza nel cuore alla
drammatica involuzione che ogni giorno di piu' va assumendo il conflitto
armato in terra irachena.
Sarebbe esercizio fin troppo semplice affermare che tutto questo non solo
era prevedibile ma addirittura era stato pubblicamente e autorevolmente
anticipato da Giovanni Paolo II quando ebbe a dire: "Di fronte alle tremende
conseguenze che un'operazione militare internazionale avrebbe per le
popolazioni dell'Iraq e per l'equilibrio dell'intera regione del Medio
Oriente, gia' tanto provata, nonche' per gli estremismi che potrebbero
derivarne - dico a tutti: c'e' ancora tempo per negoziare; c'e' ancora
spazio per la pace; non e' mai troppo tardi per comprendersi e per
continuare a trattare" (Angelus 16 marzo 2003).
Non siamo mossi alla riflessione soltanto dalla morte di cittadini italiani
che ha scosso profondamente le coscienze del nostro Paese. L'universalita'
dell'annuncio evangelico, cosi' come il senso della cattolicita' non ci
consentono di distinguere il dna del sangue versato, e anzi il dolore che ci
colpisce da vicino deve divenire unita' di misura per una migliore
comprensione della sofferenza di tutti.
*
Ciononostante in questo momento a noi sta a cuore riflettere sulla
situazione presente rivolgendoci ai credenti e alle comunita' che traggono
motivo di vita dal Vangelo di Gesu' Cristo. Ai fratelli e alle sorelle che
professano la fede cristiana nelle diverse tradizioni delle chiese vogliamo
chiedere di confrontarsi con il tempo presente a partire dalla Parola di Dio
che sempre deve ispirare il nostro vivere e deve illuminare le nostre
scelte.
Particolarmente significativo ci pare a questo proposito uno strano episodio
che ci viene riferito dall'evangelista Luca: "In quello stesso tempo si
presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato
aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesu'
rispose: 'Credete che quei Galilei fossero piu' peccatori di tutti i
Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite,
perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovino' la
torre di Siloe e li uccise, credete che fossero piu' colpevoli di tutti gli
abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete
tutti allo stesso modo'" (Lc 13,1-5). Gesu' invita alla conversione con
parole molto dure, che non lasciano molto spazio ad altre opzioni. Di fronte
alla morte degli innocenti, davanti alle sciagure provocate dagli uomini,
dentro la storia che ci incalza moltiplicando l'orrore del terrorismo e
delle guerre, Gesu' non rivolge altro appello se non quello alla
conversione.
La terra irachena, culla di una civilta' antica e fiera, e' la stessa terra
biblica in cui si svolgono le vicende di Abramo e di Giona, entrambi segnati
dalla conversione che pone a rischio la propria esistenza, dall'annunzio
alla conversione e da un cambiamento radicale della propria esistenza che
segue la voce di Dio contro ogni miopia umana. Essi hanno il coraggio di
rischiare sperando contro ogni speranza.
In questo momento della storia che, in Iraq e in tante altre zone della
terra, continua a contrapporre violenza a violenza, vendetta a ferocia,
rancore a dolore, sentiamo forte la chiamata di Dio a convertirci alla
nonviolenza e a farci eco di questa medesima profezia che fiorisce sulle
labbra dell'anziano papa Giovanni Paolo II: "La pace nei cuori si costruisce
deponendo le armi del rancore, della vendetta e di ogni forma di egoismo. Ha
grande bisogno di questa pace il mondo! Penso in modo speciale con profondo
dolore agli ultimi episodi di violenza in Medio Oriente e nel continente
africano, come pure a quelli che la cronaca quotidiana registra in tante
altre parti della Terra. Rinnovo il mio appello ai responsabili delle grandi
religioni: uniamo le forze nel predicare la nonviolenza, il perdono e la
riconciliazione! 'Beati i miti, perche' erediteranno la terra' (Mt 5, 5)"
(Angelus, 30 novembre 2003).
*
Farsi eco della profezia della nonviolenza oggi per noi significa
innanzitutto disarmare i nostri pensieri e i nostri cuori bandendo
atteggiamenti di contrapposizione e di idea del nemico per acquisire nuovi
stili di vita improntati alla riconciliazione e capaci di osare davvero la
pace con lo stile che Gesu' ci ha insegnato: "Amate i vostri nemici e
pregate per i vostri persecutori" (Mt 5, 44). Intensifichiamo tanto le
azioni di prossimita' verso coloro che seminano violenza e morte in modo
cosi' orrendo quanto la preghiera profonda e intensa. "Osare la pace per
fede" e' stata la grande lezione di vita consegnataci da un testimone come
Dietrich Bonhoeffer.
Farsi eco della profezia della nonviolenza e' vivere la sfida di una nuova
tensione educativa in questo momento di disorientamento in cui la pace
sembra essere diventata "parola multiuso" - per dirla con don Tonino Bello -
e buona per legittimare persino la guerra. Riprendendo il documento della
Cei "Educare alla pace", ribadiamo che nessun serio progetto di questo tipo
puo' prescindere dall'impegno di famiglia, scuola, associazionismo,
comunita' cristiana che oggi devono comunicare una sana educazione alla
cultura della regola, alla cultura politica o della partecipazione,
all'economia per l'uomo e per la comunita', al dialogo, alla sobrieta' e
solidarieta', alla gestione nonviolenta dei conflitti, alla consapevolezza
dei diritti e dei doveri (cfr. Conferenza episcopale italiana - Commissione
ecclesiale giustizia e pace, Educare alla pace, marzo 1998, 20-33).
Farsi eco della profezia della nonviolenza significa aiutare la politica ad
affermare la sua autonomia da ogni ideologia della guerra, dal
fondamentalismo del "mercato armato", dalla logica distruttiva sempre
unilaterale delle armi. Se la politica, come scriveva Giorgio La Pira, "e'
l'attivita' religiosa piu' alta dopo quella dell'unione intima con Dio"
perche' "guida i popoli, responsabilita' immensa e severissimo servizio", il
Parlamento italiano deve ripensare le sue scelte internazionali sviluppando
lo spirito nonviolento della Costituzione, della Carta dell'Onu e della
Dichiarazione universale dei diritti umani.
Farsi eco della profezia della nonviolenza e' riconsegnare alle Nazioni
Unite il compito di "arbitrare" e gestire a pieno titolo questa fase
delicata della crisi mediorientale pensando innanzitutto a ridare dignita' e
sovranita' al popolo iracheno. I troppi anni di embargo hanno contribuito in
maniera sostanziale a far perdere al popolo iracheno la fiducia nella
comunita' internazionale che oggi ha il dovere morale del risarcimento
piuttosto che di prevedere come lucrare dalla vendita dell'abbondante
petrolio di quella terra. Ribadiamo senza riserve che la guerra sul
territorio iracheno e' stata immorale ed illegittima. Per questa ragione
chiediamo che siano le regole del diritto internazionale a guidare anche la
fase attuale della crisi.
Nel tempo che prepara al Natale ci sentiamo ancor piu' vicini alla Terra
Santa: farsi eco della profezia della nonviolenza deve tradursi nel
concentrare l'attenzione dell'Europa in particolare sulla soluzione
definitiva del dramma di inimicizia e sangue tra la nazione israeliana e il
popolo palestinese. Buona parte delle sorti dell'intera regione e del bacino
del terrorismo di matrice fondamentalista islamico si nutrono idealmente di
quel dramma irrisolto.
Farsi eco della profezia della nonviolenza significa mettere in atto ogni
sforzo, economico e creativo, non solo per aiutare la ricostruzione
dell'Iraq, ma anche per visitare, conoscere, imparare a frequentarsi,
stringere nuovi patti di amicizia, cooperare con il popolo iracheno e con
tutte le popolazioni di tradizione religiosa islamica. Abbiamo buone ragioni
di ritenere che il terrorismo faccia una fatica maggiore a fronteggiare la
minaccia dell'amicizia e del dialogo piuttosto che quella della guerra e
della logica della colonizzazione culturale ed economica presente nel
fenomeno della globalizzazione.
*
Una parola infine, vogliamo rivolgerla a tutti i pastori delle chiese
cristiane perche' non tacciano proprio in questo momento. Il silenzio non e'
lecito a chi ha il compito di annunziare la Parola. A loro piu' che ad altri
compete di farsi eco della profezia della nonviolenza secondo le parole di
don Tonino Bello: "Come nei primi tempi del cristianesimo i martiri
stupirono il mondo per il loro coraggio, cosi' oggi la Chiesa (ogni Chiesa -
n.d.r.) dovrebbe fare ammutolire i potenti della terra per la fierezza con
cui, noncurante della persecuzione, annuncia, senza sfumare le finali come
nel canto gregoriano, il vangelo della pace e la prassi della nonviolenza".
Il consiglio nazionale di Pax Christi
5 dicembre 2003

5. MAESTRE. ELENA LAURENZI: MARIA ZAMBRANO
[Ringraziamo di cuore Elena Laurenzi (per contatti: laurenzi_elena at dada.it)
per averci messo a disposizione questa sua intervista apparsa nell'aprile
1999  sulla bellissima rivista "Una citta'", che cosi' la presentava: "Elena
Laurenzi e' traduttrice e curatrice di vari testi della filosofa spagnola
Maria Zambrano, fra i quali quelli apparsi nelle edizioni Pratiche, con il
titolo All'ombra del dio sconosciuto, e quelli curati e tradotti per il
numero della rivista filosofica "Aut Aut" dedicato a Maria Zambrano,
pensatrice in esilio (n. 279, 1997)".
Elena Laurenzi e' una prestigiosa studiosa, saggista e militante, impegnata
nell'esperienza dell'associazione internazionale di donne "Testarda", nel
progetto "Women for women: donne contro i fondamentalismi" (sito:
www.wfw.it), ed in numerose iniziative per i diritti delle donne, la pace,
la solidarieta', la dignita' umana; una utile scheda - ma che dovrebbe
essere aggiornata - sulle sue pubblicazioni e sul suo lavoro di ricercatrice
e' nel sito di "Duoda. Centre de Recerca de Dones" dell'Universita' di
Barcellona (www.ub.es/duoda).
Maria Zambrano, insigne pensatrice spagnola (1904-1991), allieva di Ortega y
Gasset, antifranchista, visse a lungo in esilio. Tra le sue opere tradotte
in italiano cfr. almeno: Spagna: pensiero, poesia e una citta', Vallecchi,
Firenze 1964; I sogni e il tempo, De Luca, Roma 1964; Chiari del bosco,
Feltrinelli, Milano 1991; I beati, Feltrinelli, Milano 1992; La tomba di
Antigone. Diotima di Mantinea, La Tartaruga, Milano 1995; Verso un sapere
dell'anima, Cortina, Milano 1996; La confessione come genere letterario,
Bruno Mondadori, Milano 1997; All'ombra del dio sconosciuto. Antigone,
Eloisa, Diotima, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1997; Seneca, Bruno
Mondadori, Milano 1998; Filosofia e poesia, Pendragon, Bologna 1998.
L'agonia dell'Europa, Marsilio, Venezia 1999. Dell'aurora, Marietti, Genova
2000.  Delirio e destino, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; Persona e
democrazia. La storia sacrificale, Bruno Mondadori, Milano 2000; L' uomo e
il divino, Edizioni Lavoro, Roma 2001; Le parole del ritorno, Citta' Nuova,
Roma 2003. Opere su Maria Zambrano: un buon punto di partenza e' il volume
monografico Maria Zambrano, pensatrice in esilio, "Aut aut" n. 279,
maggio-giugno 1997]

- "Una citta'": Nel tuo interesse per Maria Zambrano, una pensatrice non
molto conosciuta in Italia, alla analisi specificamente filosofica affianchi
la ricerca biografica, quasi che il suo pensiero non sia comprensibile se
non in relazione con la biografia...
- Elena Laurenzi: Uno degli aspetti che piu' mi affascinano di Maria
Zambrano e' proprio il fatto che la sua vita - una vita segnata dai lunghi
anni di esilio dopo l'avvento del franchismo - si e' sempre riversata nel
suo pensiero e nella sua scrittura. Questo legame forte tra vita e scrittura
in Maria Zambrano e' esplicito,. rivendicato: diceva che la vita ha bisogno
della parola, perche' e' la parola che la "eleva", dichiarandone sia le
vittorie che i fallimenti, e che di consequenza la filosofia deve scendere
dall'empireo delle idee per farsi cammino di vita.
In questo, la ricerca filosofica della Zambrano e' nella linea della
eredita' di Ortega y Gasset, il suo "maestro". Ortega iniziava i suoi
allievi alla ricerca della "ragione vitale": insegnava una filosofia che
rispecchiasse le esigenze della vita, e che superando l'empasse della
alternativa sterile tra vitalismo e razionalismo, si dedicasse alla
conoscenza dell'uomo come essere intero. Ma direi che su questo terreno
Maria Zambrano e' andata oltre Ortega , perche' la ricerca della ragione
vitale per lei si esplicita in quella di un "logos" che scorre "en las
entranas". Entranas e' un termine intraducibile in italiano: significa
"viscere", ma anche e soprattutto "nucleo", "centro", e ancora "anima",
"cuore", "sentimento" e "capacita' di sentire". Da questo bisogno di una
conoscenza che nasca dal sentire e dall'intimita' si sviluppa il percorso
filosofico originale di Maria Zambrano, e anche la ricerca di altre fonti in
quei "generi" che la modernita' ha rigettato ai margini dalla letteratura
filosofica, come le Meditazioni, le Confessioni, le Guide, gli Epistolari.
Soprattutto si sentiva vicina alla tradizione delle "Guide", molto ricca in
Spagna. Perche' la sua e' una filosofia profondamente contaminata con la
vita, e che rivendica questa  contaminazione. E' una filosofia
"compassionevole", come lei la definiva, un sapere dell'esperienza che nasce
dalla vita con la vocazione di dedicarsi ad essa, di prendersene cura.
- "Una citta'": Dicevi prima che e' stata molto segnata dagli anni di
esilio...
- Elena Laurenzi: Il suo esilio duro' oltre quarant'anni, e' quindi una
dimensione fondamentale della sua esistenza. Ancora sotto il regime di
Franco - soprattutto negli anni '60 quando la repressione interna sembrava
ammorbidita - molti esuli rientrarono, ma lei si rifiuto' sempre di farlo,
finche' la dittatura era in piedi. Ho trovato una lettera che Jose'
Bergamin, anche lui esiliato in Francia, le scrisse durante una visita a
Madrid, nel 1954; Bergamin la esortava a rientrare anche solo per fare delle
conferenze, ma anche in questo caso lei rifiuto'. Rientro' in Spagna solo
nel 1984, quasi dieci anni dopo la morte di Franco.
Trascorsero dieci anni dal passaggio alla democrazia al suo ritorno, e
questo la dice lunga su quel passaggio, sul silenzio che continuo' ad
avvolgere le vicende degli esiliati. Per Maria Zambrano l'ostacolo al
ritorno in patria dopo il 1975 fu di ordine economico e materiale: aveva
oltre 70 anni, era malata e quasi cieca, e  non aveva nessun provento se non
quello delle collaborazioni, divenute sporadiche, con riviste e giornali. In
Spagna non avrebbe avuto di che vivere, mentre in Svizzera, dove risiedeva,
godeva di un sussidio e dell'assistenza dei cugini Rafael e Mariano Alarcon.
E' stato solo grazie alla mobilitazione di un gruppo - dapprima molto
ristretto - di intellettuali spagnoli che trovavano scandaloso che questa
grande filosofa dovesse ancora vivere esiliata e pressoche' sconosciuta in
patria, che Maria Zambrano ottenne i primi  riconoscimenti accademici,
onorificienze e premi, e infine un vitalizio governativo che le permise di
rientrare. Curiosamente, la mobilitazione per Maria Zambrano parti' da un
gruppo di universitari andalusi, motivati soprattutto dal senso di
appartenenza alla propria terra - Maria Zambrano era nata a Velez Malaga, in
Andalusia, appunto. Per questo, morendo, Maria Zambrano ha lasciato tutti i
suoi scritti e i libri della sua biblioteca alla Fondazione che porta il suo
nome, e che e' a Velez Malaga.
Gli ultimi anni in Spagna furono felici e fecondi. Nonostante le condizioni
fisiche, riprese in pieno l'attivita': dettava nuovi testi, incidendoli su
nastro, ma soprattutto si dedico' - aiutata da giovani amici e collaboratori
che animavano di visite continue il suo appartamento di Madrid - a sistemare
e pubblicare l'enorme mole di materiale inedito che aveva raccolto e portato
con se' durante le peregrinazioni dell'esilio. Questo e' un altro aspetto
straordinario di questa esule, senza casa, senza patria, che tuttavia
conserva i suoi quaderni, i suoi libri, i suoi appunti, compresi quelli
delle lezioni universitarie. Tutto questo materiale e' consultabile presso
la Fondazione.
- "Una citta'": La Spagna, insomma, e' stata non solo il suo paese, ma anche
una specie di "luogo" del pensiero...
- Elena Laurenzi: Il legame profondissimo di Maria Zambrano con la Spagna e'
indubbiamente centrale sia nel suo pensiero che nella sua biografia.
Veniva da una famiglia di cattolici liberali. Il padre - che per anni
diresse il Partito Socialista a Segovia, e fondo' con Antonio Machado la
"Universidad Popular" - era un noto pedagogista, e ha indubbiamente
contribuito a passare alle figlie quel patrimonio spirituale e religioso che
innerva la tradizione spagnola e che contribuisce a quella particolare
sensibilita' che va sotto il nome di hispanidad. Una sensibilita' che
informa il percorso particolare della cultura spagnola, che almeno fino agli
anni '20-'30 di questo secolo, rimase piuttosto impermeabile alle correnti
dominanti nel pensiero europeo della modernita', e in particolare al suo
cartesianesimo. Negli anni '30, gli anni in cui Maria frequento'
l'universita' e vi tenne i suoi seminari, erano in molti gli intellettuali
che rivendicavano questo valore della hispanidad, fra questi c'era Unamuno.
Ortega, invece, era un fautore dell' "europeismo": riteneva che il progresso
in Spagna fosse vincolato all'apertura all'Europa, e proclamava la
necessita' di mettersi al passo con quelli che definiva "popoli preminenti",
e che essenzialmente identificava con i tedeschi. E' anche per questo che
poi molti hanno accostato Ortega a Heidegger, con cui ci sono indubbiamente
numerose consonanze, ma dal quale, come proprio Maria Zambrano sottolineava,
era molto diverso per la visione giocosa e sportiva della vita assai
distante dalla visione tragica di Heidegger.
Dicevo comunque che e' in questo clima culturale che la Zambrano comincia a
elaborare il suo rapporto con la tradizione spagnola. La sua posizione non
e' assimilabile ne' a quella dei conservatori - di difesa ad oltranza del
valore puro della hispanidad - ne' all'umanesimo orteghiano, fortemente
impregnato di una visione illuministica della storia che Maria, soprattutto
dopo gli eventi tragici della guerra mondiale, non sentiva di condividere.
Il suo legame profondo con la tradizione spagnola si rivela nella presenza
massiccia nelle sue opere degli autori della letteratura spagnola:
Cervantes, Calderon, Galdos, Garcia Lorca, Machado... e poi, naturalmente i
grandi mistici del Seicento spagnolo, primo tra tutti san Juan de la Cruz.
La sua conoscenza profonda della tradizione mistica ed esoterica - non solo
spagnola - si approfondisce con gli anni, soprattutto dopo l'amicizia con
Elemire Zolla e Cristina Campo, che conobbe e frequento' nel decennio
trascorso a Roma. La ricerca filosofica di Maria Zambrano e' sempre stata
anche una ricerca religiosa. Ma la sua religiosita' non significava
appartenenza ad alcun ordine religioso o chiesa, anche se era vivo in lei il
legame con la tradizione cattolica e in particolare con Sant'Agostino. Ma
rivendicava decisamente l'autonomia della sua ricerca spirituale, di una
religiosita' vissuta senza appartenenze, come il fatto di celebrare l'
eucarestia fuori dal rituale stabilito, ascoltando la poesia, o leggendo
Spinoza. E nella sua filosofia la dimensione religiosa si manifesta in una
ricerca spirituale, dove l'interesse non e' tanto rivolto alla Divinita', ma
al divino nell'uomo. In quasi tutti i suoi testi e' presente, e spesso
centrale, l'immagine dell'aurora, e a me pare che questa immagine sia
proprio quella che da di piu' il segno di questo cammino di ricerca
spirituale.
Maria Zambrano citava spesso l'epistola di san Paolo che esorta a "star di
parto di se'": aveva una fede profonda nella trascendenza dell'uomo, quindi
nella presenza in lui di un germe di verita' e nella sua vocazione a una
perpetua ricerca di se', a un interminabile "ir naciendo". Scriveva che
l'uomo e' la creatura che patisce la propria trascendenza, perche' a
differenza degli altri esseri del creato, non gli e' dato di "riposare nel
proprio essere", ma deve, vivendo, rivelarsi a se stesso. Anche in questa
visione risuona l'analisi di Ortega dell'essere umano come "naufrago",
creatura che non nasce con un proprio ambiente costituito, ma deve
continuamente interpretare se stesso e le proprie circostanze.
Ma in Maria Zambrano questa visione si articola in una vera e propria
"fenomenologia della speranza". Perche' la vocazione ad andare oltre se
stessi puo' risolversi nella avidita', in una costitutiva irrequietezza,
nella tendenza a proiettare all'esterno il disagio interiore, origine di
tante mostruosita' della storia. La fenomenologia della speranza e' la
chiave di lettura di molti scritti degli anni '40, dedicati alla tragedia
del fascismo in Europa, alla "agonia" d'Europa. Anche in questi testi
centrati sulla storia si conferma la sua ricerca dei segni della
trascendenza: della storia vera che soggiace a quella apparente, della
verita' vivente che germina anche tra gli orrori della storia "apocrifa".
Questa ispirazione e' la cifra che le ha permesso di andare alle fonti della
mistica e della poesia: due dimensioni che vedeva incarnate nell'esempio
altissimo di san Juan de la Cruz, il mistico poeta, a cui dedico', nel 1939,
uno dei suoi saggi piu' belli. La poesia e' una dimensione costitutiva della
sua filosofia, voleva che fosseuna "filosofia poetica". Si sentiva
profondamente estranea a gran parte della filosofia contemporanea, anche
all'esistenzialismo che considerava espressione di una coscienza che ha
perso il rapporto con il reale nella pura affermazione di se', e che ormai
si contorce nell'angoscia della propria solitudine. Mentre vedeva nella
poesia un genere di scrittura ancora capace di albergare in se' la realta' e
anche di dare rifugio all'"ancora non nato", cioe' a quelle dimensioni del
reale che non rientrano nella definizione dominante, rigidamente
strutturata, di cio' che e' "realta'".
- "Una citta'": Da quel che dici sembra quasi che molti scritti della
Zambrano siano una specie di dichiarazione di impossibilita', per la
filosofia, di combaciare con la parola...
- Elena Laurenzi: No, non direi. Io sono molto sconcertata di fronte a certe
letture critiche che tendono a vedere in Maria Zambrano una deriva verso il
misticismo, o comunque verso l'irrazionalismo. All'opposto, lei ha sempre
affermato che quello che faceva era filosofia. Rafael Tomero raccontava che
quando qualcuno le obiettava che la filosofia, nel mondo contemporaneo, e'
impossibile, lei rispondeva che e' proprio per questo che bisogna farla.
Nel pensiero di Maria Zambrano c'e' piuttosto una chiara presa di distanza
rispetto alla tradizione filosofica del razionalismo, come anche rispetto
alla filosofia dello spirito, ma questa estraneita' e' comunque mantenuta su
un piano filosofico e come tale consapevolmente assunta.
Anche rispetto ad Ortega, Maria Zambrano affermava che la differenza
principale era che lei non si era mai riferita alla filosofia dello spirito.
E proprio da questa distanza nasceva il suo percorso autonomo nella ricerca
del "sapere dell'anima", come recita il titolo di un suo saggio, quello che
origino' la presa di distanza dal maestro. A questo proposito lei stessa
raccontava in una intervista che mentre scriveva quel saggio era ancora
convinta di fare una ricerca sulla "ragione vitale" propugnata da Ortega,
mentre invece Ortega accolse con freddezza quella rivendicazione di un
sapere che fosse anche un sapere della intimita', un sapere di quelle
"ragioni del cuore che la ragione ancora non conosce" di cui parlava Pascal,
un altro autore che Maria Zambrano amava. Ortega era un grande lettore di
Nietzsche ed era molto influenzato da Jung, ma, pur rivendicando
l'organicita' dell'essere umano in tutte le sue dimensioni, comunque
concludeva che non e' ne' con l'anima ne' con il corpo che propriamente si
pensa, perche' a pensare realmente e' quello "spirito" che deve comunque
esercitare, secondo le parole di Jung,  la patria potestas sull'anima.
Ma per Maria Zambrano il sapere dell'anima non era un sapere intimistico.
L'anima era per lei, che si rifaceva alla tradizione orfico-pitagorica
coniugandola con la "verita' interiore" agostiniana, una dimensione cosmica
che alberga nell'uomo. Rivendicare un sapere dell'anima significava allora
ridare dignita' al sentimento della Pieta', un sentimento che si e' perso, e
che e' molto distante dalla "tolleranza" della nostra cultura democratica.
Perche' la tolleranza implica una distanza - se pure rispettosa - rispetto
all'altro, mentre la pieta' e' il sentimento - "gigantesco, grandioso", lo
definiva - che ci permette di trattare con l'altro. E per trattare con
l'altro bisogna saper albergare anche l'estraneita' in se', conoscere tutte
le dimensioni del proprio essere. Conoscenza interiore e conoscenza
dell'altro sono inseparabili nella sua filosofia.
Il suo rapporto con la filosofia fu controverso fin dall'inizio. In un testo
autobiografico, Delirio e destino, racconta che, durante gli studi
filosofici,  una crisi profonda l'aveva portata sull'orlo della decisione di
abbandonarli. Le sue note sui corsi universitari parlano dell'"oscuro
Zubiri", che illustrava le categorie di Aristotele, e di Ortega, "il
chiaro", che da parte sua era talmente chiaro che a mala pena lei poteva
comprenderlo. Ma durante l'estate senti' impellente la voglia di leggere e
in pochissimo tempo lesse molti testi fondamentali, fra i quali le Enneadi
di Plotino, che rimase per lei un testo fondamentale di riferimento. Lesse
anche l'Etica di Spinoza, rimanendo folgorata da questa filosofia pura, di
una purezza adamantina che non poteva fare a meno di amare, pur
considerandola distruttrice dell'opacita' dell'umano. Vedeva questi sistemi
cosi' razionalmente puri, cosi' distanti dall'umano che tutti sperimentiamo,
come una dimensione totalmente utopica, dove per "utopia" intendeva anche la
bellezza irraggiungibile. Sapeva che non avrebbe potuto fare quel tipo di
filosofia, non perche' fosse una donna, bensi' perche' il cammino filosofico
che sentiva come suo era quello della conoscenza che nasce dal cuore, anche
se questa parola e' talmente logora che si fatica a restituirle una dignita'
filosofica.
Maria Zambrano ha accettato questa sfida, rivendicando una forma di
conoscenza che nasce dall'amore. Proprio citando il Cantico Espiritual di
san Juan de la Cruz definiva la "perfetta obiettivita'" come quella che
nasce dall'innamoramento, quando si portano impressi nelle "entranas" "gli
occhi dell'essere amato". Se riportiamo questo pensiero alla sua dimensione
epistemologica - ma e' una riduzione artificiale, perche' la dimensione
poetica qui non e' scindibile da quella epistemologica - possiamo cogliere
la profondita' della frattura che esso stabilisce rispetto al pensiero
filosofico e scientifico della modernita', proprio per la radicalita' con
cui mette profondamente in questione il rapporto soggetto-oggetto.
Ma questa alterita' non si traduce mai in un sistema alternativo. Maria
Zambrano non ha mai voluto fare del suo pensiero un sistema. Credo che le
fosse molto piu' congeniale preservare la capacita' di "pensare altrimenti"
da qualsiasi sistema, e quindi anche di vivere altrimenti.
- "Una citta'": Tutto questo riporta alla sua vita travagliata e
all'esperienza dell'esilio...
- Elena Laurenzi: Se Maria Zambrano non avesse vissuto in esilio non avrebbe
mai scritto quello che ha scritto. Dicevo prima che non e' mai voluta
tornare in Spagna finche' Franco era vivo, ma a questa scelta aggiungeva il
rifiuto della seduzione di una nuova patria. Come lei stessa affermava,
l'esilio stesso  divento' per lei una patria, una dimensione dell'esistenza.
Una patria paradossale, perche' la condizione dell'esiliato e' una
condizione di totale espropriazione, di assenza del "proprio", del
quotidiano, del familiare, di tutto quello in cui e' possibile rifugiarsi.
Per sottolineare la radicalita' di questa dimensione, Maria Zambrano aveva
coniato un termine, desnacimiento: una parola che allude al venir meno alla
propria nascita, al disfarsi di tutta l'impalcatura dell'identita' e del
vissuto. Ma proprio per questo motivo, l'esilio e' anche un passaggio che
impone di fare i conti radicalmente con la propria storia. Diceva che
l'esilio e' "un'ora tragica e aurorale", perche' in esso "si danno
appuntamento il passato e l'avvenire"; e' cioe' un passaggio che prelude a
una vita nuova, ma che obbliga a un continuo peregrinare "nelle viscere
della storia". Una storia tragica, ancestrale, in cui ci si trova coinvolti
senza averla scelta, dovendo fare i conti con le colpe dei padri.
- "Una citta'": L'esperienza dell'esilio, della mancanza cui questo
costringe, su cui lei ha cosi' profondamente riflettuto, fu causata da un
"pieno", cioe' dalla guerra di Spagna...
- Elena Laurenzi: La guerra civile e' stata un "pieno" che pero' ha indotto
tutti quelli che vi presero parte per lottare contro la dittatura a fare un
vuoto dentro di se'.
In uno dei saggi scritti durante la guerra per la rivista "Hora de Espana",
Maria Zambrano descrive la radicalita' di quella scelta che rappresento' un
crinale, su cui anche l'intellettualita' spagnola si divise: e mentre ci
furono quelli che scelsero il silenzio e si rifugiarono nel loro statuto
super partes di intellettuali, "avvolgendosi in esso come in un manto",
altri accettarono di spogliarsi dei ruoli per assumere la nuda realta'
dell'umano, ed esporsi totalmente. La loro non fu una scelta morale,
sottolinea Maria Zambrano, ma la risposta estrema alla chiamata della
realta', che esigeva un si' o un no.
Da parte sua Maria Zambrano nel '36 torno' in Spagna dal Cile, dove
risiedeva con il marito, "proprio perche' la guerra era persa". E vi rimase
fino al '39, quando varco' il confine con gli ultimi profughi repubblicani,
prestando servizio nelle file repubblicane come "consigliera della cultura"
e come "consigliera dell'infanzia evacuata".
Fra l'altro fu proprio da questa scelta di coinvolgimento totale che dipese
anche la rottura definitiva con Ortega. Filosoficamente, lo dicevo prima,
c'era stata un'allontanamento dopo il saggio Verso un sapere dell'anima, ma
non si trattava di una frattura, tant'e' vero che Ortega lo pubblico' nella
"Revista de Occidente". Mentre invece la rottura, profonda e dolorosissima,
avvenne a causa della posizione diversa rispetto alla guerra di Spagna, alla
quale Ortega non prese parte e su cui non si pronuncio', scegliendo di
rifugiarsi all'estero. Una frattura che divenne insanabile quando poi Ortega
scelse di rientrare nella Spagna franchista, dopo il 1948.
Quando varco' la frontiera spagnola, insieme alla madre e alla sorella,
Maria Zambrano senti' che quel passaggio era definitivo, che era "per
sempre". Proprio questa consapevolezza, scrisse poi nelle pagine de I Beati,
differenzia la condizione dell'esiliato da quella del rifugiato.
L'accettazione dell'assenza del "proprio" come una dimensione definitiva.
Essere in esilio, per lei, significo' anche proibirsi la nostalgia,
rifiutare di vivere con la speranza del ritorno, con la valigia sempre
pronta.
- "Una citta'": Ma la "valigia pronta" e' solo una immagine o era anche una
realta'?
- Elena Laurenzi: La valigia pronta era una realta', era la valigia che
tanti rifugiati tenevano sotto al letto, come alcuni cubani ricordano
ancora, sperando di poter tornare da un giorno all'altro. Maria Zambrano
rifiuto' di vivere cosi', anche perche', aggiungeva con ironia, era troppo
povera per possedere una valigia. Credeva piu' nel presente come luogo della
possibilita', che non in un futuro possibile o nel passato che non passa.
- "Una citta'": Puoi dirci qualcosa del suo rapporto con la sorella,
Araceli?
- Elena Laurenzi: Araceli e' stata una figura determinante nella vita di
Maria, soprattutto a partire dall'esilio. Dopo aver varcato il confine con
la Francia, le loro sorti si separarono, Maria trovo' accoglienza a Cuba,
mentre Araceli rimase in Francia, con la madre e il marito. Visse dunque gli
orrori della occupazione nazista: come tanti altri esiliati spagnoli, venne
internata in campo di concentramento, torturata e seviziata, mentre suo
marito, un noto medico comunista, venne deportato in Spagna, dove fu
fucilato. I diari di Maria testimoniano di quanto atroce fu per lei quella
separazione, e insopportabile il pensiero della sorella e della madre
"nell'inferno d'Europa". Solo dopo il 1948 Maria riusci' a raggiungere
Parigi, il giorno dopo la morte della madre, e da allora, per tutta la vita,
visse con Araceli, e si prese cura di lei. Il legame fra le due sorelle, da
sempre fortissimo, da un certo punto in poi divenne addirittura simbiotico.
Bela Garcia Marruz, una delle giovani poetesse del gruppo di Origenes che
Maria Zambrano frequentava a La Habana, racconta che "Maria era Maria, ma
Araceli le permetteva di essere": era Araceli a spingere Maria nella sala
dove doveva impartire una conferenza, aiutandola a superare il "timore" e il
"tremore" che la prendeva sempre di fronte alla necessita' di esporsi al
pubblico.
Araceli  segui' Maria a La Habana, dopo un anno trascorso a Parigi. A Cuba
rimasero fino al '53, poi vissero a Roma fino al '64, e da li' si
trasferirono in Svizzera, a La Piece, una localita' di montagna che dista
una trentina di chilometri da Ginevra. A La Piece Araceli mori', nel 1977.
La morte di Araceli per Maria fu un dolore immenso, basta guardare le foto
che la ritraggono: prima della morte della sorella il viso e' ancora fresco,
mentre appena pochi anni dopo e' devastato in modo impressionante. Lei
stessa raccontava che non riusciva a separarsi da Araceli, a rassegnarsi
alla sua morte, e che la sera prima di morire Araceli le intimo' "Lasciami
andare, Maria, che mi stai attorcigliata addosso come una serpe".
In una intervista rilasciata a Pilar Truena per la televisione spagnola,
Maria Zambrano dichiarava che da Araceli aveva appreso la cosa piu'
importante della vita, la hermandad (la sorellanza, la fratellanza) che "e'
sicuramente stata piu' importante della liberta'". Una frase forte,
soprattutto detta da una che per la liberta' aveva combattutto, ma che si
comprende meglio se si tiene in conto che Maria Zambrano era profondamente
estranea alla affermazione dell'io che sta alla base della liberta' cosi'
come la concepisce l'umanesimo occidentale. "L''io' non ho mai potuto
sopportarlo" dichiarava in un'altra intervista. Questa sua estraneita'
all'"io" si rivela anche nelle pagine autobiografiche di Delirio y Destino,
scritte in terza persona. Dichiarava che l'unica autobiografia che poteva
pensare era a partire da quello che non aveva mai potuto fare a meno di
essere. Da un'identita' "cifrata", quindi, che e' possibile ricostruire
soltanto a postriori, attraverso un percorso in cui emerga questa sorta di
vincolo interiore che e' l'autenticita' del proprio essere. Ma questo
percorso, come Maria sapeva bene, non ha fine, perche' probabilmente la vera
autenticita' e' proprio questa ricerca mai compiuta della fedelta' a se
stessi, e' proprio in quella tensione tra destino e liberta', e
nell'impegno, sempre rinnovato, di convertire il destino in liberta'.
- "Una citta'": Questa sembra una contraddizione inconciliabile: il destino
e' quanto obbliga ineludibilmente, mentre la liberta' e' quanto scioglie
dagli obblighi...
- Elena Laurenzi: Ortega diceva "Io sono io e le mie circostanze", con
questo intendendo che non ci si puo' mai astrarre dalle concrete circostanze
del vivere e che la salvezza passa per la capacita' di "salvare" le proprie
circostanze, di "riscattarle", che non vuol dire adattarsi, ma occuparsene,
farsene carico. A questo proposito Maria Zambrano parlava di "apurar" il
destino e "apurar" e' un'altra parola di difficile traduzione. Si puo'
tradurre, con "verificare", "appurare", ma sono termini che non rendono
pienamente il senso dell'apurar spagnolo. In ogni caso quel che la Zambrano
voleva dire e' che il destino va vissuto "verificandolo", che significa non
subirlo, ma viverlo nella dimensione della trascendenza. La figura di
Antigone, nella lettura che lei ne ha dato, e' la figura paradigmatica  di
questa liberta' che si conquista vivendo il destino.
- "Una citta'": Da quel che dici sembra che nel pensiero della Zambrano, la
cui vita e' stata cosi' profondamente segnata dagli eventi storici, non sia
specificamente tematizzata la dimensione storica...
- Elena Laurenzi: La dimensione storica e' una dimensione ineludibile
dell'umano, almeno per come esso si e' dato fino ad oggi. Ma non e' la
dimensione in cui l'umano si risolve. Al contrario, per Maria Zambrano
esiste una tensione insanata tra la storia dell'umanita' - una storia
costitutivamente "sacrificale" - e la vita. Sentiva profondamente
l'antinomia fra storia e vita e aspirava a una vita riscattata dalla storia.
Dall'altra parte, come dicevo, ha sempre affermato che l'appartenenza a una
storia, a un passato e a un presente, esige una attitudine di
responsabilita'. I suoi scritti, anche quelli degli ultimi anni in cui la
ricerca spirituale e' piu' intensa, sono sempre impregnati di storia, di una
tensione fortissima verso il presente, di una vocazione mai tradita al
"giornalismo filosofico", alla presenza nel mondo, al dibattito con "le
circostanze"... fino all'ultimo articolo, "I pericoli per la pace",  che
scrisse nel 1992, poco tempo prima di morire,  sotto l'impressione della
guerra del Golfo.
Certamente era distante dallo storicismo, compreso quello degli scritti
maturi di Ortega. Nella storia pero' coglieva una delle manifestazioni
dell'umano. Ma la storia, la verita' storica, non era per lei solo quella
dei "fatti"; era anche quello che il passato poteva essere e non e' stato.
Nella storia, o meglio nelle storie, coglieva i germi di verita' nascenti,
qualcosa che poteva nascere e che tuttavia non e' nato, e riteneva che
queste "nascite mancate" fossero dimensioni da cui la verita' storica non
puo' prescindere, perche' sono "aurore" che la storia reca in se'.
- "Una citta'": Dicevi prima della "femminilita'" del suo pensiero, ma
questa "femminilita'" ha anche significato una sua scelta femminista?
- Elena Laurenzi: C'e' un impegno forte di Maria Zambrano con la presa di
coscienza e le battaglie delle donne del suo tempo. I suoi primi articoli
furono quelli pubblicati, nel 1928, per la rubrica "Mujeres" del quotidiano
"El Liberal". Anche se la sua militanza in quegli anni era piu' nelle file
degli studenti e gli intellettuali filorepubblicani che in quelle delle
suffragiste, partecipava attivamente alla vita culturale dei gruppi
femminili. D'altra parte il movimento femminista nella Spagna degli anni
'20, e' stato piu' un movimento per la conquista della cultura e
dell'istruzione, che non una battaglia per i diritti.  C'e' anche da
considerare che, sia nella Spagna degli anni '20 e '30, sia nella Cuba degli
anni '40, i circoli femminili, i "Lyceum clubs", le organizzazioni di donne
laureate, erano isole di liberta' e di cultura. Virgilio Pinera, uno
scrittore cubano, ricorda come durante la dittatura di Batista l'universita'
dell'Avana rimase chiusa per anni, e come solo il Lyceum Club fosse rimasto
a baluardo della cultura, perche' era il solo luogo in cui gli intellettuali
cubani e quelli spagnoli in esilio potevano riunirsi e dar luogo a dibattiti
e iniziative culturali. Voglio dire che i circoli femminili erano luoghi
alti di cultura, universalmente riconosciuti e frequentati da tutti gli
intellettuali liberali: Ortega, Garcia Lorca, Unamuno, tutti i maggiori
intellettuali spagnoli andavano negli anni '30 a impartire conferenze o
seminari nel Lyceum Club o nella Residencia de Senoritas di Madrid.
In Maria Zambrano c'e' anche la piena consapevolezza di essere una donna
filosofa, cioe' del fatto che l'essere donna e' una dimensione che incide
sul modo di pensare, che crea una differenza.
La differenza e' gia' nel rapporto con il mondo della cultura e del
pensiero, ancora oggi, ma soprattutto a quei tempi, monopolio quasi
esclusivamente maschile, e in cui la presenza crescente delle donne non
mancava di creare turbolenze e scompiglio. C'e' tutta una letteratura sul
"pericolo" che rappresenta per la civilta' occidentale l'ingresso delle
donne nella cultura, ed e' una letteratura non minore. Sulle pagine della
"Revista de Occidente", la piu' liberale e progressista negli anni "30 in
Spagna, scrivevano su questo tema, con toni allarmati, Simmel, Jung, e lo
stesso Ortega, che pur stimando e valorizzando le sue allieve, sembrava
dimenticarle nel momento in cui si soffermava sulla impossibilita' per le
donne di acquisire una individualita' e un pensiero autonomo, prerogativa
naturalmente maschile. Soprattutto negli anni '40, Maria Zambrano scrisse
vari testi sul rapporto tra le donne e la cultura e pronuncio' alcune
conferenze per l'Associacion de las Mujeres Graduadas di Porto Rico, che io
ho raccolto insieme ai saggi, scritti negli stessi anni, su Antigone, Eloisa
e Diotima. In tutti questi testi emerge la consapevolezza molto chiara della
"mancanza di sede" delle donne nella Cultura - in cui esistono solo come il
frutto, idealizzato, dell'immaginario maschile -  e della identita' atipica
"ai limiti dell'umano" delle donne che pensano e fanno cultura, che vengono
accettate a fatica e solo come entita' neutre, quasi fossero esseri privi di
sesso.
Il grande coraggio di Maria Zambrano e' stato quello di rifiutare questo
bivio cieco tra la passiva accettazione di un destino di  subalternita' o la
strada dell'emancipazione al prezzo della perdita di identita'. La sua opera
e' una sfida, perche' si colloca nel cuore della filosofia con pari
dignita', rivendicando una specificita' che le appartiene per il fatto di
essere la scrittura e il pensiero di una donna.
Tra le grandi filosofe di questo secolo - Edith Stein, Hannah Arendt, Simone
Weil - Maria Zambrano e' quella che piu' consapevolmente e chiaramente ha
assunto come centrale il suo essere donna anche nel pensiero. La
specificita' femminile che rivendicava per la sua filosofia, consisteva
innanzitutto nel rifiuto dell'idealismo e nella unita' organica di un'opera
che, come scrive nel saggio su Eloisa, e' tutt'uno con la vita.
Anche la ricerca del sapere dell'anima e' la scelta di dare voce a un sapere
proprio delle donne. In questo, nella identificazione dell'anima con il
principio femminile, Maria Zambrano seguiva Jung, ma lo superava nella
radicalita' con cui rivendicava per l'anima una "ragione", una filosofia, un
pensiero al di la' della patria potestas dello spirito.
Non so se tutto questo si possa definire "femminismo". Certamente la parola
non le piaceva molto, come tutte quelle che creano un "ismo". Maria Zambrano
non e' neanche una pensatrice "della differenza". Credeva e cercava una
verita' al di la' delle differenze di sesso. Ma rivendicava per essa il
contributo fondamentale dell'anima, una dimensione propria dell'umano che
gli uomini, lanciati nella "avventura maschile della storia", hanno rimosso
e negato. Fare una filosofia "dell'anima" significava non solo valorizzare e
restituire dignita' alla presenza femminile nella cultura, ma anche aprire
nuovi spazi di vita e di pensiero, o riaprire spazi dimenticati, per gli
esseri umani.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it,
angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 752 del 7 dicembre 2003