[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 747
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 747
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 1 Dec 2003 18:36:40 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 747 del 2 dicembre 2003 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: una lettera dalla Procura 2. Fausto Concer: eroi 3. Enrico Euli: mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 4. Giuliana Sgrena: un missile contro un aereo civile 5. Giuliana Sgrena intervista Abdel Aziz al Hakim 6. Giuliana Sgrena: "Siamo patrioti iracheni anti-Saddam e anti-Usa" 7. Giuliana Sgrena: il Consiglio iracheno: "Basta occupazione" 8. Giuliana Sgrena: colpita l'ambasciata italiana 9. Giuliana Sgrena: il teatro dell'imperatore 10. Giuliana Sgrena: Iraq, bersaglio Italia 11. L'8 dicembre a Venezia con Lidia Menapace per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta 12. Il terzo salone dell'editoria di pace 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: UNA LETTERA DALLA PROCURA Dalla Procura della Repubblica di Viterbo mi perviene, nella mia qualita' di "persona offesa" (e mai termine mi parve piu' adeguato), l'ennesimo avviso della richiesta di archiviazione da parte del pm al gip di un mio esposto in cui denunciavo l'illegalita' e la criminosita' della partecipazione italiana alla guerra in Iraq. Riconosco che la motivazione - il reato che denunciavo non si e' compiuto nel territorio viterbese, e il procuratore segnala che io stesso avevo gia' provveduto ad inviare quell'esposto anche ad altre sedi giurisdizionalmente competenti - ha una sua logica, e mi pare di intendere che il sostituto procuratore che ha redatto l'atto ritenga che ad altre procure da me interpellate possa incombere la responsabilita' dell'azione penale che ho sollecitato. Non mi e' invece ancora giunta alcuna notizia in ordine alla mia opposizione ad analoga richiesta di archiviazione da parte della Procura di Pisa (in relazione ai trasporti di armi destinate alla guerra cola' transitate). Ne' ho ricevuto risposta alcuna dalla magistratura romana cui pure mi sono ripetutamente rivolto. * Provo a riassumere i termini della questione, per l'ennesima volta: a) la Costituzione della Repubblica Italiana all'articolo 11 e' inequivocabile nello stabilire che l'Italia non puo' prendere parte a una guerra come quella in corso in Iraq; b) in flagrante violazione della Costituzione il governo, la maggioranza parlamentare e il capo dello stato hanno coinvolto l'Italia in una guerra illegale e criminale, violando la Costituzione cui pure avevano giurato fedelta' e commettendo il massimo dei crimini loro ascrivibili: appunto la violazione della Costituzione, scilicet un vero e proprio golpe per il quale dovrebbero essere arrestati e mandati dinanzi a una corte di giustizia per risponderne a termini di legge; c) in conseguenza della loro violazione della Costituzione costoro hanno altresi' provocato la morte di numerosi italiani inviati nell'Iraq in guerra come truppe occupanti al servizio del potere degli invasori terroristi e stragisti; d) che in Iraq sia in corso una guerra e' di una tale evidenza che solo degli idioti o dei mascalzoni possono continuare a negarlo; e) che l'Italia sia una potenza militare occupante, quindi una parte belligerante a tutti gli effetti - e schierata dalla parte degli invasori terroristi e stragisti -, e' altrettanto innegabile; f) che questo esponga anche il nostro paese e la nostra popolazione a divenire bersaglio di atti di guerra, cioe' di terrorismo (poiche' la guerra e' gia' terrorismo), cioe' di attentati stragisti, e' cosa talmente evidente che solo governanti e manutengoli scellerati, stolti e irresponsabili possono fingere di non capirlo; g) in tale contesto continuo a chiedere: il potere giudiziario puo' restare inerte? I responsabili primi della morte dei nostri connazionali a Nassiriya devono restare impuniti? Gli sciagurati che hanno violato la Costituzione e hanno precipitato il nostro paese in un crimine e in un pericolo immani potranno continuare nella loro azione criminosa? Quanto sangue ancora dovra' essere versato prima che la legge intervenga per fermare i golpisti, per ripristinare la vigenza della legalita' costituzionale e del diritto internazionale, per imporre il ritiro immediato del nostro paese da una guerra illegale e criminale? * Possibile che dinanzi a tutto cio' ne' la magistratura ne' l'opinione pubblica abbiano nulla da fare e nulla da dire? Possibile che pubblici ufficiali, istituzioni democratiche, movimenti della societa' civile, intellettuali e mass-media pronti a insorgere come un sol uomo quando si tratti di piccinerie come le miserabili censure a spettacolini comici, non si rendano conto che col loro silenzio stanno avallando un effettuale colpo di stato che fa strame della legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico, una guerra terrorista che puo' aver esiti catastrofici per l'umanita' intera, ed anche - ineludibile conseguenza - il concreto pericolo di nuove stragi di nostri connazionali non solo in Iraq ma anche in territorio italiano? Mi guardo intorno, lancio nel buio una voce. 2. RIFLESSIONE. FAUSTO CONCER: EROI [Ringraziamo Fausto Concer (per contatti: faustoconcer at libero.it) per questo intervento. Fausto Concer e' impegnato in varie esperienze, particolarmente a Bolzano e a Bologna, per la pace, i diritti dei popoli, la difesa della Costituzione, un'economia di giustizia e di solidarieta'] Diceva un tedesco che e' felice quel paese che non ha bisogno d'eroi. Vero. Mi accontenterei, per cominciare, che per essere eroi non si dovesse morire o uccidere, anzi che morire in un teatro di guerra terrorista e ancor piu' uccidere, fosse inconciliabile coll'essere un eroe. Mi piacerebbe che, come fece nel Cratilo Platone utilizzando una falsa ma feconda parentela etimologica, si legasse il termine eroe al termine eros, amore, e che gli eroi fossero tali "perche' erano saggi e retori, e abilissimi e dialettici, essendo capaci di erotan (interrogare); infatti eirein significa dire". Eroi saggi, che "dicono" e, soprattutto, "interrogano" e "si interrogano". 3. MEMORIA E PROPOSTA. ENRICO EULI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... ["Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e' di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". Avvicinandosi la fine dell'anno, abbiamo chiesto ad alcuni autorevoli amici della nonviolenza di motivare l'invito - che ci permettiamo di rivolgere a tutti i lettori del nostro notiziario - a rinnovare (o sottoscrivere per la prima volta) l'abbonamento ad "Azione nonviolenta". Oggi risponde Enrico Euli (per contatti: diabeulik at libero.it). Enrico Euli, da molti anni impegnato nei movimenti per la pace, la giustizia e i diritti, e' uno dei piu' noti formatori alla nonviolenza (ha collaborato anche con Alberto L'Abate), fa parte della rete di Lilliput e della cooperativa "Passaparola" di Cagliari impegnata in attivita' di educazione alla pace; attualmente ha un incarico di insegnamento presso l'universita' di Cagliari. Tra le opere di Enrico Euli cfr. AA. VV., Percorsi di formazione alla nonviolenza, Pangea, Torino 1996; AA. VV., Reti di formazione alla nonviolenza, Pangea, Torino; con Marco Forlani (a cura di), Guida all'azione diretta nonviolenta, Altreconomia-Berti, Milano-Piacenza 2002] Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... E' un bel giornale, che ha avuto la capacita' di reggere nel tempo e di migliorare. Nei nostri ambienti, un po' troppo disinvolti e discontinui, non e' poco. Parla di nonviolenza tutt'attaccata, senza infingimenti e mistificazioni, ne' revisionismi di facciata o manipolazioni linguistiche sempre e costantemente in agguato, soprattutto nella politica italiana, anche dei movimenti. E' piu' aperto di un tempo a contributi italicamente non ortodossi (cioe' non-confessionali ed anti-statali), versione libertaria della nonviolenza a cui provo, ancor piu' in questi tempi, a far personale riferimento. Credo che sia bello il processo in corso che, anche attraverso Rete Lilliput e le pagine ad essa dedicate, ci permette maggiori e piu' feconde contaminazioni tra le diverse scuole e tradizioni (ad esempio il training e la formazione educativa gandhiana, l'azione diretta oggi e la storia dei Gruppi di azione nonviolenta, i differenti approcci al conflitto e alla sua trasformazione...). Durante gli anni, ogni tanto, sono riuscito pure a scriverci qualcosa sopra! Insomma, dopo un po' di lontananza, da due anni ho deciso di riabbonarmi e lo rifaro' ora, appena torno dal Senegal, dopo le vacanze (abbiate pazienza). * Un'unica domanda alla direzione della rivista: perche' non avete mai inserito i libri da me curati nella lista dei testi in ultima pagina? Non sono animato, evidentemente, da brame commerciali, ne', credo, da ansie di esibizione. Quel che chiederei e', almeno su questo versante e al di la' delle differenze tra noi, un reciproco riconoscimento del valore di quel che facciamo, diciamo, pensiamo, scriviamo... Chiedo troppo? 4. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: UN MISSILE CONTRO UN AEREO CIVILE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 novembre 2003. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso, ed e' nuovamente in Iraq in questi giorni] Ieri sera colpi d'arma da fuoco sono stati sparati a Nassirya, contro un convoglio di carabinieri italiani rimasti nella citta' del sud Iraq a fare da bersaglio. Del convoglio faceva parte un fuoristrada con due giornalisti del Tg2: nessun ferito per fortuna, ma la situazione resta pericolosa e tesissima. Ma sono stati ancora una volta gli iracheni a pagare un pesante tributo di sangue a chi con la vocazione del martirio si scaglia contro "collaborazionisti" e forze di occupazione. Almeno 19 le vittime nelle ultime ore, ma il bilancio e' provvisorio. Due autobombe sono esplose davanti a due stazioni di polizia a nord di Baghdad. La prima a Khan Bani Saad, 50 km a nord-est di Baghdad. Erano le otto del mattino, una Chevrolet si stava avvicinando a grande velocita' alla stazione di polizia quando un poliziotto ha aperto il fuoco, ma la macchina non si e' fermata ed e' esplosa lasciando un ampio buco nella parete dell'edificio, sei poliziotti e tre civili uccisi, numerosi i feriti. L'ospedale della vicina Baquba stava ancora ricoverando i feriti dell'attacco di Khan Bani Saad quando sono cominciati ad arrivare quelli di un'altra autobomba. Obiettivo, una quindicina di chilometri a nord, la stazione di polizia di Baquba, nove morti (sette poliziotti e due civili) e decine di feriti. Il kamikaze aveva una divisa da poliziotto, non difficile da recuperare. La zona degli attacchi e' in pieno "triangolo sunnita": Baquba e' una delle roccaforti di Saddam Hussein e dell'esercito. Le stazioni di polizia non sono nuove a simili attacchi, la giornata piu' sanguinosa e' stata quella del 27 ottobre: tre loro sedi a Baghdad furono attaccate contemporaneamente alla Croce rossa Internazionale: 35 i morti. Ma la vera novita' viene piuttosto dall'attacco lanciato contro un aereo commerciale civile usato come cargo dalla Dhl. L'aereo, un Airbus A300 con tre persone di equipaggio a bordo, appena decollato dall'aeroporto di Baghdad ha dovuto fare un atterraggio di emergenza dopo che un motore aveva preso fuoco. Secondo un ufficiale militare non identificato, citato dalla France presse, "e' stato colpito da un missile Sam-7 terra aria". Se questa ipotesi verra' confermata sara' stato il primo aereo civile ad essere preso di mira dalla guerriglia, in passato altri missili erano stati lanciati contro aerei militari in decollo dall'aeroporto di Baghdad ma senza raggiungere l'obiettivo. Intanto la compagnia di bandiera giordana, Royal Jordanian, ha subito sospeso i propri voli su Baghdad. Gli elicotteri militari invece sono stati un target piu' vulnerabile, nello scorso mese ne sono stati abbattuti cinque, 49 i militari statunitensi rimasti uccisi. Secondo un comandante americano la guerriglia sta diventando sempre piu' creativa e dimostra un grande livello di coordinamento. Da quando la guerra e' stata dichiarata finita da Bush, il primo maggio, 182 sono i soldati statunitensi uccisi da fuoco ostile, 294 dall'inizio della guerra e comprese le vittime di incidenti il numero sale a 424. Una situazione che si sta dimostrando sempre piu' insostenibile per gli Stati Uniti che stanno cercando di accelerare il passaggio dei poteri, e delle responsabilita', agli iracheni. Ma mentre il proconsole Paul Bremer annuncia il nuovo piano la situazione sul terreno e' invertita. Dopo gli ultimi attentati i carri armati sono infatti tornati in gran numero a pattugliare le strade della capitale che negli ultimi tempi era stata lasciata al controllo della polizia irachena, peraltro sempre piu' obiettivo degli attacchi terroristici. Mentre la nuova strategia offensiva ieri ha colpito con i bombardamenti aerei edifici nella cittadina di Khaldiya, a una settantina di chilometri a ovest di Baghdad, almeno un morto. E, secondo il "New York Times", che cita fonti dell'esercito Usa, i piani del Pentagono prevedono di mantenere in Iraq 100.000 uomini fino all'inizio del 2006. E nel mirino della guerriglia tornano i membri del Consiglio governativo iracheno, un'altra classe di "collaborazionisti". Ieri e' toccato a Abdel Aziz al Hakim, leader del Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq (Sciri) e uno dei 25 membri del Consiglio governativo, il quale e' riuscito a sfuggire miracolosamente a un missile lanciato contro la moschea in cui pregava. Il missile lanciato dal giardino adiacente non e' esploso. "E' stato un attacco terroristico contro la sua vita realizzato da quel che resta del regime di Saddam", ha commentato il figlio di Abdel Aziz, Mohsen al Hakim, da Tehran. Ad agosto a Najaf, la citta' santa sciita, era stato assassinato davanti alla moschea il piu' famoso leader dello Sciri, Mohammed Baqer al Hakim. Insieme a lui erano state uccise oltre ottanta persone.Tutte le azioni di terrorismo e anche di resistenza vengono attribuite dai leader dello Sciiri ai residui "saddamisti" e a militanti di al Qaeda. La tensione e' alta a Baghdad e in tutto l'Iraq mentre ci si prepara a festeggiare la festa dell'Aid, che conclude il mese sacro del Ramadan. 5. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA INTERVISTA ABDEL AZIZ AL HAKIM [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 novembre 2003] Le accuse degli americani al Consiglio governativo iracheno di "inefficienza" e di rispondere piu' agli interessi personali che a quelli del paese, e l'annuncio di una nuova tabella di marcia, giu' accettata dal presidente di turno, il kurdo Jalal Talabani, cominciano a far emergere il disagio di alcuni membri dell'organismo utilizzato strumentalmente dal proconsole americano Paul Bremer per dimostrare l'avvio di una transizione per il passaggio dei poteri agli iracheni. Dopo le denunce del "ministro" Abdel Basset Turki sulla violazione dei diritti umani da parte delle truppe Usa durante l'occupazione, anche il leader sciita Abdel Aziz al Hakim, uno dei 25 membri del Consiglio, ha espresso riserve sul nuovo piano americano. L'attuale leader dello Sciiri (Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq), rientrato dall'Iran, dove ha trascorso 21 anni, subito dopo la caduta di Saddam, e' succeduto al fratello nella guida del partito dopo il suo assassinio nell'agosto scorso a Najaf. Abdel Aziz e' rimasto l'ultimo di dieci fratelli, sette dei quali uccisi da Saddam, uno e' morto in un incidente automobilistico e l'ultimo e il piu' famoso, Mohammed Baqer al Hakim, e' stato assassinato. Ieri anche Abdel Aziz si e' salvato per miracolo da un missile lanciato contro la moschea in cui si era recato a pregare. Lo avevamo incontrato, poche ore prima, venerdi' sera, tra ingenti misure di sicurezza, nella splendida villa dell'ex vice primo ministro Tareq Aziz, ora detenuto dagli americani, sulle rive del Tigri. - Giuliana Sgrena: Quali perplessita' ha sul nuovo piano Usa? - Abdel Aziz al Hakim: La transizione del potere deve essere nelle mani degli iracheni, questo e' il punto centrale, allora i problemi potranno essere risolti. Qui nessuno e' contento dell'occupazione. Fin dal primo giorno abbiamo presentato delle idee su come risolvere questi problemi. Il potere deve tornare nelle mani degli iracheni per poter tenere elezioni e allora un governo costituzionale potra' essere eletto. Gli Usa all'inizio pensavano che si dovesse prima varare una costituzione, poi costituire un governo eletto e allora l'autorita' sarebbe stata trasferita a questo governo. Ora hanno cambiato (una legge fondamentale entro febbraio, un corpo legislativo eletto per la fine di maggio da comitati provinciali, un governo transitorio per il primo luglio e una nuova costituzione fatta da una assemblea costituente per la fine del 2005, ndr) e noi abbiamo accettato questi cambiamenti positivamente per potere trasferire l'autorita' al popolo iracheno. Ma sui dettagli sorgono i problemi, per questo abbiamo espresso delle riserve. - G. S.: Quali dettagli? - A. A. al H.: Occorre rispettare il volere del popolo iracheno altrimenti crescera' l'imbarazzo e sorgeranno i problemi. Nell'ultimo periodo abbiamo sentito molti slogan sulla democrazia, l'opinione del popolo non puo' essere trascurata come e' successo in passato. Bisogna garantire una partecipazione diretta di tutti i gruppi, anche delle minoranze. - G. S.: Eppure lei ha accettato di far parte del Consiglio governativo che e' stato nominato dall'americano Bremer e non dal popolo... - A. A. al H.: Il Consiglio governativo non e' quello che volevano gli Usa: un consiglio consultivo con i membri scelti da Bremer. Lo abbiamo rifiutato. Questo consiglio governativo rappresenta il 70-80% del popolo iracheno per la popolarita' di cui godono i suoi membri che sono stati eletti (da circa 600 delegati, ndr) nella conferenza dei gruppi di opposizione che si e' tenuta a Londra lo scorso anno. Il Consiglio governativo ha il compito di gestire la situazione durante la transizione e dopo sei mesi dare la possibilita' di tenere elezioni se si vogliono mettere in piedi nuove istituzioni. - G. S.: E secondo lei in questa situazione e' possibile tenere libere elezioni? - A. A. al H.: E' possibile in un tempo breve. - G. S.: Senza costituzione, senza una legge elettorale e senza sicurezza? - A. A. al H.: E' possibile tenere elezioni anche senza tutti gli standard elettorali, credo che gli standard possano essere rispettati all'80%: si possono mettere insieme piccoli gruppi che eleggono un rappresentante, ci sono altre procedure possibili, per esempio usando le carte che servono per il ritiro delle razioni di cibo. Esistono anche censimenti recenti della popolazione e poi si puo' chiedere il parere a esperti dell'Onu o anche a pianificatori iracheni. - G. S.: Per eleggere che cosa: il parlamento, il governo o l'assemblea costituente? - A. A. al H.: Questa procedura puo' mettere la popolazione in grado di eleggere il parlamento, l'assemblea o anche il governo. L'importante e' che la democrazia sia implementata. - G. S.: Sono tutti d'accordo con lei nel Consiglio governativo? - A. A. al H.: Non ho trovato nessuno contrario a questa idea, ancora da definire nei dettagli. - G. S.: Ma il consiglio governativo dovrebbe essere sciolto. - A. A. al H.: Non sono d'accordo. Prima bisogna trovare un'altra formula che sia rappresentativa degli interessi del popolo, altrimenti si creeranno solo problemi. La situazione peggiorera'. - G. S.: Lei e' preoccupato per la divisione all'interno della comunita' sciita? E cosa e' cambiato per lei dopo l'assassinio di suo fratello? - A. A. al H.: Non abbiamo preoccupazioni perche' queste divisioni dimostrano la liberta' del popolo iracheno. Non ci sono contrapposizioni ideologiche e scontri pericolosi. Tutto il popolo iracheno e' preoccupato per i problemi di sicurezza perche' le forze di occupazione li affrontano in modo sbagliato. Una politica sbagliata che porta al collasso e per questo pagano le truppe occupanti e il popolo iracheno. - G. S.: Ma allora non e' meglio che se ne vadano? - A. A. al H.: Spero che se ne vadano e se restano solo come ospiti. 6. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: "SIAMO PATRIOTI IRACHENI ANTI-SADDAM E ANTI-USA" [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 novembre 2003] A meta' della strada che porta da Baghdad a Tikrit, si devia verso Balad, appena superata la citta', al di la' del Tigri si trova Dhiluiya, centro agricolo di circa 20.000 abitanti, salito agli onori della cronaca per la resistenza agli americani. La vegetazione e' lussureggiante e anche per questo colpisce lo scempio compiuto dagli americani il 9 giugno, quando sono venuti qui per ripulire la zona e hanno cominciato bombardando una fattoria e abbattendo decine e decine di palme da dattero. I tronchi sono ancora la', divelti, a testimoniare. Le altre testimonianze le raccogliamo tra gli abitanti delle belle case di cemento sparse tra gli aranceti. Non mancano i segni di nuovi passaggi degli americani: dagli effetti delle bombe assordanti a quelli dei colpi di mortaio. "Gli americani usano le armi sequestrate del vecchio regime per convincerci che e' la resistenza a colpirci, per dividere la popolazione, ma non ci ingannano", dice Kamel mentre ci mostra i pezzi della granata lanciata con un mortaio. Dopo un primo momento di indifferenza e quasi di compiacimento per gli americani che li avevano liberati dalla dittatura, anche se la citta' e' circondata dalle roccaforti di Saddam - Balad, Samarra, fino a Tikrit -, l'odio verso le forze occupanti e' andato aumentando e la resistenza pure. Anche tra la tribu' maggioritaria di Dhiluiya, i Jubir, sebbene fosse caduta in disgrazia durante il passato regime dopo che, nel 1990, uno di loro aveva cercato di attentare alla vita del rais durante una parata militare. Una circostanza che era venuta a coincidere con altri elementi che hanno provocato un impoverimento di quella che fino ad allora era stata una cittadina ricca: il crollo del valore del dinaro dopo l'invasione del Kuwait, l'embargo che li ha privati di prodotti per l'agricoltura provocando la diffusione di malattie nelle coltivazioni, mentre la diga costruita a Samarra ha ridotto le possibilita' di irrigazione. Ora la situazione non e' migliorata, manca l'elettricita' - nell'ultima settimana solo 4 ore al giorno -, scarseggiano la benzina e il gas. "Sono punizioni collettive, era meglio con Saddam", dice com amarezza Amar, un giovane laureato in lingue e, naturalmente, disoccupato. L'unica possibilita' di lavoro sarebbe come traduttore con gli americani, ma si rifiuta di lavorare per gli occupanti. Comunque l'unico a pensare che Saddam possa tornare e' Rafa, un altro studente in lingue, specializzazione in turco. Tutti questi giovani, anche un bambino di dodici anni - ma lui solo per due ore -, insieme ad altri 600 uomini, compresi vecchi e handicappati, erano stati arrestati il 9 giugno, portati al vicino aeroporto militare al Baker, interrogati per tre giorni, e maltrattati, tenuti sotto tendoni senz'acqua nonostante la calura. "Altro che diritti umani", commenta Amar. Ventisette di loro erano poi stati portati a Tikrit, gli altri rilasciati, poi ne sarebbero stati liberati altri 12, mentre i quindici rimanenti sono stati portati a Um Qasr (al sud, il porto di Bassora). Tra i dodici liberati vi era anche la spia che aveva passato agli americani le informazioni, ma non tutte attendibili e per questo a sua volta arrestata. La sua liberta' sarebbe pero' durata poco, il padre, Salem Khalaf, un contadino di 55 anni, per riscattare l'onore lo ha ucciso e poi e' fuggito perche' gli americani lo volevano arrestare. Tra quelli che hanno armato la canea per farlo uccidere vi sarebbero state altre spie che non volevano essere individuate, tuttavia la popolazione le ha scoperte e le tiene sotto tiro. "Lo fanno per i soldi, anche se gli americani gli promettono migliaia di dollari e poi gliene danno solo qualche centinaio, spesso passano informazioni sbagliate anche per vendetta. Gli americani lo sanno bene, si prendono in giro a vicenda", sostiene Rafa. Questi informatori sono stati minacciati, ma finora qui non c'e' stata ancora nessuna esecuzione di "collaborazionisti". Si contano invece una quindicina di civili uccisi negli attacchi degli americani. Un mese fa le truppe americane sono arrivate, hanno bloccato le strade con blindati e carri armati e poi hanno cominciato a bombardare: una casa e' stata distrutta perche' sospettata di essere usata dalla guerriglia, altre sono state colpite e due sono state occupate per qualche giorno costringendo gli abitanti ad andarsene. Anche la casa di un generale, che ci mostrano, dieci giorni fa era stata occupata dopo l'arresto del militare che prima aveva ottenuto dagli stessi americani un lasciapassare. Hanno detto che volevano solo qualche informazione ma non e' piu' tornato. Continuano le perquisizioni, sempre di notte, gli abitanti vengono buttati fuori di casa e quando rientrano scoprono che mancano soldi e oggetti di valore. Una settimana fa, all'1,30 di notte, soldati americani hanno fatto irruzione nella casa dell'imam, sheikh Mahmud Khalil, un uomo anziano "dedito solo alla religione". "Cercavano un terrorista siriano che sarebbe stato nascosto nella nostra casa", spiega il figlio e ricorda che anche il traduttore era particolarmente arrogante. Tutti gli uomini di casa, tranne l'imam, sono stati tenuti sdraiati con faccia a terra nel giardino, dopo mezz'ora di rovistamento senza trovare ne' terroristi ne' armi, i soldati se ne sono andati, con tante scuse. "Non avevo mai visto gli americani e improvvisamente l'altra notte hanno invaso la mia casa", racconta l'imam che dimostra piu' dei suoi 68 anni, forse per lo stress degli ultimi giorni. E' molto gentile e disponibile, ma "lei mica mi ha buttato giu' dal letto", osserva. Cosa pensa della resistenza? "Non mi sono mai interessato alla resistenza, rifiuto l'atteggiamento degli americani ma non posso fare niente per impedirlo". Sono questi atteggiamenti che esasperano la gente. Ma forse c'e' anche un rimpianto per Saddam? "No, anche se qui c'e' ancora una parte della citta' che lo sostiene, il rais qui non e' mai venuto e non ha mai amato questa zona. La resistenza e' contro gli occupanti americani". Ma chi la organizza, i sostenitori di Saddam o forse gli islamisti? "No, sono i patrioti del popolo, qui non ci sono organizzazioni islamiche. Solo i sabotaggi agli oleodotti e gli attacchi alla polizia sono opera di Saddam, non quelli contro le forze della coalizione. Gli Usa hanno permesso che fossero saccheggiati tutti i campi militari, quindi le armi non mancano". Eppure devono essere persone addestrate a usare le armi. "Per usare un kalashnikov non ci vuole molto, nel '99 all'universita' tutti imparavamo a sparare, donne e uomini", dice Heiman. Allora potreste essere anche voi parte della resistenza?, chiediamo ai giovani e meno giovani che si sono radunati intorno a noi. "Anche se non siamo nella resistenza siamo pronti ad aiutare tutti quelli che combattono gli americani", risponde uno, ma sono tutti d'accordo. Secondo Mohammed, un uomo sulla cinquantina, "pensionato" nel 1990 quando lavorava nel settore delle telecomunicazioni, a prevalere e' il sentimento nazionalista: "Gli americani ci guardano tutti come terroristi, ma vogliamo solo liberare l'Iraq". Perche' "Saddam ha prima collaborato con gli americani e poi ha trattato con loro fino all'ultimo ma solo per salvare i propri interessi, non per quelli del popolo iracheno", sostiene Mohammed. In questa cittadina, sunnita e conservatrice, diversamente da altre zone del paese, non c'e' il problema sicurezza, la popolazione collabora con la polizia molto attiva (sono i poliziotti di prima piu' alcuni volontari dell'esercito). Ma le forze della coalizione lamentano scarsa collaborazione dei poliziotti e hanno portato qui altre forze di Balad, che cercano di avere informazioni solo da ladri e ex-baathisti e sono invisi alla popolazione. E il consiglio comunale? "E' stato nominato dagli americani con chi e' disposto a collaborare, il presidente del consiglio, Marwan, e' un avvocato gia' capo di un comune nel sud, a Nassiriya, durante il regime di Saddam. Hanno fatto solo promesse non mantenute. Qui sono tutti contadini e ignorano il consiglio comunale". E anche il Consiglio governativo? "E' inutile, si occupano solo di cambiare la bandiera dell'Iraq e non delle cose importanti". Dhiluiya e' un aspetto della resistenza irachena, incomprensibile per gli americani. 7. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: IL CONSIGLIO IRACHENO: "BASTA OCCUPAZIONE" [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 novembre 2003] Mentre scriviamo violente esplosioni risuonano nel centro della capitale irachena e dalla sede dell'amministrazione a guida Usa un altoparlante ripete: "Al riparo. E' un attacco, non e' una simulazione". I testimoni oculari che arrivano parlano di colpi di mortaio contro i ministeri. Ma ieri forse e' avvenuto qualcosa di piu' esplosivo. Il Consiglio governativo iracheno ha chiesto, formalmente, con una lettera del presidente di turno Jalal Talabani, al Consiglio di sicurezza Onu di adottare una nuova risoluzione in cui venga sancito lo scioglimento della coalizione di occupazione dopo che sara' eletto, in giugno, il governo provvisorio. Il calendario per il passaggio dei poteri agli iracheni, richiesto dalla risoluzione Onu 1511 dello scorso 16 ottobre, doveva essere presentato entro il 15 dicembre. Ad accelerare la formulazione delle scadenze, decise dagli Stati Uniti e approvate dal Consiglio governativo, non senza critiche nello stesso organismo - come quella del leader sciita Abdel Aziz al Hakim -, e' stata l'escalation di attacchi contro le truppe americane e il tentativo Usa di scaricare la responsabilita' del disastro sugli iracheni. Dopo aver accusato d'inefficienza l'attuale Consiglio governativo nominato dal proconsole Paul Bremer e paralizzato sia dalla mancanza di poteri che dai criteri adottati per le nomine, su base esclusivamente etnica e religiosa. Il calendario prevede la definizione di una "legge fondamentale" per amministrare il paese entro la fine di febbraio, entro maggio invece sara' formata attraverso la scelta di delegati provinciali una assemblea provvisoria che dovra' eleggere il governo transitorio entro fine giugno, a questo punto i poteri dovrebbero passare dalla Coalition provisional authority (Cpa) agli iracheni. Per il 15 marzo 2005 e' prevista l'elezione di una assemblea costituente che dovra' elaborare una costituzione entro la fine dell'anno, da sottoporre a referendum. Il processo dovrebbe concludersi con nuove elezioni. Rispetto ai tempi, l'esempio afghano induce a estrema prudenza. Forse per questo, o anche per le pressioni interne al paese e allo stesso Consiglio governativo, la mossa di Talabani sembra ispirata dal tentativo di fare acquisire qualche credibilita' ad un organismo che finora non e' riuscito ad averla. Uno scatto d'orgoglio tardivo? Comunque un effetto l'ha raggiunto, a giudicare dalle reazioni del generale John Abizaid, capo del comando militare Usa responsabile per le operazioni militari in Medioriente. Non solo ha rifiutato qualsiasi scadenza per la fine dell'occupazione ma ha anche negato che di occupazione si tratti, sebbene la definizione sia contenuta nella risoluzione Onu approvata dagli Usa. "La presenza militare in Iraq non sara' piu' necessaria nel momento in cui l'esecutivo si assumera' la responsabilita' della sicurezza esterna e interna". Affermando che le forze della coalizione non sono di occupazione ha detto: "Siamo qui per la creazione di un governo e per mantenere la sicurezza, il controllo passera' nel tempo alle forze di sicurezza irachena ma solo quando non ci sara' piu' bisogno di noi". E per il generale a deciderlo naturalmente sara' Washington. "Ce ne andremo ma questo non significa che lo faremo di corsa, significa che lo faremo in modo sicuro e appropriato dopo aver fornito all'Iraq forze di sicurezza preparate e responsabili", ha concluso il generale che ha tenuto ieri a Baghdad una conferenza stampa insieme a Paul Bremer. Vuol dire che le truppe americane in Iraq resteranno ancora a lungo e si preparano anche per il dopo, costruendo basi per quando la sicurezza passera' in mano irachena. E di sicurezza ha parlato anche Bremer: "Hanno fallito nell'intimidire la coalizione, ora stanno cercando di intimidire innocenti iracheni", si e' consolato Bremer. Non e' un obiettivo cambiato ma allargato, aumentano gli obiettivi, ma soprattutto gli attacchi si estendono dal "triangolo sunnita" al nord verso le citta' kurde contestate, che Saddam non aveva voluto concedere al Kurdistan. Un ordigno e' esploso al Kirkuk palace, il principale albergo della citta', che ospita personale della compagnia petrolifera americana Kbr, ma anche giornalisti: ferite due guardie e un impiegato, due sono gravi. Abizaid ha confermato le affermazioni di Bremer ma ha anche ridimensionato la presenza di mujahidin stranieri: ci sono siriani, sauditi e yemeniti, "ma il loro numero e' piccolo". La presenza di "combattenti stranieri" e' uno degli argomenti usati da Bush per giustificare l'affermazione che l'Iraq e' in prima linea nella guerra globale contro il terrorismo. L'azione dei guerriglieri si avvale ora anche dell'effetto mediatico. Una videocassetta, che riprende un combattente mentre sta sparando un missile terra-aria contro l'Airbus A300 del corriere espresso Dhl, e' stata consegnata domenica a Baghdad a Sara Daniel, giornalista del "Nouvel Observateur". Il video di sei minuti mostra alcuni uomini - il volto coperto con una kefiah - armati di kalashnikov, razzi anticarro e lanciamissili portatili terra-aria. Passa l'aereo e dopo un po' uno di loro fa partire il missile che descrive la traiettoria con una scia bianca, dopo una virata colpisce l'aereo, di cui si vede un'ala in fiamme. L'aereo era decollato sabato mattina dall'aeroporto di Baghdad e costretto ad un atterraggio di emergenza. Da allora tutti i voli civili sono stati sospesi. Mentre trascorre l'Aid di fine Ramadan, a colpi di kalashnikov - difficile distinguere la festa dalla guerra - un militare italiano a Nassiriya, Stefano Ridolfi, e' stato probabilmente ferito da uno di questi proiettili in ricaduta. 8. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: COLPITA L'AMBASCIATA ITALIANA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 novembre 2003] Un colpo di mortaio o un razzo ha centrato nella notte l'ambasciata italiana a Baghdad. L'edificio, quasi completamente vuoto a causa dell'orario (poco prima di mezzanotte, ora locale), e' stato centrato al secondo piano, causando solo danni materiali: niente vittime. Nei giorni scorsi nei dintorni dell'ambasciata italiana erano stati individuati due carretti, telai di autocarri trainati da asini, all'interno coperti da teloni una ventina di razzi in buono stato e pronti a sparare. Non c'era stata alcuna conferma che il bersaglio potesse essere la rappresentanza diplomatica italiana, ma era bastato a moltiplicare la paura innescata dall'attentato di Nassiriya, dove un'autobomba due settimane fa ha devastato il comando dei carabinieri, uccidendo 19 persone. L'Italia torna dunque ad essere un bersaglio, ma non e' certamente l'unico. Due dei missili che martedi' sera con la loro esplosione hanno scosso il centro di Baghdad sono caduti nel compound che ospita la Coalition provisional authority (Cpa). Non hanno provocato vittime e non e' la prima volta che accade soprattutto nell'ultimo mese, ma l'obiettivo questa volta avrebbe potuto essere molto ambizioso, il ministro degli esteri britannico Jack Straw, appena arrivato nella capitale irachena per una visita di due giorni. Proprio come era successo durante la visita del vicesegretario alla difesa Usa Paul Wolfowitz, quando era stato colpito l'hotel Rashid, dove era ospite. Evidentemente la resistenza sapeva dell'arrivo di Straw prima ancora che fosse annunciato, un servizio di intelligence in piena regola. Jack Straw non poteva quindi ignorare la gravita' della situazione. "La chiave (per migliorare la sicurezza, ndr) e' quella di trasferire il potere dalla coalizione al popolo iracheno il piu' presto possibile", ha detto ieri in una conferenza stampa tenuta dentro lo spesso compound da dove non si e' spostato nemmeno per gli incontri. Straw ha riferito di aver visto i componenti del Consiglio governativo, con i quali ha discusso del processo per il passaggio dei poteri e ha detto che una combinazione di sforzi politici e militari manterra' la scadenza di giugno, stabilita dagli Usa e accettata dall'organismo nominato da Bremer, per l'elezione di un governo di transizione che dovrebbe porre fine all'occupazione, almeno secondo l'interpretazione degli iracheni. Tuttavia la fine dell'occupazione e il ritiro delle truppe rimane il punto piu' controverso. Dopo la presa di posizione del generale Abizaid, che non vuole scadenze e tanto meno fissate dagli iracheni, ieri anche Straw ha detto che non puo' fornire date per il ritiro delle truppe britanniche (9.800 uomini dispiegati nel sud del paese), ma, ha aggiunto, le forze della coalizione "resteranno fino a quando il governo iracheno e il popolo vorra' che restiamo e c'e' del lavoro da fare". Ieri il Pentagono ha fatto sapere che il segretario alla difesa americano, Donald Rumsfeld, ha ordinato alla marina l'invio di altri 3.000 marines, tre battaglioni con le relative unita' di supporto. Indubbiamente le pessime condizioni di vita - disoccupazione dilagante, mancanza di elettricita', acqua, gas e benzina - possono favorire la scelta del sostegno al terrorismo, ma la resistenza, quella piu' generalizzata, invece risponde ad altre aspirazioni del popolo iracheno, quella della dignita', che l'occupazione calpesta ogni giorno, e della sovranita'. Quella nazionalista e' una delle componenti della resistenza: gli Stati Uniti invece cercano di dividere il paese tra kurdi, sunniti e sciiti; proprio su questa base il proconsole Paul Bremer ha nominato il consiglio governativo. Molti si lamentano: in questo paese non si parla piu' di arabi, ma solo di sunniti e sciiti. Il pericolo di una disintegrazione dell'Iraq e' stato avvertito anche da Straw, che ha sostenuto che mantenere "l'integrita'" del paese durante la transizione e' cruciale: l'Iraq con i suoi diversi gruppi etnici devono stare insieme per vedere un futuro migliore. Si tratta di un diverso approccio rispetto a quello americano, della cosapevolezza dei pericoli rappresentati dalla divisione in tre dell'Iraq, oppure di voler porre rimedio a errori fatti? Sugli errori commessi in Iraq dalla coalizione e' tornato ieri il generale in pensione Jay Garner, che aveva guidato l'autorita' di occupazione nel primo mese, prima di essere sostituito da Paul Bremer, non solo per dissensi sui suoi piani ma anche per le rivalita' interne all'amministrazione Usa tra dipartimento di stato e Pentagono. In una intervista rilasciata ieri alla Bbc, Garner sostiene che gli Usa avrebbero dovuto avere una migliore comunicazione con gli iracheni e che avrebbero dovuto adoperarsi per ristabilire la fornitura di elettricita', che peraltro e' ancora estremamente carente a quasi sette mese dall'inizio dell'occupazione, oltre a muoversi piu' rapidamente per instaurare un governo iracheno. Dal punto di vista dell'informazione, il risultato - sostiene Garner - e' che ora gli iracheni ascoltano al Jazeera, i canali arabi accusati di collusione con la guerriglia per riprendere gli attacchi. Un errore del passato, quando le truppe americane durante la guerra avevano bombardato la sede di al Jazeera uccidendo un giornalista, che continua con l'espulsione comminata all'altra tv araba, al Arabiya. 9. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: IL TEATRO DELL'IMPERATORE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 novembre 2003] Elicotteri, rumorosi, ossessivi, che volteggiavano nel cielo, a bassa quota, nel buio, come spesso succede, ma piu' insitenti, piu' numerosi. Spari un po' ovunque, come ogni sera, in questo fine di Ramadan, confondono i festeggiamenti con gli attacchi della guerriglia. Citta' blindata. La guerra, quella in corso, in Iraq si gioca anche a colpi di sfide. E ieri il colpo di scena e' stato di George Bush. Bush a sorpresa e' arrivato qui a Baghad, mentre tutti lo pensavano a celebrare con il tacchino la festa del ringraziamento nel suo ranch in Texas. Il presidente statunitense e' arrivato con il suo aereo, scendendo dal cielo dove una settimana fa era stato colpito da un missile un Airbus 300 della Dhl e da allora a nessun aereo civile era stato piu' possibile decollare. Imponenti le misure di sicurezza: atterraggio con il buio, luci oscurate e finestrini chiusi. Una trasferta tenuta assolutamente segreta, fino all'ultimo persino alla first lady, Laura, mentre i genitori erano stati invitati al ranch per la festa. La prima, quanto insolita, visita di un presidente degli Stati Uniti in Iraq. Una scelta rischiosa, una mossa elettorale, il tentativo di rifarsi un'immagine dopo il disastroso viaggio a Londra, ma anche il tentativo di risollevare il morale a truppe che si sentono sempre meno motivate e piu' terrorizzate. Bush ha passato solo due ore e mezzo con i 600 soldati riuniti all'aeroporto di Baghdad per la cena del ringraziamento. Un precedente: Bush padre aveva visitato le truppe Usa in Kuwait nel Giorno del ringraziamento del 1990, alla vigilia della prima guerra del Golfo. Ieri sera le truppe, che si trovano in Iraq dall'inizio della guerra, si aspettavano la visita del generale Ricardo Sanchez, ed era stato annunciato un messaggio di Bush letto, forse, dal proconsole Paul Bremer. Poi l'entrata spettacolare, dopo l'annuncio ai militari che "il piu' alto in grado della base avrebbe letto il messaggio del presidente": "Stavo cercando un piatto caldo da qualche parte, grazie per avermi invitato", ha subito detto Bush. Una squallida sceneggiata su un teatro di guerra. Ma naturalmente la sorpresa ha avuto il suo effetto tra i soldati che da mesi si scoprono assediati e bersaglio quotidiano, riuniti nel prefabbricato che ospita la grande sala della mensa. E Bush ha cercato di toccare le corde dell'orgoglio che non sembra pero' piu' albergare tra i militari ogni giorno nel mirino della guerriglia. Ma la retorica di Bush ha avuto effetto e forse piu' di tutto la presenza del presidente ha suscitato le previste ovazioni quando ha detto che "fare il soldato americano e' un lavoro fantastico" o che "Saddam non tornera' piu'". Ma la sceneggiata di Bush di ieri ha ricordato paradossalmente proprio l'ultima apparizione del rais Saddam Hussein per rincuorare le sue truppe prima di sparire nel nulla. Domani quelli che ieri sera hanno osannato Bush ci ripenseranno. Dall'inizio della guerra sono circa 300 i soldati americani morti per fuoco ostile, 183 invece dopo che Bush ha dichiarato la guerra finita, il primo maggio. E la guerra e' continuata anche ieri con un attacco ad un convoglio americano sull'autostrada a Abu Graib, alle porte di Baghdad. Spesso non viene piu' nemmeno riferito il conto delle vittime. Ma il tempo della visita e' stato troppo breve per far emergere i risentimenti. Sorpresa e brevita' hanno giocato a meraviglia, questa volta anche sulla guerriglia. Non come nel caso della visita appena conclusa del ministro degli esteri britannico Jack Straw il cui arrivo, ancora segreto, e' stato salutato con una pioggia di missili sul compound che ospita le forze della coalizione, pur senza andare a segno. "Voi state difendendo il popolo americano dal pericolo e vi siamo grati", ha detto il presidente statunitense. E ancora "voi state sconfiggendo il terrorismo qui in Iraq, cosi' non dovremo affrontarlo nel nostro paese". Questa la questione centrale del discorso di Bush che da sempre sostiene che l'Iraq e' in prima linea nella lotta al terrorismo. "Noi non percorriamo centinaia di miglia nel cuore dell'Iraq, non paghiamo un costo cosi' alto in vittime, non sconfiggiamo uno spietato dittatore e non liberiamo 25 milioni di persone solo per ritirarci di fronte a una banda di delinquenti e di assassini", perche', secondo Bush, i terroristi stanno testando le soluzioni dell'America e loro "sperano che ce ne andiamo". E Bush non ha nessuna intenzione di ritirarsi, forse invece i 600 soldati che ieri sera l'hanno applaudito farebbero volentieri i bagagli. E ora a chiedere di fissare una data per la fine dell'occupazione e' anche il Consiglio governativo iracheno nominato dagli stessi americani. 10. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: IRAQ, BERSAGLIO ITALIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 novembre 2003] L'Italia e' diventata uno degli obiettivi privilegiati della resistenza armata e anche del terrorismo iracheni. I fatti degli ultimi giorni non lasciano dubbi. E non si tratta nemmeno solo di ostilita' alla presenza militare ma anche diplomatica, anche se in questo caso la distinzione e' perniciosa visto che i riferimenti locali anche della Farnesina sono sempre l'autorita' di occupazione (Coalition provisional authority, Cpa) nella quale ha peraltro una propria presenza politico-militare anche l'Italia. Quindi l'ambasciata italiana a Baghdad rappresenta complessivamente l'impegno del governo italiano in Iraq. Ed e' questo che e' entrato nel mirino. L'ultimo "avvertimento" e' la granata lanciata con un Rpg mercoledi' sera, alle 23,30 locali (le 21,30 in Italia), contro l'edificio che ospita l'ambasciata nel quartiere di al Waziriya. Colpito il secondo piano, un foro di 10 centimentri di diametro nell'ala est, che ospita la cancelleria e che a quell'ora era deserta. Le persone, una ventina, che vivono nel compound dell'ambasciata si trovavano in un altro edificio e comunque sono rimaste tutte illese. Anche i danni materiali sono di poco conto, perche' e' stata colpita la parete di un corridoio. La granata deve essere stata sparata da circa 250 metri di distanza, da una via di fronte alla sede diplomatica, secondo il generale Carlo Cabigiosu, consigliere militare, e l'Rpg sarebbe stato piazzato su un mucchio di sabbia. Ma un negoziante della zona ci ha detto di essere certo che il colpo e' partito dal tetto di una delle case di fronte, una ipotesi piu' plausibile vista l'orizzontalita' del foro provocato. Contemporaneamente al lancio della granata, non si sa se per distrarre l'attenzione, raffiche di kalashnikov sono state sparate contro il recinto, ne e' seguito uno scontro con le forze irachene di guardia. Le strade di accesso al compound, nelle ultime settimane, erano state rese inaccessibili dagli enormi blocchi di cemento che sono schierati a protezione di tutti i possibili target in citta': militari, politici, diplomatici e anche gli alberghi. Occorre rilevare che l'unica sede diplomatica non protetta, per scelta, e' la nunziatura apostolica, ospitata in una palazzina che si affaccia sulla trafficatissima Sadoun street. Subito dopo lo sparo sono intervenuti i carabinieri del Tuscania a rafforzare la protezione e ieri mattina tutta la zona era isolata. Sono arrivati anche gli americani. E' scattata la massima allerta, ora si aspettano indicazioni da Roma, ma la tensione e' palpabile. Si sa comunque che la Farnesina ha pronto un piano di evacuazione per gli italiani presenti in Iraq. Quello dell'altro ieri non e' il primo "avvertimento" all'ambasciata, due giorni fa era stata sparata una bomba carta, caduta nel giardino. Lunedi', numerosi colpi contro il recinto erano stati sparati da due macchine in corsa. Venerdi' scorso invece, lo stesso giorno in cui erano stati colpiti con missili gli hotel Sheraton e Palestine e il ministero del petrolio, due carretti trascinati da asini carichi, ognuno, di venti missili e relativo lanciarazzi pronto all'uso, erano stati trovati dalla polizia irachena nella zona dell'ambasciata. Lo stesso sistema usato per colpire gli alberghi e il ministero. E poi la granata mercoledi' e' stata sparata a due settimane dal sanguinoso attentato alla base dei carabinieri di Nassiriya, dove erano rimasti uccisi diciannove italiani e quattordici iracheni. E il giorno dopo le granate lanciate dentro il compound delle forze della coalizione dove era ospite il ministro degli esteri britannico, Jack Straw. Anche alla sede della Cpa la tensione e' alle stelle, dopo i numerosi attacchi subiti durante il mese di Ramadan, il primo dei quali aveva come obiettivo l'hotel Rashid, dove era ospite il vicesegretario alla difesa statunitense, Paul Wolfowitz. Ieri l'indicazione degli americani era di non lasciare entrare nessuno nell'ex palazzo dei congressi. Quella italiana non e' la prima ambasciata ad essere presa di mira, in passato era toccato, e in un modo molto piu' pesante, con autobombe, all'ambasciata giordana e a quella turca. Sparatorie nelle settimane scorse si erano verificate davanti a quella giapponese, e anche vicino alla residenza italiana qualche mese fa era stato trovato un ordigno esplosivo. Tutti gli stranieri e gli iracheni che collaborano con le forze di occupazione sono considerati obiettivi da colpire secondo i proclami attribuiti a Saddam ed evidentemente c'e' chi, saddamista o meno, queste indicazioni mette in pratica. Ed evidentemente l'Italia e' ascesa allo stesso rango di Stati Uniti e Gran Bretagna, del resto e' l'unico paese, oltre ai due principali fautori della guerra, ad avere una propria presenza nella Cpa. E la situazione e' destinata a peggiorare con i continui maltrattamenti e soprusi praticati dalle forze della coalizione nei confronti della popolazione e dei prigionieri. Ieri, un comunicato del comando Usa ha informato della morte di un ex generale dell'aeronautica irachena, Abed Hamed Mowhoush, avvenuta sotto interrogatorio. Secondo la versione del comando Usa, che peraltro usa la forma dubitativa del "sembra", ad un certo punto il militare avrebbe detto di sentirsi male e ha perso i sensi. Il soldato che lo interrogava non sentendo il polso gli ha praticato una rianimazione cardio-respiratoria, inutilmente, come inutile si e' rivelato l'intervento dei medici. Il generale morto a al Qaim, a ridosso del confine con la Siria, appartiene alla potente tribu' sunnita dei mahalowi, installata nella zona centrale dell'Eufrate a nord e a ovest di Baghdad, che non rinuncera' certo alla vendetta. 11. INCONTRI. L'8 DICEMBRE A VENEZIA CON LIDIA MENAPACE PER UN'EUROPA NEUTRALE E ATTIVA, DISARMATA E SMILITARIZZATA, SOLIDALE E NONVIOLENTA La prossima tappa del percorso della proposta di Lidia Menapace e della "Convenzione permanente di donne contro le guerre" per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta, dopo l'incontro di Verona dell'8 novembre da cui e' scaturito l'appello che abbiamo riportato nei giorni scorsi, sara' a Venezia l'8 dicembre: quando verra' presentata pubblicamente nella solenne cornice del terzo salone dell'editoria di pace promosso dalla Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, e diventera' "centro" (ancora un termine capitiniano) per la riflessione e l'azione dei movimenti per la pace non solo italiani ma di tutta Europa che all'appuntamento veneziano guardano con attenzione e che dall'appello di Verona, dalla proposta di Lidia, sono convocati al dialogo e all'iniziativa comune per affermare la nonviolenza come proposta giuriscostituente e fondativa per un'Europa che voglia essere soggetto di pace promotrice di pace con mezzi di pace. Il convegno veneziano si svolgera' lunedi' 8 dicembre dalle ore 10 alle ore 13 nel Teatro del Patronato ai Frari, per tutte le indicazioni anche logistiche e topografiche si puo' vedere nel sito www.terrelibere.it/fondacodivenezia Per ulteriori informazioni e contatti: Giovanni Benzoni (e-mail: gbenzoni at tin.it), Lidia Menapace (e-mail: llidiamenapace at virgilio.it), Mao Valpiana (e-mail: azionenonviolenta at sis.it). 12. INCONTRI. IL TERZO SALONE DELL'EDITORIA DI PACE Per iniziativa della Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace si tiene dal 2 al 14 dicembre 2003 a Venezia il terzo salone dell'editoria di pace, appuntamento ormai tra i maggiori in Italia per tutti gli studiosi ed operatori di pace. Esposizioni, mostre, dibattiti, presentazioni di libri e di iniziative (tra cui - l'8 dicembre - l'appello per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta, scaturito dall'incontro di Verona dell'8 novembre); con la partecipazione di pressoche' tutte le case editrici italiane che alla cultura della pace dedicano attenzione, e di illustri relatori e relatrici. Per informazioni e contatti, e per conoscere il vasto programma di iniziative, si puo' visitare nella rete telematica il sito ufficiale: www.terrelibere.it/fondacodivenezia o contattare per e-mail l'infaticabile principale animatore dell'iniziativa, Giovanni Benzoni: gbenzoni at tin.it 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it, angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 747 del 2 dicembre 2003
- Prev by Date: Una lettera dalla Procura
- Next by Date: Newsletter 01/12/2003
- Previous by thread: Una lettera dalla Procura
- Next by thread: Newsletter 01/12/2003
- Indice: