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La nonviolenza e' in cammino. 746
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 746
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 30 Nov 2003 17:38:34 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 746 del primo dicembre 2003 Sommario di questo numero: 1. Rete ebrei contro l'occupazione, Movimento palestinese per la cultura e la democrazia: sosteniamo l'accordo di Ginevra 2. Campagna osm per la Difesa popolare nonviolenta: il 4 dicembre a Roma 3. Peppe Sini: le cause e gli effetti 4. Giuliana Sgrena: a Nassiriya italiani sotto tiro 5. Giuliana Sgrena intervista Haus al Khafaji 6. Giuliana Sgrena: la prigione Baghdad 7. Giuliana Sgrena: escalation di guerra 8. Giuliana Sgrena: anche gli asini lanciamissili 9. Massimiliano Fortuna presenta "Obbedienza all'autorita'" di Stanley Milgram 10. L'Associazione italiana Edth Stein 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. APPELLI. RETE EBREI CONTRO L'OCCUPAZIONE, MOVIMENTO PALESTINESE PER LA CULTURA E LA DEMOCRAZIA: SOSTENIAMO L'ACCORDO DI GINEVRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 novembre 2003 riprendiamo e diffondiamo questo appello. Per contattare la Rete ebrei contro l'occupazione: shaertter at yahoo.com; per contattare il Movimento palestinese per la cultura e la democrazia: alirashid at tin.it] Il vasto movimento che abbiamo visto scendere in piazza in tutto il mondo nel febbraio di quest'anno ha espresso con grande forza e chiarezza il desiderio di pace ed il ripudio della logica della guerra, preventiva e non. Molti sono i luoghi di conflitto. L'impossibilita' di soluzioni basate sulla forza militare si rende evidente in ognuno di essi. La violazione dei diritti delle persone, dalla liberta' di circolazione al diritto alla casa, al diritto ad un reddito, alla vita stessa, l'assenza di democrazia, la ripartizione iniqua delle risorse ed in particolare dell'acqua, la distruzione sistematica dell'ambiente, l'insostenibilita' dello sviluppo portato avanti e molte altre ingiustizie, sono sotto gli occhi di noi tutti nel conflitto israelo-palestinese. A questa situazione disperata e violenta corrisponde una risposta altrettanto violenta, disperata e disperante, tragicamente controproducente: giovani donne e uomini che per opporsi alla morte decidono di morire uccidendo altri ed altre. I due popoli coinvolti nel conflitto vengono ora separati da un muro, che non e' solo il mostro di cemento che vediamo squarciare la Cisgiordania distruggendo ulivi secolari, trasformandola in una prigione a cielo aperto, rendendo la vita dei palestinesi sempre piu' precaria. E' un muro che espropria terre e risorse, nega diritti e possibilita' di vivere, che vuole impedire il contatto tra le persone e cosi' qualsiasi ripresa di un dialogo tra i popoli, un muro che passa cosi' anche nelle menti. Noi crediamo che il dialogo sia invece un elemento centrale, dato che l'incontro tra diversi ha come corollario la laicita' del confronto ed e' lo strumento necessario per allontanare i fondamentalismi. * In questi giorni a Ginevra viene sottoscritto un accordo a dimostrare che nonostante tutto questo, un dialogo che porti una soluzione non militare a questo ormai lunghissimo e sempre piu' drammatico conflitto, e' ancora possibile. Quasi contemporaneamente e' stata resa nota l'intenzione di Colin Powell di incontrare gli autori di una precedente proposta elaborata da israeliani e palestinesi, che sebbene meno articolata e dettagliata, ha in comune con quella di Ginevra il fatto di essere stata elaborata "dal basso", da esponenti autorevoli delle due parti. Intanto in Israele, sia il partito laburista che il Likud stanno elaborando iniziative proprie di segno opposto tra loro e comunque unilaterali, ad evidenziare quanto sia concreta e tangibile la crisi dell'establishment politico e del governo israeliano, in assenza di una proposta politica per una reale soluzione del conflitto. Siamo coscienti del fatto che l'accordo di Ginevra non ha carattere vincolante, che gli stessi contenuti spesso non vanno oltre una dichiarazione di intenti con limiti facilmente individuabili da chi conosce la storia passata e recente del conflitto, da chiunque abbia anche una sola volta attraversato un check-point o visto gli insediamenti illegali costruiti in Cisgiordania ed a Gaza. Ciononostante crediamo che questo accordo, proprio perche' dimostra che "un altro modo di affrontare il conflitto e' possibile" vada sostenuto con forza, per impedire che ancora una volta una possibile via d'uscita dal dramma quotidiano che i due popoli vivono venga chiusa ermeticamente prima ancora di essersi aperta. Sappiamo che una soluzione giusta e duratura del conflitto sta a cuore a molti. Per questo chiediamo ai firmatari dell'accordo, a tutti coloro che dichiarano di volerlo sostenere, alla comunita' internazionale ed all'Unione Europea, ma soprattutto alla societa' civile che ha animato nel mondo il movimento contro la guerra, di vigilare perche' questo spiraglio di luce non venga di nuovo oscurato, di non lasciar morire ancora una volta la speranza. Chiediamo che non si ripeta quanto abbiamo gia' visto troppe volte, quando il mondo intero si e' disinteressato dell'applicazione concreta delle soluzioni anche minime concordate tra le parti e si e' di fatto disinteressato della stessa sorte del popolo palestinese e di quello israeliano. Cerchiamo insieme di non abbassare il livello di attenzione, di seguire il percorso avviato, di esigere l'applicazione reale di quanto le parti potranno concordare, perche' finalmente ci sia una risposta al bisogno di pace per Israele e Palestina, una pace che per rispondere concretamente alle reali esigenze dei due popoli, deve necessariamente basarsi sulla giustizia. Rete ebrei contro l'occupazione Movimento palestinese per la cultura e la democrazia 2. INIZIATIVE. CAMPAGNA OSM PER LA DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA: IL 4 DICEMBRE A ROMA [Dal sito di Peacelink (www.peacelink.it) riprendiamo e diffondiamo il seguente comunicato della Campagna osm (obiezione alle spese militari) per la Difesa popolare nonviolenta (per contatti: locosm at tin.it)] Iniziativa contro le spese militari: ridurre la spesa militare per le spese sociali. Presidio-denuncia giovedi' 4 dicembre 2003 a Roma dalle ore 14 alle 18 in piazza Montecitorio davanti alla Camera dei Deputati. No all'aumento delle spese militari nella finanziaria. Si all'impegno dello Stato nella costruzione di alternative alla difesa armata. Chi promuove l'iniziativa e' la Campagna per l'obiezione alle spese militari che conta in Italia circa mille persone che ogni anno devolvono una parte dei loro fondi o trattengono dalla dichiarazione dei redditi una parte delle tasse e le inviano ad iniziative per la pace. Il presidio e' stato preceduto da un digiuno di un centinaio di persone per sostenere l'appello dato ai parlamentari per la riduzione delle spese militari nella finanziaria del 2004. Le forze sindacali e sociali, partendo dalla questione delle pensioni e dei tagli alla scuola e alla sanita' pubblica, chiedono investimenti sociali per l'occupazione e la difesa dello stato sociale; la finanziaria dello Stato che rappresenta la traduzione economica degli impegni morali, sociali ed etici dello Stato non raccoglie e non traduce in investimenti queste significative richieste. La nostra denuncia riguarda lo spreco di risorse che lo Stato impegna nelle armi e nell'apparato militare-industriale. L'iniziativa del 4 dicembre ha questi obiettivi: - consegnare al presidente della Repubblica e ai presidenti della Camera e del Senato un appello per la revisione della finanziaria in senso pacifista; - richiedere la definitiva costituzione della Commissione Dpn (Difesa Popolare Nonviolenta); - consegnare le adesioni alla campagna; - un incontro con il ministro o l'Ufficio nazionale per il servizio civile per sollecitare la regolamentazione e strutturazione delle missioni di pace all'estero dei volontari senza armi nella risoluzione dei conflitti con il metodo attivo della difesa popolare nonviolenta; - chiediamo inoltre che lo Stato formuli un "Libro bianco per la pace" che sia riferimento per le Istituzioni, per le associazioni, per i singoli che molto spesso svolgono significative azioni di pace, ma che lo Stato non raccoglie per una verifica ed un'attenta valutazione; - invito ai parlamentari ad incontrarci nella piazza per conoscere le loro iniziative per la pace. Ridurre le spese miltari si deve e si puo'. Iniziativa promossa dalla Campagna osm (obiezione alle spese militari) per la Difesa popolare nonviolenta, centro coordinatore nazionale c/o Loc, via M. Pichi 1, 20143 Milano, tel. 028378817 - 0258101226. Aderiscono: Associazione per la pace; Beati i costruttori di pace; Lega Obiettori di Coscienza; Centro studi difesa civile; "Guerra & Pace"; Casa per la pace di Milano; Berretti Bianchi; Comunita' Papa Giovanni XXIII; Lega per il disarmo unilaterale; Pax Christi. Per adesioni: e-mail: locosm at tin.it, tel. 3396489529. 3. EDITORIALE. PEPPE SINI: LE CAUSE E GLI EFFETTI Parce sepultos. Pieta' per le vittime. Ma anche verita' per le vittime. E la verita' e' che in Iraq la guerra continua, e che di essa, e degli orrori di cui consiste, i responsabili primi sono i governi aggressori e gli eserciti invasori: anche il nostro governo, anche le nostre forze armate; anche il nostro paese e' nel campo degli assassini, anche noi in quanto non siamo riusciti a impedirlo ne siamo complici, anche le nostre mani sono lorde di sangue. Ne provo orrore e vergogna. Non c'e' nessuna missione di pace in Iraq, ma la guerra, la guerra che e' terrorismo e generatrice di altro terrorismo. Se non cessa l'occupazione degli eserciti invasori, le stragi non finiranno. Anzi. E presto, tutti lo sappiamo, il teatro di guerra si estendera', raggiungera' anche il territorio del nostro paese. Possiamo chiudere gli occhi, e attendere le bombe in casa nostra. Oppure possiamo aprire gli occhi: e far cessare subito la partecipazione italiana alla guerra illegale e criminale, stragista e terrorista; rientrare nella legalita' costituzionale e nel diritto internazionale, e quindi operare per la pace. Prima che sia troppo tardi. Prima che sia troppo tardi: poiche' il mondo e' davvero sul crinale apocalittico di cui ci parlava l'indimenticabile padre Balducci, e quindi o l'umanita' abolira' la guerra o la guerra distruggera' l'umanita'. E' l'ultima verita' della tragedia di Hiroshima, chi la dimentica tutti ci trascina al baratro. Solo la scelta della nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 4. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: A NASSIRIYA ITALIANI SOTTO TIRO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 novembre 2003. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso, ed e' nuovamente in Iraq in questi giorni] Tutti i check point che incontriamo sulla strada che porta da Baghdad a Nassiriya sono controllati da iracheni, la polizia prima e poi le milizie religiose, man mano che ci avviciniamo al capoluogo di Dhir Qar, dove e' schierato il contingente italiano. Anche in citta', dall'ultima volta, poco piu' di un mese fa, il panorama e' cambiato: strade bloccate, che rendono il traffico infernale, sbarramenti a protezione del contingente italiano, della rappresentanza locale della Coalition provisional authority (Cpa) e della sede della polizia. Lo scheletro della palazzina, sede logistica dei carabinieri italiani, si distingue dalle costruzioni bombardate dagli americani per il colore nero - che la rende ancora piu' spettrale - provocato dall'esplosione dell'autobotte, la cui carcassa e' abbandonata li' davanti. Un carabiniere spaurito, appena arrivato dall'Italia, uno zombi tra le macerie spaventato dall'impatto brutale, come se avesse appena realizzato che non di missione di pace ma di guerra si tratta. E' cosi' spaventato da impedirci persino di fotografare le macerie, ma nessuno impedira' poi il saccheggio di quel poco che restava nell'edificio sventrato: piastrelle, suppellettili, etc. I saccheggi sembrano essere diventati un simbolo del dopo Saddam, dove la necessita' si mescola con la rabbia e la voglia di vendetta. Anche le case di fronte sono state sventrate, gli abitanti hanno dovuto abbandonarle. Verranno risarciti? Per ora e' venuto solo un rappresentante del Consiglio governativo a valutare i danni, ma come si sa il "governo iracheno" non solo non ha poteri ma nemmeno mezzi. Sono dieci le vittime dell'esplosione tra gli iracheni, due delle quali non erano nemmeno state contate perche' sono state recuperate a pezzi, e si cercano ancora degli scomparsi, raccontano i vicini. Tra gli abitanti della via al Zeituna, che ci vengono a raccontare l'accaduto, c'e' anche un vicino dei carabinieri con la testa fasciata, e' stato ferito ma non gravemente. Salam Mohammed, 30 anni, ex poliziotto, e' stato colpito quando e' uscito di casa dopo aver sentito l'esplosione per recuperare i suoi bambini, due dei quali sono stati feriti. Racconta dei buoni rapporti con i carabinieri. Ma allora chi e' stato? Non ha dubbi: al Qaeda, perche' prima dell'esplosione, quando e' iniziata la sparatoria, sostiene, qualcuno ha urlato: "Allah ul akbar". Chi e' stato? La domanda rimbalza al di la' del fiume dove si sono asserragliati i carabinieri, molto scossi dopo l'accaduto, anche se la meta' di loro sono arrivati - per il previsto avvicendamento - dopo l'attentato che ha fatto 19 vittime, e che ieri hanno celebrato, a distanza, i funerali per i loro commilitoni. Si arriva alla base dei carabinieri dopo aver abbandonato la macchina a 500 metri, superato il primo controllo dei rumeni, e camminato lungo un percorso a slalom tra le fila di enormi barili ripieni di terra sorti improvvisamente dopo l'attacco del 12 novembre. Sono il segnale delle nuove misure di protezione, ma anche della fine del mito di "italiani brava gente", almeno qui a Nassiriya. Anche il numero di carabinieri e' aumentato da 400 a 500, tra i quali sono stati triplicati i para' del Tuscania (da 25 a 75), aumenteranno anche i mezzi: arriveranno altri blindati e cingolati e corazzati che non c'erano. Si passa dalla difesa passiva alla difesa attiva, afferma il colonnello Carmelo Burgio, nuovo comandante dei carabinieri a Nassiriya. "Prima non si mostrava il mitra nei pattugliamenti per non 'provocare', ora avremo piu' mezzi per reagire", afferma il comandante. Per quanto riguarda le indagini, sono stati fermati quattro sospetti. Il comandante non si sbilancia sulla nazionalita', sarebbero stati presi in case dove erano ospiti, non erano armati, anche se in casa di armi ce n'erano, ma qui chi non ne ha? Fino al momento in cui abbiamo incontrato il comandante Burgio si erano rifiutati di parlare. Oltre a questi quattro, la polizia irachena - lo sostiene il vicecapo Mohammed Nama - ha fermato un fotografo della Reuters sorpreso a fotografare possibili "obiettivi" e lo ha consegnato agli italiani. Non solo chi e' stato, ma anche: e' vero che gli italiani erano stati avvertiti di un imminente attacco? Questa e' l'altra inquietante domanda che circola. Il vicecapo della polizia afferma che due-tre giorni prima dell'attentato l'informazione di un possibile attacco era stata data sia ai partiti - alcuni dei quali ce lo hanno confermato - che agli italiani. Ma non si trattava di una minaccia precisa contro gli italiani, affermano alla polizia. Comunque, come minimo gli italiani devono averla sottovalutata: "Tutti i giorni ci arrivano due o tre segnalazioni, la stessa polizia irachena ci da' informazioni di attacchi alle loro sedi che non sono mai avvenuti, ci sono troppe fonti che cercano in questo modo di acquisire dei meriti", afferma il colonnello Burgio. E poi, il comandante aggiunge: "Il capo della polizia locale ha fatto di tutto tranne il poliziotto, e' un `diplomatico' passato indenne attraverso le varie fasi" della storia irachena. Lo scetticismo degli italiani nei confronti degli iracheni a volte viene ricambiato con risentimento. In una sede spoglia della stazione di polizia destinata alle indagini criminali, i poliziotti sono ancora senza divisa e per quelli che ce l'hanno e' estiva, non proprio adatta alla stagione. "Sono ancora quelle che ci hanno dato gli americani, gli italiani non ci danno ne' divise ne' armi", sostengono. E si lamentano che gli italiani non toccano le milizie dei partiti religiosi, che sono piu' armate della polizia: "Noi che cosa possiamo fare?". Comunque l'impressione e' che qui a Nassiriya tutti si aspettavano un precipitare della situazione, senza sapere bene come si sarebbe presentato. Tutti quelli che incontriamo si mostrano dispiaciuti per l'attentato ai carabinieri e ci tengono a precisare che gli italiani non sono gli americani, ma sono sempre occupanti. E la sensazione e' che questo sia solo l'inizio, anche se non si puo' parlare di un inizio della resistenza sciita contro l'occupazione, ma, secondo i nostri vari interlocutori, di un tentativo di estendere a sud il modello del "triangolo sunnita". "Ci aspettavamo quello che e' successo, con altri partiti avevamo deciso di essere vigilanti. L'avevamo detto anche agli italiani, un mese fa", sostiene Abu Rabia, segretario del Partito comunista iracheno di Nassiriya. "Avevamo detto agli italiani che erano troppo lontani dalla realta' della citta', che dovevano essere piu' vicini ai problemi della gente e cercare di risolverli, fare ordine e non stare solo a guardare", aggiunge. Ma si sta parlando di passare il governo agli iracheni... "Qui non c'e' governo, il consiglio comunale non e' stato eletto, e' stato nominato dalla Cpa e non e' rappresentativo, ci sono molti poteri in Iraq. E la polizia ha poteri limitati, occorre smobilitare le milizie dei partiti islamici", sostiene Abu Rabia. Ma chi puo' aver commesso l'attentato contro gli italiani? Chiediamo. "Al Qaeda, al Ansar al Islam, i nostalgici del vecchio regime, Feddayn Saddam, sostenuti dai paesi vicini - Iran, Siria, Turchia, Arabia Saudita - che non vogliono la stabilizzazione dell'Iraq. A mettere l'esplosivo non sono stati iracheni, gli iracheni possono averli aiutati, dato loro informazioni", risponde, affermando di avere avuto informazioni in proposito. "Noi siamo contro l'occupazione e vogliamo che le truppe siano ritirate al piu' presto possibile, ma lo facciamo pacificamente", conclude il capo del Partito comunista iracheno che proprio qui e' nato. Il momento e' estremamente difficile, la tensione delle truppe italiane rischia di provocare nuove reazioni, rafforzare militarmente e in uomini il contingente potrebbe essere un boomerang. Anche per la Cpa, soprattutto dopo le dimissioni polemiche di Marco Calamai, sono "momenti di riflessione, occorrono piu' misure di sicurezza e queste rendono ogni attivita' piu' difficile con il rallentamento dovuto alla riduzione della liberta' di movimento", afferma Andrea Angeli, portavoce della Cpa a Nassiriya. 5. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA INTERVISTA HAUS AL KHAFAJI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 novembre 2003] L'appuntamento e' dopo l'Ifhtar, la cena che rompe il digiuno di Ramadan, l'altoparlante diffonde versetti del corano mentre molti giovani affluiscono nella sede segnalata dallo sventolio di due grandi bandiere, nera del lutto e verde dell'islam. I ragazzi pregano prima della lezione del mullah, lo sguardo e il sorriso di sheikh Haus al Khafaji, leader sciita rappresentante per tutto il sud dell'Iraq di Muqtada al Sadr, contrasta con l'immagine trucida del suo capo. Anche il suo tono e' moderato e ambiguo, come lo e' insolitamente quello del radicale Muqtada negli ultimi tempi. Trentenne, Haus al Khafaji e' coetaneo del suo capo, anche lui ha studiato in una madrasa di Najaf ma non la stessa di Muqtada, che ha incontrato quando e' uscito dalla prigione, sei mesi prima della caduta di Saddam, dove era stato rinchiuso nel 1999, poco prima dell'assassinio di Mohammed Sadeq al Sadr, padre del facinoroso leader islamista. "Sono dispiaciuto per gli italiani, sono contro questi crimini, anche Muqtada e' dispiaciuto per la morte di italiani e iracheni", esordisce lo sceicco. "Gli italiani sono diversi dagli americani, sono piu' gentili, ma non hanno una idea chiara di quello che succede qui, l'ho detto a un rappresentante del ministero degli esteri italiano, non sono qui per un pic nic e non devono prestarsi a fare da scudo per gli Stati Uniti: gli americani sono nei campi, loro per strada. Ho cercato di fargli capire che gli italiani sono occupanti. Noi siamo d'accordo con gli italiani che chiedono il ritiro delle truppe dall'Iraq. Abbiamo molto rispetto per gli italiani perche' hanno una civilizzazione millenaria come la nostra. Non vogliamo che i nostri figli odino gli italiani perche' sono venuti ad occuparci". - Giuliana Sgrena: Anche voi vi aspettavate l'attentato? - Haus al Khafaji: 24 ore prima la polizia sapeva che si stava preparando un attentato con una macchina imbottita di esplosivo e ha avvisato tutti i partiti, anche noi, e gli italiani. Ma gli italiani non hanno preso provvedimenti. - G. S.: Quindi si sapeva... - H. al K.: Si', si sapeva ma non che sarebbe stato contro gli italiani. - G. S.: Chi e' stato? - H. al K.: I Feddayn Saddam insieme ad al Qaeda, per estendere al sud quello che sta succedendo al nord. - G. S.: Quindi a Nassiriya non si puo' parlare di inizio di una resistenza armata? - H. al K.: Tutti gli iracheni sono contro l'occupazione, ma preferiamo che gli americani se ne vadano pacificamente. - G. S.: Allora perche' Muqtada ha formato il "Jaish al Mahdi", una milizia armata? - H. al K.: Finora non ha fatto nessuna azione militare, il Jaish al Mahdi e' stato costituito per proteggere il popolo. - G. S.: Siete sicuri che gli americani se ne andranno pacificamente? - H. al K.: Se vogliono salvare vite umane se ne dovranno andare, anche in fretta. - G. S.: Quindi le azioni militari servono per costringere gli americani ad andarsene in fretta... - H. al K.: Non sono contro le azioni militari se servono a indurre la popolazione americana a fare pressioni sul governo perche' ritiri le proprie truppe. Purche' non coinvolgano iracheni. - G. S.: E' a favore delle azioni di martirio? - H. al K.: No se sono contro l'Onu o la Croce rossa, si' se sono contro gli americani, ma devono essere approvate da una fatwa (sentenza coranica), che per ora non c'e'. Sono contro gli spargimenti di sangue ma sostengo ogni azione che puo' costringere gli americani ad andarsene. Non daremo ordine di uccidere, ma non respingeremo queste azioni. - G. S.: Per il momento? - H. al K.: Per il momento. E' il governo italiano che deve avere piu' cura del suo popolo, perche' dobbiamo preoccuparci noi degli italiani se non se ne preoccupa il loro governo? Se i carabinieri sono stati uccisi la responsabilita' e' del governo italiano. E ci sono cose pericolose che possono ancora succedere. - G. S.: E la proposta americana di accelerare il passaggio dei poteri agli iracheni? - H. al K.: Sono per un governo scelto dal popolo. - G. S.: Ma sono possibili elezioni ora? - H. al K.: Sono possibili sotto il controllo dell'Onu, non degli Usa. Se siamo ancora in piedi dopo 8 anni di guerra contro l'Iran, altre due guerre e 13 anni di embargo, vuol dire che siamo in grado di governarci da soli, abbiamo le istituzioni, possiamo eleggere i nostri rappresentanti attraverso il sistema usato per la distribuzione delle razioni di cibo. A proposito di razioni, dopo sei mesi di occupazione le razioni distribuite sono ridotte rispetto a quelle dei tempi di Saddam. 6. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: LA PRIGIONE BAGHDAD [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 novembre 2003] Baghdad e' in guerra. Martedi' sera il tonfo dei missili - una quarantina - e' tornato a squarciare il silenzio della sera mentre la popolazione consumava l'agognato pasto dopo la giornata di digiuno. Tutti alle finestre e sui balconi senza vedere gli obiettivi colpiti. Ora il buio cala presto. Di giorno la situazione non migliora: gli edifici considerati obiettivi possibili, da circa un mese, sono isolati da muraglie formate da blocchi di cemento, che arrivano da Erbil (Kurdistan), alti due metri e mezzo di altezza e sovrastati da enormi rotoli di filo spinato. E non solo quelli che ospitano la Coalition provisional authority, che bunkerizzati lo sono sempre stati. Molte strade sono bloccate, la Abu Nawas sul fiume Tigri, una volta meta di passeggiate e di cene a base di masguf (il pesce tipico), e' in gran parte chiusa e per il resto e' una corsa ad ostacoli. Senza parlare dei blocchi stradali che rendono il traffico ancora piu' infernale. Sono tornate anche le pattuglie americane che avevano lasciato il controllo della citta' alla polizia irachena. "Siamo in una grande prigione, e' questa la liberta' e la democrazia degli Stati Uniti?", sbotta un signore ben vestito, un manager, che osserva la piazza Firdaus (paradiso) trasformata in un campo di battaglia. "Vogliono ridurci come l'Irlanda del nord, con la divisione tra cattolici e protestanti, qui chi aveva mai fatto distinzione tra sunniti e sciiti? Gli americani stanno dividendo il paese. E quando vanno a perquisire le case sembrano gli israeliani quando entrano nelle case dei palestinesi". Anche il muro assomiglia a quello palestinese. Mentre il manager, che potrebbe anche trarre vantaggi dalla nuova situazione, denuncia i danni dell'occupazione, molti altri iracheni, e non solo, approfittano dell'anarchia - vuol dire anche mancanza di imposte - per fare soldi. Uno dei maggiori investimenti e' comprare camion per il trasporto di merci dalla Giordania. I mercati sono pieni di merci: in bella mostra elettrodomestici e antenne paraboliche. Alla vigilia dell'Aid, la festa che conclude il mese del Ramadan, i preparativi hanno scatenato la corsa agli acquisti. Chi potra' permettersi questo ben di dio? Non la maggior parte della popolazione che vive ancora delle scarse razioni della "Oil for food", la risoluzione dell'Onu, in scadenza il 21 novembre, che ai tempi di Saddam permetteva di vendere petrolio per importare cibo e che dopo l'occupazione ha anche ridotto la quantita' di alimenti distribuita. Frustrazione, rabbia, orgoglio ferito si sommano nella popolazione che si vede maltrattata e disprezzata dall'arroganza degli occupanti. Un'arroganza che si traduce in violazione dei diritti umani verso la popolazione civile, come ha denunciato Abdel Basset Turki, ministro per la salvaguardia dei diritti umani nel Consiglio governativo nominato dagli americani. "Gli Stati Uniti - sostiene il ministro - devono valutare la situazione perche' la popolazione gia' molto provata e' al limite della sopportazione". Le violazioni sono cosi' evidenti che gli stessi Stati Uniti hanno riconosciuto nove casi di maltrattamenti e uccisioni di detenuti, tanto e' vero che un colonnello e' attualmente sotto processo davanti alla corte marziale per aver ucciso un detenuto a Tikrit. Alle macerie della guerra rimaste intatte, forse come monito - l'unica opera di "ricostruzione" e' stata la sostituzione della statua di Saddam sulla piazza Firdaus -, si aggiungono quelle di nuovi bombardamenti. Con l'operazione "martello di ferro" sono tornati in azione i cacciabombardieri F-16, l'artiglieria pesante, carri armati e elicotteri. Che ieri, per il terzo giorno consecutivo, hanno colpito Baghdad, Tikrit, Baquba e Balad. Vicino a Baquba, 50 chilometri a nod-est di Baghdad, sono state lanciate due bombe guidate da satellite da 2.000 pound (circa 1.000 chili) contro siti "sospettati di essere stato usato per fabbricare bombe". Vicino a Kirkuk i caccia hanno sganciato bombe da 500 chili su non meglio precisati "target terroristici". In risposta ad un attacco a Samarra gli americani hanno sparato uccidendo due iracheni, compreso un ragazzo. A Tikrit e' stata distrutta la casa di Izzat Ibrahim, numero sei nella lista dei 55 iracheni piu' ricercati. Tuttavia, nonostante da giorni il portavoce militare Usa, Mark Kimmitt, abbia detto che "ci stiamo avvicindando al re di cuori", ritenuto responsabile di alcuni attacchi alle truppe della coalizione, Ibrahim non e' stato ancora catturato. Gli americani sono pronti a tutto, mentre sorgono inquietanti interrogativi sulle nuove bombe utilizzate. "Condurremo la battaglia contro il nemico usando tutto il nostro arsenale necessario", ha detto il generale maggiore Charles H. Swannack, le cui truppe controllano le zone calde di Falluja, Ramadi e i confini con Siria e Arabia Saudita. Obiettivo dei missili e dei cannoni sarebbero le basi della resistenza, ma in alcune zone gli abitanti sono stati costretti a lasciare le loro case, in altre a rimanere chiusi in casa e, a Baghdad, hanno denunciato che si tratta di azioni punitive e che gli edifici colpiti non erano mai stati occupati dalla guerriglia. Le truppe occupanti continuano ad essere obiettivo di attacchi. A Bassora una bomba e' scoppiata contro un convoglio ferendo una guardia inglese che lavora con i militari per la Control risk. Non sono risparmiati gli iracheni, una stazione di polizia e' stata attaccata a Mosul, feriti due poliziotti, e i "collaborazionisti": e' stato assassinato Hmud Kadhim, direttore del dipartimento dell'educazione a Diwaniya (150 km a sud di Baghdad). Proprio ieri "al Hayat", giornale arabo di Londra, ha pubblicato on line un comunicato del disciolto partito Baath che dichiara che la resistenza armata continuera' nonostante i piani Usa di accelerare il passaggio dei poteri agli iracheni. La guerra continua. 7. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: ESCALATION DI GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 novembre 2003] Un campo di battaglia si estende da Baghdad fino a Kirkuk, senza escludere il sud dell'Iraq, dove gli attacchi mirati sono ancora piu' limitati anche se non meno pesanti, come e' avvenuto a Nassiriya. Attacchi alle truppe di occupazione o ai "collaborazionisti" si alternano con gli attacchi terroristici, che fanno vittime anche, e numerose, tra gli iracheni. Il "triangolo sunnita" ha sfondato i propri confini verso il nord, coinvolgendo sempre di piu' le citta' kurde contestate (Saddam le aveva escluse dal Kurdistan) di Mosul e Kirkuk. Ieri e' stata infatti Kirkuk, la citta' petrolifera del nord dell'Iraq, il teatro dell'attentato piu' grave. Erano le 10,30, piu' o meno la stessa ora degli attentati di Istanbul, quando una bomba nascosta su un pickup e' esplosa davanti alla sede dell'Unione patriottica del Kurdistan (Puk) di Jalal Talabani, uno dei due partiti kurdi alleati degli americani che governano il Kurdistan iracheno. L'obiettivo probabilmente era simbolicamente piu' alto visto che in questo periodo Jalal Talabani ricopre anche la carica di presidente di turno all'interno del Consiglio governativo. Sei le vittime dell'attacco compreso, probabilmente, un kamikaze, la cui presenza a bordo del pickup tuttavia non e' stata confermata dai testimoni. Ma all'autista, attentatore suicida, viene attribuito un corpo non identificato. Tra le altre vittime, almeno due scolari e un insegnante. La potente esplosione ha distrutto porte e finestre della sede giallo e verde che ospita il Puk e quelle dell'edificio della radio e della televisione. L'attentato, anche in questo caso, non e' giunto inatteso. Secondo il capo della polizia, Sherku Shaker, l'obiettivo dell'attacco erano gli uffici adiacenti dei due maggiori partiti kurdi, il Puk e il Partito democratico del Kurdistan (Pdk) di Massud Barzani. L'attentato viene attribuito a "gruppi islamici terroristi e a resti del regime di Saddam" che "si starebbero coordinando", secondo quanto afferma Jalal Johr del Puk. Peraltro proprio le forze del Puk si erano scontrate ripetutamente prima della guerra con i militanti del gruppo al Ansar al Islam, ritenuto legato ad al Qaeda, che si era installato nei villaggi vicino a Halabja, nel Kurdistan iracheno al confine con l'Iran. Gli americani sospettano che al Ansar al Islam stia lavorando con i fedeli di Saddam, compreso Izzat Ibrahim al-Douri, gia' vicepresidente del Consiglio del comando rivoluzionario, numero sei nella lista dei super ricercati, al quale gli Usa stanno dando una caccia forsennata tanto da mettere, la decisione e' di mercoledi', sul suo capo una taglia di 10 milioni di dollari. Non fa differenze tra terroristi e saddamisti Jalal Talabani che approfitta dell'occasione per ribadire il proprio appoggio agli americani: "I terroristi non cesseranno di combattere se le truppe Usa saranno ritirate, anzi saranno rafforzati nella convinzione di poter vincere il conflitto". E per sponsorizzare l'uso dei peshmerga (combattenti kurdi) al di fuori del Kurdistan, pur "accettando la sensibilita' che preclude l'uso di truppe kurde in zone arabe", propone che vengano usati come retroguardie o per proteggere i confini. Kirkuk gia' interessata dallo scontro tra kurdi e arabi, dal sabotaggio degli oleodotti per impedire l'esportazione del petrolio, restera' comunque, anche per le sue ricchezze, al centro dello scontro che determinera' il futuro del paese. A Baghdad sono tornate nel mirino le ambasciate, ieri mattina alle 5,30 un "avvertimento" contro la rappresentanza diplomatica giordana e' costato la vita a una guardia irachena. Due uomini hanno sparato da un'auto in corsa contro l'edificio che ospita la cancelleria nel quartiere di al-Mamoun, dove si e' trasferita dopo l'attentato del 7 agosto che aveva distrutto l'ambasciata di al Mansour uccidendo 19 persone. Nello stesso quartiere una bomba e' stata trovata nascosta in una torre delle comunicazioni. Mentre l'ambasciata giapponese ha chiesto maggiore protezione dopo lo scontro a fuoco di due giorni fa durato dieci minuti. Un altro attacco contro "collaborazionisti" e' stato realizzato a Ramadi, capitale della provincia di Anbar, a circa cento chilometri a ovest di Baghdad, all'interno del "triangolo sunnita". Un'autobomba e' esplosa mercoledi' sera davanti alla casa dello sceicco Amer Ali Suleiman, leader dei Duleim, una delle tribu' sunnite piu' importanti dell'Iraq, e membro del Consiglio comunale nominato dagli americani. L'esplosione avrebbe provocato sette morti. Ieri, in un attacco a un convoglio militare, e' rimasto ucciso un soldato Usa. A Bassora, invece, e' stata denunciato ieri dal Movimento democratico assiro l'assassinio del loro rappresentante all'interno del Consiglio comunale. Sargoun Nanou Murado stava tornando dal lavoro, martedi', quando e' stato sequestrato. Il suo corpo e' stato ritrovato mercoledi'. Il movimento, che rappresenta la minoranza assira, fa parte anche del Consiglio governativo. Mentre Bremer sostiene che la situazione e' sotto controllo al novanta per cento e Bush da Londra fa sapere che "portera' a termine il lavoro iniziato", le truppe americane stanno applicando le nuove tattiche aggressive con l'uso di cacciabombardieri F-16, elicotteri d'attacco, bombardamenti. Ieri a Samarra, a meta' strada tra Baghdad e Tikrit, le truppe americane hanno ingaggiato una vera e propria battaglia contro un gruppo di ribelli con carri armati e Apache. Dieci iracheni sono stati uccisi, secondo il comando americano. Il Ramadan si sta avvicinando alla fine con un bilancio di sangue senza precedenti. 8. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: ANCHE GLI ASINI LANCIAMISSILI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 novembre 2003] E' ancora la guerra. E' sempre la guerra. Ed e' molto vicina. Appena svegli, ieri, erano le 7,15, un rumore assordante ci ha riportato alla triste realta'. Una bomba, un missile? Poi un altro. Dentro l'albergo o fuori? A rispondere sono state le urla provenienti dal basso e il rumore delle vetrate che all'altezza del quinto piano ricoprono in Perspex e vetri la hall. Che fare? Riscoprire il rituale usato nei bombardamenti durante la guerra? Ora e' diverso, anche per noi che siamo sempre stati contro la guerra e' difficile scegliere dove stare, comunque meglio uscire, cercando di schivare i pezzi di vetro che continuano a cadere dal soffitto. Uno degli ascensori e' stato sventrato e l'immagine ci riporta inevitabilmente alla bomba fatta esplodere davanti all'entrata del nostro giornale. Solo la sera prima avevamo scherzato - forse per esorcizzare - sui prossimi obiettivi che sarebbero stati colpiti, e naturalmente gli alberghi erano in testa. E tra questi il Palestine e lo Sheraton che ospitano militari americani, gurka per la protezione degli uomini d'affari anche loro soprattutto americani, servizi di sicurezza di ogni tipo, molti cosiddetti "free lance" provenienti da ogni parte del mondo, dall'Australia fino alla Serbia. E poi giornalisti, molti, e anche iracheni, compresi alcuni giocatori della nazionale di calcio. Pare si tratti di missili Katiuscia che allo Sheraton hanno colpito il diciassettesimo piano, senza provocare vittime, tranne un impiegato che si trovava al pianterreno ed e' stato colpito da un vetro, non gravemente, per fortuna. La fortuna e' che ieri, essendo venerdi', la hall non era affollata come al solito a quell'ora, molti stavano ancora dormendo. "Grazie ad Allah", dice qualcuno. A colpire il Palestine, che si trova proprio di fronte allo Sheraton, e' stato un missile, secondo il colonnello Peter Mansoor della prima divisione corazzata Usa, ma sulla fiancata dell'albergo si vedono chiaramente i buchi lasciati da cinque razzi: all'ottavo, al dodicesimo, al quindicesimo e al sedicesimo piano. Nei giorni scorsi John Burns in un suo articolo sul "New York Times" era stato premonitore quando aveva scritto che gli avevano sconsigliato il sedicesimo piano del Palestine, evidentemente non solo perche' piu' o meno a quell'altezza era gia' stato colpito lo scorso maggio. Per fortuna la tragedia e' stata solo sfiorata, alcune delle camere squarciate non erano occupate, e una coppia che trascorreva la prima notte di matrimonio nell'hotel, come succede spesso nel fine settimana, ha considerato un regalo di nozze l'averla scampata. Comunque un ferito grave c'e' stato ed e' stato portato via dai soldati americani. Pare fosse uno dei funzionari della Halliburton, la compagnia americana per servizi petroliferi, gia' diretta dal vicepresidente statunitense Dick Cheney, che ha ottenuto la maggior parte degli appalti per ripristinare i campi petroliferi. L'attacco di ieri e' una dimostrazione che non bastano le muraglie di cemento e di filo spinato che circondano gli alberghi per proteggeri dagli attacchi. E alla sfida si unisce la beffa se si pensa che i missili Katiuscia sono stati lanciati da un carretto trainato da un asino che si e' piazzato indisturbato sotto gli occhi di guardie irachene proprio all'incrocio della Sadun street, con tanto di semaforo, dove si trova l'unico accesso ancora praticabile per raggiungere dopo molti controlli - ma non sempre accurati - il Palestine e lo Sheraton. Walid e' il capocantiere dell'impresa che sta ricostruendo gli uffici della Yugoslav airlines. "Ho visto il carretto che si fermava qui davanti, vicino ai barili di gas, simili mezzi di trasporto sono usuali qui", racconta Walid. Dopo che si e' sparsa la voce che durante l'Aid, festa di fine Ramadan, non ci sara' benzina, le code ai distributori sono chilometriche, quindi c'e' chi ne approfitta vendendone taniche ai lati della strada a prezzi naturalmente almeno triplicati. E spesso per il loro trasporto vengono usati proprio i carretti. Ma sul carretto la' parcheggiato da un uomo alto e da un ragazzo non c'erano taniche di benzina ma lanciamissili ricoperti da erba, e un mucchio di fieno e' ancora li' per terra. Il lancio era predisposto con un sistema ad orologeria, cosi' i due hanno potuto allontanarsi abbandonando il carretto che subito dopo ha fatto partire i Katiuscia, non tutti pero', perche' l'asino si e' bruciato, si e' sganciato dal carretto, che sbilanciato e' caduto sganciando i sistemi per il lancio. A terra secondo Walid sarebbero rimasti dodici missili inesplosi. Subito dopo e' arrivata la polizia irachena e poi i militari americani. Ve l'aspettavate questo attacco? "Si', tutti ormai possiamo essere colpiti, non solo gli americani. E questi alberghi, si' ce l'aspettavamo perche' ci sono molti uomini d'affari americani e giornalisti". Lo stesso sistema, che risponde ad un misto di creativita', artigianalita' realizzata pero' con molta abilita' - l'uomo della Halliburton e' stato colpito per caso? -, e' stato usato anche per colpire il ministero del petrolio. L'imponente costruzione che ora ospita anche altri uffici, come quelli del ministero per la salvaguardia dei diritti umani, e' stata colpita proprio dal lato "petrolifero". Dallo stesso lato, all'interno della recinzione del ministero strategico si trova una vera e propria base militare Usa, come avevamo potuto vedere il giorno prima visitando il ministero per i diritti umani. Peraltro allora la zona era sorvolata in continuazione da elicotteri. Ma questo non ha impedito che cinque missili colpissero il ministero, partendo, pare, da un carretto parcheggiato sotto un ponte. E' il secondo attacco, il primo, una sparatoria, aveva bersagliato l'edificio meno di tre mesi fa. Come allora, anche ieri mattina, i militari statunitensi usciti dal ministero hanno cominciato a sparare all'impazzata contro tutto e tutti. "La volta scorsa, racconta un abitante della zona, per punizione gli americani hanno tagliato l'elettricita' in tutto il quartiere per due giorni, con quel caldo!, che cosa faranno ora?". Quando siamo arrivati noi, la zona era tutta isolata, come del resto quella degli alberghi, e carri armati scorrazzavano a tutta velocita' improvvisando manovre incomprensibili. Dimostrazione di forza o di impotenza di un Abrams di fronte ad un carretto trainato da un asino? Altri due carretti con batterie di missili inesplosi sono stati trovati nella zona dell'ambasciata italiana e dell'Accademia delle belle arti, nel quartiere Waziriya. Pesanti carri armati sono tornati in citta', mentre elicotteri sorvolano anche il nostro quartiere a bassa quota, con un rumore assordante, mentre in albergo continuano a raccogliere vetri e a far cadere le lastre pericolanti. Gli italiani, in particolare, sono in stato di allerta, non solo a Nassiriya, anche se non ci sono state minacce particolari. Che cosa ci riservera' ancora la fine di questo sanguinoso Ramadan? 9. LIBRI. MASSIMILIANO FORTUNA PRESENTA "OBBEDIENZA ALL'AUTORITA'" DI STANLEY MILGRAM [Ringraziamo Massimiliano Fortuna (per contatti: max.for at tiscalinet.it) per averci messo a disposzione questo suo articolo gia' apparso sul bel mensile torinese "Il foglio" n. 306 del novembre 2003. Massimiliano Fortuna e' redattore della rivista mensile torinese "Il foglio" e collaboratore del Centro studi Sereno Regis, nel cui sito e' possibile leggere un suo acuto saggio sulla "religione aperta" di Aldo Capitini. Stanley Milgram (1933-1984), psicologo sociale americano, condusse il terribile "esperimento di Milgram", di cui riferisce il suo classico Obbedienza all'autorita', ora nuovamente edito da Einaudi, Torino 2003] All'incirca nello steso periodo in cui si teneva a Gerusalemme il processo a Adolf Eichmann, Stanley Milgram stava conducendo all'Universita' di Yale degli esperimenti sulla sottomissione all'autorita'. Nel raccontare quel processo Hannah Arendt diede alla luce un libro decisivo, La banalita' del male. In esso prendeva forma un pensiero di singolare scomodita': ad Eichmann, uomo chiave delle procedure della deportazione degli ebrei nei campi di sterminio nazisti, non si addicevano i tratti del "mostro", non era un radicale e spietato antisemita, dominato dal compiacimento dell'efferatezza, ma un uomo ordinario, fortemente posseduto da una vocazione all'efficienza, desideroso innanzi tutto di svolgere il proprio lavoro con meticolosita' estrema e godere dell'apprezzamento dei superiori. L'immenso male a cui aveva contribuito poteva dirsi banale, perche' frutto di una mente sordidamente impiegatizia, incapace di articolare un linguaggio privo di cliche' burocratici e di intendere il punto di vista di qualcun altro. Accostandosi agli studi di Milgram ci si sente rapidamente pervasi da una scomodita' affine. A inocularla e' la constatazione di quanto poco vincolanti possano risultare, per una persona comune, valori morali essenziali, quali l'esigenza di non infliggere sofferenze a uomini inermi, di fronte alle richieste di un'autorita' riconosciuta. In breve, Milgram concepi' l'esperimento seguente: dietro invito dell'Universita' due persone prendono parte ad una ricerca su "La memoria e l'apprendimento", una nel ruolo di insegnante, l'altra in quello di allievo; a dirigerli uno sperimentatore, rappresentante dell'autorita' scientifica. L'allievo ha il compito di ricordare delle associazioni verbali lette dall'insegnante, quest'ultimo ad ogni errore deve somministrargli una scossa elettrica di voltaggio crescente e sempre piu' dolorosa. In realta' questa scena e' fittizia, allievo e sperimentatore non sono che attori, il dolore e le scosse simulati. L'intento di Milgram consisteva infatti nell'analizzare sino a quando l'insegnante, pur di obbedire alle sollecitazioni dello sperimentatore, avrebbe accettato di provocare sofferenze all'allievo. Circa due terzi dei soggetti osservati preferirono non trasgredire le disposizioni dell'autorita' e giunsero a somministrare una scossa conclusiva di 450 volt, potenzialmente mortale. Oltre a questa versione base l'esperimento fu replicato in molteplici varianti, in una fra le piu' significative si e' rilevato, ad esempio, come il ridursi della distanza fisica fra allievo ed insegnante abbia indotto quest'ultimo a ribellarsi con maggior risolutezza all'autorita'. L'indagine sperimentale si svolse tra il 1960 e il 1963, in seguito Milgram organizzo' compiutamente questo materiale, e ne nacque un libro, Obedience to Authority (1974), non meno imprescindibile di quello della Arendt (Bompiani lo pubblico' in italiano l'anno seguente, e viene ora riproposto da Einaudi, con l'aggiunta di un saggio di Adriano Zamperini). Pur nella smisurata varieta' dei casi reali, irriproducibile in una verifica di laboratorio, Milgram ritiene di aver portato alla luce un'unita' di misura psicologica: "la capacita' degli individui di rinunciare alla loro umanita', anzi, la necessita' di comportarsi in tal modo al momento in cui la loro personalita' individuale viene incorporata in piu' vaste strutture istituzionali". Affermazione irritante ovviamente, perche' accettarla significa ammettere che gli orrori su larga scala non si attuano soltanto per la brutalita' straordinaria di pochi sadici, ma per l'ordinaria acquiescenza dei piu'. E non si pensi unicamente a regimi totalitari o autoritari, la definizione "esperimento Eichmann", data da Gordon W. Allport, per Milgram doveva considerarsi calzante ma insieme riduttiva; i meccanismi dell'obbedienza si giocano quotidianamente, a qualsiasi latitudine politica: "la tratta dei neri e la schiavitu' di milioni di persone, la distruzione degli indiani d'America, l'internamento dei giapponesi americani nei campi di concentramento, l'impiego del napalm contro la popolazione civile in Vietnam, sono altrettante misure ripugnanti ordinate dall'autorita' di un paese democratico e sono state eseguite con puntuale disciplina". Milgram non guarda all'autorita' come un ribelle vacuo, considera lo strutturarsi in gerarchia un cardine ancestrale e indispensabile della sopravvivenza umana; d'altra parte, i processi distruttivi che la disposizione ad obbedire puo' mettere in moto vanno in direzione precisamente opposta alla sopravvivenza. E' un'antinomia pressoche' disperante quella che Milgram evoca quando, quasi inattesa, lascia cadere la frase chiave del libro: "crescendo, ogni individuo normale ha imparato a tenere sotto controllo gli impulsi aggressivi. Ma la cultura non e' quasi mai riuscita a inculcare controlli interni su azioni che hanno origine in un sistema di autorita'. Questo e' un pericolo enorme per la sopravvivenza della specie umana"; e di li' a poco s'incarica di precisare: "se, da un lato, la tecnologia ha aumentato il potere dell'uomo, fornendogli i mezzi per la distruzione di altri esseri a distanza, l'evoluzione non ha avuto la possibilita' di fornire degli inibitori contro queste forme di aggressione remota". Fuso nel crogiolo tecnologico il nodo dell'autorita' rivela un innesco esplosivo di proporzioni devastanti. Del resto, la discrepanza fra corpo tecnico e risorse spirituali rinvia ad un pensiero guida del Novecento, pensiero che e' stato di Anders e di Jonas, come di Bergson: l'uomo, divenut o signore delle macchine, resta l'apprendista di sempre in ambito morale, all'accresciuto potere di dominio dello spazio fisico non ha fatto riscontro uno speculare incremento d'anima. Il tutto contribuisce poi ad illuminare l'impatto di un virus che va di pari passo con la modernita' - dal momento che altro non e' che un suo esclusivo portato -, quello della specializzazione. Scrive Milgram: "il frammentarsi dell'attivita' umana in compiti limitati e altamente specializzati ha avuto come risultato il deterioramento della qualita' del lavoro e dell'esistenza degli uomini. L'individuo che e' incapace di giudicare le situazioni nel loro insieme, poiche' ne scorge solo una piccola parte, non puo' agire senza una qualche direttiva esterna". Magari provino a farci sopra una modesta riflessione quei cervelli a' la page che ridacchiano sull'inutilita' della filosofia o sull'obsolescenza della religione. Vecchi armamentari d'idee, credono in molti. Eppure, per acquisire la capacita' di risalire dall'ingranaggio settoriale delle proprie azioni sino all'assolutezza etica che continuamente fa loro da sfondo, certi arnesi d'antan possono ancora venir buoni. 10. INIZIATIVE. L'ASSOCIAZIONE ITALIANA EDITH STEIN [Dal sito dell'"Associazione italiana Edith Stein onlus" (sito: www.edithstein.org; e-mail: info at edithstein.org) riprendiamo e diffondiamo il seguente comunicato. Edith Stein, filosofa tedesca, e' nata a Breslavia nel 1891 ed e' deceduta nel lager di Auschwitz nel 1942. Di famiglia ebraica, assistente di Husserl, pensatrice tra le menti piu' brillanti della scuola fenomenologica, abbraccio' il cattolicesimo e nel 1933 entro' nella vita religiosa. I nazisti la deportarono ed assassinarono. Opere di Edith Stein: le opere fondamentali sono Il problema dell'empatia, Franco Angeli (col titolo L'empatia) e Studium; Psicologia e scienze dello spirito, Citta' Nuova; Una ricerca sullo Stato, Citta' Nuova; La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d'Aquino, Memorie Domenicane, poi in La ricerca della verita', Citta' Nuova; Introduzione alla filosofia, Citta' Nuova; Essere finito e Essere eterno, Citta' Nuova; Scientia crucis, Postulazione generale dei carmelitani scalzi. Cfr. anche la serie di conferenze raccolte in La donna, Citta' Nuova; e la raccolta di lettere La scelta di Dio, Citta' Nuova, Roma 1974, poi Mondadori, Milano 1997. Opere su Edith Stein: per un sintetico profilo cfr. l'"invito alla lettura" di Angela Ales Bello, Edith Stein, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1999 (il volumetto contiene un breve profilo, un'antologia di testi, una utile bibliografia di riferimento). Lavori sul pensiero della Stein: Carla Bettinelli, Il pensiero di Edith Stein, Vita e Pensiero, Milano 1976; Luciana Vigone, Introduzione al pensiero filosofico di Edith Stein, Citta' Nuova, Roma 1991; Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero di Padova, 1998, 2003; Angela Ales Bello, Edith Stein. Patrona d'Europa, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2000. Per la biografia: Edith Stein, Storia di una famiglia ebrea, Citta' Nuova, Roma 1994, 1999; Elio Costantini, Edith Stein. Profilo di una vita vissuta nella ricerca della verita', Libreria Editrice Vaticana, Citta' del Vaticano 1987, 1998; Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000] Nasce L'Associazione italiana Edith Stein onlus. "La verita' e l'amore hanno bisogno l'una dell'altro. Suor Teresa Benedetta (Edith Stein) ne e' testimone". In questi termini si esprimeva Giovanni Paolo II l'11 ottobre del 1998 quando iscriveva Edith Stein nell'elenco dei Santi della chiesa cattolica. In Italia sono molti i centri di studio e le associazione che hanno individuato in Edith Stein il loro punto di riferimento. La nascita della nuova Associazione italiana Edith Stein onlus va ad inserirsi nel solco tracciato dal grande interesse sviluppatosi nei nostri anni sulla donna ebrea, filosofa, carmelitana, santa e martire. Essa si propone: - di perseguire la conoscenza, lo studio e la diffusione dell'eredita' spirituale, filosofica, teologica di Edith Stein; - la comprensione tra popoli e nazioni, in particolare l'approfondimento ed ampliamento del dialogo tra cristianesimo ed ebraismo; - l'impegno per la tolleranza reciproca dei diversi gruppi etnici, religiosi e sociali. L'Associazione intende raggiungere questi obiettivi attraverso: - la promozione della ricerca scientifica, della documentazione e delle informazioni sulla vita e sull'opera di Edith Stein; - il sostegno ai lavori scientifici, culturali, artistici, e di altro tipo che si occupano di Edith Stein; - la collaborazione con le chiese cristiane e le loro comunita' religiose, con le Societa' cristiano-ebraiche, altre associazioni e gruppi sociali; - l'organizzazione di conferenze, seminari, esposizioni, congressi e convegni nazionali ed internazionali, nonche' di manifestazioni culturali ed artistiche direttamente ed indirettamente. Il primo consiglio direttivo, eletto in sede di costituzione, e' composto da cinque membri: Presidente la professoressa Angela Ales Bello; vicepresidente suor Carla Bettinelli; consigliere padre Marco Paolinelli; segretario fratel Massimo Angelelli; tesoriere Carlo Gitto. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it, angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 746 del primo dicembre 2003
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