La nonviolenza e' in cammino. 742



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 742 del 27 novembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Monica Lanfranco: abitare la nonviolenza  (una testimonianza
sull'incontro dell'8 novembre a Verona con Lidia Menapace)
2. Matteo Soccio: l'Europa nonviolenta e' donna (una testimonianza
sull'incontro dell'8 novembre a Verona con Lidia Menapace)
3. Angela Dogliotti e Beppe Marasso: ci abboniamo ad "Azione nonviolenta"
perche'...
4. Campagna osm per la difesa popolare nonviolenta: un appello
5. Giulio Vittorangeli: nel mondo di Bush e di Bin Laden
6. Ileana Montini: sulla necessita' di un'analisi e un intervento
nonviolento in Iraq
7. Severino Vardacampi: Iraq. Quid agendum? Alcune prime riflessioni
8. Ida Dominijanni presenta "Terrorismo e terroristi" a cura di Marco
Fossati
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MONICA LANFRANCO: ABITARE LA NONVIOLENZA (UNA TESTIMONIANZA
SULL'INCONTRO DELL'8 NOVEMBRE A VERONA CON LIDIA MENAPACE)
[Ringraziamo Monica Lanfranco (per contatti: e-mail: mochena at tn.village.it,
siti: www.marea.it, www.marea.it/lanfranco) per questa testimonianza
sull'incontro dell'8 novembre a Verona sulla proposta di Lidia Menapace per
un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e
nonviolenta, incontro al cui termine e' stato redatto l'appello che verra'
presentato l'8 dicembre a Venezia. Monica Lanfranco, giornalista
professionista, nata a Genova il 19 marzo 1959, vive a Genova; collabora con
le testate delle donne "DWpress" e "Il paese delle donne"; ha fondato il
trimestrale "Marea"; dirige il semestrale di formazione e cultura "IT -
Interpretazioni tendenziose"; dal 1988 al 1994 ha curato l'Agendaottomarzo,
libro/agenda che veniva accluso in edicola con il quotidiano "l'Unita'";
collabora con il quotidiano "Liberazione", i mensili "Il Gambero Rosso" e
"Cucina e Salute"; e'' socia fondatrice della societa' di formazione Chance.
Nel 1988 ha scritto per l'editore PromoA Donne di sport; nel 1994 ha scritto
per l'editore Solfanelli Parole per giovani donne - 18 femministe parlano
alle ragazze d'oggi, ristampato in due edizioni. Per Solfanelli cura una
collana di autrici di fantasy e fantascienza. Ha curato dal 1990 al 1996
l'ufficio stampa per il network europeo di donne "Women in decision making".
Nel 1995 ha curato il libro Valvarenna: nonne madri figlie: un matriarcato
imperfetto nelle foto di fine secolo (Microarts). Nel 1996 ha scritto con
Silvia Neonato, Lotte da orbi: 1970 una rivolta (Erga): si tratta del primo
testo di storia sociale e politica scritto anche in braille e disponibile in
floppy disk utilizzabile anche dai non vedenti e rintracciabile anche in
Internet. Nel 1996 ha scritto Storie di nascita: il segreto della
partoriente (La Clessidra). E' appena stato pubblicato il suo ultimo libro,
scritto insieme a Maria G. Di Rienzo, Donne disarmanti, Intra Moenia, 2003.
Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di donne strutturati
(politici, sindacali, scolastici) sulla storia del movimento delle donne e
sulla comunicazione]

Scrivo volentieri, scusandomi del ritardo e della frettolosita', questa
piccola notazione a margine dell'incontro di Verona, che spero sara' solo un
inizio di un percorso fruttuoso.
Aspettando il week end di Venezia, che ci vedra' assieme di nuovo l'8
dicembre (per me e Lidia ci sara' anche il 6 per la presentazione di Donne
disarmanti al salone dell'editoria della pace), rivisito l'incontro alla
casa della pace di Verona, e penso che accanto alla grande energia che ho
sentito in generale in quelle ore c'e' anche un altro aspetto che mi ha
sorpresa: la qualita' dell'ascolto da parte degli uomini presenti.
Sara' banale, e vi chiederete, legittimamente, ma che razza di uomini io sia
abituata a frequentare; la risposta e' che spesso, in altri consessi
politici, gli uomini pur di sinistra (quella doc, con i "santini" e i
simboli ai loro posti) sono insopportabilmente, a pelle, ostili.
Tant'e' che persino molte donne della sinistra doc (anche loro con i santini
in regola) si stanno interrogando se sia il caso di fare qualche incontro
sul patriarcato di sinistra, per nulla osbsoleto e che anzi al Social Forum
di Parigi sembra abbia furoreggiato, comodo e ben pasciuto.
A Verona ho incontrato molti uomini (erano la maggioranza, anche se
lievemente), che conoscevo solo di nome e che spesso leggevo, altri che non
avevo mai sentito nominare, e non ho mai avvertito da parte loro quella
sottile ma pesante ostilita' mista a sopportazione malcelata che spesso ho
avvertito in questi anni, dal Genoa Social Forum in poi, da parte di molti
maschi, nel parlare di femminismi, di genere, di sessismo e di sessuazione
del linguaggio.
Certo, abitare mentalmente la nonviolenza qualche cambiamento lo produrra',
questo lo si presume e lo si spera; e' vederlo incarnato che fa bene
all'anima e all'umore. Non sara' molto, ma poco non mi pare!

2. EDITORIALE. MATTEO SOCCIO: L'EUROPA NONVIOLENTA E' DONNA (UNA
TESTIMONIANZA SULL'INCONTRO DELL'8 NOVEMBRE A VERONA CON LIDIA MENAPACE)
[Ringraziamo Matteo Soccio (per contatti: socciom at libero.it) per questa
testimonianza sull'incontro dell'8 novembre a Verona sulla proposta di Lidia
Menapace per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata,
solidale e nonviolenta, incontro al cui termine e' stato redatto l'appello
che verra' presentato l'8 dicembre a Venezia. Matteo Soccio e' una delle
piu' autorevoli figure dell'impegno di pace e della riflessione nonviolenta;
innumerevoli i suoi contributi a vari volumi, e precipuo suo merito se hanno
avuto introduzione, traduzione e circolazione in Italia opere capitali della
ricerca, della riflessione e delle esperienze della nonviolenza in altri
paesi, ed autori fondamentali]

Noi "cittadini della nonviolenza" siamo sempre chiamati a occuparci di cose
piu' grandi di noi. Ora e' il destino dell'Europa.
Ci sentiamo chiamati non per presunzione ma percha' di fronte all'inerzia di
molti sentiamo sempre il dovere di mettere in pratica i valori in cui
crediamo, incuranti del rapporto di forza apparentemente sfavorevole. Non
proviamo mai il senso del ridicolo o l'inadeguatezza rispetto all'impresa.
Sappiamo che basta una prima spinta, anche impercettibile, e puo' seguirne
una valanga di azioni e risultati. Sappiamo che a ognuno di noi (poco o
molto, non importa) spetta di fare qualcosa e ognuno di noi conta nel farsi
delle cose piu' grandi. E non abbiamo paura delle sconfitte.
*
Cosi' e' stato l'8 novembre scorso a Verona, alla Casa per la nonviolenza.
Qualcuno ha sentito l'urgenza di avviare quello che e' da farsi, portando
sul piano della concretezza i punti di vista espressi su questo foglio a
proposito dell'Europa che vogliamo.
Si sono ritrovate una quarantina di persone, in maggioranza donne.
Animatrice dell'incontro Lidia Menapace (il suo destino ce l'ha scritto nel
nome), soddisfatta, piena di gioia, convinta che il trovarsi fosse stata una
buona idea, che non avevamo perso il treno (dell'Europa), pervasa dalla
speranza di avere "un successo pari al lotto".
Cosa ne e' venuto fuori i lettori di questo foglio lo sanno gia' per averlo
letto in queste pagine. In particolare:
- un appello breve per far conoscere la campagna per un'Europa neutrale e
disarmata;
- la necessita' di inserirsi con questi temi nella prossima campagna
elettorale europea;
- un primo appuntamento a Venezia (Salone dell'Editoria di pace, 6-7-8
dicembre 2003) per far conoscere l'appello e la campagna;
- l'estensione all'Europa della cosiddetta "obiezione del cittadino".
*
Ma, come testimone, vorrei dire qualcosa su come si e' svolto l'incontro e
sulla lezione che ho imparato.
Riconosco subito che sono state le donne a caratterizzare il clima
dell'incontro e la qualita' del discorso, tutto permeato dal pensiero della
differenza. In difficolta' evidente i maschi, corretti ogniqualvolta si
trovavano ad usare un linguaggio "militarista" o "maschilista" per esprimere
concetti correnti dell'attivita' politica (ad esempio: strategia, scontro,
lotta, battaglia, conflitti, alleanze, ecc.).
Per poter rieducare il nostro linguaggio abbiamo chiesto alle donne di
preparare il nuovo lessico purificato e corretto di tutto quanto deriva
dalle ideologie militariste.
Le donne sono convinte che cambiare il linguaggio serva, perche' attraverso
la lingua si modifica anche il modo di pensare e di leggere il mondo. E' una
riforma che ciascuno puo' fare a casa propria. La politica del militarismo
e' molto astuta, capace di convincere non mostrando il quadro tragico della
guerra ma quello condivisibile della pace, della difesa, della sicurezza.
Allora (sono parole di donna) bisogna "sputtanare" il militare in tutte le
sue forme, aprire campagne di "smascheramento" (il re e' nudo) dei valori
militari e della vita militare. Questo vuole il pensiero della "differenza"
nei confronti di coloro che, abolendo per regolamento le differenze, portano
le "uniformi". E' stato detto che il militarismo e' noioso e ripetitivo.
Cambiamo linguaggio: c'e' la nonviolenza che e' creativa, astuta,
intelligente e "sorprendente".
*
Dopo i tragici fatti di Nassirya e l'emozione collettiva amplificata dai
media fino alle dimensioni di un pathos nazionale, chi osera' "sputtanare" i
militari? C'e' chi e' gia' pronto a mettere a frutto il "lascito eroico" di
questi caduti, che noi sappiamo essere non eroi bensi' vittime di una
politica militare e di decisioni prese in alto e non partecipate.
Vogliamo essere piu' dalla parte dei familiari delle vittime (madri, padri e
sorelle), che nulla hanno da strumentalizzare, che dalla parte delle
istituzioni. Siamo avvisati: guai a chi osera' mettere in ridicolo la
Patria, i colori della sua bandiera, i suoi eroi! Noi pensavamo a una patria
piu' in grande e la volevamo neutrale e disarmata. Andavamo a quel pensiero
sempre attuale di Virginia Woolf: "in quanto donna non ho patria, in quanto
donna la mia patria e' il mondo intero".
*
Ci sara' qualcuno che trovera' conveniente amplificare questo progetto con
tutti i mezzi di comunicazione possibile?
Le donne hanno ragione: c'e' l'inganno del linguaggio, la truffa della
comunicazione, lo sforzo di far pensare un pensiero gia' pensato, di
accreditare "valori" utili e funzionali solo a certi gruppi di interesse e
di potere, la tendenza a "intruppare" e a "intrupparsi".
Spero che le donne di fronte ad eventi condizionanti come questi, non
perdano la forza del proprio entusiasmo e la fiducia nel proprio progetto
vincente.
*
Secondo me, una delle cose piu' importanti che hanno caratterizzato
l'incontro di Verona e' l'invito a riconcettualizzare i problemi in modo
diverso, comprendendo e assumendo il punto di vista della differenza (cioe'
delle donne). Questo puo' avere un grande impatto educativo e autoformativo,
anche liberatorio per tutti. Sta nascendo un movimento non oppositivo ed
escludente ma inclusivo e materno. Queste donne vogliono mettere al mondo un
mondo piu' giusto e per far questo si sforzano di tramutare le categorie
dominanti per far posto a cio' che veramente merita di nascere e che e'
diverso da cio' che gli uomini (i maschi) hanno finora pensato e saputo
realizzare.
Ha detto Angela Giuffrida da Mirano: "Finche' gli uomini non impareranno a
rispettare la madre, non riusciranno mai a far nascere una societa' civile,
ne' a gestirla senza violenze, persecuzioni e guerre".
Dobbiamo accettare e ringraziare le donne per questo aiuto che ci offrono a
crescere come uomini e a educarci come cittadini nonviolenti.
*
Questo movimento inclusivo di uomini e donne vuole un'Europa "neutrale,
disarmata, attiva, solidale, nonviolenta".
In questa congiuntura del processo di unificazione europea, abbiamo il
dovere di partecipare allo svolgersi degli eventi mettendo sulla bilancia
della storia questo progetto che e' di alternativa politica, sociale,
concettuale ed etica (la nonviolenza).
Se l'Europa e' un soggetto politico veramente nuovo deve dimostrare di avere
imparato la lezione del passato: i nazionalismi armati gli uni contro gli
altri, le concorrenze ciniche e spietate, gli egoismi, le guerre, i campi di
battaglia e le infinite carneficine.
L'Europa deve dichiarare solennemente che non fara' pie' guerre, non
esercitera' politiche di aggressione e di rapina verso altri popoli,
dovunque siano i loro confini. Se mette nel conto di previsione la
possibilita' di fare la guerra, non avra' realizzato nulla di nuovo e avra'
ripetuto il passato con i suoi errori. Non a' retorica pacifista: e' quanto
i nostri governanti (anche europei) avrebbero dovuto imparare e condividere
insieme ai loro "sudditi".
Come cittadini europei non vogliamo comunque che l'Europa si chiuda in uno
splendido quanto irresponsabile isolamento rispetto al resto del mondo. Non
si propone indifferenza di fronte ai problemi globali, ma nuovi metodi per
esprimere il proprio impegno attivo e solidale. Tutti i conflitti sono
superabili dal basso con la partecipazione dei cittadini ad una storia in
cui eserciti e guerre non abbiano piu' spazi e riconoscimenti giuridici.
*
Tutti sono d'accordo che all'attuale bozza di Costituzione europea si e'
arrivati in modo poco democratico. C'e' lo scandalo di un testo preparato a
tavolino senza partecipazione dell'opinione pubblica europea, un testo
attento a non rovinare gli affari ai padroni del vapore.
Come cittadini dal basso ci chiediamo: cosa si vuol fare con questa Europa?
Le lobbies vogliono un'Europa dei mercati e dei mercanti (anche di
cannoni!), una nuova superpotenza mondiale capace di imporre a tutti i
propri interessi. Noi pensavamo che l'Europa si facesse per assicurare la
pace. C'e' il rischio concreto che non sia cosi'.
Percio' e' necessario far ripartire, dal basso, il processo in un'altra
direzione, correggere la rotta.
Poiche' l'attuale bozza della Costituzione europea risulta assai carente sui
temi della pace, si chiede l'introduzione in essa di un articolo simile
all'articolo 11 della nostra Costituzione ("L'Europa ripudia la guerra come
strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali, ecc.").
Nello stesso tempo si richiede il riconoscimento della "cittadinanza
universale" e l'istituzione dei "corpi civili di pace".
Si auspica l'introduzione anche nella Costituzione europea di un linguaggio
piu' inclusivo (cittadini/e), non piu' declinato esclusivamente al
neutro-maschile.
*
Un altro problema importante e' quello delle spese militari in un contesto
europeo.
Si parla gia' di necessita' della "difesa europea" e di "agenzia europea
degli armamenti". Il complesso militare-industriale assorbira' risorse
preziose da destinare alla solidarieta'. Sappiamo che solo risparmiando
sulle spese militari possiamo fare meglio e di piu' per lo stato sociale.
Guardiamo l'attuale potenza militare egemone (gli Usa): sappiamo gia' cosa
succedera' anche in Europa.
*
Un'ultima questione emersa nell'incontro: con quali strumenti organizzativi
e politici possiamo fare tutto questo?
Qualcuno, ricordando il ruolo avuto dal popolo delle bandiere, ha riproposto
l'idea di un "partito della pace". Non e' piaciuta ed e' stata scartata
subito. Si pensa piuttosto a forme di pressione dal basso e al recupero
della dimensione della democrazia partecipativa.
Forse ha esagerato Giovanni Benzoni, animatore del "Salone dell'editoria di
pace", quando ha definito la proposta di Lidia Menapace come
"scandalosamente clandestina". Clandestini (non trasparenti) sono i metodi
utilizzati dai potenti per ingannarci anche sull'Europa. Questo movimento
non e' clandestino e non e' minoritario: puo' sforzarsi di ottenere ancora
piu' visibilita' e consenso. Sta a ognuno di noi fare qualcosa, perche' cio'
accada.
*
Ancora di recente qualcuno ha incolpato l'"inerzia della nonviolenza" se ci
sono ancora giovani "arrabbiati" che preferiscono scegliere, per cambiare il
mondo, le scorciatoie della violenza e della lotta armata. Per questo metodo
siamo fuori tempo massimo. E' pura follia ideologica. Alla fine potranno di
piu' le formiche piccole e laboriose che qualsiasi animale feroce. Quando
sentiamo accusare la nonviolenza di essere inerte e impotente, pensiamo a
quanto riusciamo a fare senza mezzi. Leggo sui giornali di oggi: Bush ha
firmato il "Defense authorization bill" che stanzia 401,3 miliardi di
dollari per le spese militari americane dell'anno fiscale 2004. E tutto
questo spreco di risorse serve per portare distruzione in tutto il mondo. Ci
dobbiamo vergognare di quel poco, pochissimo, di buono che con la
nonviolenza, e senza mezzi finanziari degni di tal nome, riusciamo a fare
noi?

3. MEMORIA E PROPOSTA. ANGELA DOGLIOTTI E BEPPE MARASSO: CI ABBONIAMO AD
"AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
["Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento
fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per
tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e'
di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite
bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso
BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB
11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona,
specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta".
Avvicinandosi la fine dell'anno, abbiamo chiesto ad alcuni autorevoli amici
della nonviolenza di motivare l'invito - che ci permettiamo di rivolgere a
tutti i lettori del nostro notiziario - a  rinnovare (o sottoscrivere per la
prima volta) l'abbonamento ad "Azione nonviolenta". Oggi rispondono Angela
Dogliotti e Beppe Marasso (per contatti: angelaebeppe at libero.it). Angela
Dogliotti Marasso, rappresentante autorevolissima del Movimento
Internazionale della Riconciliazione e del Movimento Nonviolento, studiosa e
testimone, educatrice e formatrice, e' una delle figure piu' nitide della
nonviolenza in Italia; tra le sue opere segnaliamo particolarmente
Aggressivita' e violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino; il suo saggio su
Domenico Sereno Regis, in AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia -
Movimento Nonviolento, Torino - Verona 1999; il recente volume scritto con
Maria Chiara Tropea, La mia storia, la tua storia, il nostro futuro. Un
gioco di ruolo per capire il conflitto israelo-palestinese, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 2003. Beppe Marasso, prestigioso rappresentante del Movimento
Internazionale della Riconciliazione e del Movimento Nonviolento, e' da
sempre impegnato nei movimenti di pace e nonviolenti, e in molteplici
attivita' di solidarieta', ecopacifiste e per i diritti; suoi contributi
sono in vari volumi]

Perche' ci abboniamo ad Azione nonviolenta?
Perche':
- nel 1968 ci conoscemmo durante una manifestazione per l'obiezione di
coscienza;
- nel 1969 ci sposammo e ci abbonammo ad "Azione nonviolenta";
- nel 1970 nacque Sara e nel 1971 abitammo con lei per un breve periodo
estivo a Perugia, nella casa di Pietro Pinna, allora direttore di "Azione
nonviolenta";
- nel 1972 nacque Giulia,  nella Casa per la pace di via Venaria a Torino,
acquistata dalla "Societa' Aldo Capitini" con  fondi  raccolti da
sottoscrizioni di amici della nonviolenza;
- negli anni successivi, con il gruppo di Torino, ci esprimemmo attraverso
il mensile "Satyagraha", fratello minore della piu' autorevole rivista
capitiniana, che pochi anni dopo la sua nascita conflui' in "Azione
nonviolenta".
Perche' da allora abbiamo sempre rinnovato il nostro abbonamento.
*
Ci sono dunque ricordi e ragioni anche affettive che ci legano ad "Azione
nonviolenta".
Ma ci sono altri mille motivi, che condividiamo con quelli che molti gia'
hanno espresso su questo foglio.
Per celebrare i quarant'anni della rivista e' stata allestita una mostra che
raccoglie le copertine piu' significative, dal primo numero ad oggi.
Scorrere quelle immagini e' come sfogliare un manuale di storia scritto con
l'ottica della nonviolenza, che mette in luce eventi, figure e processi in
genere assai poco visibili, perche' occultati dalla piu' rumorosa e
pervasiva cultura della guerra.
Oggi che la guerra e' stata rilegittimata come giusta, necessaria,
umanitaria e perfino "preventiva", e' piu' che mai indispensabile avere
strumenti come "Azione nonviolenta", come la rivista di ricerca e
approfondimento di Pisa "Satyagraha", come questo stesso bollettino, che ci
aiutano a resistere e a proporre una diversa prospettiva.
Oggi che drammatici conflitti del mondo contemporaneo ci spingono in una
inarrestabile spirale di violenza, verso uno "scontro di civilta'" che
rischia di avere come unico esito la mutua distruzione, c'e' bisogno di una
voce che ci indichi la strada per "incontrare il lupo" (Nanni Salio,  in
"Azione nonviolenta", ottobre 2003).

4. APPELLI. CAMPAGNA OSM PER LA DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA: UN APPELLO
[Dal sito di Peacelink riprendiamo e diffondiamo questo appello della
Campagna osm (obiezione alle spese militari) per la difesa popolare
nonviolenta, diffuso il 24 novembre 2003. Ancora una volta dobbiamo
evidenziare limiti e contraddizioni in questo documento, che esprime
un'esigenza che ovviamente condividiamo ma che la esprime in modo ancora
inadeguato, abborracciato, confuso, subalterno. E' necessario che le persone
amiche della nonviolenza facciano un salto di qualita': che l'azione per il
disarmo e la smilitarizzazione, e per la costruzione di una gestione
nonviolenta delle politiche della difesa, della sicurezza, della
cooperazione, cessi di porsi in modo timido, imbarazzato e talora persino
caotico e grottesco, ed acquisisca invece piena consapevolezza di essere
realmente espressione di una volonta' condivisa dalla grandissima parte
dell'umanita'; piena consapevolezza di essere necessita' ed urgenza primaria
per la difesa della democrazia, dello stato di diritto, della promozione
della dignita' e dei diritti umani di tutti gli esseri umani;  piena
consapevolezza di essere indispensabile passaggio di inveramento di quanto
gia' statuito nelle codificazioni e nelle funzioni delle istituzioni
decisive dell'ordinamento giuridico statuale intese al bene comune. Rompiamo
le catene della servitu' interiorizzata, affermiamo infine con chiarezza che
l'azione nonviolenta, la difesa popolare nonviolenta, la nonviolenza in
cammino, sono non un'idea fantastica e minoritaria, ma soggetto e funzione
giuriscostituente, che realizzano in concreto il programma che le grandi
carte giuridiche e politiche dell'umanita' affermano in astratto; la
nonviolenza e' la Costituzione della Repubblica Italiana presa sul serio.
Sono i militaristi, che in violazione della Costituzione hanno trascinato
ripetutamente il nostro paese in guerra in questi ultimi anni, ad essere
fuorilegge; nel mondo attuale, dopo Auschwitz ed Hiroshima, il militarismo e
il riarmo sono ipso facto criminali. Smilitarizzazione, disarmo,
nonviolenza, sono la legalita' e la democrazia che si fanno azione, che
finalmente dalla mera enunciazione si fanno concreta, cogente realta',
istitutiva di civile convivenza, istitutiva di umanita'. Piantiamola di fare
i timidi, diciamolo chiaro e forte. E, sia detto en passant, piantiamola
anche di scrivere documenti pubblici in una prosa da osteria; quando si
scrive in modo penoso, si da' l'impressione che si pensa in modo a dir poco
confuso: basterebbe un po' piu' di attenzione, e ci sarebbe anche un buon
manuale per studiare come si deve scrivere: e' la Lettera a una
professoressa, della scuola di Barbiana; e ci sarebbe anche un buon manuale
per studiare come si puo' argomentare: e' L'obbedienza non e' piu' una
virtu', di don Milani (p. s.)]

Al Presidente della Repubblica, al presidente della Camera, al presidente
del Senato, al ministro per le relazioni con il Parlamento, all'Ufficio
nazionale per il servizio civile.
Appello per la riduzione delle spese militari nella finanziaria e per
l'impegno dello stato nella costruzione di alternative alla difesa armata.
*
Al Presidente della Repubblica e ai rappresentanti delle istituzioni dello
Stato, dichiariamo la nostra obiezione di coscienza alle spese militari, e
con questo appello, chiediamo un vostro intervento per recepire le nostre
istanze che sappiamo inserite nell'opinione pubblica del Paese e che pongono
a tutti alcune domande: lo Stato sta lavorando per la pace? E l'unica strada
per la pace e' quella militare?
Noi crediamo che vi siano parecchie possibilita' di interventi per
raggiungere la pace e mentre vediamo che l'apparato militare si espande
nella societa', ci pare doveroso avere lo stesso impegno per strutture
all'interno dell'apparato dello Stato che provino a raccogliere e diffondere
le esperienze di pace ed abbiano, se non lo stesso spazio politico e
informativo, almeno un riconoscimento ed un'attenzione istituzionale.
Dopo le vicende di questo ultimo mese che vedono anche alcune
responsabilita' delle istituzioni nel non chiarire i confini fra la pace e
la guerra, ci pare necessario, in qualita' di portatori della riduzione di
ogni forma di violenza, segnalare il nostro disagio nel sentirci esclusi da
questa continua pubblicita' militarista che di fatto ci porta a pensare di
non essere piu' inseriti come forze di pace nellíalveo costituzionale
(art.11) al quale apparteniamo e di cui seguiamo lo spirito e il dettato.
Nella legge finanziaria che rappresenta la traduzione economica degli
impegni morali, sociali ed etici dello Stato vi chiediamo di trasformare in
investimenti queste significative richieste.
La nostra denuncia riguarda lo spreco di risorse che lo Stato impegna nelle
armi e nell'apparato militare-industriale.
Ci rivolgiamo a voi a nome di alcune associazioni che sono promotrici di
varie iniziative per la pace e la nonviolenza in Italia e che sono
fortemente interessate alla applicazione della legge 230/1998.
Stiamo aspettando l'istituzione di una commissione per la Dpn (Difesa
popolare nonviolenta) che, attraverso esperti sul tema, possa creare un
collegamento con le Universita' che hanno attivato corsi sulla pace; con le
Regioni che hanno leggi sulla pace, e con i Comuni che intervengono sul
tema.
Non possiamo sottrarci alle responsabilita' delle nostre idealita' e del
percorso istituzionale al quale siano legati, e ci pare opportuno con questo
intento raggiungervi con un presidio che segnali a voi la nostra speranza
che vi siano segnali importanti per una significativa riduzione delle spese
militari a favore di una difesa non armata. Difesa popolare nonviolenta
trasparente e di informazione che sappia cogliere quegli aspetti dei
conflitti la cui risoluzione non puo' essere delegata all'apparato militare,
ma che deve essere patrimonio di tutte le forze sociali del paese.
Vi invitiamo, anche per la preoccupante crisi economica del paese, a dare un
segnale di inversione di tendenza o di pari opportunita' a forme di
riduzione del conflitto sociale in corso e destinare i fondi di alcune spese
militari verso significative spese sociali.
A noi sembra che se cio' non avverra' il Parlamento perdera' molto nella sua
immagine sulla popolazione; la sfiducia nelle lotte democratiche e' alle
porte. Se lottare democraticamente per decenni con tenacia e passione non
produce risultati, viene meno anche nella societa' la possibilita' di
ridurre l'arroganza del piu' forte. Per questi motivi vi chiediamo una
risposta in merito alla gestione dell'Ufficio nazioanle epr il servizio
civile per quel che riguarda specificamente la qualificazione dei
serviziocivilisti sulla Difesa popoare nonviolenta e le ulteriori iniziative
dell'Ufficio sullo stesso tema.
Chiediamo inoltre che lo Stato formuli un "Libro bianco per la pace" che sia
riferimento per le Istituzioni, per le associazioni, per i singoli che molto
spesso svolgono significative azioni di pace, ma che lo Stato non raccoglie
per una verifica ed un'attenta valutazione.
*
Iniziativa promossa dalla Campagna Osm (Obiezione alle spese militari) per
la Difesa Popolare Nonviolenta
Centro coordinatore nazionale c/o Loc, via M. Pichi 1, 20143 Milano, tel.
028378817 - 0258101226, e-mail: locosm at tin.it
Aderiscono: Associazione per la pace, Beati i costruttori di pace, Loc (Lega
obiettori di coscienza), Centro studi difesa civile, "Guerra & Pace", Casa
per la pace di Milano, Berretti Bianchi, Comunita' Papa Giovanni XXIII, Lega
per il disarmo unilaterale; Pax Christi, Un ponte per... ed altre strutture
ancora.

5. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: NEL MONDO DI BUSH E DI BIN LADEN
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it)
per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali
collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre
1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e
alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una
lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il
responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso
numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in
rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche
un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento,
riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la
solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita'
pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti
di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni;
tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati
gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e
le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di
innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio
1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica
desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita'
umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione,
Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da
soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa
Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica,
Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali,
Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca
della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta'
internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente
insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di
politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale
viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997).
Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"]

In questo mondo di terroristi e di terroristi di Stato ci resta una
tristezza profonda che toglie le parole. Siamo ammutoliti prima davanti alle
diciannove vittime militari e civili dell'attentato contro la base italiana
di Nassiriya, nel sud dell'Iraq; poi davanti agli attentati a ripetizione di
Instabul. E' la guerra dopo la guerra. Anche la retorica militarista e
patriottica, di giornali e tv (peraltro incapaci di commemorare le otto
vittime irachene di Nassiriya), tende ad ammutolire le ragioni della pace.
E' vero: per molti italiani l'effetto piu' dirompente dell'attentato di
Nassiriya e' stato che il mondo e' diventato piu' piccolo e la guerra piu'
vicina. Tutto cio' ci dovrebbe chiamare all'ascolto di qualunque cosa
succeda ovunque e alla compassione di ogni ferita ovunque si apra. A
metterci ogni volta dalla parte di ogni vittima. Cosi' non e' stato. Di qua
la parola dolente di chi si oppone alla guerra, all'occupazione coloniale ed
arcaica, e chiede il ritiro dei nostri soldati; di la' la parola roboante
del governo, che galvanizza le viscere patriottiche con il "duro lavoro"
della guerra al terrorismo; e in mezzo solo sondaggi.
Ci resta questo sentimento che sempre ci prende di fronte alle vittime, ma
non sempre - come sarebbe dovuto - nella stessa misura, perche' e' piu'
facile mettersi nei panni di un prossimo simile a noi che di uno diverso.
Bisognerebbe interrogarsi maggiormente, piu' approfonditamente, sulla
necessita', la forza, di questo straordinario sentimento umano piu' grande,
che e' la compassione. Luigi Pintor parlava della "pietas"; parola che
comprende la rettitudine e la tenerezza, qualcosa di netto e concreto, come
gli atti di sorreggere e soccorrere qualcuno in difficolta'. "Non c'e' in
un'intera vita qualcosa piu' importante da fare che chinarsi perche' un
altro, cingendoti al collo, possa rialzarsi" (secondo l'espressione di
Pintor).
Per questo "pietas" non significa affatto pietismo sentimentale e neanche
generico senso di colpa, ma integrale senso di responsabilita', di
corresponsabilita'; riconoscendosi nell'interdipendenza della vita umana,
nella limitatezza, nella sostanza deperibile che fa l'essere umano uguale
all'altro essere umano. Nella certezza che il destino degli uomini sia
comune e cioe' uno solo, che tutti gli uomini siano accomunati dallo stesso
destino: non e' cosa ovvia, ne' pacifica. Intorno a noi cresce il cinismo di
chi afferma che l'uomo e' lupo per l'altro essere umano; di chi non sa o non
vuole vedere il dolore e lo proclama inesistente o lo tratta come fosse una
superstizione da antenati.
La "pietas", invece, e' la dimensione umana della politica, nel senso piu'
ampio del termine; di chi vuole rimuovere le ingiustizie che hanno
attraversato, e che attraversano, la storia dell'umanita'.
Soltanto la politica in senso proprio, cioe' uno sguardo che definisce il
momento, e i compiti, e le parole d'ordine, astraendo dalla quotidianita',
puo' dare la forza per affrontare le ingiustizie, piccole e grandi. Una
politica che sia capace di porsi accanto al dolore umano, e
contemporaneamente di sognare, di nutrirsi di un orizzonte utopico. Se e'
vero che tutte le cose piu' grandi della storia sono nate da sogni. Da
utopie accarezzate prima e cercate, progettate e organizzate politicamente.
Tutto secondo una logica storica che non permette di raggiungere "la terra
promessa" ma che, passo dopo passo, permette appunto di camminare, di
avvicinarsi sempre di piu' a cio' che si cerca, a quello che si desidera.
Perche', come sosteneva Oscar Wilde: "Un mappamondo nel quale non figurasse
l'utopia non meriterebbe di essere guardato, perche' gli mancherebbe l'unico
paese che l'umanita' visita giorno dopo giorno".

6. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: SULLA NECESSITA' DI UN'ANALISI E UN
INTERVENTO NONVIOLENTO IN IRAQ
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]

Mi capita in questi giorni di sentirmi assillata da alcuni interrogativi che
vorrei manifestare. La sinistra del paese chiede all'unisono il ritiro dei
nostri soldati in Iraq. Mi e' capitato sempre di leggere tale richiesta non
accompagnata da proposte e analisi  sulla situazione irachena. Perche'
prevale la tendenza a formulare una richiesta non accompagnata da proposte
alternatiche chiare?
Mi spiego: che cosa accadrebbe, presumibilmente, con il ritiro delle forze
militari occupanti? Che cosa potrebbe sostituire, come forma di governo (di
politica), il famigerato governo tirannico fatto fuori da una sciagurata
guerra americana? Che diritti abbiamo, noi occidentali, di intervenire?
Quali i limiti di un intervento perche' non diventi interferenza?
Ma dato che la globalita' e' una realta' da tempo, possiamo fare conto di
niente? Ulrich Beck spiega che globalita' significa che "viviamo da tempo in
una societa' mondiale, e questo nel senso che la rappresentazione di spazi
chiusi diviene fittizia. Nessun paese, nessun gruppo si puo' isolare
dall'altro. In tal modo si scontrano l'una contro l'altra le diverse forme
economiche, culturali, politiche, e cio' che si dava per scontato, anche nel
modello occidentale, deve trovare una nuova giustificazione" (Che cos'e' la
globalizzazione, Carocci, Roma 2002).
Un governo impostato sulla sharia (la legge islamica), la non separazione
tra stato e religione, avrebbe delle conseguenze anche sul resto del mondo,
oppure no. Qualcuno scrive che noi non possiamo imporre - e neppure
auspicare - la forma democratica cosi' come la pratichiamo noi. Ma un
governo tribale religioso islamico potrebbe essere voluto da una parte del
sistema religioso tribale e venire imposto. La componente laica del paese
potrebbe scoprirsi minoranza; o non avere i mezzi per imporsi. In queste
situazioni i governi degli altri paesi, occidentali o non, sono chiamati a
guardare in laico silenzio?

7. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: IRAQ. QUID AGENDUM? ALCUNE PRIME
RIFLESSIONI
La cessazione della guerra e dell'occupazione militare da parte delle
potenze che la guerra terrorista e stragista e l'invasione e occupazione
armata hanno condotto e stanno tuttora proseguendo, e' naturalmente
condizione indispensabile per avviare una prospettiva di pace e democrazia
in Iraq.
Solo il ritiro degli eserciti occupanti puo' dar luogo a un intervento
dell'Onu che sia ad un tempo di supporto alle istituzioni pubbliche locali
irachene nella ricostruzione di condizioni di sicurezza e vivibilita', e di
promozione di procedure e istituti democratici, secondo i criteri del
riconoscimento della sovranita' della popolazione irachena e del diritto di
essa ad un congruo risarcimento per le devastazioni e gli orrori subiti
dapprima da parte della dittatura lungamente sostenuta da quell'accolita di
cannibali che eufemisticamente chiamiamo "comunita' internazionale", poi
come conseguenza delle tre guerre scatenate in sequenza negli anni
ottanta-novanta, poi con il decennio della strage genocida decisa e compiuta
dall'Onu stessa con l'insensato scellerato embargo, poi con la guerra
tuttora in corso.
In questa situazione e' necessario ed urgente sperimentare un intervento
nonarmato e nonviolento: quello dei Corpi civili di pace come soggetti
promotori e garanti di ricostruzione di sicurezza e fiducia, di
riconciliazione e promozione dei diritti umani, di autentica azione di
"peacebuilding". L'Unione Europea potrebbe e dovrebbe prendere l'iniziativa
affinche' l'Onu - fatto un doveroso, esplicito, pubblico e credibile mea
culpa per la sciagurata decisione del decennale embargo, e tornata a
svolgere una funzione coerente con i fini sanciti nella sua Carta
fondamentale - promuova e coordini un intervento in tal senso, mettendo a
dsposizione risorse materiali e attivando presenze umane nonarmate e
nonviolente anche provenienti da altri paesi - ma necessariamente paesi non
coinvolti nel conflitto - e costruendo una sinergia con le organizzazioni
umanitarie gia' presenti nell'area o disponibili ad intervenire, le quali
possono garantire un modus operandi qualificato ed efficace.
Decisivo naturalmente e' l'invio di aiuti umanitari in ingente quantita' e
secondo il criterio di attivare forme di autoaiuto, partecipazione dal basso
in forme democratiche, dialogiche e consiliari, le risorse locali della
societa' civile e delle istituzioni di base; anche con la collaborazione di
ong che possano garantire forme di controllo che le risorse messe a
disposizione non divengano ulteriori strumenti di ricatto, o di estorsione
del consenso, o peggio strumento di reclutamento per gruppi di potere.
Altrettanto decisivo e' il disarmo generalizzato, che puo' essere promosso
solo con la persuasione e a condizione che si garantisca sicurezza ed aiuto:
a tal fine alcune esperienze gia' fatte altrove costituiscono esempi
significativi cui si puo' far riferimento, ma certo molto ci sara' da
sperimentare, passando anche attraverso percorsi non semplici (ad esempio
occorrera' valutare quanto, anche nella realta' irachena, esercito e
polizia - che sono quelli del precedente regime, ma sono pur sempre nel
contesto dato istituzioni nazionali e territorialmente distribuite - possano
costituire, preliminarmente epurate dei settori direttamente macchiatisi di
crimini e delle gerarchie complici della politica criminale della dittatura,
istituzioni utilizzabili, e in quali luoghi e contesti e con quali funzioni;
e quanto possano costituire embrioni istituzionali movimenti ed esperienze
legate ad altre affiliazioni).
Sara' certo un percorso non breve e non facile, ma quel che adesso piu'
conta e' la direzione che si prende: ed essa deve soddisfare
riassuntivamente i seguenti requisiti:
- che cessi la guerra, e quindi l'occupazione militare che e' principale
fattore belligeno;
- che si portino soccorsi urgenti e ingenti a tutte le vittime, quindi alla
popolazione intera;
- che si garantiscano condizioni di sicurezza e vivibilita';
- che si ricostituisca un tessuto istituzionale e si promuovano forme e
processi di dibattito pubblico, spazi civili di espressione politica;
- che a partire dalle istituzioni di base si promuovano e sostengano
processualita' democratiche ancorate al criterio della sovranita' popolare e
a quello della difesa e promozione dei diritti umani di tutti gli esseri
umani;
- che si intervenga dispiegando le risorse e le prospettive che solo la
nonviolenza organizzata puo' mettere a disposizione.

8. LIBRI. IDA DOMINIJANNI PRESENTA "TERRORISMO E TERRORISTI" A CURA DI MARCO
FOSSATI
[Dal quotidiano "Il manofesto" del 25 novembre 2003. Ida Dominijanni (per
contatti: idomini at ilmanifesto.it), giornalista e saggista, e' una
prestigiosa intellettuale femminista]

"Giugno 1914: a Sarajevo un ragazzo salta su una vettura e comincia a
sparare. L'arciduca Ferdinando muore. Dopo alcune settimane comincia la
prima guerra mondiale. Anni quaranta: la resistenza francese uccide i
soldati delle truppe di occupazione dove e appena puo'. Giugno 1944: a
Oradur-sur-Glane, nel centro della Francia, le SS si vendicano massacrando
642 abitanti. Agosto 1945: l'aereonautica degli Stati Uniti lancia le prime
bombe atomiche. Muoiono 190.000 giapponesi, quasi tutti civili. Dopo pochi
giorni finisce la seconda guerra mondiale. Quale di questi quattro
avvenimenti e' stato un atto terroristico? Quale ha ottenuto un risultato?
Quale, se ce n'e' uno, potrebbe essere giustificato dalla storia? E dalla
storia di chi? Il terrorismo non e' quel fenomeno da teppisti, chiaro,
definito, e che ci piace tanto condannare. Non esiste infatti una linea
precisa che distingue la politica dalla minaccia, la minaccia dall'uso della
forza, l'uso della forza dalla guerra, nascosta o palese che sia. Chi e'
terrorista? E chi non lo e'? L'attentatore suicida, la guerriglia ribelle,
il fronte di liberazione, le forze armate governative?".
Questa lunga citazione mirante, come si dice, a decostruire la parola
"terrorista" non e' tratta da un foglio estremista di oggi, ma da un
articolo non firmato dell'"Economist" del 2 marzo 1996, che compare in una
antologia di testi sul terrorismo curata da Marco Fossati (Terrorismo e
terroristi, Bruno Mondadori). Volumetto composto a uso dell'insegnamento
della storia nella scuola, ma utilissimo per intercettare con qualche grano
di saggezza il dibattito che imperversa sui giornali dopo gli ultimi atroci
attentati in Iraq e in Turchia.
Andando in cerca di una definizione certa del termine, Fossati si imbatte
nella storia incerta di "un fenomeno antico e complesso che viene spesso
interpretato con categorie solo emotive o ideologiche". Giacche' se la
parola compare nel linguaggio politico per la prima volta durante la
rivoluzione francese, e se la pratica terrorista attecchisce nei gruppi
rivoluzionari minoritari nella Russia di fine Ottocento, per rintracciarne
gli antecedenti si puo'' invece risalire ai sicari raccontati da Giuseppe
Flavio, o al martirio degli ismaeliti. E venendo a tempi piu' vicini bisogna
attraversare passaggi stretti e scomodi, come il rapporto fra terrorismo e
guerra partigiana, o la "sinistra tradizione mediorientale", come la chiama
Benny Morris, in cui dagli anni trenta in poi si confrontano il terrorismo
degli arabi e quello dei sionisti. E poi, ancora, il terrorismo rosso degli
anni settanta in Italia e in Germania, e il suo impatto sulle sinistre
europee. Solo in fondo a questa maratona si arriva alla svolta che l'11
settembre ha imposto nella percezione occidentale del fenomeno e nella sua,
tuttora incerta e controversa, configurazione e definizione.
*
La maratona non serve, sia chiaro, a diluire nell'indistinto i caratteri del
terrorismo suicida e islamico-fondamentalista con cui abbiamo a che fare
oggi. Ma, si chiede Fossati, "bisognera' allora considerare il terrorismo
come un problema che riguarda le societa' islamiche di oggi e i loro
rapporti con il resto del mondo? O non piuttosto come un fenomeno antico,
che ha trovato nella modernita' forme di manifestazione e vie di diffusione
particolarmente favorevoli, e nel quale si esprime oggi una frangia del
radicalismo religioso islamico cosi' come altre volte vi si e' espresso il
radicalismo politico laico?".
Insomma, non siamo nel mezzo di uno "scontro di civilta'", ma di un
sanguinoso conflitto politico. Nel quale, continua Fossati, non serve
condurre una guerra di religione, ma una lotta in difesa del diritto.
Due anni dopo l'11 settembre il punto resta infatti sempre lo stesso: se
quell'atto, e la successiva catena di stragi suicide da esso innescate,
siano definibili come atti di guerra da combattere con la guerra
("preventiva"), o come atti criminali da contrastare con il diritto penale e
internazionale.
L'unica risposta dotata di senno e' la seconda, come i fatti si stanno
incaricando di dimostrare. Con un'aggiunta pero', che ci sono ragioni che la
ragion giuridica non conosce, e di fronte alle quali disarma. Basta leggere
il testo dello psicologo S. Atran su "Come nasce un kamikaze" -
reclutamento, sentimenti, incentivi, addestramento - per realizzare che sul
terrorismo suicida la razionalita' politica e giuridica occidentale ha
ancora molto da interrogarsi e da capire.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it,
angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 742 del 27 novembre 2003