Ma perché?



Santi Greco - Peacelink





Ma perché?

Il buio è sceso nel nostro cuore quando si è diffusa la notizia della
strage di Nassiriya, nel sud dell'Iraq: diciotto militari italiani uccisi e
altri feriti. Perché, è quello che ci si chiede subito. Perché tanti uomini
sono stati inviati a prendere parte ad una guerra con tanta leggerezza?
Solo per rafforzare alleanze o trovarsi dalla parte del vincitore per
raccoglierne la gloria? Non è possibile pagare con la vita un tale
traguardo.
Cosa accade nel cuore dei famigliari all'arrivo di una notizia così
tragica? Basta tentare di mettersi nei loro panni, immaginare lo
sconvolgimento che subisce la loro vita, per rendersi conto che tutto
questo è assurdo. Quante altre tragedie devono accadere prima di fermarci?
Quante volte ci siamo posti questa domanda? Eppure perseveriamo ancora per
la stessa strada. Certo, viene naturale pensare che questo accade perché a
morire sono dei piccoli uomini sconosciuti, non certo i figli di chi ha
deciso di fare la guerra. Ma è meglio rimuovere questo pensiero, perché
esso aumenterebbe ancor di più la distanza che intercorre tra noi cittadini
e chi ci governa.
E' inutile che si dica, da parte delle autorità, che la missione in Iraq è
solo una missione umanitaria che è stata approvata dal Parlamento. In
questo caso il Parlamento non ha espresso la volontà degli italiani, che in
milioni hanno gridato il loro no alla guerra. Un no che non è stato
ascoltato. Se ciò che il popolo desidera non viene tenuto in conto, il
Parlamento non lo rappresenta più.
Nessuna missione può dirsi umanitaria se viene sostenuta dalle armi. Esiste
una assoluta incompatibilità tra le parole umanità e armi. L'umanità è
vita, l'arma è morte. Se c'è l'una non può esserci l'altra. Per cui
definire umanitaria una guerra è una grave menzogna.
Perché l'Italia si è impelagata in questa guerra? Per mostrare la sua
fedeltà all'alleato americano? Perché bisogna essere riconoscenti a chi ci
ha salvato quando eravamo in pericolo? Ma questa riconoscenza per quanto
tempo deve durare ed è necessario che si spinga fino a farci diventare
complici di delitti? Credo che dopo cinquant'anni di riconoscenza, sia
tempo di far sentire il proprio pensiero, anche se discorde da quello del
benefattore. Persino nella Bibbia si dice che ogni cinquanta anni si debba
celebrare un anno in cui ogni errore ed ogni debito venga condonato. Anche
il nostro debito è quindi già condonato.
Allora? Dobbiamo trovare il coraggio si saper dire di no. Il coraggio di
affermare che abbiamo sbagliato a non riflettere meglio su ciò che ci
apprestavamo a fare. Anche l'ammettere il proprio errore è un segno di
libertà e di serietà. Invece si sente già dire che dovremo aumentare la
nostra presenza in terra irachena. Ma non impareremo mai? Ci piace così
tanto la guerra da non provare a fare l'impossibile per scongiurarla?