Guatemala : ritorno al passato?



Il 9 novembre prossimo si terranno in Guatemala le elezioni per la nomina
del Presidente, del Vice presidente, dei deputati del Congresso e delle
autorità municipali. A  sette anni dalla firma degli Accordi di Pace che
hanno segnato  la fine di una guerra civile durata più di trent'anni e
costata  200.000 vittime, fra morti accertati e desaparecidos, e più di un
milione di profughi, la situazione dei diritti civili nel Paese è tornata ad
essere di straordinaria gravità: secondo la Missione di Verifica in
Guatemala delle Nazioni Unite, il Guatemala è oggi il Paese più pericoloso
dell'America Latina e il 2002 è stato definito l'anno peggiore dalla fine
della guerra civile per quanto riguarda i diritti umani.
Ancora una volta, l'emergenza diritti umani ha il suo fulcro in una
situazione di sostanziale impunità: la "Commissione di Chiarimento Storico",
costituitasi sotto l'egida delle Nazioni Unite in base agli Accordi di Pace
del 1996, aveva accertato in modo preciso crimini e violazioni, stabilendo,
tra l'altro, come in quattro aree del Paese l'esercito si fosse reso
responsabile del crimine di genocidio. Nella quasi totalità dei casi i
colpevoli delle violazioni accertate sono rimasti impuniti e le
raccomandazioni della Commissione sono rimaste lettera morta. L'antropologa
Myrna Mack, uccisa nel 1990 per aver denunciato il massacro di centinaia di
indigeni Maya, è solo uno dei migliaia di casi che aspettano ancora
giustizia.
E' in questo clima di impunità, di connivenza dei colpevoli con una parte
del sistema giudiziario, di disprezzo dei basilari diritti civili, che negli
ultimi anni la situazione è andata nuovamente deteriorandosi, con la
recrudescenza di gravi violenze nei confronti della parte più debole della
popolazione, indigeni, contadini, donne, e di coloro che cercano di lottare
per la legalità e la certezza del diritto, giornalisti, avvocati, attivisti
dei diritti umani. Emblematico di questo clima è  il caso del vescovo Juan
José Geradi, ucciso il 26 aprile del 1998, due giorni dopo aver presentato
il rapporto della commissione d'inchiesta della Chiesa guatemalteca sulle
atrocità commesse durante la guerra civile: nel corso del processo dieci
testimoni sono stati uccisi, molti altri hanno subito gravi intimidazioni,
quattro magistrati hanno dovuto abbandonare il Paese in seguito a minacce di
morte. Il processo, uno dei pochi per altro a non registrare solo
assoluzioni, non ha accertato l'esistenza di mandanti e si è concluso con la
condanna di un sacerdote e di tre militari di medio e basso grado, uno dei
quali è stato ucciso in carcere.

Con l'approssimarsi delle elezioni la violenza sta attraversando una fase di
intensa escalation: esecuzioni extragiudiziali, casi di tortura,
intimidazioni, minacce e attacchi personali ad attivisti politici,
giornalisti, membri di organizzazioni dei diritti umani. La violenza non si
ferma neppure di fronte a personaggi e istituzioni di rilevanza
internazionale: nell'agosto scorso è stato aggredito il Premio Nobel per la
Pace Rigoberta Menchù, è stato picchiato un suo collaboratore, è stata
ripetutamente devastata la sede della fondazione a lei intitolata.

Le elezioni di novembre rappresentano una grande opportunità per il
Guatemala, ma le premesse sono tutt'altro che positive, come dimostra il
fatto che fra i 12 candidati che corrono per la carica presidenziale ci sia
anche il Generale Rios Montt, autore del golpe del marzo 1982 e rimasto al
potere come Presidente sino all'Agosto 1983. La Commissione di Chiarimento
Storico ha accertato che durante i suoi 17 mesi di governo furono distrutti
400 villaggi Maya e uccise 17.000 persone, in quello che è stato il periodo
di maggiore violenza in trent'anni di guerra civile. La candidatura di Rios
Montt, che deve ancora essere giudicato per il crimine di genocidio, è stata
ritenuta ammissibile dalla Corte Costituzionale, nonostante che l'art. 186
della Costituzione guatemalteca stabilisca  l'ineleggibilità di chi ha
compiuto colpi di Stato.
Rios Montt è tornato a ricoprire importanti cariche con il ritorno al potere
nel 1999 della destra del Fronte Repubblicano Guatemalteco (FRG), partito
del Presidente uscente Alfonso Portillo: il generale è l'attuale Presidente
del Congresso e uomo-ombra del Presidente Portillo.

In questa situazione di eccezionale gravità la mobilitazione internazionale
è fondamentale. La Presidente di Amnesty International Irene Khan ha inviato
nel settembre scorso a tutti i candidati una "Lettera Aperta" nella quale li
invita a fare proprie  le dettagliate raccomandazioni di AI perché il
Guatemala torni alla legalità e al rispetto dei diritti umani, economici e
sociali. Contemporaneamente è stata varata un' Azione Regionale volta a
richiamare con urgenza l'attenzione delle istituzioni e dei cittadini di
tutti i Paesi democratici sulla gravità della situazione guatemalteca.
Soltanto la vigilanza di  tutti i Paesi democratici e delle organizzazioni
internazionali, soltanto la pressione della società civile di tutto il mondo
può porre un freno alle violenze in corso e garantire che gli elettori
guatemaltechi possano esprimere liberamente il proprio voto. Anche l'Italia,
fra i principali Pesi "donatori" del Guatemala dopo gli Accordi di Pace del
1996, deve vigilare in modo attivo e deve tornare a mettere il Guatemala
nell'elenco delle sue priorità internazionali.


Maria Cristina Fenoglio Gaddò

m.fenogliogaddo at amnesty.it