La nonviolenza e' in cammino. 721



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 721 del 3 novembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Se
2. 4 novembre: uscire dalla subalternita' al potere militare
3. Il 4 novembre a Viterbo: "ogni vittima ha il volto di Abele"
4. Osvaldo Caffianchi: sulla proposta di Lidia Menapace
5. Marcella Farina: il filo rosso della "Pacem in terris"
6. Giancarla Codrignani: quante sono le forme dell'obiezione?
7. Ancora sulla vicenda di Ofena
8. Marina Forti: la luce a Bilgaon
9. Enzo Scandurra presenta "Un mondo diverso e' necessario" di Carla
Ravaioli
10. Riletture: Mohandas K. Gandhi, Villaggio e autonomia
11. Riletture: Ivan Illich, La convivialita'
12. Riletture: Arundhati Roy, Guerra e' pace
13. Riletture: Ernst F. Schumacher, Piccolo e' bello
14. Riletture: Vandana Shiva, Terra madre
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. SE
Se in Italia ci fosse un movimento per la pace, giorno e notte non si
darebbe requie per cercar di far cessare la partecipazione italiana alla
guerra in Iraq.
Ma in italia ovviamente non c'e' un movimento per la pace.
Se in Italia ci fossero delle istituzioni sollecite della legalita'
costituzionale e dello stato di diritto, non si darebbero requie mane e sera
per cercar di far cessare la violazione dell'articolo 11 della Costituzione,
violazione che ci redne complici della perdurante guerra terrorista e
stragista e della sciagurata occupazione militare colonialista e criminale
dell'Iraq.
Ma in Italia evidentemente non ci sono istituzioni sollecite della legalita'
costituzionale e dello stato di diritto.

2. INIZIATIVE. 4 NOVEMBRE: USCIRE DALLA SUBALTERNITA' AL POTERE MILITARE
[Riproponiamo il seguente articolo gia' apparso nel n. 648 di questo foglio]

La proposta che il 4 novembre le persone di volonta' buona impegnate per la
pace promuovano iniziative pubbliche di ricordo delle vittime delle guerre,
e commemorazioni dinanzi ai sacrari e ai monumenti ai caduti, in cui quegli
esseri umani assassinati siano onorati con l'impegno solonne ad opporsi alle
guerre ed ai loro strumenti e apparati; e in silenzio reverente e solenne, e
severo ed austero, con la mera presenza ed ascolto, si smascheri l'ipocrisia
e l'infamia del chiassoso e cialtrone festeggiare le strutture che quelle
persone hanno assassinato; e' proposta che chiama quanti hanno orecchie per
ascoltare a un gesto limpido e corale, di impegno e di esame di coscienza.
Vorremmo venisse ripresa e riproposta ovunque in Italia l'iniziativa gia'
realizzata lo scorso anno a Viterbo di una cerimonia pubblica il 4 novembre
di deposizione di un omaggio floreale e di un recarsi e sostare in
meditazione composta e silente dinanzi a lapidi e sacelli delle vittime
delle guerre, cola' rinnovando un impegno di pace perche' mai pu' nessuno
quell'atroce sorte debba subire, celebrazione in tutto alternativa alle
fanfare e alle menzogne che connotano le cerimonie in quella data promosse
in complicita' alle strutture che quelle vittime hanno assassinato.
Si puo' e si deve uscire dalla subaternita' al potere militare e promuovere
una coscienza di pace che si traduca - come peraltro gia' previsto nel
corpus legislativo italiano - nella promozione di un modello di difesa - la
difesa popolare nonviolenta - che inveri il dettato costituzionale che
"ripudia la guerra"; e che si traduca altresi' nella decisione del disarmo e
della smilitarizzazione, poiche' le armi servono a uccidere, gli eserciti
servono a uccidere, e uccidere esseri umani e' il crimine piu' grande ed
occorre che si cessi di commetterlo e di permettere che commesso sia; e che
si traduca ancora e infine in aiuto a chi di guerre e violenze e' vittima
presente ancora in vita (o potenziale e di gia' nel terrore) - un aiuto
necessario e urgente affinche' la morte e la sofferenza non lo divori, e con
lui l'umanita' intera.
Si puo' e si deve far cessare l'ignobile festaggiamento delle "forze armate"
che offende le vittime dalle forze armate assassinate; si puo' e si deve
cominciare ad agire, anche con gesti simbolici e memoriali, di
coscientizzazione propria ed altrui, di presa in carico e testimonianza
personale - come appunto anche la realizzazione da parte dei movimenti di
pace, umanitari e per la nonviolenza della commemorazione pubblica delle
vittime delle guerre -  l'idea che il quattro novembre, ricordo che non
cicatrizza della "inutile strage", cessi di essere per i pubblici uffici e
nel comune sentire occasione per una vile idolatria dei poteri uccisori e
delle ideologie della morte, e diventi piuttosto la cerimonia dell'impegno
contro le guerre e contro gli strumenti e apparati alle guerre intesi; la
festa dell'abolizione delle forze armate.
Poiche' - come ha scritto una volta Heinrich Boell - ogni vittima ha il
volto di Abele; e solo costruendo la pace si ricordano e si onorano in
commozione e devozione filiale, fraterna e sororale, le vittime di tutte le
guerre; e solo impedendo nuove guerre si adempie al messaggio che dai luoghi
al ricordo di quelle vittime deputati promana: la voce del coro degli
assassinati, che chiede ancora e ancora pace, e luce, e vita.

3. INIZIATIVE. IL 4 NOVEMBRE A VITERBO: "OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE"
Una delegazione del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo il 4 novembre
2003, anniversario della conclusione della prima guerra mondiale, si
rechera' alle ore 8 a deporre un omaggio floreale ai monumenti che ricordano
le vittime di guerra in piazza del Sacrario a Viterbo.
Tale iniziativa, consistente nella deposizione dell'omaggio floreale e in un
minuto di meditazione silenziosa, intende essere momento di memoria e pieta'
verso le vittime di tutte le guerre e di affermazione del dovere di opporsi
a tutte le uccisioni e a tutte le guerre, nell'inveramento di quanto sancito
dalla Costituzione della Repubblica Italiana all'art. 11 laddove si afferma
nitidamente che "L'Italia ripudia la guerra".
Quanti - istituzioni, associazioni, persone - vorranno associarsi a tale
iniziativa saranno i benvenuti purche' si attengano ai seguenti criteri:
l'assoluta assenza di simboli di parte e di messaggi estranei all'intento di
memoria e pieta' per le vittime, la compostezza e il silenzio piu' rigorosi.

4. RIFLESSIONE. OSVALDO CAFFIANCHI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Osvaldo Caffianchi, collaboratore del "Centro di ricerca per la
pace" di Viterbo, per questo intervento]

Questo tengo per certo nei pensamenti miei: che o l'Europa scegliera' la
nonviolenza, o si ridurra' a un'appendice degradata della parte peggiore
dell'America.
E questo tengo per certo ancora: che o l'umanita' rinuncera' alla guerra, o
la guerra estinguera' l'umanita'.
E questo infine: che o il movimento per la pace sapra' scegliere e proporre
la nonviolenza, e l'opinione pubblica accoglierla, e le istituzioni
assumerla, e le legislazioni inverarla; o tanto cianciar di pace sara' solo
l'abbaiar di cani mentre la carovana dell'apocalisse passa e tutto a deserto
riduce.

5. RIFLESSIONE. MARCELLA FARINA: IL FILO ROSSO DELLA "PACEM IN TERRIS"
[Ringraziamo suor Marcella Farina (per contatti: mfarina at pfse-auxilium.org)
per averci messo a disposizione questa presentazione della "Pacem in terris"
di Giovanni XXIII, uno dei capolavori della cultura della pace. Marcella
Farina, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, illustre teologa, consigliera
della Pontificia Accademia di Teologia e docente alla Pontificia Facolta' di
Scienze dell'Educazione "Auxilium" a Roma, e' una delle voci piu' vive del
pensiero delle donne e della riflessione religiosa]

Non e' fuori luogo richiamare le coordinate fondamentali della "Pacem in
terris" il cui messaggio profetico e' stato accolto da tutti con stima e
gratitudine. Molti oggi condividono l'enciclica e la ritengono non solo
attuale, ma anticipatrice.
Giovanni XXIII la rese pubblica l'11 aprile, giovedi' santo, collegando la
pace al mistero pasquale del quale l'Eucaristia e' il memoriale permanente.
Fin dall'introduzione evidenzia il fondamento divino-umano della pace,
valorizzando la svolta antropologica moderna e raccordandola non
estrinsecamente, ma con profonda coerenza, con l'antropologia cristiana che
si radica sull'incarnazione, considerata non semplicemente come il momento
in cui il Figlio di Dio si e' fatto uomo, ma come la sua condizione
permanente, quindi come inclusiva di tutta la sua vicenda. Il Papa non
riduce antropologicamente il messaggio evangelico, mostra piuttosto
l'originalita' della rivelazione biblico-cristiana la quale afferma che Dio
e' alla ricerca dell'uomo. Giovanni Paolo II annota "Grazie al Verbo, il
mondo delle creature si presenta come 'cosmo', cioe' come universo ordinato;
(...) il Verbo, incarnandosi, rinnova l'ordine cosmico della creazione"
(Lettera apostolica Tertio millennio adveniente).
*
Interessante e' l'architettura del testo in cinque sezioni che scaturiscono
dalla prospettiva della rivelazione coniugata dentro la storia: 1) l'ordine
fra gli esseri umani, 2) rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici
all'interno delle singole comunita' politiche, 3) rapporti fra le comunita'
politiche, 4) rapporti degli esseri umani e delle comunita' politiche con la
comunita' mondiale, 5) richiami pastorali.
Ogni sezione conclude con il richiamo di alcuni segni dei tempi, e cio'
mostra la particolare cura di Giovanni XXIII nello scorgere i semi di bene
presenti nel mondo, nelle persone e nei popoli.
*
L'Introduzione (n. 1-4) sottolinea l'ordine nell'universo e negli esseri
umani perche' creati da Dio secondo una legge che e' quella della concordia
e della pace. Pertanto la Pace in terra e' anelito profondo degli esseri
umani di tutti i tempi e puo' venire instaurata e consolidata solo nel pieno
rispetto dell'ordine stabilito da Dio. I progressi delle scienze e le
invenzioni della tecnica attestano come negli esseri e nelle forze che
compongono l'universo, regni un ordine stupendo; attestano in particolare la
grandezza dell'uomo, che scopre tale ordine e crea gli strumenti idonei per
impadronirsi delle forze del cosmo per volgerle a suo servizio (1). I
progressi scientifici e le invenzioni tecniche manifestano innanzitutto la
grandezza infinita di Dio che ha creato l'universo e l'uomo. Ha creato
l'universo, profondendo in esso tesori di sapienza e di bonta' e ha creato
l'uomo intelligente e libero, a sua immagine e somiglianza, costituendolo
signore del creato (2). Esiste quindi l'ordine negli esseri umani (3-4).
*
Nella prima sezione (n. 5-25) il Papa insiste sull'ordine tra gli esseri
umani. L'ordine si regge sulla reciprocita' di diritti doveri. Il centro
tematico e': ogni essere umano e' persona, soggetto di diritti e di doveri.
I diritti sono universali, inviolabili, inalienabili (5).
Articola la riflessione sui diritti considerando il diritto all'esistenza e
ad un tenore di vita dignitoso (6), i diritti riguardanti i valori morali e
culturali (7), il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta
coscienza (8), il diritto alla liberta' nella scelta del proprio stato (9),
i diritti attinenti il mondo economico (10), il diritto di riunione e di
associazione (11), il diritto di emigrazione e di immigrazione (12), i
diritti relativi a contenuto politico (13).
Accanto ai diritti pone in maniera esplicita i doveri senza i quali i
diritti sono svuotati. Quindi, dopo aver sottolineato l'indissolubile
rapporto fra diritti e doveri nella stessa persona (14), considera la
reciprocita' di diritti e di doveri fra persone diverse (15), nella mutua
collaborazione (16), in attitudine di responsabilita' (17). Afferma che la
convivenza fra le persone e' possibile solo nella verita', nella giustizia,
nell'amore, nella liberta' (18s), nel riferimento esplicito dell'ordine
morale al fondamento oggettivo che e' il vero Dio, fonte della verita' (20).
*
In questa prima sezione parla di tre fenomeni che caratterizzano l'epoca
moderna.
Anzitutto considera l'ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici
(21). In secondo luogo evidenzia l'ingresso della donna nella vita pubblica
e la sua nuova consapevolezza, segno piu' esplicito nei popoli di civilta'
cristiana (22). Infine segnala le trasformazioni avvenute nella famiglia
umana: tutti i popoli si sono costituiti o si stanno costituendo in
comunita' politiche indipendenti (23).
Alla radice di questi segni il Papa scorge con particolare ottimismo la
convinzione largamente diffusa che tutti gli uomini sono uguali per dignita'
naturale, quindi le discriminazioni razziali non hanno piu' alcuna
giustificazione, almeno sul piano della ragione e della dottrina. Questa
acquisizione rappresenta una pietra miliare nella edificazione di una
convivenza umana. Infatti, nella coscienza dei diritti non puo' non sorgere
la consapevolezza dei rispettivi doveri, in particolare il dovere di far
valere i diritti come esigenza ed espressione della dignita' umana, il
dovere di riconoscere tali diritti e di rispettarli (24). Quando i rapporti
della convivenza si pongono in termini di diritti e di doveri, gli esseri
umani si aprono sul mondo dei valori spirituali e comprendono che cosa sia
la verita', la giustizia, l'amore, la liberta', e diventano consapevoli di
appartenere a quel mondo. Su questa strada si aprono pure a conoscere meglio
il vero Dio, trascendente e personale, e ad assumere il rapporto fra se
stessi e Dio a solido fondamento e a criterio supremo della loro vita, di
quella che vivono nell'intimita' di se stessi e di quella che vivono in
relazione con gli altri (25).
*
Nella seconda sezione considera i rapporti tra gli esseri umani e i poteri
pubblici all'interno delle singole comunita' politiche.
Mette in luce la necessita' dell'autorita' nella convivenza umana e la sua
origine divina. Precisa che proprio perche' di origine divina, va esercitata
secondo l'ordine del Creatore. Non e' quindi un'autorita' incontrollata, ma
secondo ragione; non e' fondata sulla minaccia, ma nella realizzazione del
bene comune. Proprio perche' viene dalla Provvidenza puo' obbligare
moralmente solo in quanto e' da Dio e rispetta questa origine, quindi solo
rispettando e favorendo la dignita' della persona, non per la sudditanza;
altrimenti e' iniqua (26-31); l'attuazione del bene comune e' ragione
d'essere dei poteri pubblici, ma il bene comune ha attinenza con la natura
umana e non solo con elementi etnici, quindi e' un bene a cui tutti hanno
diritto con giustizia ed equita', va attuato a favore di tutto l'uomo
secondo una gerarchia di valori (32).
In questa direzione esplicita alcuni aspetti fondamentali del bene comune
(33-35); i relativi compiti dei poteri pubblici e i diritti e doveri della
persona (36); l'armonica composizione ed efficace tutela dei diritti e
doveri della persona (37); il dovere di promuovere i diritti della persona
(38s); l'equilibrio fra le due forme di intervento dei poteri pubblici (40);
la struttura e il funzionamento dei poteri pubblici (41s); l'ordinamento
giuridico e la coscienza morale (43); la partecipazione dei cittadini alla
vita pubblica (44).
*
Tra i segni dei tempi richiama la carta dei diritti fondamentali degli
esseri umani; il tentativo di fissare in termini giuridici, attraverso le
costituzioni, le vie attraverso le quali si formano i poteri pubblici, i
loro reciproci rapporti, le sfere di loro competenza, i modi o metodi
secondo cui sono tenuti a operare. Si stabiliscono, quindi, in termini di
diritti e di doveri i rapporti tra i cittadini e i poteri pubblici; e si
ascrive ai poteri pubblici il compito preminente di riconoscere, rispettare,
comporre armonicamente, tutelare e promuovere i diritti e i doveri dei
cittadini (45).
Gli esseri umani hanno acquistato una coscienza piu' viva della propria
dignita', coscienza che, mentre li sospinge a prendere parte attiva alla
vita pubblica, esige pure che i diritti della persona - diritti inalienabili
e inviolabili - siano riaffermati negli ordinamenti giuridici positivi; ed
esige inoltre che i poteri pubblici siano formati con procedimenti stabiliti
da norme costituzionali, ed esercitino le loro specifiche funzioni
nell'ambito di quadri giuridici (46).
*
Nella terza sezione parla dei rapporti fra le comunita' politiche segnalando
i soggetti di diritti e di doveri (47s), che si fondano nella verita' (49s),
secondo giustizia (51).
In questa luce sono considerate le minoranze che vanno accolte secondo
dignita' (52s), nella solidarieta' operante (54s).
Non puo' esistere diritto e pace se non vi e' equilibrio tra popolazione,
terra e capitali (56).
Affronta quindi il problema dei profughi politici con il sentimento di
universale paternita' che il Signore ha acceso nel suo animo, per cui sente
profonda amarezza nel considerare il fenomeno dei profughi politici, un
fenomeno di proporzioni ampie che nasconde innumerevoli e acutissime
sofferenze (57s).
Propone la via del disarmo perche' gli armamenti, oltre che assorbire
ingenti energie spirituali e risorse economiche, genera sfiducia nei
rapporti tra persone e popoli. Tuttavia non basta il bando alle armi (59s),
bisogna disarmare gli spiriti dalla psicosi bellica e sostituire al criterio
dell'equilibrio degli armamenti il criterio della vicendevole fiducia su cui
si edifica la vera pace (61). E' un appello alla ragione per evitare il
pericolo della guerra (62), un appello che, come vicario di Cristo, lancia
facendosi interprete dell'anelito piu' profondo dell'intera famiglia umana
(63). I rapporti tra le comunita' politiche vanno regolati nella liberta'
(64). Guarda con fiducia l'ascesa delle comunita' politiche in fase di
sviluppo economico (65).
*
Tra i segni dei tempi segnala la persuasione sempre piu' condivisa che le
eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il
ricorso alle armi; ma attraverso il negoziato. Questo soprattutto in
considerazione del potere distruttivo delle armi moderne che possono
provocare distruzioni immani e dolori immensi. Riesce quasi impossibile
pensare che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come
strumento di giustizia. Il Papa annota come tra i popoli spesso regni ancora
la legge del timore che li sospinge a spese ingenti in armamenti. Mette in
luce come gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio
i vincoli che li legano in quanto membri della comune umanita', che una fra
le piu' profonde esigenze e' che regni non il timore, ma l'amore, tradotto
nella collaborazione leale e multiforme, apportatrice di molti beni (67).
*
La quarta sezione considera i rapporti degli esseri umani e delle comunita'
politiche con la comunita' mondiale.
Sottolinea l'interdipendenza tra le comunita' politiche e l'insufficienza
dell'attuale organizzazione dell'autorita' pubblica nei confronti del bene
universale (68-70). Esso puo' essere realizzato fondandosi sull'ordine
morale rapportando contenuti storici del bene comune, struttura e
funzionamento dei poteri pubblici (71). I poteri pubblici vanno istituiti di
comune accordo, non possono essere imposti con la forza (72). Il bene comune
universale e' tale perche' si radica nella natura umana e quindi rispetta i
diritti della persona (73).
Nella modulazione dei rapporti, di cui parla nella sezione, propone il
principio di sussidiarieta': "Come i rapporti tra individui, famiglie, corpi
intermedi, e i poteri pubblici delle rispettive comunita' politiche,
nell'interno delle medesime, vanno regolati secondo il principio di
sussidiarieta', cosi' nella luce dello stesso principio vanno regolati pure
i rapporti fra i poteri pubblici delle singole comunita' politiche e i
poteri pubblici della comunita' mondiale. Cio' significa che i poteri
pubblici della comunita' mondiale devono affrontare e risolvere i problemi a
contenuto economico, sociale, politico, culturale che pone il bene comune
universale; problemi pero' che per la loro ampiezza, complessita' e urgenza
i poteri pubblici delle singole comunita' politiche non sono in grado di
affrontare con prospettiva di soluzioni positive" (74).
*
Tra i segni dei tempi menziona l'emergere di organismi internazionali
finalizzati a risolvere i conflitti con gli accordi e a custodire e
promuovere la pace. Il riferimento particolare e' al 26 giugno 1945, data di
fondazione dell'Organizzazione delle Nazione Unite, alla quale si
collegarono gli istituti intergovernativi con vasti compiti internazionali
in campo economico, sociale, culturale, educativo, sanitario. L'Onu e' stata
costituita proprio con la finalita' essenziale di mantenere e consolidare la
pace fra i popoli, sviluppando fra essi le amichevoli relazioni, fondate sui
principi della uguaglianza, del vicendevole rispetto, della multiforme
cooperazione in tutti i settori della convivenza. La Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo, approvata in Assemblea Generale il 10
dicembre 1948, e' uno dei suoi atti piu' importanti e carichi di speranza.
Infatti nel preambolo la Dichiarazione proclama come ideale da perseguirsi
da tutti i popoli e da tutte le nazioni l'effettivo riconoscimento e
rispetto di quei diritti e delle rispettive liberta'. Essa, sebbene in
qualche punto particolare possa sollevare obiezioni e fondate riserve, segna
un passo importante nel cammino verso l'organizzazione giuridico-politica
della comunita' mondiale, perche' riconosce, nella forma piu' solenne, la
dignita' di persona a tutti gli esseri umani; di conseguenza proclama il
fondamentale diritto per ogni persona di muoversi liberamente nella ricerca
del vero, nell'attuazione del bene morale e della giustizia; il diritto a
una vita dignitosa; riconosce gli altri diritti connessi con questi. Il Papa
auspica che l'Onu - nelle strutture e nei mezzi - possa rispondere sempre
piu' alla vastita' e nobilta' dei suoi compiti; e che un giorno i singoli
esseri umani possano trovare in essa una tutela efficace in ordine ai
diritti che scaturiscono immediatamente dalla loro dignita' di persone,
diritti universali, inviolabili, inalienabili.
Un altro aspetto importante e' che i singoli esseri umani, mentre
partecipano sempre piu' attivamente alla vita pubblica delle proprie
comunita' politiche, mostrano un crescente interessamento alle vicende di
tutti i popoli, e avvertono con maggiore consapevolezza di essere membra
vive di una comunita' mondiale (75).
*
Nella quinta sezione, il Papa insiste sul dovere dei cristiani di
partecipare alla vita pubblica, li esorta ad "adoprarsi nella luce della
fede e con la forza dell'amore, perche' le istituzioni a finalita'
economiche, sociali, culturali e politiche, siano tali da non creare
ostacoli, ma piuttosto facilitare o rendere meno arduo alle persone il loro
perfezionamento: tanto nell'ordine naturale che in quello soprannaturale"
(76); li incoraggia ad acquisire la corrispettiva competenza scientifica,
capacita' tecnica, esperienza professionale (77). Sottolinea che tali
conoscenze sono necessarie, ma non sufficienti per ricomporre i rapporti
all'interno della famiglia umana il cui fondamento e' la verita', misura e
obiettivo la giustizia, forza propulsiva l'amore, metodo di attuazione la
liberta'. Esorta cosi' a operare una sintesi di elementi
scientifico-tecnico-professionali e di valori spirituali (78), e a
ricomporre in una sintesi unitaria fede religiosa e attivita' a contenuto
temporale, una ricomposizione difficile per la frattura che si e' operata
soprattutto in alcuni contesti fra credenza religiosa e azione a contenuto
temporale, mentre la fede e' faro che illumina e la carita' forza che
vivifica (79).
Richiama lo sviluppo integrale degli esseri umani in formazione "l'accennata
frattura nei credenti fra credenza religiosa e operare a contenuto
temporale, e' il risultato, in gran parte se non del tutto, di un difetto di
solida formazione cristiana. Capita infatti, troppo spesso e in molti
ambienti, che non vi sia proporzione fra istruzione scientifica e istruzione
religiosa: l'istruzione scientifica continua ad estendersi fino ad attingere
gradi superiori, mentre l'istruzione religiosa rimane di grado elementare.
E' percio' indispensabile che negli esseri umani in formazione, l'educazione
sia integrale e ininterrotta; e cioe' che in essi il culto dei valori
religiosi e l'affinamento della coscienza morale procedano di pari passo con
la continua sempre piu' ricca assimilazione di elementi scientifico-tecnici;
ed e' pure indispensabile che siano educati circa il metodo idoneo secondo
cui svolgere in concreto i loro compiti" (80).
Sottolinea che la pace e' impegno costante (81), incoraggia a svolgerlo
intessendo rapporti fra cattolici e non cattolici in campo
economico-sociale-politico proprio perche' gran parte del campo di azione e'
relativa alle esigenze insite nella natura umana, quindi fanno parte del
diritto naturale (82).
Cosi' si puo' collaborare anche con chi non crede in Gesu' Cristo,
distinguendo errore da errante (83); inoltre le dottrine non sono i
movimenti, le prime sono formulate e fisse, i secondi evolvono (84).
"Pertanto, puo' verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine
pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece lo sia o lo
possa divenire domani. Decidere se tale momento e' arrivato, come pure
stabilire i modi e i gradi dell'eventuale consonanza di attivita' al
raggiungimento di scopi economici, sociali, culturali, politici, onesti e
utili al vero bene della comunita', sono problemi che si possono risolvere
soltanto con la virtu' della prudenza, che e' la guida delle virtu' che
regolano la vita morale, sia individuale che sociale. Percio', da parte dei
cattolici tale decisione spetta in primo luogo a coloro che vivono od
operano nei settori specifici della convivenza, in cui quei problemi si
pongono, sempre tuttavia in accordo con i principi del diritto naturale, con
la dottrina sociale della Chiesa e con le direttive della autorita'
ecclesiastica. Non si deve, infatti, dimenticare che compete alla Chiesa il
diritto e il dovere non solo di tutelare i principi dell'ordine etico e
religioso, ma anche di intervenire autoritativamente presso i suoi figli
nella sfera dell'ordine temporale, quando si tratta di giudicare
dell'applicazione di quei principi ai casi concreti" (85).
Propone il metodo della gradualita' che e' la legge della vita in tutte le
sue espressioni: non nella rivoluzione, ma nell'evoluzione concordata sta la
salvezza e la giustizia. La violenza abbatte, non affratella (86). Siamo di
fronte ad un compito immenso che possiamo adempiere solo con la forza
soprannaturale (87s). Di qui la preghiera al Principe della pace (89s). E'
questa un'impresa tanto nobile ed alta che le forze umane, anche se animate
da ogni lodevole buona volonta', non possono da sole portare ad effetto. E'
dono.
*
Giovanni XXIII con l'enciclica ha richiamato l'attenzione del mondo sulla
pace come ideale superiore alle divisioni dei blocchi ideologici e delle
contrapposizioni politiche, indicandola come la sintesi dei valori
fondamentali per la realizzazione dell'umanita'.
L'autorevolezza e l'efficacia di tale messaggio non hanno bisogno di essere
documentate. Basti pensare che nella primavera del 1963 fu insignito del
Premio Balzan per la pace a testimonianza del suo impegno a favore della
pace con la pubblicazione delle encicliche Mater et Magistra (1961) e Pacem
in terris (1963), e del suo decisivo intervento in occasione della grave
crisi di Cuba nell'autunno del 1962.
Che dire poi delle ultime settimane della sua vita, quando tutto il mondo si
trovo' spiritualmente presente trepidante attorno al suo capezzale ed
accolse con profondo dolore la notizia della sua scomparsa la sera del 3
giugno 1963?
Profezia di pace e' stata la sua vita stessa. Unanimemente l'umanita' glielo
riconosce.
Egli ha visto semi di bene, ha seminato e coltivato i semi di bene e li ha
visti presenti anche in persone ritenute fuori e contro la chiesa.
In occasione della sua beatificazione Giovanni Paolo II la domenica 3
settembre 2000, partendo dall'antifona d'ingresso: "Tu sei buono e pronto al
perdono", ha delineato cosi' i tratti caratteristici di Papa Giovanni:
"Giovanni XXIII, il Papa che colpi' il mondo per l'affabilita' del tratto,
da cui traspariva la singolare bonta' dell'animo (...). Di Papa Giovanni
rimane nel ricordo di tutti l'immagine di un volto sorridente e di due
braccia spalancate in un abbraccio al mondo intero. Quante persone sono
restate conquistate dalla semplicita' del suo animo, congiunta ad un'ampia
esperienza di uomini e di cose! La ventata di novita' da lui portata non
riguardava certamente la dottrina, ma piuttosto il modo di esporla; nuovo
era lo stile nel parlare e nell'agire, nuova la carica di simpatia con cui
egli avvicinava le persone comuni e i potenti della terra. Fu con questo
spirito che egli indisse il Concilio Ecumenico Vaticano II, col quale apri'
una nuova pagina nella storia della Chiesa: i cristiani si sentirono
chiamati ad annunciare il Vangelo con rinnovato coraggio e con piu' vigile
attenzione ai 'segni' dei tempi. Il Concilio fu davvero un'intuizione
profetica di questo anziano Pontefice che inauguro', pur tra non poche
difficolta', una stagione di speranza per i cristiani e per l'umanita'.
Negli ultimi momenti della sua esistenza terrena, egli affido' alla Chiesa
il suo testamento: 'Cio' che piu' vale nella vita e' Gesu' Cristo benedetto,
la sua Santa Chiesa, il suo Vangelo, la verita' e la bonta''. Questo
testamento vogliamo raccogliere oggi anche noi, mentre rendiamo gloria a Dio
per avercelo donato come Pastore".
*
La lettera enciclica Pacem in terris non e' solo una riflessione teologica
ma una illuminazione politica ai potenti del pianeta; influi' positivamente
sul processo di distensione internazionale.

6. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: QUANTE SONO LE FORME DELL'OBIEZIONE?
[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per
questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli
obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista,
impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e'
tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace
e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai
telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le
altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994]

Strettamente collegata con la nonviolenza e' l'obiezione di coscienza al
servizio militare, che gli stati hanno faticato a riconoscere perche' impone
che i diritti soggettivi vengano prima dei doveri imposti.
Non manca chi pensa, anche nell'ambito pacifista, che la
professionalizzazione dell'esercito rende superfluo il rifiuto di chi non e'
piu' obbligato a prestare servizio armato. Ma la questione e' meno
schematica, sia perche' il servizio civile non garantisce (si potra' essere
trasferiti dal "civile" al "militare" se e' insufficiente il numero dei
volontari), sia perche' l'obiezione e' una filosofia in progress.
Chi obietta non si limita a dire che non vuole tenere in mano un'arma, ma
esprime il proprio rifiuto della violenza implicita nelle istituzioni che,
dette "difensive", presuppongono le guerre. L'obiettore prefigura, infatti,
la risoluzione dei conflitti solo con i mezzi della prevenzione, della
diplomazia, della politica. In questo senso obiettare e' alternativo al
servizio militare e non sostitutivo.
Resta, tuttavia, vero che la professionalita' militare cambia le condizioni
ormai tradizionali. In presenza di una diversa configurazione degli
eserciti - non dimentichiamo che gli stati hanno ceduto il controllo sociale
della leva obbligatoria solo perche' le nuove tecnologie hanno trasformato
le guerre - la moralita' dei comportamenti difensivi non puo' essere
affidata al solo vincolo del giuramento di obbedienza agli ordini.
Quello del militare non e' "un mestiere come un altro", ma i nonviolenti non
possono ripetere, a rovescio, la discriminazione che li ha interdetti e che
ha negato la possibilita' di obiettare a chi fosse cacciatore. Io sono
contrarissima alla caccia, ma non mi nascondo che uccidere animali e' cosa
diversa dall'omicidio. Nella seconda guerra mondiale, cosi' come
recentemente in Bosnia, in non pochi processi e' stata ribadita la
responsabilita' personale dei crimini di guerra: gli ordini che violano i
diritti umani non hanno a che vedere con l'onore militare, ed e' doveroso
disattenderli.
Chi ritiene che le guerre, comunque agite, non abbiano mai avuto a che
vedere con qualunque senso di onorabilita' non puo' oggi abbandonare al loro
destino i militari. Le guerre "umanitarie", "preventive", "chirurgiche",
sono propagandate come "operazioni di pace" e il professionista puo' credere
alle condizioni di necessita' che le configurano. L'obiettore, d'altro
canto, sa bene di non avere il potere di impedire le guerre, ma solo quello
di anticipare al mondo un messaggio "metodologico" di pace. Le guerre
purtroppo continueranno oltre le nostre generazioni: e' importante non solo
rifiutarle a priori, ma fare in modo che anche chi e' soldato comprenda la
disumanita' della violenza, pur dichiarata dalle autorita' legittime.
La stampa ha riferito che un antimilitarista, che aveva rifiutato il
servizio sia militare sia civile, e' stato indagato non per aver obiettato,
ma per aver scritto al distretto di non poter fare parte di
"un'organizzazione criminale"; le autorita' militari e ministeriali
dovrebbero leggere Freud, che dava lo stesso giudizio sulla violenza
"legale" dell'istituzione preposta un tempo all'organizzazione della guerra
e oggi della difesa. Sembra che, dopo tanti ragionamenti negli anni che
partono dalla legge 772 del 1972, si possa tornare indietro; mentre bisogna
andare avanti.
Leggo oggi su "Repubblica"che un marine americano, George Pogany, e' sotto
processo "per codardia", per aver vomitato ed essere divenuto incapace di
proseguire "davanti ai corpi massacrati dalle nostre mitragliatrici". Gia'
da mesi i refusenik israeliani ci fanno intendere che il ripudio della
violenza puo' afferrare la coscienza di militari "che avevano giurato".
Codardia? vilta'? oppure coraggio da parte di chi ha capito il limite di una
lealta' che non puo' rendere schiava la coscienza?
La "celebrazione" del 4 novembre e' un'opportunita' per riflettere anche su
questi casi e per riflettere se non dobbiamo ripensare la filosofia
dell'obiezione ed estenderla per legge ai militari professionisti in
servizio.

7. RIFLESSIONE. ANCORA SULLA VICENDA DI OFENA
Continuano a pervenire anche al nostro foglio numerosi interventi e
segnalazioni sulla vicenda di Ofena, che evidentemente tocca e suscita
sentimenti profondi; nei prossimi giorni presenteremo ancora alcuni altri
punti di vista di persone che molto amiamo e stimiamo e che apportano, a noi
sembra, ulteriori pregevoli contributi alla riflessione comune in spirito di
assoluto rispetto per la dignita' e la coscienza di ogni essere umano.
Vorremmo fin d'ora segnalare, tra varie altre fonti, che alcuni acuti
interventi possono essere letti nel sito de "Il dialogo"
(www.ildialogo.org), un'esperienza fortemente impegnata a sostegno del
dialogo cristiano-islamico; e nell'ampio prezioso allegato al numero 11 del
novembre 2003 del "Foglio di comunita'" della comunita' cristiana di base di
Pinerolo (e-mail: info at viottoli.it, sito: www.viottoli.it).

8. ALTERNATIVE NONVIOLENTE. MARINA FORTI: LA LUCE A BILGAON
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo novembre 2003. Marina Forti,
giornalista, particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti
umani, del sud del mondo, della globalizzazione, e' un'esperta di questioni
ecologiche globali]

Ogni sera, quando fa scuro, nei dodici gruppi di case che compongono il
villaggio di Bilgaon si accendono le lampadine.
E' una notizia: fino a pochi mesi fa non c'era luce elettrica a Bilgaon,
sulle colline di Satpuda, nella valle del fiume Narmada, stato del
Maharashtra, India centrale. Tutto e' cambiato con la diga. Non la diga di
Sardar Sarovar, alta ormai 100 metri (nei progetti arrivera' a 136) e
costata parecchie centinaia di milioni di dollari, che produce energia
elettrica per le citta' dello stato del Gujarat. E neppure le altre grandi
dighe che hanno tagliato il fiume Narmada costringendo quasi un milione di
persone a spostarsi o cercare altra terra da coltivare.
E' un semplice terrapieno alto due metri che ha fornito energia elettrica a
Bilgaon. E' stato realizzato dagli stessi abitanti del villaggio, con la
People's School of Energy (Scuola popolare dell'energia) del Kerala, stato
dell'India meridionale, e gli attivisti della Narmada Bachao Andolan,
"Campagna per salvare la valle di Narmada" (dalle megadighe). E' un esempio
delle "attivita' di ricostruzione" di cui parla Medha Patkar [si veda
l'intervista che abbiamo riprodotto nel notiziario di ieri - ndr], leader
riconosciuta del movimento contro le dighe di Narmada.
Il lavoro e' cominciato circa un anno fa, a meta' del 2002. Sei mesi dopo,
il primo esempio di villaggio dotato di elettricita' e' stato inaugurato dal
ministro per lo sviluppo rurale del Maharashtra (e' uno dei tre stati
rivieraschi del Narmada. La diga e' nel territorio del Gujarat, ma la gran
parte del'area sommersa dal lago artificiale si trova negli stati del Madhya
Pradesh e in misura minore Maharashtra).
Il progetto "hydel" usa l'energia prodotta da una cascata naturale su un
piccolo affluente, il fiume Uday. Il terrapieno permette di immagazzinare in
un reservoir 150.000 litri d'acqua, che poi e' incanalata in una cisterna
capace di trentamila litri. L'acqua ne defluisce al ritmo di 400 litri al
secondo da un'altezza di 8 metri per azionare una turbina, che a sua volta
fa funzionare un generatore al ritmo di 1.500 rotazioni per minuto. Questo
basta per dare elettricita' a tutte le dodici padas (agglomerati di case) da
cui e' composto il villaggio, tutti nel raggio di 4 chilometri. Nei mesi in
cui il fiume e' in piena, il villaggio ha elettricita' 24 ore al giorno. Nei
mesi di secca l'elettricita' e' garantita per 4 ore al giorno, dopo
l'imbrunire.
Il senso del progetto e' politico: "E' la politica dell'acqua, l'uso e il
controllo delle risorse, l'intero paradigma dello sviluppo nel paese. E' per
questo che combatte la Narmada Bachao Andolan, ed e' per questo che siamo
venuti qui", dice K. Anil, della Scuola popolare dell'energia (a
"Frontline", quindicinale indiano che nell'ultimo numero ha dedicato un
lungo servizio a "Il modello di Bilgaon"). Gli attivisti della Narmada
Bachao Andolan sono molto orgogliosi dei paragoni - tutti in negativo - con
la diga di Sardar Sarovar.
La megaopera costata tanti soldi e sofferenza umana produce in realta' molta
meno elettricita' di quanto annunciato, e non un solo kilowatt per i
villaggi dei "tribali" della valle di Narmada. Il kilowattora prodotto dalla
grande diga costa cinquantaseimila rupie, quello prodotto dal piccolo
progetto "hydel" ne costa quarantamila (ci vogliono 53 rupie per fare un
euro). E' un esempio di piccola opera sostenibile, dicono, usata in modo
accorto per il bene comune. Il canale per l'acqua ad esempio e' stato
scavato nella roccia per evitare di sommergere terra agricola. Di giorno
l'energia generata serve a pompare acqua potabile. L'aumentata
disponibilita' d'acqua nel piccolo reservoir ha fatto si' che ora il
villaggio pensa a un secondo raccolto nel corso dell'anno. Le turbine
servono alternativamente a far funzionare un mulino. Per garantire l'uso a
beneficio di tutti il villaggio ha formato un'associazione, la Bilgaon
Navnirman Samiti, e hanno deciso di dare priorita' all'illuminazione, poi la
pompa dell'acqua potabile, i possibili usi agricoli o per le attivita'
artigianali, e il divertimento - nel villaggio ci sono 5 televisori. Il
costo e' stato fissato in 10 rupie per lampadina e 30 per televisore al
mese. Il microprogetto "hydel" ha cambiato la vita di Bilgaon.

9. LIBRI. ENZO SCANDURRA PRESENTA "UN MONDO DIVERSO E' NECESSARIO" DI CARLA
RAVAIOLI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 ottobre 2003.
Enzo Scandurra e' docente di ingegneria del territorio all'Universita' di
Roma "La Sapienza"; tra le sue molte pubblicazioni: Le basi dell'urbanistica
(1986), L'ambiente dell'uomo (1995), Ambiente e pianificazione (a cura di,
1995), Citta' del terzo millennio (1997), La citta' che non c'e' (1999), I
futuri della citta' (due volumi, in collaborazione, 1999), Gli storni e
l'urbanista (2001), Labirinti della citta' contemporanea (a cura, con Carlo
Cellamare e Patrizia Bottaro, 2001).
Carla Ravaioli e' un'autorevole giornalista e saggista, si e' occupata
principalmente di movimenti sociali, dell'oppressione sulle donne, di
economia e di ambiente. Tra le opere di Carla Ravaioli: La donna contro se
stessa, Laterza 1969; Maschio per obbligo, Bompiani 1973; La questione
femminile, 1976; Il quanto e il quale. La cultura del mutamento, Laterza
1982; Tempo da vendere, tempo da usare, Angeli 1986; (con Enzo Tiezzi),
Bugie, silenzi, grida. La disinformazione ecologica in un'annata di cinque
quotidiani, Garzanti 1989; Il pianeta degli economisti, ovvero l'economia
contro il pianeta, Isedi 1992]

Mano a mano che la tecnologia si fa piu' raffinata cresce la nostra
dipendenza da essa e la nostra assuefazione alle macchine e ai sistemi
intelligenti. Il grande black-out che ha colpito l'Italia ha rafforzato la
sensazione che senza una tecnologia raffinata non possiamo piu' vivere. Ma
siamo davvero liberi di scegliere?
L'homo technologicus non e' "uomo-piu'-tecnologia", ma una nuova unita'
evolutiva e antropologica. Non sarebbe saggio (anche se fosse possibile)
tornare indietro - diceva Bateson - poiche' cio' comporterebbe la perdita
della saggezza che ci avrebbe spinti a questo ritorno e non farebbe che
rimettere in moto daccapo tutto il processo. Andando semplicemente avanti,
pero', possiamo anche imboccare un vicolo cieco del processo evolutivo, come
quel tale che segava il ramo cui era seduto. D'altra parte la nostra
economia non ci consente neppure l'opzione della crescita zero; i consumi
energetici, insieme al Pil, non possono che aumentare e, con essi, la nostra
dipendenza dalle leggi del mercato, dei consumi, dallo sperpero di risorse
del pianeta. Nessuno, naturalmente, vuole tornare indietro, ma una civilta'
elevata dovrebbe limitare le proprie interazioni con l'ambiente. Dovrebbe
consumare risorse naturali non rinnovabili solo allo scopo di facilitare i
mutamenti necessari. Per il resto il metabolismo della civilta' deve
dipendere dall'energia che l'astronave Terra riceve dal Sole.
Quanto accaduto recentemente, variazioni climatiche insopportabili,
black-out energetici, aumento delle specie a rischio di estinzione, fa
tornare d'attualita' i temi del libro di Carla Ravaioli, Un mondo diverso e'
necessario (Editori Riuniti), che mette a nudo le contraddizioni economiche,
sociali e perfino epistemologiche di un sistema planetario che si sviluppa
in modo ortogonale ai processi naturali.
Chi lo ha detto - dice Carla Ravaioli - che un'economia che non cresce e'
un'economia malata? Sembrerebbe una domanda impertinente, polemica e fuori
luogo, ma, in fondo, e' come l'esclamazione del bambino che vede che il re
e' nudo. Si', perche' questa stessa cosa e' stata sollevata recentemente
anche da altri autorevoli economisti; per esempio Walden Bello e Paolo Sylos
Labini (Se la sinistra ha il coraggio dell'utopia, "L'Unita'" dell'8
settembre 2003). Questa strana idea della crescita zero pare, infatti, che
non sia nuova, e che abbia, al contrario, antenati illustri come Adam Smith
e John Stuart Mill. La crescita dell'economia era considerata da questi
rivoluzionari signori necessaria per ridurre la miseria ma, da un certo
momento in poi, essa avrebbe potuto e dovuto rallentare fino a fermarsi.
Insomma Carla Ravaioli va dritta al problema e in questo senso non risparmia
critiche a una sinistra che sembra non riuscire a pensare fuori dal
paradigma della crescita e dell'aumento del Pil, della linearita' dello
sviluppo e dell'ineluttabilita' del progresso. Eppure sono oggi
oggettivamente osservabili e riscontrabili i sintomi di patologie ecologiche
preoccupanti. Crescono gli effetti negativi, i feedback dell'ambiente e,
dunque, secondo una spirale perversa, crescono anche i costi sociali
necessari per tentare di "riparare" (inutilmente) i danni prodotti. Un
modello diverso, dunque, non e' solo possibile o auspicabile, ma, per Carla
Ravaioli, esso si impone come necessario.
Il libro non si limita ad una riflessione sui guasti ambientali prodotti da
una crescita insensata; il mondo diverso implica necessariamente fare i
conti e farsi carico della sofferenza e del dolore degli altri. Carla
Ravaioli si guarda infatti attentamente intorno alla ricerca non dico di una
soluzione alternativa, ma di un segnale, di un riferimento: incrocia, questo
sguardo, economisti come: Adam Smith, Stuart Mill, Keynes, Sylos Labini
Giorgio Fua', Claudio Napoleoni tutti loro piu' o meno tenacemente convinti
che il Pil non e' proprio per niente un indicatore di benessere e che la
crescita non e' affatto necessaria. Nonostante questi pensieri ancorche'
autorevoli, ma sparigliati e inascoltati, le cose continuano ad andare come
sono sempre andate: il benessere e' divenuto crescita dei consumi ed il
consumo e' diventato sinonimo di benessere e, quindi, il consumo e'
diventato etica. Ma perche' non stupirci di questo? Perche' non stupirci
osservando i giovani che non sanno piue trascorrere qualche minuto della
loro vita senza i telefoni cellulari? Perche' non stupirci del fatto che
"abbiamo ucciso le mezze stagioni" (Marcello di Cini sul "Manifesto" del 18
settembre), o della crescita continua della produzione di automobili delle
quali ormai potremmo fare volentieri a meno per gran parte della giornata?
Insomma se un messaggio e' forte e chiaro nel libro della Ravaioli, esso e'
proprio questo: almeno continuiamo a stupirci di questo mondo insensato
perche' abituarci ad esso e' la cosa piu' terribile che ci puo' accadere,
perche' lo stupore e l'"io non ci sto" e' una delle armi piu' potenti contro
l'assuefazione, la manipolazione, la rinuncia a cambiare.
Ma la Ravaioli e' studiosa che ha alle spalle una tradizione lunga di
impegno politico e sa di non potersi sottrarre al dovere di fornire alcune
risposte. Forse basterebbe, per cominciare, dice verso la fine del suo
libro, dire cio' che non siamo, cio' che noi sinistre non possiamo essere e
cio' che non vogliamo.
Il primo valore da rifiutare dovrebbe essere il dominio incontrastato del
fondamentalismo della ragione economica; il secondo e' la quantita' come
misura di tutto il positivo; il terzo e' il denaro come religione; il quarto
e' quella bestialita' secondo la quale il tempo e' denaro. Quinto valore da
rifiutare e' il mito dell'inesauribilita' della natura; sesto valore da
abiurare e' quella tenacissima fede nel progresso della quale gia' Leopardi
diffidava con ironia, ma che pervade l'intera nostra cultura e che le
sinistre hanno abbracciato nel modo piu' acritico. Il ricettario elencato
sembra banale, proprio come l'uovo di Colombo (chi non ci ha gia' pensato?):
a Galilei che asseriva che la verita' non puo' essere nemica della scienza,
il matematico di corte rispondeva dicendo: ´La verita', la verita'...
chissa' dove ci puo' portare". L'appello della Ravaioli individua come
interlocutore quello storico lungo la tradizione del movimento operaio; si
rivolge al mondo politico istituzionale che "non vede, non sente, non
capisce o non vuole capire" che un mondo diverso non solo e' possibile, ma
necessario: "sembrano sogni - conclude la Ravaioli - e forse lo sono. Io
resto pero' convinta che, come diceva Napoleoni, 'posti a livello minore, i
problemi non hanno risposta'". Gia'.

10. RILETTURE. MOHANDAS K. GANDHI: VILLAGGIO E AUTONOMIA
Mohandas K. Gandhi, Villaggio e autonomia, Libreria Editrice Fiorentina,
Firenze 1982, pp. 196. Una raccolta di scritti gandhiani su un tema che il
Mahatma sentiva decisivo.

11. RILETTURE. IVAN ILLICH: LA CONVIVIALITA'
Ivan Illich, La convivialita', Mondadori, Milano 1974, Red, Como 1993, pp.
144, lire 24.000. Uno dei libri piu' noti dell'indimenticabile Ivan Illich.

12. RILETTURE. ARUNDHATI ROY: GUERRA E' PACE
Arundhati Roy, Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002, pp. 198, euro 14. Una
bella raccolta di saggi della scrittrice e militante ecopacifista indiana.

13. RILETTURE. ERNST F. SCHUMACHER: PICCOLO E' BELLO
Ernst F. Schumacher, Piccolo e' bello, Moizzi, 1977, Mondadori, Milano 1978,
1988, pp. 256, lire 7.000. "Uno studio di economia come se la gente contasse
qualcosa", un libro e un titolo che trent'anni fa divennero quasi una
bandiera.

14. RILETTURE. VANDANA SHIVA: TERRA MADRE
Vandana Shiva, Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta della
precedente uscita col titolo Sopravvivere allo sviluppo nel 1990 presso
Isedi), pp. VI + 232, euro 18,50. Uno dei libri piu' belli della grande
pensatrice, scienziata e militante nonviolenta indiana.

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
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Numero 721 del 3 novembre 2003