La nonviolenza e' in cammino. 716



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 716 del 29 ottobre 2003

Sommario di questo numero:
1. Le donne d'Europa con le donne del mondo (un contributo alla proposta di
Lidia Menapace)
2. Ruta Charles: donne costruttrici di pace in Sudan
3. Stefania Giorgi: una parata di soli uomini
4. Enrico Peyretti: una casa violata
5. Il 7-8 novembre a Viterbo per un accostamento alla nonviolenza
6. L'8 novembre a Verona con Lidia Menapace
7. L'8 novembre a Roma contro il muro della segregazione
8. Augusto Cavadi: l'avvocato e il professore
9. Laura Lanzillo presenta "Il razzismo. Il riconoscimento negato" di Renate
Siebert
10. Giobbe Santabarbara: due porte
11. Luciana Castellina ricorda Franco Alfani
12. Aldo Garzia ricorda Franco Alfani
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. DOCUMENTI. LE DONNE D'EUROPA CON LE DONNE DEL MONDO (UN CONTRIBUTO ALLA
PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE)
[Ringraziamo di cuore Marcella Bravetti (per contatti
donnemondo1 at interfree.it) per averci inviato il documento conclusivo
dell'assemblea aperta "Le donne d'Europa con le donne del mondo" svoltasi a
Perugia il 10 ottobre 2003 nell'ambito della quinta assemblea dell'Onu dei
popoli]
Le donne provenienti dai diversi paesi e continenti del pianeta, riunite a
Perugia il 10 ottobre per la quinta assemblea dell'Onu dei popoli, hanno
condiviso la risoluzione presentata dalla presidenza dell'assemblea formata
da donne dei movimenti e delle associazioni perugine ed umbre che hanno
organizzato l'incontro (Comitato internazionale 8 marzo, Rete di donne
contro tutte le guerre, La goccia, Donne in nero, Aida, Donne contro la
guerra, Donne dell'associazione sinistra ecologista, Donne dell'Ulivo, Forum
delle donne comuniste, Centro per le pari opportunita' della Regione
Umbria).
La risoluzione ha chiesto che questa assise di donne venga inserita a pieno
titolo negli appuntamenti che costruiranno il programma delle future
assemblee.
Ha sottolineato  la lotta comune affinche' il riequilibrio della presenza
femminile venga realizzato a tutti i livelli: nel godimento di diritti
fondamentali quali il diritto all'integrita' fisica, all'autodeterminazione,
all'accesso a tutti i lavori, alle risorse, cosi' come a tutti i luoghi dove
si decidono i destini dell'umanita': nella politica e nelle istituzioni a
tutti i livelli; locali, nazionali, comunitarie e internazionali.
Ha ricordato che un compito fondamentale dell'Europa e' quello di vigilare
affinche' in tutti i paesi membri della comunita' venga attuata una
rappresentativita' equa dei generi, e quindi si attivino a tal fine misure
che obblighino i singoli governi a colmare il forte divario che relega le
donne a infime percentuali, perche' si affermi un'Europa di donne e di
uomini aperti al dialogo, allo scambio e alla cooperazione con tutti i
popoli del pianeta.
Un'Europa che da continente aggressivo e coloniale si trasformi in
continente di pace impegnato a costruire una sua identita' di popolo e di
cittadinanza multiculturale  assumendosi un ruolo di pacificazione con i
paesi del Sud del mondo, da secoli depredati delle risorse naturali da un
occidente ricco e sprecone.
Lavorare dunque per un ruolo di pace dell'Europa che venga perseguito
attraverso una politica rivolta ad un progresso di civilta', ancor prima che
economico; un progresso che garantisca una ripartizione equa e solidale
delle risorse, tra le nazioni, i popoli e i generi che li compongono, nel
rispetto dell'integrita' dell'ecosistema, della biodiversita' e della
naturale generosita' della terra.
Nell'affermare con forza che le guerre non si dividono in  giuste e
sbagliate ma che sono sempre e comunque sbagliate,  la risoluzione
dell'Assemblea delle donne del mondo, ha auspicato che l'Europa che si va
costruendo sancisca il rifiuto al ricorso alla guerra e da tale rifiuto
faccia discendere la sua identita' giuridica di continente di pace.
Perugia,  Palazzo dei Priori, sala dei Notari, 10 ottobre 2003

2. ESPERIENZE. RUTA CHARLES: DONNE COSTRUTTRICI DI PACE IN SUDAN
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci inviato questa sua traduzione di un testo del febbraio 2000 di Ruta
Charles, esperta sulle problematiche relative all'acqua e funzionaria
dell'ambasciata olandese in Sudan]
Il Sudan e' attraversato dal Nilo e dai suoi tributari, rendendo meno grave
la scarsita' d'acqua che invece affligge altri paesi: tuttavia il problema
e' sentito fortemente nelle zone aride e durante la stagione secca, ed il
nomadismo e la transumanza portano spesso al conflitto fra comunita' per
l'uso dell'acqua. Si compete sull'acqua potabile, sulle zone di pascolo che
circondano le sorgenti, e sul possesso del bestiame (i cicli di "rapimento"
e "riconquista" di una mandria possono andare avanti per anni).
In anni recenti, a causa della guerra civile, questo tipo di conflitti ha
subito un'intensificazione, perche' ora le tribu' hanno accesso alle armi e
non combattono piu' nei modi tradizionali, ma usando mitragliatori e fucili
a lunga gittata. Un altro dato importante e' l'estesa presenza di mine
antiuomo nel suolo: le parti combattenti hanno preso l'abitudine di
infestare con le mine i terreni circostanti le fonti d'acqua, e poiche' e'
compito delle donne provvedere l'acqua alla famiglia e cercarla in tempi di
siccita', esse sono il gruppo piu' a rischio.
Ma ne affrontano anche altri, in special modo nell'ovest e nel sud-est del
paese, dove per raggiungere l'acqua devono affrontare lunghi cammini,
durante i quali possono essere uccise, stuprate e rapite, a seconda dei
conflitti esistenti fra le tribu'.
*
Le donne del sud-est del Sudan hanno deciso ad un certo punto di porre fine
alle competizioni per il possesso dell'acqua e del bestiame, che nella loro
zona coinvolgevano le tribu' Toposa, Boya e Didinga, formando un Comitato di
pace.
L'idea del Comitato era di mettere insieme le donne dei tre gruppi, in modo
da mostrare agli uomini che era possibile vivere pacificamente insieme,
pianificando la condivisione delle risorse disponibili.
Il Comitato dapprima incontro' separatamente gli anziani di ogni tribu', poi
invito' ad un incontro i capi. Per farlo, le donne dovettero rompere delle
regole sociali tradizionali: ad esempio, le corti dei capi si trovano sotto
il piu' grande albero dell'area, preferibilmente nella zona del mercato, ed
alle donne non e' permesso sedere sotto l'albero e parlare ai capi durante
le loro assemblee. Queste donne ruppero la regola, andando sotto questi
grandi alberi a chiedere la fine delle guerre tribali.
Minacciarono di negare le loro figlie in mogli a chi come dono per il
matrimonio avesse portato bestiame rubato e, minaccia ancor piu' seria ai
capi, dissero che avrebbero smesso di dormire con i loro mariti. Queste
furono le loro precise parole: "Perche' dovremmo avere bambini, se poi
dobbiamo crescerli perche' vengano uccisi o rapiti prima ancora di vederli
cresciuti?".
Le donne sciamarono da un villaggio all'altro, formando sotto-comitati di
pace, finche' i capi accettarono l'idea, e le sostennero nel loro sforzo di
organizzare incontri fra le tribu'.
*
La cosa che colpisce di piu', di questo lavoro di pace a livello di base, e'
che queste donne sono illetterate, prive di qualsiasi addestramento nella
risoluzione dei conflitti, e vivono in una zona remota a stento raggiunta
dagli aiuti umanitari dell'Unicef (che comunque non sono frequenti): l'idea
fu del tutto loro, scevra da influenze esterne. La nostra ambasciata ha
incontrato queste donne per ascoltarle ed imparare da loro, ed ha deciso di
sostenerle e di facilitare la loro presenza nei processi di pace.

3. RIFLESSIONE. STEFANIA GIORGI: UNA PARATA DI SOLI UOMINI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 ottobre 2003. Stefania Giorgi e'
giornalista e saggista, da anni animatrice delle pagine cuturali del
quotidiano "Il manifesto", ha scritto molti articoli, densi e illuminanti,
su temi civili e morali, e in particolare di bioetica, di difesa
intransigente della dignita' umana, quindi dal punto di vista del pensiero
delle donne]
Il Cespe organizza un convegno sulle "Biotecnologie applicate ai problemi
erettili". Un tema di grande attualita' - per l'imminente voto al senato
della legge sulla regolamentazione della sessualita' maschile - affidato a
15 relatrici: teologhe, ginecologhe, giuriste, filosofe, genetiste. La
partecipazione degli uomini all'incontro e' pero' consentita. Naturalmente
e' uno scherzo. Non verrebbe mai in mente a nessuna di noi di organizzare un
incontro sulla sessualita' maschile (i misteri della sua idraulica, tra
biologia e biografia) senza pensare di coinvolgere i diretti interessati. E'
pero' venuto in mente al Cespe che ha davvero promosso un incontro su
"Innovazione scientifica e Welfare: la questione delle biotecnologie" (a
Roma, il 5 novembre) chiamando 15 uomini come relatori: Luigi Agostini,
Pietro Greco, Alberto Mantovano, Giulio Giorello, Ivan Cavicchi, Carlo
Alberto Redi, Gilberto Corbellini, Adriano Pessina, Carlo Flamigni, Stefano
Rodota', Giovanni Berlinguer, Amedeo Santosuosso, Andrea Ceroni, Eugenio
Lecaldano, Marino Niola.
Sarebbe passato sotto silenzio, non essendo ne' il primo ne' l'ultimo "caso"
di biotecnologia monosex (Cinzia Caporale ricorda come anche il primo
Comitato nazionale per la bioetica fosse composto da soli uomini, poi, dopo
la protesta di Giovanni Berlinguer, "corretto" con un paio di nomine
femminili), se non ci avesse messo lo zampino un'altra tecnologia - quella
telematica -, l'occhio attento di Marina Calloni, dell'universita' di Milano
Bicocca, e l'insopportazione per i monologhi maschili (istituzionali e non)
sul corpo femminile. L'invito al convegno viene infatti spedito a un folto
indirizzario mail inversamente proporzionale alla "sex ratio" dei relatori
come commenta Anna Rollier. A Calloni non sfugge il paradosso. Con la
velocita' che il mezzo le consente, risponde al Cespe: "Vi ringrazio
dell'invito. Tuttavia, al di la' dell'eccellenza dei relatori, deve
esprimere il mio totale disappunto per non vedere nessun nome di donna...
Eppure scienziate e ricercatrici in tale settore sono alquanto numerose e di
alto livello scientifico. E poi mi pare che le biotecnologie abbiano molto a
che fare col corpo femminile...".
Sulla mailing list tutta femminile del convegno tutto maschile parte un
fitto scambio di messaggi concordi nel definire quel "fra-uomini", "non a
caso piu' smaccato proprio quando si tratta di sessualita' e procreazione"
(Maria Luisa Boccia), emblematico e ridicolo. "Discutere di un tema che
riguarda soprattutto le donne senza dare la parola a nessuna di loro e'
un'idea di indubbio valore simbolico. A quando un convegno sull'esperienza
della maternita' senza relatrici donne?" (Adriana Cavarero).
Intervengono in tante, Elena Grosso, Flavia Zucco, Federica Casadei, Milly
Virgilio, fresca dell'iniziativa di "Giudit" (l'11 ottobre a Bologna) su
"Liberta' femminile, procreazione e relazioni genitoriali". Oltre a
discutere tra noi, si domanda Chiara Saraceno, cosa fare? Lea Melandri
propone un convegno. "Si', ignoriamoli e vediamoci", rispondono Anna Maria
Crispino e Grazia Negrini, "sara' piu' interessante della solita parata di
uomini che 'non si possono non invitare'" (Elisabetta Chelo). Altre pensano
che la risposta piu' efficace e' gia' stata data con il ricco, saggio e
ironico scambio telematico. Altre si interrogano sul coinvolgimento degli
uomini (anche se, finora, solo uno ha risposto, Alessandro Gamberini,
accusando "la miopia culturale" degli organizzatori).
Nel sito di "DeA" (www.donnealtri.it), Letizia Paolozzi ricostruisce la
vicenda e Alberto Leiss rivolge "una modesta proposta ai colleghi maschi":
"Fate - facciamo - pure riunioni, iniziative di soli maschi, cosi' come ci
suggerisce istintivamente il gioco delle relazioni date. Ma cercate -
cerchiamo - di diventarne finalmente consapevoli, di metterla in discussione
prima di tutto tra di noi, di dichiararla pubblicamente, e di cercare poi
interlocuzioni con l'altro sesso. Mi piacerebbe su questo conoscere il
parere di molti dei relatori al convegno: come puo' reggersi una visione
politica o scientifica del mondo che ne rimuova piu' o meno consapevolmente
un'intera meta'?".
Ce lo chiediamo anche noi.

4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: UNA CASA VIOLATA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscali.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo
foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace
e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di cui abbiamo pubblicato il
piu' recente aggiornamento nei numeri 714-715 di questo foglio, ricerca una
cui edizione a stampa - ma il lavoro e' stato appunto successivamente
aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario
della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios, Trieste 2001. Una
piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n.
477 del 15 gennaio 2003 di questo notiziario]
Immagini del TG3 della sera di venerdi' 24 ottobre: soldati Usa hanno
devastato una casa irachena dove si trovavano solo donne. Sul pavimento
pagine strappate del Corano, massima offesa. Tutti i mobili e gli oggetti
della casa sono sfasciati.
Hanno arrestato le mogli di uomini ricercati come terroristi, non trovati in
casa, violazione del principio giuridico universale della responsabilita'
personale.
Quando la guerra statale, impersonale, collettiva, diventa offesa e violenza
personale, diretta, corpo a corpo, il male si fa piu' profondo. Il
bombardamento uccide e rovina. Le case bombardate e bruciate esibiscono
occhiaie di teschi vuoti. Ma la violenza personale, la violazione dei corpi,
dei volti e delle case abitate, e' odio diretto, offesa personalizzata, seme
di lungo odio.
*
Le donne di quella casa, intervistate dal telegiornale si dicono contente
della cacciata di Saddam, ma ora sono state offese piu' dagli americani che
da Saddam. Questo male sara' tramandato per generazioni in quella famiglia e
nella societa' ad essa prossima. Diventera' una memoria fondativa per i
bambini e ragazzi della casa.
Fatti simili avvengono quotidianamente dovunque c'e' dominio e occupazione.
I soldati sono spinti all'odio, alla prevaricazione, all'abuso, perche' sono
impauriti e minacciati dalla loro stessa invasione, dal loro stesso
disprezzo e razzismo. L'ospite e l'amico non hanno paura di entrare in una
casa che li accoglie. La violenza terrorizza e distrugge anche - o di piu' -
chi la usa. Per fare quello che fanno, i soldati di ogni invasione devono
essere stati drogati, resi malati, infetti da violenza, ridotti a strumenti
di una potenza folle, derubati della loro coscienza. Sono ridotti a bombe
umane, non meno dei kamikaze. Non piu' di questi ne escono vivi. Sono
vittime, per loro propria rinuncia all'umanita', o per miseria culturale e
sociale, sono vittime quasi piu' delle loro vittime, che spesso dimostrano
una dignita' grande.
*
Altro che ricostruzione e "paesi donatori". Quel che c'e' da ricostruire non
costa miliardi di dollari, ma molto di meno e molto di piu'.
Liberare le persone, le politiche, le culture dalla loro violenza e' molto
ma molto di piu' che liberare un paese da un dittatore.
Costruire la nostra, di noi tutti, umanita' solidale, costruire il rispetto
totale della dignita' di tutti, e' molto ma molto di piu' che ricostruire
strutture, strade o grattacieli.
I potenti sono distruttori. I ricostruttori, con ogni probablita', li
troviamo soprattutto tra chi ha sofferto violenza, tra quanti, come Etty
Hillesum davanti alla ferocia nazista, hanno trasformato il dolore in forza.

5. INCONTRI. IL 7-8 NOVEMBRE A VITERBO PER UN ACCOSTAMENTO ALLA NONVIOLENZA
A Viterbo, il 7-8 novembre l'associazione Viterbo con amore, in
collaborazione con l'associazione Comunita' papa Giovanni XXIII, con il
patrocinio della Regione Lazio, dell'Amministrazione provinciale di Viterbo,
del Comune di Viterbo, della Camera di commercio di Viterbo e
dell'Universita' degli studi della Tuscia, promuove la serie di iniziative
"La pace e il dialogo non sono un'utopia".
Partecipano figure autorevolissime dell'impegno di pace e nonviolenza: mons.
Lorenzo Chiarinelli, don Alberto Canuzzi, Miguel Alvarez, don Maurizio Boa,
padre Alex Zanotelli, rappresentanti di Christian Peacemaker Teams, don Lush
Gjergji, Alberto Capannini, mons. Giorgio Biguzzi, mons. Samuel Ruiz Garcia,
don Oreste Benzi, don Albino Bizzotto, Daniele Aronne.
Ai momenti di piu' intensa testimonianza e piu' profonda riflessione si
affiancheranno iniziative di piu' ampia sensibilizzazione.
La serie di iniziative "La pace e il dialogo non sono un'utopia" e'
organizzata dall'Associazione "Viterbo con amore", con la collaborazione
dell'associazione Comunita' papa Giovanni XXIII, nell'ambito della campagna
di sensibilizzazione e raccolta fondi 2003 per obiettivi di solidarieta' in
Italia e all'estero.
Per informazioni e contatti: segreteria organizzativa presso l'associazione
"Viterbo con amore", via Cavour 97, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761220168,
cell. 349.4419638, e-mail: viterboconamore at libero.it

6. INCONTRI. L'8 NOVEMBRE A VERONA CON LIDIA MENAPACE
Si svolgera' l'8 novembre a Verona, su invito di autorevoli personalita'
come Lidia Menapace, Mao Valpiana e Giovanni Benzoni, un incontro a cui sono
invitate caldamente a partecipare tutte le persone di volonta' buona per
dare una piu' precisa definizione alla proposta promossa da Lidia Menapace e
dalla Convenzione permanente di donne contro le guerre "per un'Europa
neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta" e
tradurla in un appello e un'iniziativa, la cui necessita' e urgenza e' a
tutti evidente.
Quella formulata da Lidia Menapace e' - come e' stato gia' scritto - una
proposta aperta e inclusiva, che vuol essere occasione d'incontro di diverse
esperienze e culture, di sinergia di pratiche e progetti diversi, di
riconoscimento e condivisione in un comune impegno, necessario e urgente,
per costruire un'Europa di pace che assuma la nonviolenza come criterio e
come impegno. Senza presunzioni, senza rivendicazioni di primogeniture,
valorizzando il contributo, le esperienze e le riflessioni di tutte e tutti
coloro che vorranno impegnarsi insieme nel rispetto della soggettivita' di
ciascuna e ciascuno, in corale colloquio.
Il luogo dell'incontro dell'8 novembre a Verona e' la Casa per la
nonviolenza, in via Spagna 8 (vicino alla Basilica di San Zeno); l'orario
dell'incontro e' dalle ore 11 alle ore 16. Lidia Menapace sara' li' fin
dalle ore 10, per poterci parlare insieme anche di altro.
Per arrivare alla Casa per la nonviolenza: dalla stazione ferroviaria
prendere l'autobus n. 61, direzione centro, scendere alla fermata di via Da
Vico, subito dopo il Ponte Risorgimento; chi arriva in macchina deve uscire
al casello di Verona Sud, seguire la direzione centro fino a Porta Nuova,
poi a sinistra lungo la circonvallazione interna fino a Porta San Zeno.
Per informazioni e contatti: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it
Per contattare anche direttamente le persone che hanno promosso l'incontro:
Lidia Menapace: llidiamenapace at virgilio.it; Mao Valpiana:
azionenonviolenta at sis.it; Giovanni Benzoni: gbenzoni at tin.it

7. INCONTRI. L'8 NOVEMBRE A ROMA CONTRO IL MURO DELLA SEGREGAZIONE
Si svolgera' l'8 novembre a Roma una manifestazione indetta da un vasto arco
di forze per chiedere la cessazione della costruzione del muro della
segregazione voluto dal governo Sharon e l'abbattimento dei tratti di esso
gia' costruiti.
Esprimiamo l'auspicio che questa importante manifestazione abbia limpidezza
di contenuti e di comportamenti; sia una manifestazione di solidarieta' e di
pace, ed adotti quindi coerenti modalita' espressive di solidarieta' e di
pace, sia una manifestazione rigorosamente pacifica e democratica,
rigorosamente antirazzista, rigorosamente nonviolenta; sia nitida e ferma
nel sostenere il diritto del popolo palestinese a un proprio stato, sia
nitida e ferma nel sostenere il diritto alla vita, alla dignita', al
benessere, alla pace e alla sicurezza per il popolo palestinese e per il
popolo israeliano, sia nitida e ferma nell'opporsi a tutte le uccisioni, a
tutte le stragi e a tutti i terrorismi: di stato, di gruppo o individuali;
sia nitida e ferma nel sostenere la scelta della nonviolenza, del dialogo,
della convivenza, che sono la base di ogni liberazione autentica.

8. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: L'AVVOCATO E IL PROFESSORE
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci
inviato questa intervento gia' apparso su "Centonove" del 17 ottobre 2003.
Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e'
impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a
Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di
problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia.
Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della
consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a
questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo,
Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad.
portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera,
Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad.
portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico,
ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa
puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda
ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll.,
Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri
educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione
profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola
1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998;
Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998,
seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di
storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999;
Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica,
Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste
antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito:
http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa).
Claudio Riolo, nato ad Agrigento nel 1951, autorevole militante e dirigente
politico ed acuto studioso, gia' direttore del Cepes (Centro studi di
politica economica in Sicilia), e' politologo presso l'Universita' di
Palermo; collabora a vari periodici. Tra le opere di Claudio Riolo:
L'identita' debole, La Zisa, Palermo 1989]
Ammettiamo che vi trovaste a svolgere, contemporaneamente, la funzione
(privata) di avvocato di un imputato per la strage di Capaci e la funzione
(pubblica) di presidente della Provincia di Palermo. Ammettiamo che un
professore universitario di politologia scrivesse su un mensile del Gruppo
Abele di Torino - per esempio "Narcomafie" - un articolo critico nei
confronti della vostra decisione di mantenere la difesa professionale
dell'imputato in quello stesso processo in cui l'istituzione da voi
presieduta compare come parte civile lesa. Se cio' avvenisse, cosa fareste?
Scrivereste sulla medesima rivista un articolo di risposta ai rilievi del
politologo, mostrandone argomentativamente i punti deboli, o ricorrereste al
giudice chiedendo i danni per "diffamazione a mezzo stampa"? L'avvocato
Francesco Musotto - che anche nella recente campagna elettorale per il
rinnovo della presidenza della Provincia ha mostrato di non gradire il
confronto dialettico con gli avversari - ha optato (siamo nel 1995) per la
seconda, piu' sbrigativa soluzione, ottenendo (e siamo al 2001) la condanna
del professor Claudio Riolo al pignoramento di un quinto dello stipendio
fino all'eta' della pensione e, poi, dell'indennita' di fine rapporto fino
al raggiungimento di 140 milioni di vecchie lire.
Inutile, anzi controproducente dal punto di vista finanziario, il ricorso in
appello da parte del condannato: il 30 maggio 2003 la sentenza di primo
grado e' stata confermata e l'interessato condannato ad altri 4.700 euro di
spese aggiuntive. Non resta, adesso, che la Cassazione.
E' giusto che queste vicende vengano strappate alla penombra della
quotidianita' perche' i giudici hanno il diritto, anzi il dovere, di
procedere secondo scienza e coscienza, ma anche l'opinione pubblica ha il
diritto, anzi il dovere, di riflettere e di discutere - con rispetto ma con
franchezza - sulle sentenze. In democrazia i processi non si boicottano (e
statisti chiacchieratissimi della Prima Repubblica hanno dato recentemente
lezioni di civismo a politicanti altrettanto chiacchierati della Seconda
Repubblica), ma il popolo, in nome della cui sovranita' vengono emessi i
verdetti, non puo' ignorarne esiti e conseguenze.
Per questo, a mio avviso, non e' inopportuno notare che il caso Riolo non e'
un episodio isolato. Umberto Santino a Palermo (per un volume su mafia e
politica in cui si analizza, fra le altre, una vicenda legata a Calogero
Mannino), Giuseppe Casarrubea a Partinico (per la strage di Portella della
Ginestra), centinaia di giornalisti, pubblicisti, storici e sociologi nel
resto del Paese, sono stati condannati o sono attualmente sotto processo per
accuse simili: non e' il caso di chiedersi se sentenze cosi' dure, comminate
o minacciate, per quanto ineccepibili possano risultare sul piano formale in
base alla normativa vigente e per quanto emanate con le migliori intenzioni
del mondo, non comportino, oggettivamente, una sorta di pedagogia
dissuasoria e intimidatrice nei confronti di quanti dedicano - con ritorni
economici irrisori -  tempo ed energie allo studio degli intrecci fra
sistema di potere istituzionale e sistema di potere mafioso? Se questa
"guerra preventiva" dovesse dare i suoi tragici frutti, il dibattito
politico-culturale arretrerebbe di decenni e sulla mafia si potrebbero solo
raccontare aneddoti folkloristici del tutto marginali rispetto ai nodi
essenziali. Tornerebbe d'attualita' l'osservazione di Karl Kraus: "Nulla e'
cambiato, al piu' il fatto che non lo si puo' dire".
Chi vuole, puo' esprimere concretamente il proprio sostegno a chi e' sotto
tiro e contribuire personalmente a scongiurare il pericolo di
"normalizzazione" con un versamento a favore del fondo di solidarieta'
costituito a tale scopo (c/c postale n. 10690907 intestato a Centro
Siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15,
90144 Palermo, specificando nella causale: "Campagna per la liberta' di
stampa nella lotta contro la mafia").
Questo per l'aspetto umano  - o psicosociologico -  della questione. Per
l'aspetto piu' propriamente politico, e' impellente chiedersi - come hanno
fatto in un documento di due anni fa centinaia di intellettuali, artisti,
professionisti e operatori sociali - se non sia necessaria "una nuova
regolamentazione legislativa in materia di 'diffamazione', che ristabilisca
un giusto equilibrio tra diritto di cronaca e di critica e tutela della
persona". La legge - infatti - deve tutelare, indubbiamente, il buon nome di
ogni cittadino; ma, con non minore forza, soprattutto se si tratta di
persona che ricopre cariche pubbliche, il diritto dei concittadini -
garantito dall'articolo 21 della nostra Costituzione - di "manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo
di diffusione".
Le democrazie, piu' o meno imperfette, dall'Atene di Pericle alla Washington
di Clinton, vivono grazie alla capacita' delle istituzioni di sottoporsi
agli interrogativi degli intellettuali liberi: dove questa possibilita'
viene a mancare, si protende l'ombra della dittatura. La corsa della
maggioranza parlamentare verso il ripristino dell'immunita' vorrebbe
preservare i politici dal rischio di essere combattutti con le armi
giudiziarie: non c'e' qualcosa di paradossale - su cui esponenti del
centro-destra eventualmente in buona fede avrebbero da riflettere - nel
fatto che sia lo stesso schieramento a operare proprio in senso inverso, a
contrastare gli attacchi squisitamente politico-culturali ricorrendo ai
mezzi legali? Insomma: i giudici vanno tenuti fuori dalle diatribe quando si
tratta dell'interesse dei politici e vanno chiamati in causa
(letteralmente!) quando qualcuno osa criticare le scelte di un politico?

9. LIBRI. LAURA LANZILLO PRESENTA "IL RAZZISMO. IL RICONOSCIMENTO NEGATO" DI
RENATE SIEBERT
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 ottobre.
Laura Lanzillo e' docente di storia delle dottrine politiche all'Universita'
di Bologna e responsabile del coordinamento redazionale della prestigiosa
rivista "Filosofia politica"; tra le sue opere: Voltaire. La politica della
tolleranza, Laterza, Roma-Bari 2000; La tolleranza, Il Mulino, Bologna 2001;
(a cura di), La questione della tolleranza, Clueb, Bologna 2003.
Renate Siebert, sociologa di origine tedesca, nata a Kassel nel 1942,
allieva di Theodor W. Adorno, vive e lavora nell'Italia meridionale, dove
insegna Sociologia del mutamento presso l'Universita' di Calabria. Opere di
Renate Siebert: oltre a Frantz Fanon e la teoria dei rapporti tra
colonialismo e alienazione, Feltrinelli, Milano 1970, e ad Interferenze,
Feltrinelli, Milano 1979 (in collaborazione con Laura Balbo), tra le opere
recenti segnaliamo: E' femmina pero' e' bella, Rosenberg & Sellier, Torino
1991; Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994 (poi Est, 1997); La
mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Mafia e
quotidianita', Il Saggiatore, Milano 1996; Andare ancora al cuore delle
ferite, La Tartaruga, Milano 1997 (intervista ad Assia Djebar); Cenerentola
non abita piu' qui, Rosenberg & Sellier, Torino 1999; (a cura di), Relazioni
pericolose, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Il razzismo. Il
riconoscimento negato, Carocci, Roma 2003]
"Il negro non esiste. Non piu' del bianco. (...) Perche' non cercare
semplicemente di toccare l'Altro, di sentire l'Altro, di rivelare l'Altro?",
cosi' Frantz Fanon rifletteva su quella che era stata in primo luogo la sua
esperienza del processo di razzizzazione - vissuta sulla propria pelle, lui
nero delle Antille francesi studente in Francia, esperienza che l'avrebbe
poi portato a impegnarsi nelle file del Fronte di liberazione nazionale
durante la guerra per l'indipendenza dell'Algeria - e poi la constatazione
dell'esistenza di una costruzione epistemologica ben precisa, incistata nel
cuore del pensiero teoretico e pratico dell'Occidente, la categoria del
razzismo.
Che cos'e' il razzismo? E chi e' l'altro? Sono questi gli interrogativi sui
cui riflette il recente volume di Renate Siebert, Il razzismo. Il
riconoscimento negato (Carocci, pp. 170, euro 15,50). Un volume snello, di
agile lettura, che nasce da una pratica didattica e che puo' sicuramente
servire come introduzione alla questione del razzismo, ma che assume anche
un interesse e una luce particolare alla luce degli avvenimenti di queste
ultime settimane. La "choccante" proposta di Fini di presentare un disegno
di legge per modificare l'art. 48 della nostra Costituzione al fine di
concedere il diritto di voto alle elezioni amministrative agli immigrati
residenti regolarmente sul nostro territorio e in possesso di un reddito
fisso e stabile. Le ridicole (e tragiche) controproposte degli scherani di
Bossi, di cui non merita nemmeno fare cenno. La strage continua, senza fine,
che si consuma al largo delle coste siciliane cosi' come sulle spiagge della
Normandia, dimostrando paradossalmente, attraverso l'evidenza di corpi senza
vita, l'unita' dell'Unione europea almeno sull'incapacita' politica di
affrontare quella che e' la realta' piu' evidente della globalizzazione: il
movimento di individui oltre la logica dei confini statuali, provocato senza
dubbio da condizioni oggettive di natura economica o demografica, ma che si
palesa anche come richiesta di riconoscimento di una liberta' propria della
persona, l'essere mobile, non confinato. Le risposte che a questo quotidiano
orrore - di cui tutti siamo chiamati ad assumerci la responsabilita' che
vengono fornite in termini o di velleitario umanitarismo misericordioso
(quale quello espresso dal presidente della camera in visita "commossa" ai
morti di Lampedusa o dal ministro Giovanardi a TeleLombardia) o di sgomento
impotente, come quello che ha portato Giorgio Bocca sulle pagine di
"Repubblica" a definire i drammi dell'immigrazione di massa "una calamita'
naturale", una "piaga biblica".
Politiche dell'immigrazione incentrate solo sulle parole d'ordine della
sicurezza, dell'integrazione e dell'incatenamento delle persone migranti
solo alla loro condizione di salariati? Umanitarismo commosso, calamita'
naturale, piaga biblica? Solo questo sappiamo rispondere?
Il libro di Siebert ci invita a compiere un altro percorso, un percorso che
l'autrice nomina come unlearning, disimparare. "Come suggeriscono i cultural
studies e i postcolonial studies, occorre scoprire le radici dei sistemi
della conoscenza 'moderna' nelle pratiche coloniali, cominciando con un
processo per disimparare attraverso il quale possiamo mettere in crisi le
verita' ricevute". Se, come sostiene l'autrice, una societa' razzista e' un
inferno per i migranti, lo e' ugualmente anche per noi che la abitiamo. E
riconoscere cio' e' il primo passo che dobbiamo fare in questo percorso
("viaggio", lo definisce Siebert) per comprendere che il razzismo non e'
solo una passione di un uomo che ha paura, come scriveva Sartre nel 1944, ma
anche un universo cognitivo, che impregna noi come le categorie portanti del
pensiero occidentale che si e' rappresentato come bianco, cioe' neutro,
pretendendo percio' di essere universale. Un viaggio che si propone di
sovvertire questo universo cognitivo e le pratiche di convivenza che da
questo derivano e che ogni giorno attuiamo.
A partire dall'affermazione che le razze non esistono, mentre esistono e
agiscono processi di razzizzazione, Siebert compie il proprio viaggio - con
un approccio che si nutre degli apporti della teoria sociale critica come
dei piu' recenti studi antropologici, etnografici e dei postcolonial
studies, ma anche della teoria politica e di quella giuridica - attraverso
sei brevi e intensi capitoli, dedicati alla questione dell'Alterita' (che da
sempre inquieta la nostra filosofia), alla costruzione sociale dell'Altro,
ai razzismi (da quello "biologico" a quello "culturale" o
"differenzialista"), all'ideologia razzista (che innerva storicamente il
colonialismo europeo, l'imperialismo e il nazionalsocialismo, quanto oggi
anche alcuni dei discorsi sulla modernita' postcoloniale),
all'antisemitismo, alla prospettiva del multiculturalismo (specchio
attraverso cui si riflettono le contraddizioni insite nelle teorie della
cittadinanza e dei diritti universali).
Il lavoro che Siebert fa, e richiede al proprio lettore, e' quello di non
sfuggire all'evidenza che la societa' che abitiamo si e' fondata anche su
processi di razzizzazione, di costruzione dell'altro come pericoloso,
nemico, estraneo, da negare o assimilare in nome di pretese inferiorita' o
differenze, al fine di garantire la sicurezza della nostra identita'; non
sfuggire alla violenza che tali processi hanno innescato e alla visione del
marchio umiliante che milioni di corpi hanno subito in nome di cio'. E' un
invito alla memoria, a non dimenticare in nome dell'"io non c'ero", "io non
sono cosi'", perche' anche la storia del razzismo e' la nostra storia, una
storia di dolore, morti e lutti, che deve essere elaborata, e dunque
attraversata, da noi, figlie e figli di quella storia.
"Vivere e/o fare esperienza della propria vita non sempre e non
necessariamente coincidono": riprendendo alcune suggestioni che provengono
dalla dialettica hegeliana del riconoscimento, Siebert svela come al fondo
del razzismo stia il rifiuto del riconoscimento dell'altro che ci si pone
davanti. La dialettica del riconoscimento, invece, impegna in prima persona
noi stessi, in quanto impone di entrare in un movimento conflittuale nei
confronti sia di noi stessi sia dell'altro, movimento che si da' sul terreno
dell'esperienza materiale, del nostro fare. Riconoscere l'altro, vale a dire
"toccare l'Altro", entrare in relazione con lui e non semplicemente
osservarlo come sotto la lente di un vetrino da microscopio, impone al tempo
stesso un uscire da se', un mobilitarsi (una pratica concreta), e un
processo di apprendimento, un'autocoscienza di tale pratica, una
comprensione cognitiva. Se il viaggio di Siebert, contaminazione di
unlearning e mobilitazione reale, giunge a riconoscere "che il razzismo
rappresenta un elemento strutturante in cio' che Wallerstein analizza come
'economia-mondo capitalistica'", mette in luce i coni d'ombra della
modernita' razionalistica, la contraddizione "tra democrazia e solidarieta',
da una parte, e violenza e potere coloniale, dall'altra", considera questa
presa di coscienza come tappa intermedia verso quella che, riprendendo
un'espressione di Dipesh Chakrabarty, e' indicata come "provincializzazione
dell'Europa": decostruzione dell'eurocentrismo e dell'universalismo che a
esso inerisce per "restituire il carattere di soggetto a chi ne era stato
privato sotto dominio coloniale".
Il lavoro di Renate Siebert, in definitiva, ci fa riflettere non solo sulla
storia del farsi del nostro io, cosi' come l'ha rappresentato la modernita',
ma anche sulle turbolenze, evidenze di sovversione di quell'io che ci
circondano e di cui per lo piu' si nega la presenza. E la turbolenza non
investe solo quei confini, barriere, steccati che il nuovo ordine mondiale
ha eretto a protezione della propria sicurezza, contro cui si infrangono
quotidianamente donne e uomini in una guerra tanto sanguinosa e crudele
quanto occultata e negata. Turbolenti diventano anche concetti quali etnia,
identita', cultura o cittadinanza mobilitati al proprio interno da concrete
esperienze soggettive che ne svelano il carattere intimamente escludente e
contraddittorio. Turbolenza che rompe l'eurocentrismo universalista della
modernita' e si muove verso un universalismo che sia davvero globale, che
assuma cioe' dell'universalismo tutti gli antagonismi e le contraddizioni
che ne hanno fatto la storia, rendendolo piu' complesso e ricco. E' una voce
femminile che invece che l'umanitarismo pietoso o la risposta violenta di
chiusura all'altro, ci ricorda che stare nel farsi del presente e agire
politicamente impone anche la pratica della memoria, della narrazione, del
parlare di diritti avendo presente i doveri che a essi ineriscono,
dell'attraversare lutti e ferite per portare a visibilita' i corpi senza
nasconderne l'irriducibile pluralita', costringendoli a verniciarsi di un
colore bianco uniforme.

10. MINIMA MORALIA. GIOBBE SANTABARBARA: DUE PORTE
[Il buon Giobbe Santabarbara ha il privilegio di tenere anche quest'anno un
corso di educazione alla pace e di accostamento alla nonviolenza presso il
liceo di X (ed in alcune altre scuole ancora). Lunedi' ha tenuto il primo
incontro in una classe, e la conversazione (e l'esercitazione) aveva per
tema: la dignita' umana, la giustizia, la misericordia]
Prima ora di lezione al liceo di X. Mente si annotano le assenze irrompe un
professore nell'aula e chiede con voce stentorea quali siano i ragazzi che
sono entrati dall'ingresso riservato ai docenti e non da quello riservato
agli scolari. Si alzano tre ragazzi. Il professore intima che escano e
rientrino secondo il percorso esatto (participio passato del verbo esigere).
Resto stupefatto. Gia' lo scorso anno tenni alcune lezioni in questo liceo
ma non avevo allora notato che vi fosse l'apartheid degli ingressi. Come
ospite ignoro chi abbia impartito tali disposizioni, e quale ne sia la
ragione. Chiedero' poi a un amico carissimo che insegna li' di informarsene
e informarmene.
Dico ai ragazzi che cio' che e' accaduto mi sorprende molto e molto mi
dispiace, e che per quanto mi riguarda ero sempre entrato e uscito dal
portone sulla piazza che solo ora scopro essere ingresso dei professori, ma
d'ora in poi entrero' e usciro' sempre dall'ingresso nel vicolo che solo ora
so essere obbligatorio per gli studenti. Cosi' dico, ad occhi bassi, l'animo
turbato. Poi componiamo il grande tavolo unendo tutti i banchi, ci sediamo
intorno in cerchio, ed iniziamo la lezione.

11. LUTTI. LUCIANA CASTELLINA RICORDA FRANCO ALFANI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 ottobre 2003. Luciana Castellina,
militante politica, promotrice dell'esperienza del "Manifesto", piu' volte
parlamentare italiana ed europea, e' tra le figure piu' significative
dell'impegno pacifista in Europa. La gran parte degli scritti di Luciana
Castellina, testi di intervento politico e di giornalismo militante, e'
dispersa in giornali e riviste, atti di convegni, dibattiti parlamentari; in
volume segnaliamo particolarmente: Che c'e' in Amerika?, Bertani, Verona; e
il recente (a cura di), Il cammino dei movimenti, Intra Moenia, Napoli]
Alle origini del "Manifesto" - ormai tanto lontane da restare quasi
sconosciute alla maggioranza di chi oggi lavora al giornale - c'e' stato
anche un compagno di nome Franco Alfani. Un compagno anomalo, che, a modo
suo, ci ha seguito sempre e in particolare nei nostri primi anni e' stato
essenziale. Tanto e' vero che la prima casa editrice del "Manifesto", che ha
pubblicato volumi decisivi nella nostra storia (Classe consigli partito, di
Magri e Rossanda, piu' di 30.000 copie vendute; gli atti del primo convegno
sul dissenso nelle societa' del socialismo reale; I mostri, una raccolta dei
corsivi di Pintor; anche un mio volume, Famiglia e societa', e tanti altri
ancora) porta il suo nome: Edizioni Alfani.
Franco e' morto qualche giorno fa nella sua Cerveteri, pochi mesi dopo la
scomparsa di Luigi, la cui perdita lo aveva a tal punto stravolto che non se
l'era nemmeno sentita di venire al funerale. Perche' di Luigi e di Luca
Trevisani Franco era stato strettissimo amico e coetaneo. Come Luca, anche
lui un compagno delle origini, era andato volontario nell'esercito alleato
subito dopo la liberazione di Roma e cosi' si era ritrovato a Modena in
cerca della fidanzata incontrata quando in quella citta' aveva fatto il
primo servizio militare, una scappatella resa possibile dalla buona volonta'
di Luca cui aveva affidato non so quante decine di muli che avrebbe dovuto
custodire e accompagnare fino al fronte di Alfonsine, un piacere che
Trevisani ancora gli rinfacciava - e i loro ricordi di guerra hanno fatto a
lungo le nostre delizie - perche' i muli restarono a lui per non so quanto
tempo giacche' Alfani a Modena si era gravemente ammalato. Resto' la'
sposato a una straordinaria modenese, Filomena (che sempre apri' poi la sua
casa a compagni italiani ed esuli che ne avevano bisogno), e insieme, a
Sassuolo, fecero prosperare una fabbrica di ceramiche che nel boom dette
loro abbastanza soldi per diventare mecenati. Agli Alfani si debbono volumi
bellissimi di disegni sulla guerra del Vietnam e altre opere. Poi la vicenda
del "Manifesto", cui segui' quella di editore del mensile e poi settimanale
"Pace e guerra".
Ho detto che Franco Alfani e' stato un compagno anomalo. Perche' di mestiere
era imprenditore e pero' il suo cuore, e la sua testa, erano nella battaglia
politica, sicche' a questa fini' per dedicare tutte le sue energie. Lo
piangiamo ora noi vecchi e correi, lo ricordassero anche i giovani che non
l'hanno conosciuto. Siamo vicini a suo figlio Angelo, anche lui nostro
compagno, e a suo nipote Franco.

12. LUTTI. ALDO GARZIA RICORDA FRANCO ALFANI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 ottobre 2003. Aldo Garzia e' nato nel
1954, giornalista e saggista, da sempre impegnato nella sinistra critica e
nella solidarieta' internazionale, dirige la rivista "Aprile". Opere di Aldo
Garzia: Da Natta a Natta, Dedalo, Bari 1985; Il vento di destra, Datanews,
Roma 1994; C come Cuba, Elleu Multimedia, Roma 2001]
Il nome di Franco Alfani non dice nulla alla stragrande maggioranza dei
lettori attuali del "Manifesto". E' il bel destino (ma anche un po' crudele)
che tocca alle imprese editoriali che durano oltre la generazione che le ha
fondate. Ma negli anni Settanta, quando fare un giornale legato a un
movimento politico era scommessa totalizzante nelle vite di ognuno dei
protagonisti, Alfani era l'editore delle pubblicazioni che accompagnavano la
gracile vita di quel quotidiano di quattro-sei pagine e di un partito (il
Pdup). Al quinto piano di via Tomacelli, Franco aveva una stanzetta in fondo
a destra (vi si era trasferito dagli uffici di piazza Pio XI). Vi allestiva
bozze e si preoccupava di grafica: era una passione innata, accanto alla
predilezione per la pittura. A Cerveteri, invece, dove abitava dividendosi
con Sassuolo (la citta' della moglie Filomena e degli interessi economici in
una fabbrica di ceramiche), c'era una specie di cenacolo dove gli inquilini
illustri e meno illustri del quinto piano passavano i fine settimana
alternandosi tra i divani disposti intorno a un camino e una mansarda piena
di libri, ritagli, foto, progetti compiuti e incompiuti. Il padrone di casa
e sua moglie preparavano buona cucina emiliana, ma Franco mangiava sempre
pochissimo e in modo frugale. A lui piaceva soprattutto chiacchierare, stare
insieme ad amici e compagni. Filomena lo seguiva con gli occhi e lo amava
fino al punto di sopportare e poi diventare anch'essa amica di quegli
intrusi dei fine settimana, fino agli albori degli anni Ottanta quando fu
stroncata dal male e Rossana Rossanda le fu accanto fino alla fine.
Franco Alfani era amico di lunga data di Luigi Pintor. Si erano conosciuti
negli anni della Resistenza, avevano continuato a frequentarsi nel
dopoguerra e poi si erano ritrovati nelle stanze del quinto piano di via
Tomacelli. Spesso Franco ricordava com'era stato accolto sul finire della
guerra tra la gente emiliana, dove aveva conosciuto Filomena, mentre
intraprendeva la marcia del ritorno a Cerveteri. Lo faceva con una punta di
sofferenza e di orgoglio. Poi prendeva a parlare di Luigi, di cui aveva una
stima infinita, di Rossana Rossanda, Luciana Castellina e Valentino Parlato
conosciuti piu' da vicino nei primi anni del "Manifesto".
Quando si trattava di raccogliere gli atti di un convegno o di un congresso,
di pubblicare i testi che avessero piu' durata di quelli destinati a morire
in ventiquatt'ore sulle pagine del quotidiano, toccava ad Alfani riordinare
le idee e pensare alla grafica, all'impaginazione e alla distribuzione. Si
passava, in quei casi, da via Tomacelli a un vicoletto nei pressi di
piazzale della Radio, dove aveva sede la storica tipografia Iter che
lavorava a tempo pieno per il Pci e qualche volta anche per gli eretici del
"Manifesto" e del Pdup. Alfani scherzava con tutti, dal proto al
linotipista, dall'amministratore al direttore, e si finiva inevitabilmente
al bar, come in un amichevole rito, dove lui non prendeva niente ma offriva
a tutti il caffe' o l'aperitivo.
Alfani ha "scoperto" anche un grafico di valore come Ettore Vitale, che
negli anni Settanta compose tutti i loghi del Pdup e le copertine dei libri
di Alfani editore. Poi fu ancora Vitale a fare i primi progetti grafici del
mensile "Pace e guerra" nel 1980, la rivista diretta da Claudio Napoleoni,
Luciana Castellina e Stefano Rodota'. In un seminterrato di via Muzio
Clementi, a pochi passi da via Tomacelli, Alfani trovo' nuovi amici (Massimo
Cacciari, tra gli altri) e nuovi stimoli per proseguire la sua avventura di
anomalo editore. Se ne era andato dal quotidiano forse perche' molte delle
sue proposte editoriali e di rigore amministrativo erano state bocciate con
la tattica del rinvio e forse perche' c'era pure qualche divergenza politica
sulla collocazione del "Manifesto" negli anni degli uragani post movimento
del '77, rapimento di Aldo Moro, terrorismo, e inizio della parabola di
Bettino Craxi. Ma non aveva mai dismesso l'amicizia per i compagni di un
tempo (quando parlava di Luigi, Rossana e Valentino lo faceva con rammarico
per le strade che a un certo punto si erano divise).
Negli ultimi quindici anni Franco Alfani si era ritirato a Cerveteri. Si
dedicava a un amatissimo nipote e alla famiglia del figlio Angelo, alla
famiglia e ai nipoti di Cerveteri che nel periodo precedente aveva
trascurato. Passeggiare con lui tra le stradine di questo paese famoso per
la storia millenaria degli etruschi era un piccolo spettacolo: tutti lo
salutavano, con tutti scambiava una battuta e un sorriso sarcastico, poi si
andava al ristorante dove come al solito lui non mangiava quasi niente e tu
dovevi mangiare per forza. Il piacere di chiacchierare e ricordare i comuni
amici e compagni lo rendeva felice almeno per una sera o un mezzogiorno.
Quando si ricorda un amico, bisogna concedere a chi scrive la liberta' di
parlare in prima persona (che e' una cattiva regola del giornalismo, direbbe
Franco). Ho imparato molto da Alfani. Se so come si impagina, come si titola
e come si organizza il lavoro redazionale lo devo in gran parte a lui. Ci
sono stati anni in cui ci vedevamo tutti i giorni e tutti i giorni andavamo
in una tipografia, in un negozio del centro di Roma a fare compere o da un
grafico, dove lui portava menabo' ritagliati con cura insieme alle
strisciate degli articoli incollati pagina per pagina, come si faceva
artigianalmente prima dell'avvento dei computer. Se un titolo o un articolo
non gli piacevano (non "suonavano"), lo diceva con cortesia ma con fermezza.
Era il modo migliore per imparare e correggersi. Io lo stavo a sentire,
anche quando non ero d'accordo e pensavo che il contenuto dovesse prevalere
sull'estetica. Poi ho capito che l'equilibrio tra grafica, scelta delle
illustrazioni e contenuto e' una ricerca continua. Serve a fare un buon
giornale, anche se si hanno pochi mezzi, per chi lo deve leggere e non solo
per chi lo deve scrivere.
Ora che non ci vedevamo, non mancavano le sue telefonate in occasione del
Capodanno o delle vacanze estive. Lui invitava ad andare a trovarlo a
Cerveteri, cosa che ho fatto troppo poco. Avevamo piu' volte progettato un
viaggio insieme a Cuba, uno dei pochi posti al mondo che non aveva visitato.
Lo abbiamo rinviato di volta in volta, come se potessimo darci altro tempo
per vederci e chiacchierare.
Di tempo Franco non ne ha piu'. E a me resta il ricordo di una persona
generosa e di un buon maestro di giornalismo. Dopo Michelangelo Notarianni e
Luigi Pintor, e' un altro pezzo della nostra vita e di quella del
"Manifesto" che se ne va. Nostalgia e malinconia, a volte, sono sentimenti
da non nascondere. Costituiscono la bella grafica dell'amicizia.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 716 del 29 ottobre 2003