Il coraggio di affrontare il mare



Un pomeriggio come tanti

articolo di Santi Greco per www.peacelink.it

Domenica pomeriggio: usciamo coi nostri figli a fare una passeggiata; alcuni preferiscono andare allo stadio, mentre altri restano in casa a seguire i programmi televisivi. Dopo una settimana di lavoro anche restare in casa non dispiace. Una visita ad un parente, un appuntamento con gli amici, un invito a cena e la giornata finisce, uguale alle altre domeniche. Tutto nella normalita'.

Mentre la nostra normalita' si srotola davanti a noi, una piccola barca e' sballottata tra le onde del mare. I suoi passeggeri, tutti paganti, sono da giorni senza acqua ne' cibo e cominciano a morire. I cadaveri sono gettati in mare: e' la sepoltura che spetta ai naviganti. In tre giorni in tanti muoiono, la barca si fa piu' leggera, ma le onde hanno sempre la meglio. Ma proprio questa domenica pomeriggio arrivano i soccorsi. Meno male: le forze non consentivano piu' di disfarsi dei cadaveri.

Finalmente sulla terra ferma si fa la conta dei salvati: quattordici superstiti e tredici cadaveri. E quelli sommersi dal mare? In quanti erano stati a partire? Qualcuno dice cento. Domenica pomeriggio 86 persone, uomini, donne, bambini, 86 di noi, sono rimasti in fondo al mare, mentre la nostra normalita' scorreva.

Una parte di noi era li', su quella barca, ma l'abbiamo dimenticato. Troppo presi dai nostri impegni, dimentichiamo che alcuni uomini, tanti in verita', non sanno cos'e' trascorrere una domenica pomeriggio serena. In tanti sono costretti a trovare il coraggio di affrontare il mare in cerca di un luogo che li accolga. Ma questi ragionamenti preferiamo scacciarli e allora ci capita di pensare che se non fossero partiti sarebbero ancora in vita e il nostro pomeriggio non sarebbe stato funestato dalla brutta notizia.

Per questo il lunedi e' iniziato male per tutti noi. Costretti a sentire i soliti commenti, contrari alla continua invasione di estranei e, soprattutto, costretti ad accettare che anche noi concordiamo con essi. Pensavamo di essere buoni, ma siamo spinti a dire che la bonta' ha un limite. Basta con gli sbarchi di clandestini. La colpa e' dei governi dei loro paesi, che li costringono a vivere in miseria, che conducono una guerra senza fine, che non hanno imparato nulla dalla nostra civilta'. Invece di scappare dovrebbero ribellarsi contro chi li governa.

Perche' non proviamo a vedere le cose in un modo diverso? Se provassimo noi ad aiutarli ad attraversare il mare? Se provassimo ad accoglierli come persone attive e vive e non come cadaveri di cui sbarazzarci? E' troppo rischioso mostrarsi umani?