La nonviolenza e' in cammino. 710



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 710 del 21 ottobre 2003

Sommario di questo numero:
1. Un uomo in mare
2. Il refuso
3. Giulio Vittorangeli: sulla proposta di Lidia Menapace
4. Giobbe Santabarbara: sulla proposta di Lidia Menapace
5. Lidia Menapace: un continente neutrale
6. Paola Di Gianpaolo intervista Gabriella Lazzerini (2002)
7. Elisabetta Caravati: donne e immigrazione
8. Augusto Cavadi intervista Franco Cassano
9. Fausto Concer: per la contradizion che nol consente
10. Eduardo Galeano: "Al lupo" il lupo gridava
11. Letture: Bernadete Toneto, L'avvocato dei senza-terra
12. Le obiezioni di Margutte: degli usi del letame
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. UN UOMO IN MARE
Di un lugubre umorismo danno prova i signori del palazzo. Dinanzi ai
cadaveri degli annegati fingono di non sapere che e' la nostra politica, la
nostra legge, il nostro privilegio, la nostra ferocia che li ha annegati.
Perche' per far cessare le morti in mare dei poveri cristi in fuga dalla
fame e dalle guerre basterebbe un provvedimento semplice semplice:
riconoscere a tutti gli esseri umani l'elementare diritto umano di potersi
muovere liberamente su tutto il pianeta, come scriveva il vecchio Kant nel
suo progetto per la pace perpetua. Non vi sarebbero piu' "clandestini", solo
esseri umani.
Ne' si scordi che a chi e' in fuga dalla violenza e dalle persecuzioni la
nostra carta costituzionale ci fa obbligo di offrire asilo: e' scritto
chiaro e tondo nel comma terzo dell'articolo 10 della Costiuzione della
Repubblica Italiana: "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese
l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla
Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica,
secondo le condizioni stabilite dalla legge".
E se si vuole infine far si' che il trasporto dei migranti in fuga
dall'orrore che vengono verso il nostro paese dove la nostra legge
fondamentale esplicitamente li invita cessi di essere affare nelle mani
delle mafie, una cosa occorre fare: un servizio pubblico e gratuito di
trasporto per tutti coloro che ne hanno diritto.
Sappiamo gia' l'obiezione: "Ma sono innumerevoli"; e' vero: ragione di piu'
per impegnarsi a realizzare una politica internazionale che cessi di essere
di stolto egoismo e di ingorda rapina, e sia invece di solidarieta', di
condivisione, di riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri
umani, di promozione della democrazia e della pace, della giustizia e dello
sviluppo autocentrato con tecnologie appropriate, di difesa dell'ambiente e
delle persone: una politica della nonviolenza.
Ma subito, qui e adesso, salviamo le vite delle persone in mare; e almeno
nel nostro paese restituiamo a tutti gli esseri umani i diritti che la
nostra Costituzione agli esseri umani tutti riconosce.

2. EDITORIALE. IL REFUSO
Il voto con cui si prostitui' al capo della coalizione terroristica
autoproclamatasi antiterroristica (come se Al Capone fondasse un corpo di
vigilantes) non fu del Consiglio di sicurezza dell'Onu, no, ma del Coniglio.
Presto su tutta la stampa indipendente apparira' puntuale la smentita.

3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it)
per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali
collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre
1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e
alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una
lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il
responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso
numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in
rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche
un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento,
riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la
solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita'
pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti
di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni;
tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati
gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e
le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di
innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio
1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica
desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita'
umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione,
Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da
soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa
Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica,
Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali,
Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca
della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta'
internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente
insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di
politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale
viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997).
Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"]
Inizio con un ricordo personale.
Maggio 1999, sono i giorni della guerra nella ex-Jugoslavia, ed avevamo
organizzato come associazione Italia-Nicaragua a Viterbo una iniziativa su
Rosa Luxemburg con la partecipazione di Lidia Menapace.
In quella occasione Lidia ci parlo' della guerra, non come "calamita'
naturale", ma come evento storico, come istituzione giuridico-politica. Di
come alla guerra ci si puo' opporre con la nonviolenza, ricordando i due
grandi movimenti che hanno usato le forme dell'azione politica nonviolenta,
cioe' il movimento operaio e sindacale e il movimento delle donne. In questa
direzione, parlo' della futura nascita della "Convenzione permanente di
donne contro le guerre" e della "Fondazione Rosa Luxemburg". Rosa, nel 1918,
scriveva: "Bisogna abbattere un mondo, ma ogni lacrima versata, anche se e'
stata asciugata, e' un atto d'accusa; ed una persona che perseguendo uno
scopo troppo importante calpesta un verme per brutale mancanza di attenzione
commette un delitto".
*
Mi sembra che partendo dalla sostanza di quella riflessione, opportunamente
aggiornata, si sia giunti alla proposta "per un'Europa neutrale e attiva,
disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta".
L'elemento fondante della proposta e' rappresentato dall'asse della politica
estera europea, non a caso e' da tempo che manca all'Unione una politica
estera comune. In sua assenza e' prevalsa (negativamente) nelle istituzioni
comunitarie l'idea che essa comunque debba intrecciarsi con la politica
della sicurezza e della difesa. L'articolo 11, quarto comma, e' lapidario:
"L'Unione ha competenza per la definizione e l'attuazione di una politica
estera di sicurezza comune, compresa la definizione progressiva di una
politica di difesa comune".
*
La proposta che Lidia in un suo intervento ha chiamato "Eutopia", assumendo
come asse centrale il diritto alla pace, spinge nella direzione di un'Europa
che si costituisca come continente neutrale.
La definizione "neutrale" puo' sembrare ambigua, o prestarsi (ad una prima
lettura superficiale) a piu' di una interpretazione. Ma in questo senso, i
chiarimenti successivi offerti da Lidia (per una neutralita' attiva: l'unica
forma politica antagonista alla guerra), mi sembra che sgomberino il campo
da qualsiasi ambiguita'. "La proposta della neutralita' e' la piu'
equilibrata, moderata, gestibile sul piano del diritto internazionale e
compatibile con una riconversione dell'economia di guerra in economia di
pace... Nel diritto internazionale significa territorio che rifiuta di usare
comunque la guerra, non fa politiche che inducano o avviino pericoli di
guerre, non firma nessun trattato militare, non accetta sul suo territorio
installazioni militari o passaggi di truppe".
Un limite della cultura politica della neutralita' attiva mi sembra legato
alla assenza di una riflessione e di una proposta, di intervento positivo,
sui rapporti Nord/Sud del mondo. Esiste, e non da oggi, quella che definiamo
(e pratichiamo) come solidarieta' internazionale, anche cooperazione allo
sviluppo, nel suo termine piu' ampio. Cito, per fare solo un esempio,
l'impegno (sostanzialmente ignorato) di destinare da parte dei Paesi
sviluppati, lo 0,7% del Pil alla cooperazione. Nel preambolo della
Costituzione euopea si afferma che "l'Europa desidera operare a favore della
pace, della giustizia e della solidarieta' nel mondo" e nell'art. 3, quarto
comma, che essa "contribuisce alla solidarieta' e al rispetto reciproco tra
i popoli". Queste belle affermazioni purtroppo sono state seguite dal vuoto
completo. Il problema del rapporto col Sud del mondo e' stato il grande
assente in tutto il corso dei lavori della Costituzione. Non vorrei che
anche noi, davanti a questo, chiudiamo gli occhi.
*
Infine, sul "che fare?".
Siamo ancora in tempo a promuovere la campagna verso le e i parlamentari
nazionali ed europei perche' inseriscano un articolo del tenore del nostro
art. 11 (ripudio della guerra)? Se si, chi immediatamente promuove la
campagna? Penso alla "Convenzione permanente di donne contro le guerre".
Ed ancora, questa campagna e' di per se' sufficiente? Non potrebbe essere
sorretta da una petizione popolare (europea?) per un'Europa aperta,
solidale, nonviolenta? Penso, come base, al testo circolato per la quinta
assemblea dell'Onu dei popoli, del 4-12 ottobre scorso. Se si', (anche qui),
chi la promuove?
Esiste anche una proposta (non sono riuscito a rintracciarla integralmente)
di 157 docenti dell'Universita' Cattolica che hanno ipotizzato due articoli
aggiuntivi per la Costituzione europea, il primo per riprendere l'art. 11 e
il secondo per chiedere la finalizzazione degli "interventi di politica
economica, commerciale e monetaria dell'Unione Europea alla riduzione e
all'eliminazione degli squilibri di ogni tipo che esistono tra Paesi
sviluppati e Paesi poveri".
Come coordiniamo e programmiamo tutto questo?

4. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
Se l'Europa prendesse sul serio se stessa basterebbe che svolgesse quanto e'
implicito nella scelta di opporsi alla pena di morte per costruire una
politica comune fondata sulla scelta della nonviolenza, che affermi la
neutralita' attiva e rifiuti e contrasti la guerra, e rinegozi le relazioni
internazionali a partire dal criterio del ripudio dell'uccidere.
La proposta di Lidia Menapace puo' essere il punto di convergenza - e di
concretizzazione nella reciproca sinergia - delle tante proposte spesso
generiche e confuse, talvolta minimali e subalterne, sovente confliggenti
l'una con l'altra, che nell'alveo dei movimenti delle donne e per i diritti,
di pace e di solidarieta', sono state formulate verso l'Europa: i limiti di
astrattezza di alcune, i limiti di parzialita' di altre, possono essere
superati nella proposta di Lidia Menapace, netta nei principi e flessibile
ed articolata nelle applicazioni operative. Un'Europa neutrale e attiva,
disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta; del servizio civile e
della difesa popolare nonviolenta, dei corpi civili di pace e della
cooperazione dal basso, dell'eguaglianza di diritti fondata sul
riconoscimento delle differenze, dell'economia equosolidale e della
sobrieta', dei diritti e del diritto, dell'accoglienza e del riconoscimento,
del dialogo e della cooperazione.
L'8 novembre a Verona, presso la Casa della nonviolenza, su proposta di Mao
Valpiana con Lidia Menapace si incontreranno tante persone (ed e' sperabile
che ve ne siano portatrici e rappresentative delle piu' diverse culture ed
esperienze), e sara' l'occasione per formulare in modo dettagliato la
proposta, valorizzando anche i molti contributi che tante e tanti hanno dato
nel corso della preziosa e variegata comune riflessione che su essa e a
partire da essa, ma anche ad essa intrecciandosi muovendo da altrove e da
altro e da altri, si e' data in questi anni; e per costruire un'iniziativa
adeguata, tempestiva ed incisiva, la cui necessita' ed urgenza e' a tutti
evidente.

5. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: UN CONTINENTE NEUTRALE
[Questo intervento di Lidia Menapace abbiamo ripreso dal sito di "Marea"
(www.marea.it). Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) e'
nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel
movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria,
fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della
cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza
in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia
Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di
autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di
liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana,
Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina,
Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa
ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le
donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il
dito e la luna, Milano 2001]
Un continente neutrale impiega diversamente le risorse: poiche' pratica il
disarmo unilaterale, deve avere un contestuale progetto di riconversione
dell'industria degli armamenti: e' probabile che una buona parte potra'
essere non troppo difficilmente riconvertita in un programma diffuso di
protezione civile, non intesa solo come intervento durante o dopo le
calamita' (peraltro il mutamento del clima rende necessario anche questo
tipo di operazioni di emergenza), ma soprattutto a prevenire le sciagure con
un attento controllo sulla pericolosita' degli insediamenti in zone franose
o soggette a valanghe, nelle golene dei fiumi, per l'eccesso di
cementificazione stradale ecc. Molti mezzi pesanti e cingolati dell'esercito
potranno essere riconvertiti per avere un programma europeo di governo del
territorio contro incendi, desertificazione, per un uso corretto di parchi,
conservazione della flora e fauna di pianura collina montagna laghi fiumi e
mari; riconversione a uso pacifico di aree militari e fabbricati
dell'esercito marina aviazione dismessi ecc. Si prospetta un intero ciclo di
lavori utili e di spazi recuperati ad usi pacifici di relax sport attivita'
fisiche ecc.
Inoltre il continente neutrale avra' un servizio civile per sopperire ai
bisogni non soddisfatti dal mercato e non assumibili direttamente dalla mano
pubblica per il loro carattere intermittente non redditizio ecc. Il servizio
civile puo' essere pensato come obbligatorio gratuito o remunerato o fatto
valere come titolo per il mercato del lavoro, per l'accesso a studi
superiori o specialistici, non deve essere sostitutivo di lavori
regolarmente organizzabili dal mercato del lavoro ne' da erogare al posto di
diritti riconosciuti dagli stati o dal continente stesso (sanita' scuola
pensioni servizi sociali ricerca trasporti viabilita'). Alcuni sostengono
che un programma di servizio civile obbligatorio si configurerebbe come
schiavitu' (lavoro non pagato): con una legge si potrebbe sanare la
questione, includendo naturalmente anche il lavoro domestico e di cura
erogato gratuitamente da sempre dalle donne, "schiave" secondo questa
teoria. A me va bene.
Infine un addestramento di difesa popolare nonviolenta e nonarmata e' pure
da prevedere e da organizzare.
Poiche' sappiamo che la questione energetica e' fonte e causa di conflitti e
ormai le guerre si fanno per il petrolio - come all'inizio del secolo scorso
per l'energia idroelettrica (questa e' la vera ragione del confine al
Brennero per l'Italia nel 1918) - una buona quota delle risorse tolte agli
armamenti sara' destinata alla ricerca e sperimentazione di produzione di
energie pulite e in particolare - per il traffico - di motori a idrogeno.
Sul terreno dei rapporti internazionali il continente europeo una volta
unificato in forma di stato continentale (Unione Europea) avrebbe titolo per
chiedere l'ammissione alle Nazioni Unite, e con il peso della sua storia
potrebbe avviare una riforma delle stesse: tra l'altro per cancellare i
residui della seconda guerra mondiale che ne inficiano l'efficacia, ne
minano l'autorevolezza, e conservano traccia del potere fondato sulle armi
invece che sul diritto.
Per questo si propone una riforma delle Nazioni Unite che rafforzi i poteri
dell'assemblea, ammetta ad essa anche rappresentanze di organizzazioni non
statali, renda il consiglio di sicurezza tutto a rotazione, tolga il diritto
di veto ai vincitori della seconda guerra mondiale e lo trasferisca
correttamente - secondo l'origine dell'istituto del diritto di veto - dai
potenti ai deboli, cioe' dai vincitori ai paesi impoveriti.
Inoltre dalle Nazioni Unite prende avvio - dopo questa riforma - anche
l'istituzione del tribunale internazionale per i crimini contro l'umanita'
(guerra e terrorismo), e di una apposita magistratura e polizia
internazionale.

6. MEMORIA. PAOLA DI GIANPAOLO INTERVISTA GABRIELLA LAZZERINI (2002)
[Dal sito www.cafeletterario.it riprendiamo questa intervista a Gabriella
Lazzerini del 22 marzo 2002. Gabriella Lazzerini e' scomparsa alcuni giorni
fa; e' stata una prestigiosa intellettuale e militante femminista e
pacifista, insegnante, poetessa, educatrice autentica, una delle animatrici
dell'esperienza della Libreria delle donne di Milano (nel cui sito si puo'
leggere anche una sua utile "Bibliografia sulla guerra")]
Turnista e socia della cooperativa, secondo la sua stessa definizione,
Gabriella Lazzerini e' una delle animatrici della Libreria delle donne di
Milano. Una libreria storica, che pubblica testi in proprio, e da sempre e'
un luogo d'incontro, di discussione, insomma un luogo "politico". Le abbiamo
chiesto qualche consiglio, per donne e per misogini...
- Paola Di Gianpaolo: Qual e' il libro, o i libri, che ogni donna dovrebbe
leggere?
- Gabriella Lazzerini: Io credo che ogni libro rappresenti un incontro
unico, un incrociarsi di domande con possibili risposte, e che non ci siano
uno o piu' libri buoni per tutte. Nel nostro sito,
www.libreriadelledonne.it, alla voce "Libri preziosi" abbiamo raccolto un
elenco (volutamente tendenzioso e parziale, come si dice nella
presentazione) dei nostri preferiti, cercando di motivare brevemente ogni
volta il perche' quel libro era sembrato fondamentale a qualcuna di noi.
Posizionandosi con il cursore su ogni titolo si puo' leggere il perche' di
ogni scelta. Indico solo tre saggi, a cui sono particolarmente affezionata:
Due per sapere, due per guarire, di Ipazia (Quaderni di Via Dogana, Milano
1994); Non credere di avere dei diritti, curato dalla Libreria delle donne
di Milano; e Sputiamo su Hegel, di Carla Lonzi (Edizioni di Rivolta
Femminile).
- P. D. G.: C'e' un libro, in particolare, che ha contribuito a costituire
la sua "identita'" di donna?
- G. L.: Ogni libro significativo ha avuto la capacita' di spostare il mondo
facendo in modo che non lo vedessi piu' uguale a prima, ma se devo scegliere
qualcosa che ha segnato radicalmente la mia vita non si tratta di un libro,
ma di un foglio, il "Sottosopra verde" intitolato Piu' donne che uomini,
pubblicato dalla Libreria delle donne di Milano nel gennaio del 1983.
- P. D. G.: Si parla spesso di una generazione, quella delle piu' giovani,
che sembra aver dimenticato le lotte fondamentali nel processo di
emancipazione della donna. Quali libri potrebbero essere letti per ricordare
queste battaglie?
- G. L.: Per la maggior parte delle giovani donne la liberta' femminile e'
un dato acquisito, un punto di non ritorno. Il problema che si pongono e' di
trovare strade proprie. In libreria alcune giovani donne hanno dato
l'impulso a realizzare il sito, che e' frutto della discussione continua tra
alcune come me piu' anziane e loro che lo curano... Per rispondere piu'
precisamente alla domanda, consiglierei i molti testi che danno conto
dell'agire politico delle donne nel Novecento.
- P. D. G.: Quali libri consiglierebbe invece agli uomini, e in particolare
a quelli piu' profondamente misogini?
- G. L.: Gli stessi libri che parlano alle donne vanno bene anche per gli
uomini, consiglierei comunque gli ultimi numeri della rivista "Via Dogana"
dove si discute della necessita', oggi, per ciascuna di noi, di mettersi in
relazione con chi e' altro, differente.
- P. D. G.: Quale, tra le ultime pubblicazioni, crede rappresenti meglio la
donna del Duemila?
- G. L.: E' una risposta non facile, perche' tanti libri di donne danno uno
sguardo nuovo sul mondo. Mi limito a suggerirne uno, e il perche' lo si
capira' dal titolo Duemilaeuna, donne che cambiano l'Italia.

7. INCONTRI. ELISABETTA CARAVATI: DONNE E IMMIGRAZIONE
[Dal sito di Peacelink (www.peacelink.it) riprendiamo questo articolo di
Elisabetta Caravati. Elisabetta Caravati (per contatti:
elisabettacaravati at libero.it) e' impegnata nell'esperienza delle Donne in
nero a Varese (sito: www.donneinnerovarese.org) ed e' autrice di acuti
interventi sui temi della pace, della solidarieta', dei diritti]
Tre donne, tre mediatrici culturali, a Cassano Magnago ci raccontano di
donne e immigrazione, in una serata che rientra in quell'EtnoFesta
(www.etnofesta2003.com) che a Varese e in provincia ci permette, dal 3 al 25
ottobre, di confrontarci con altri popoli, altre culture, altre tradizioni,
altre realta'.
Tre donne, dunque, ci narrano di altre donne e di come loro, attraverso la
professione che hanno scelto di svolgere, cercano di aiutare le donne che
partono dai loro paesi di origine ed arrivano in Italia ed in particolare
qui, in terra padana!
Aziza e' marocchina, ha frequentato il liceo classico, si e' laureata in
giurisprudenza, e lavorava nel suo paese; il marito pero' non aveva lavoro
ed e' venuto a cercarlo in Italia; lei, e' rimasta in Marocco. Trovato il
lavoro, affittata una casa, il marito e' tornato in Marocco a prendere Aziza
e i bambini. Questo e' quanto accade a tutte le donne maghrebine. Da
principio partono i mariti, loro arrivano solo in un secondo momento. Giunte
in Italia per tutte loro, donne arabe, il primo vero problema e' la lingua.
Esistono scuole di italiano per emigrati, ma per lo piu' sono corsi serali
e, nella cultura araba, e' impensabile che una donna esca la sera e vada in
una scuola dove puo' trovare un uomo come insegnante. E cosi' non tutte le
donne riescono a imparare l'italiano. Ma senza la conoscenza della lingua e'
impossibile comunicare; e nel frattempo, molte volte, gia' e' diventato
difficile comunicare con un marito che le ha lasciate troppi anni da sole
nel loro paese d'origine... La donna araba (cosi' come l'uomo arabo) sogna e
spera di tornare un giorno al suo paese ed e' anche per questo che molte
donne continuano a portare i loro vestiti tradizionali, non tutte le donne
li portano nel Nord Africa, ma portarli qui e' un modo per comunicare agli
altri che le loro radici sono altrove e che in quell'altrove hanno lasciato
anche il loro cuore.
Diverso e' il cuore delle donne latinoamericane; donne, ci spiega Marina,
che, da quando i loro paesi sono governati dalla politica del Fondo
monetario internazionale, emigrano solo ed esclusivamente per cercare di
guadagnare qualcosa. Sono le donne latinoamericane che per prime lasciano i
loro paesi di origine e vengono in Italia. I mariti restano ed anche i figli
restano. I figli vengono cresciuti dalle nonne, i mariti "si divertono" con
altre donne; ci sono tante donne in America Latina, ragazze madri, donne
sole. In Italia le donne sudamericane lavorano molto, e nel fine settimana
si trovano, molto spesso, un altro lavoro. Loro nel cuore hanno la voglia di
divertirsi, ma non ci sono possibilita' di divertimento per loro qua da noi;
e allora lavorano per sentire il meno possibile la nostalgia di casa, la
nostalgia dei figli che altrove vengono cresciute da altre e che a loro
rinfacceranno poi, per sempre, di averli abbandonati. Lavorano e sognano un
giorno di portarsi qua tutta la famiglia; abbandonano quasi subito la voglia
di tornare; capiscono che qua la vita e' piu' facile perche' ci sono piu'
soldi; capiscono che qua, un giorno, potranno costruirsi una casa e una
famiglia; c'e' un prezzo da pagare per avere tutto questo, e loro sanno che
il prezzo e' rimanere qua.
Anche le donne albanesi ed in genere tutte quelle che giungono dall'Est, ci
spiega Valentina, vengono per restare. Loro sono quelle che curano i nostri
vecchi e i nostri ammalati. Loro sono quelle che condividono in una stanza
una vita che si spegne. Loro sono quelle che troppo spesso al di fuori di
quella stanza non hanno altro. Sono quelle che frequentano piu' volte il
corso di italiano, anche quando l'italiano gia' lo sanno; ma la scuola di
italiano e' l'unico luogo dove possono andare per ritrovarsi con gente che
parla la loro stessa lingua e con cui poter condividere le loro piccole
conquiste. Anche riuscire a salire su una scala mobile alla stazione
centrale di Milano per loro e' una conquista.
La cosa piu' importante per tutte queste donne, qualsiasi sia la loro
provenienza, qualsiasi siano i loro sogni, suppongo sia quella di
confrontarsi con altre donne.
E' dal confronto e dalla reciproca conoscenza che nasce la voglia di capirsi
di aiutarsi e di costruire la pace.

8. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI INTERVISTA FRANCO CASSANO
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci
inviato questa intervista gia' apparsa nell'edizione palermitana del
quotidiano "La repubblica" del 16 ottobre 2003.
Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e'
impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a
Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di
problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia.
Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della
consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a
questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo,
Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad.
portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera,
Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad.
portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico,
ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa
puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda
ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll.,
Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri
educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione
profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola
1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998;
Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998,
seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di
storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999;
Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica,
Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste
antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito:
http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa).
Franco Cassano, docente universitario, e' un autorevole sociologo e
saggista. Dal sito www.comune.benevento.it riprendiamo la seguente scheda:
"Franco Cassano e' nato ad Ancona nel 1943 e insegna Sociologia della
conoscenza nell'Universita' di Bari. E' stato intellettuale di punta del
marxismo meridionale, ma ha iniziato, negli anni Ottanta, una riflessione
che, senza rinnegare quelle radici, si apriva a nuovi orizzonti. Il pensiero
meridiano, ovvero ripensare il Mezzogiorno riconsiderando la sua identita'
culturale rispetto a una modernizzazione che non lo ha fatto, e' l'opera che
nel 1996 ha aperto il dibattito sull'autonomia del pensiero meridionale. In
Approssimazione. Esercizi di esperienza dell'altro (Il Mulino, 1989),
partendo dal presupposto dell'assoluta trascendenza dell'altro, chiunque
egli sia, venivano analizzati i modi dell'avvicinamento, riconoscendo la
necessita' di "una volonta' d'impotenza". Partita doppia. Appunti per una
felicita' terrestre (Il Mulino, 1993) era uno straordinario percorso in otto
stazioni che cercavano di evidenziare come ogni situazione della vita e
della storia sia, appunto, una "partita doppia", abbia vantaggi e svantaggi,
schiudendoci spesso all'orizzonte tragico, che e' quello in cui l'uomo e'
gettato. Ne Il pensiero meridiano (Laterza, 1996), il suo libro piu' celebre
che ha posto le basi teoriche di un nuovo meridionalismo, il Sud del mondo
(anche attraverso una riflessione su Camus e Pasolini) viene pensato a
partire da parametri nuovi, valorizzandone prima di tutto l'osmosi con il
mare, l'"andar lenti", contro il mito moderno dell'"homo currens", la sua
dimensione di frontiera. Con Mal di Levante (Laterza, 1997) e Paeninsula
(Laterza, 1998) Cassano ha esteso la sua riflessione a Bari e all'Italia,
insistendo su temi come la contaminazione tra le culture per risolvere il
rapporto con il futuro. Modernizzare stanca (Il Mulino, 2001) raccoglie una
serie di saggi in cui Cassano riflette con sobrieta' e ironia su una gran
varieta' di aspetti del vivere umano. La modernita' - questa la tesi di
fondo - presenta dei coni d'ombra: esistono degli aspetti che non riesce a
risolvere in modo soddisfacente, esistono dei valori (favole, preghiere,
ricordi infantili, passioni, relazioni affettive) che essa, a volte
colpevolmente, trascura, e che possono essere proficuamente riattivati per
renderci meno nevrotici. Il suo ultimo lavoro e' una breve saggio su
Leopardi, Oltre il nulla (Laterza, 2003), la cui tesi centrale e' che il
"nulla" nell'autore de La ginestra e' solo la penultima parola. Il
disincanto di cui il recanatese si fece teorico e poeta non coincide con la
resa. Nostro compito e' farci carico della verita' senza rassegnarsi. Nello
stesso tempo Leopardi va riattivato come poeta civile, alfiere di una
"solidarieta' planetaria", che puo' nascere dalla capacita' dello "sguardo
da lontano". Cassano appare come uno dei pensatori piu' liberi ed originali
del panorama intellettuale italiano, grazie anche alla sua passione e alla
sua inesausta curiosita' intellettuale, che rompe barriere tra discipline e
ideologie. Fa parte del comitato scientifico del Laboratorio Progetto
Poiesis e della redazione della rivista "Da qui". Presiede a Bari il
movimento di cittadinanza attiva Citta' plurale"]
- Augusto Cavadi: Franco Cassano si definisce un filosofo, un sociologo, un
antropologo o che altro?
- F. C.: Non amo la divisione del sapere in compartimenti stagni. So bene
che in alcuni casi solo l'alta specializzazione permette di raggiungere
grandi risultati, ma nella normalita' accademica spesso la chiusura nel
guscio dello specialismo copre una stanchezza corporativa, il rifiuto di
misurarsi con i problemi in modo non canonico. Diciamo pure che non amo le
etichette, che non mi sento solo un sociologo, solo un filosofo o solo uno
scrittore, ma attingo dalla tradizione delle scienze sociali, dalla
riflessione filosofica e dalla letteratura.
- A. C.: A quando il primo romanzo?
- F. C.: Me lo chiese un lettore tempo fa, notando degli echi letterari
nella mia scrittura. Io risposi allora e rispondo adesso: non credo in un
superlinguaggio, ma preferisco muovermi attraverso i linguaggi esistenti,
convinto che nessuno di essi dia l'accesso diretto alla realta', ma che
proprio per questo occorra conoscerli tutti.
- A. C.: Quando gli intellettuali analizzano il sud, di solito lo fanno
adottando le categorie culturali dominanti. Cioe' le categorie culturali del
nord. Proprio questi occhiali condizionano il panorama: il sud, visto dal
nord, e' sempre un po' arretrato. Lei propone di cambiare occhiali, di
capovolgere il punto di vista: di guardare il mondo con gli occhi del sud.
E' questo il nucleo centrale del suo fortunato saggio Il pensiero meridiano?
- F. C.: Il nucleo originario del pensiero meridiano sta nel voler concepire
il sud come soggetto del pensiero e non solo come oggetto della riflessione
altrui, sta nella rivendicazione di un'autonomia critica rispetto ai modelli
dominanti, rispetto ad una modernita' distruttiva e arraffona, che trova la
sua rappresentazione esemplare nello scempio edilizio del sud, scempio che
si appresta al grande condono e alla grande sanatoria. Quello scempio e'
un'immagine di un sud che ha perso se stesso per un inseguimento affannoso e
aggressivo alla ricchezza privata, fondata sulla distruzione e umiliazione
di cio' che e' di tutti, di beni pubblici come l'ambiente, il mare, le
strade e le piazze e infine le istituzioni, spesso sequestrate da interessi
privati mentre dovrebbero appartenere a tutti i cittadini. Un soggetto che
vuole divenire autonomo e maturo e' molto severo con se stesso, capisce che
una debole tradizione civica finirebbe col distruggere il sud.
- A. C.: Su quali basi costruire una rinascita?
- F. C.: Il sud della mafia, delle clientele, il sud, sospettoso e
arroccato, nel quale il senso cinico prevale sul senso civico, ma anche
quello amicone e sbracato, che calpesta la legalita', e' un sud che si
uccide, dopo aver prostituito la sua bellezza. Una nuova vita del sud non
potra' nascere che dalla restaurazione della legalita', dalla crescita della
tradizione civica, dalla cura dei luoghi comuni, da un orgoglio che non e'
mai chiusura particolaristica, ma apertura. Il Mediterraneo al quale il
pensiero meridiano si richiama e' l'individuazione di una patria piu' larga,
il contrario non solo del campanilismo, ma anche di un regionalismo
soffocante e spesso rinchiuso su se stesso. Il pensiero meridiano non e' un
recupero vernacolare, ma la messa in movimento di un meridione che vuole
esserci e contare senza tradire se stesso.
- A. C.: Di lei qualcuno dice che e' un  estremista. Suppongo si riferisca
al pericolo che le sue prospettive legittimino gli atteggiamenti sterili del
meridionalismo piagnone, se non addirittura dell'orgoglio patetico di chi -
non avendo raggiunto l'uva della modernizzazione - si autoconsola sostenendo
che non ne valesse la pena.
- F. C.: Sarebbe un sogno se tutti coloro che parlano delle cose che scrivo
avessero letto i miei libri, ma non si puo' avere tutto dalla vita. Quanto
al meridionalismo piagnone, posso solo dire che il nuovo meridionalismo,
quello che nasce negli anni Novanta, al di la' delle sue differenze, muove
dall'idea comune che il motore di un nuovo sviluppo debba essere l'autonomia
del sud. Altro che la subalternita' piagnona, che presupponeva la dipendenza
e la subalternita' attraverso l'erogazione clientelare dei flussi delle
risorse pubbliche! Chi ama l'autonomia, chi vuole governarsi, e' il
contrario del piagnone. Quindi chi imputa al pensiero meridiano il
piagnonismo, non sa di che cosa sta parlando. Quanto all'autoconsolazione le
posso solo dire che quella del pensiero meridiano e' una prospettiva che
richiede, tra l'altro, una profonda messa in discussione della politica
estera del nostro paese. Un Mediterraneo di pace e' un Mediterraneo che apre
al sud, ma anche all'Italia nel suo complesso nuove prospettive di sviluppo.
Chi vede qualcosa di statico nella mia analisi non solo ne capovolge il
senso, ma probabilmente proietta su di essa la propria pigrizia e
passivita'.
- A. C.: Tra i suoi scritti e' noto Paeninsula, l'esaltazione della
morfologia peninsulare come ponte naturale fra le diverse civilta'. A Suo
parere, anche la Sicilia puo' considerarsi metaforicamente una penisola o il
fatto di essere semplicemente un'isola la penalizza?
- F. C.: La Sicilia dovrebbe evitare di interrogarsi troppo sulla sua
specificita' e cercare di capire in che ruolo puo' giocare all'interno della
squadra del sud. Nel sud oggi c'e' troppo narcisismo regionale, mentre
occorrerebbe riflettere ed agire insieme. Le faccio un esempio. Due anni fa
un amico mi fece leggere un libro sulla crisi del sistema creditizio
siciliano, interessante, ma tutto giocato sulla specificita' ed
eccezionalita' regionale di questa crisi, mentre la crisi del sistema
finanziario riguarda l'intero mezzogiorno e sicuramente anche la Puglia.
Questa scala regionale tiene separate le forze ed impedisce il decollo di
politiche comuni che sarebbero capaci di cambiare realmente le cose. E'
anche cosi' che si batte il pessimismo. Ma per far questo occorrerebbe
riprendere le fila di un lavoro comune degli intellettuali del Mezzogiorno,
mettere in comune le ricerche e le esperienze. L'idea che sta alla base del
pensiero meridiano e' anche questa, ma i partiti sembrano sempre oscillare
tra il primato degli equilibri romani e un regionalismo sempre piu' sterile.
Ma mi consenta di aggiungere una cosa che mi sta molto a cuore: si da'
slancio al sud solo se non si parla sempre e soltanto di esso, solo se il
sud e' curioso del mondo, e sa raccontare le sue storie senza chiudersi. Nel
pensiero meridiano c'e' un elogio della lentezza, che spesso mi e' stato
rimproverato. Eppure oggi la lentezza e' un tema che attraversa le
discipline piu' diverse, dalla filosofia, che s'interroga sul tempo, alle
scienze umane, che comparano l'idea di tempo nelle diverse societa', alla
letteratura, penso a Kundera e Nadolny, al cinema, da Anghelopulos a
Kiarostami, da Wenders a Herzog a David Lynch, ai manuali che propongono
un'idea diversa della qualita' della vita, ecc. E che cosa significa tutto
questo parlare di lentezza se non il desiderio di tornare a controllare il
tempo della propria vita? Che cosa significa se non costruire rapporti
sociali non mercificati, dare spazio alla democrazia, a nuove forme di vita
comune? Il pensiero meridiano e' il sud che pensa in grande, qualcosa che
non accade da cosi' tanto tempo, che molti meridionali ne hanno perso la
nozione.

9. RIFLESSIONE. FAUSTO CONCER: PER LA CONTRADIZION CHE NOL CONSENTE
[Ringraziamo Fausto Concer (per contatti: faustoconcer at libero.it) per questo
intervento. Fausto Concer e' impegnato in varie esperienze, particolarmente
a Bolzano e a Bologna, per la pace, i diritti dei popoli, la difesa della
Costituzione, un'economia di giustizia e di solidarieta']
L'infame avallo da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu
dell'occupazione militare dell'Iraq, e quindi l'altrettanto infame
legittimazione post factum della guerra a quel paese, mi ha fatto tornare
alla mente il canto XXVII dell'Inferno di Dante, quello che vede
protagonista il consigliere fraudolento Guido da Montefeltro. Ghibellino e
uomo di guerra, Guido da Montefeltro, dopo una vita passata a condurre
eserciti a numerose vittorie, uomo di proverbiale e diabolica scaltrezza,
decide di farsi francescano per espiare i propri peccati; a questo punto
pero' "il gran prete", Bonifacio VIII, lo convince, promettendogli
un'assoluzione preventiva, ad aiutarlo, con le sue opere "di volpe", a
sconfiggere i nemici in guerra. Il consigliere, mondato - cosi' crede - in
anticipo dal peccato da parte del papa, conduce con un astuto suggerimento
l'esercito al trionfo, ma nell'ora della morte invece che in paradiso
finisce all'inferno, perche' non puo' venire assolto chi realmente non si
pente, ne' ci si puo' pentire d'una colpa e compierla allo stesso tempo.
Qui la situazione tra prima e dopo e' invertita, ma l'Onu, il nuovo papa
laico che assolve e benedice al di sopra d'ogni morale, sembra irretire i
novelli Guido, pronti fino a ieri a protestare e battersi contro i crimini
dell'unilateralismo statunitense, oggi genuflessi ad un nuovo
multilateralismo, che, ahime', non pare discostarsi molto, in metodi e
valori, dal suo predecessore. Genuflessi e complici.
Che la guerra, l'ennesima e barbara e violenta guerra, contro l'Iraq sia
stato un crimine vede tutti d'accordo, dai pacifisti alla sinistra moderata,
dai cattolici alla sinistra radicale e antagonista, dalla Germania alla
Francia (seppur con sfumature e opportunismi diversi).
Che l'occupazione fosse altrettanto deprecabile e sbagliata vedeva, sino a
ieri, ancora tutti d'accordo.
Una occupazione militare, che umilia un popolo, provoca giornalmente morti
da entrambe le parte, resistenti ed invasori, scatena terrorismo, aggiunge
violenza a violenza, morte a morte, sopruso a sopruso. "Via i militari
italiani dall'Iraq" e' stata pure la parola d'ordine, piu' o meno ufficiale,
della Perugia-Assisi.
Eppure l'Onu, gli stati prima renitenti, con tocco taumaturgico, trasforma
il loglio in grano, la polvere in oro, la violenza in pace, l'oppressione in
protezione. Basta un pronunciamento del Consiglio di sicurezza, dei paesi
che ora sono preoccupati di non potersi spartire i benefici della
ricostruzione e del petrolio, per far cambiare rotta anche, cosi' pare, ad
alcuni che si sono battuti con forza e determinazione contro questo ennesimo
terribili misfatto. La cultura della guerra e della prepotenza sembra ancora
prevalere, la cultura della pace e del rispetto delle donne, degli uomini e
dei popoli, invece che essere, come avevamo tutti sperato, la bussola d'ogni
nostra azione, sembra, per alcuni, essere solo un escamotage tattico per
altri fini, magari di politica interna.
Ma il popolo della pace, il popolo che cerca di costruire un altro mondo
possibile, e' "loico", logico e razionale, come il diavolo dantesco che
prese Guido e lo condusse all'inferno: sapra' vigilare, sapra' non farsi
irretire da calcoli politicisti e compatibilisti, proprio perche' non
compatibile col mondo della guerra e della sopraffazione, proprio perche'
portatore di un'altra cultura e di altri valori.

10. RIFLESSIONE: EDUARDO GALEANO: "AL LUPO" IL LUPO GRIDAVA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 ottobre 2003. Eduardo Galeano e' nato
nel 1940 a Montevideo (Uruguay); giornalista e scrittore, nel 1973 in
seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal
suo paese; ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura.
Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale
fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Tra le
sue opere, fondamentali sono: Le vene aperte dell'America Latina,
recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del fuoco,
Sansoni, Firenze; il recente A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano. Tra
gli altri suoi libri editi in italiano: Guatemala, una rivoluzione in lingua
maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta, Dedalo, Bari; La conquista
che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma; Las palabras andantes,
Mondadori, Milano]
Il potere come paura. Senza i demoni che crea perderebbe le sue fonti di
giustificazione, impunita' e fortuna. I suoi diavoli - Bin Laden, Saddam
Hussein o i prossimi che appariranno - lavorano, in realta', come galline
dalle uova d'oro: mettono paura. Che cosa conviene mandargli? Carnefici che
li facciano fuori o medici che li curino? La paura distrae e svia
l'attenzione. Se non fosse per i servizi resi, l'evidenza verrebbe messa in
evidenza: in realta' il potere si guarda allo specchio e ci spaventa
raccontando quello che ha visto. Al lupo!, Al lupo!, grida il lupo.
Il patriottismo e' un privilegio di coloro che comandano. Quando lo
esercitano gli esecutori, si riduce a mero terrorismo? Sono solo e
unicamente terroristi, mettiamo il caso, gli atti di disperazione suicida
dei palestinesi cacciati via dal loro paese e gli attacchi di resistenza
nazionalista contro le forze straniere che occupano l'Iraq?
Il mondo alla rovescia nomina al contrario. Il potere, mascherato, nega il
buon senso. Se cosi' non fosse, potrebbe esserci qualche ombra di dubbio sul
fatto che l'attuale governo di Israele pratichi il terrorismo, il terrorismo
di stato, e diffonda la follia? Quanto piu' questo governo divora nuove
terre e infligge maggiori umiliazioni al popolo palestinese, tanto piu'
genera risposte criminali. E quegli attentati, che uccidono innocenti, gli
servono come pretesto per uccidere molti altri innocenti e per commettere
tutte le atrocita' che gli girano. Se nel mondo ci fosse ancora qualche
briciola di buon senso, risulterebbe incredibile che Ariel Sharon possa fare
quello che sta facendo con assoluta impunita', come se fosse la cosa piu'
normale: invade e spara su territori altrui; costruisce un muro che fa
impallidire quello di Berlino, di triste memoria, per blindare cio' che
usurpa; annuncia pubblicamente che assassinera' Yasser Arafat, un capo di
stato democraticamente eletto dal suo popolo; e bombarda la Siria, forte del
fatto che gli Stati Uniti impediranno, come sempre, qualsiasi condanna da
parte del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
*
Capita che in questo mondo i paesi e le persone vengano quotati in borsa, e
che il loro valore dipenda dalla geografia del potere.
Quanti innocenti sono stati fatti saltare in aria, con nonchalance,
nell'ultima guerra in Iraq? I vincitori non hanno avuto tempo di contare le
loro vittime, civili che esistevano e non ci sono piu', perche' sono stati
occupati a cercare le armi di distruzione di massa che non esistevano, ne'
esistono.
Non ci sono dunque cifre ufficiali. I calcoli ufficiosi piu' seri hanno
contato, tuttavia, non meno di settemilasettecento morti civili, molti di
loro vecchi, donne e bambini. Quanto valgono quelle vite? In proporzione, la
quantita' di iracheni fatti fuori equivale a novantaquattromila
statunitensi. Che cosa sarebbe successo se il paese invasore fosse stato il
paese invaso? Le vittime nordamericane di una simile carneficina
continuerebbero ad essere il tema perpetuo dei mezzi di comunicazione di
massa. Invece le vittime irachene non meritano altro che il silenzio.
E' arcinoto che il furto e' stato l'unico movente di questa strage, commessa
con premeditazione e in malafede, ma i serial killer continuano a dire di
aver fatto quello che hanno fatto per autodifesa e non sono ne' prigionieri
ne' pentiti. Il crimine paga: dai vertici del potere, loro minacciano il
mondo con nuove imprese, immaginando falsi pericoli, inventando nemici,
seminando il panico.
Il presidente Bush adora citare l'Apocalisse, ma sarebbe piu' logico citare
i notiziari che sono piu' attuali e dicono piu' o meno le stesse cose. Quel
testo biblico raccapricciante, una profezia raccontata al passato, era
piuttosto esagerato e sbagliava le cifre, ma bisogna riconoscere che le
notizie del mondo d'oggi gli assomigliano abbastanza. Diceva l'Apocalisse:
"Vicino al grande fiume Eufrate... venne sterminato un terzo degli uomini
dal fuoco, dal fumo e dallo zolfo". E diceva anche: "Un terzo della terra
brucio', un terzo degli alberi brucio', tutta l'erba verde brucio'... Mori'
un terzo delle creature che vivono nel mare... Molta gente mori' per le
acque dei fiumi, che erano diventate amare".
L'autore, san Giovanni o chi per lui, attribuiva queste catastrofi all'ira
divina. Lui non aveva mai sentito parlare di bombe intelligenti, e neppure
del biossido di carbonio, delle piogge acide, dei pesticidi chimici, delle
scorie radioattive. E non poteva immaginare che la societa' dei consumi e la
tecnologia della distruzione sarebbero state piu' temibili della collera di
Dio.
*
Bombe contro la gente, bombe contro la natura. E le bombe di denaro? Che ne
sarebbe di questo modello di mondo nemico del mondo senza le sue guerre
finanziarie? In piu' di mezzo secolo di esistenza, la Banca mondiale e il
Fondo monetario internazionale hanno sterminato una quantita' di gente
infinitamente maggiore di tutte le organizzazioni terroristiche che ci sono
o ci sono state nel mondo. Loro hanno contribuito pesantemente a rendere il
mondo cosi' com'e'. Adesso questo mondo, che ribolle d'indignazione,
spaventa i suoi autori.
"La Banca mondiale, apostolo della privatizzazione, e' in crisi di
coscienza", commenta il quotidiano The Wall Street Journal. In un recente
rapporto, la Banca scopre che la privatizzazione dei servizi pubblici, che i
suoi funzionari hanno imposto e continuano ad imporre ai paesi deboli, non
e' esattamente una manna dal cielo, soprattutto per i poveri abbandonati al
loro destino. Allarmata dalle conseguenze dei suoi atti, la Banca adesso
dice che bisognerebbe consultare i poveri e che i poveri "dovrebbero
vigilare gli investimenti privati", sebbene non spieghi come potrebbero
realizzare questo lavoretto da niente. I poveri preoccupano anche il Fondo
monetario, che li ha sempre strozzati: "E' necessario diminuire le
disuguaglianze sociali", conclude il direttore del Fondo, Horst Koehler,
dopo aver meditato sulla faccenda. I poveri non sanno davvero come
ringraziare.
Questi organismi, che esercitano la dittatura finanziaria nel sistema
democratico, non hanno nulla di democratico: nel Fondo decidono tutto cinque
paesi; nella Banca, sette. Gli altri non hanno alcuna voce in capitolo.
Nemmeno la dittatura commerciale e' democratica. Nell'Organizzazione
mondiale del commercio non si vota mai, sebbene il voto sia previsto negli
statuti. L'organizzazione coloniale del pianeta sarebbe in pericolo se i
paesi poveri, che corrispondono alla schiacciante maggioranza, potessero
votare. Loro sono invitati al banchetto per essere divorati.
La dignita' nazionale e' un'attivita' non redditizia, destinata a
scomparire, come la proprieta' pubblica, nel mondo sottosviluppato. Ma
quando le dignita' si uniscono, e' tutta un'altra storia. E' quanto accaduto
a Cancun di recente, alla riunione della Organizzazione mondiale del
commercio: i paesi disprezzati, i buggerati, si sono uniti in un fronte
comune, per la prima volta dopo molti anni di solitudine e di paura. E la
riunione, convocata, come al solito, affinche' la maggioranza esercitasse il
suo diritto all'obbedienza, e' naufragata.
Sta succedendo ovunque: sembra che il potere non sia cosi' potente come dice
di essere.
Lo sapeva bene Alice, quella del Paese delle Meraviglie: - Tagliatele la
testa! - grido' la regina, con tutta la forza dei suoi polmoni, ma nessuno
si mosse. - Chi mai le darebbe retta? - disse Alice - Sono solo un mazzo di
carte!

11. LETTURE. BERNADETE TONETO: L'AVVOCATO DEI SENZA-TERRA
Bernadete Toneto, L'avvocato dei senza-terra. Henri Burin des Roziers, Jaca
Book, Milano 2003, pp. 96, euro 9. Un profilo di fratel Henri Burin des
Roziers, impegnato in Brasile nella difesa dei contadini in lotta per la
terra, per il diritto alla vita, per l'umanita'.

12. LE OBIEZIONI DI MARGUTTE: DEGLI USI DEL LETAME
Una vicenda accaduta a Roma alcuni giorni fa ha dato luogo ad una
riflessione in cui si sottovaluta un aspetto a nostro modesto avviso
decisivo. Ed e' per questo che commettiamo l'ineleganza di spendervi sopra
qualche parola, visto che - a quanto ne sappiamo - nessun altro lo ha fatto.
Buono e' lo spargimento del letame sui campi, e gioioso: laetamen, appunto.
E fecondo. Chiunque ha vissuto la vita contadina sa come alla fatica
s'intrecci un contatto, un legame alla terra e una percezione della
corporeita' che salva dalla patologia piu' cupa della vita nella citta'
globale: lo sradicamento, la mercificazione di tutto, l'alienazione e
riduzione del senso a fantasima, un dileguamento di ogni concreto condiviso.
*
E adesso racconto una storia che viva mi tocca: avevo un amico, assai caro,
che viveva poveramente in un piccolo paese. E per beffa e umiliazione alcuni
teppisti, miseri anch'essi ma di poco piu' ricchi e superbi di quel loro
sentirsi tali, erano adusi scagliargli di notte sull'uscio di casa sacchi di
spazzatura ed altre immondizie.
Non ho mai dimenticato quanto sottilmente atroce - e grevemente a un tempo -
questo fosse: non parlo di cose dei tempi del cucco, parlo di vent'anni fa.
*
I giovanotti che ai primi di ottobre hanno versato letame dinanzi alla casa
di un prominente (alle cui posizioni ed azioni opporsi e' giusto e
necessario, ma la cui umana persona rispettata deve essere come la persona
di qualunque essere umano) non sanno di aver ripetuto un gesto nazista. Non
sanno di essersi messi alla scuola della notte dei cristalli. Ma questo
hanno fatto.
E tutti coloro che dinanzi a tal gesto hanno sorriso come di una bravata di
goliardi non sanno che anche quel sorriso non e' soltanto genericamente il
sorriso di Franti, e' il sorriso di coloro che si compiacevano delle
squadristiche imprese, e che nei roghi della carta dei libri si fingevano
non presagire prossimo l'odore della carne bruciata degli esseri umani: che
poi venne.
Vorremmo che ci si riflettesse.
Per non dire dei pestaggi e dei tentativi di linciaggio: sui quali, quando a
compierli sono figuri che si proclamano "del movimento", ancora e' reticente
e omertosa tanta parte del movimento che pretende di essere per la pace e la
giustizia, quando addirittura non offre e chiede complicita' con gli
squadristi. E anche questo e' fascismo in atto.
*
Io che scrivo queste righe sono uno di quelli che trent'anni fa cercarono di
contrastare l'inabissarsi nell'omicidio e nel suicidio di tanti giovani che
sinceramente indignati dall'ingiustizia dominante, e generosamente
intenzionati a contrastarla, finirono per ribadirla e riprodurla in febbre e
parossismo. Ho gia' visto dove menano certi atteggiamenti di provocazione e
di sottovalutazione: alcuni alle cattedre e agli scranni, altri al crimine e
alla follia. Vorrei che non si ripetesse questa incessante vicenda di orrore
ed infamia; e vorrei che quelli che hanno la mia eta' e un'esperienza come
la mia di palafitte e di barricate, ai piu' giovani sapessero dire la
necessita' della coerenza tra i mezzi e i fini, del rigore intellettuale e
morale, della scelta - chiedo venia - della nonviolenza come lotta la piu'
nitida e la piu' intransigente contro le violenze e le oppressioni e le
alienazioni tutte; e non li lasciassero finire nel precipizio, ma sull'orlo
del campo s'attentassero ad afferrarli, come quel catcher in the rye che
tutti leggemmo, che non ho dimenticato.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 710 del 21 ottobre 2003