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La nonviolenza e' in cammino. 700
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 700
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 11 Oct 2003 05:00:20 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 700 dell'11 ottobre 2003 Sommario di questo numero: 1. Sergio Paronetto: nonviolenza forza di liberazione 2. Mao Valpiana: sulla proposta di Lidia Menapace, dalla riflessione all'incontro all'iniziativa 3. Una persona, un voto 4. Mario Di Marco: sulla proposta di Lidia Menapace 5. Ausilia Riggi Pignata: sulla proposta di Lidia Menapace (parte seconda) 6. Francesco Tullio: il bisogno di sicurezza e la difesa civile per l'Europa (un contributo alla proposta di Lidia Menapace). Parte seconda 7. Angelo Gandolfi: alla Perugia-Assisi per i corpi civili di pace 8. Catiuscia Barbarossa: da Perugia ai popoli del mondo 9. Roberta Bertoldi: l'intervento di Vandana Shiva a Perugia 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. SERGIO PARONETTO: NONVIOLENZA FORZA DI LIBERAZIONE [Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto at yahoo.com) per questo intervento. Sergio Paronetto e' impegnato nel movimento di Pax Christi ed in molte iniziative di pace e di solidarieta'] Cari amici, cerco di esprimere la mia opinione sulle violenze accadute a Roma il 4 ottobre, riprendendo alcune idee scritte in occasione del G8 di Genova. Purtroppo siamo all'ennesima replica. Concordo con molti intervenuti nel dibattito. So bene che in certe manifestazioni e' difficile calibrare le parole. Noto anch'io che il linguaggio di alcuni sedicenti "pacifisti" e' cupo, gladiatorio, militarizzato, maschilista. Quasi sempre ultimativo, eccitato. Alcuni vivono, per cosi' dire, un orgasmo da scontro. Lo cercano. Mimano la guerra o la rivoluzione armata. Desiderano il "martirio". E' una logica tipica dell'estrema destra radicale, politica o esoterica. Il mito del guerriero e' duro a morire. Fiorisce in molti giardini. Cresce in luoghi diversi, uguali e contrari. Puo' contagiare persone miti e generose. Da' spazio ai teppisti e ai provocatori organizzati. A volte, nel clima teso di alcune grosse manifestazioni, molti partecipanti ritengono secondaria la presenza di violenti disposti a usare sassi, bastoni, scudi, o a fare "guerriglia urbana". Pur dissentendo o denunciando il fatto, qualche "pacifista" pensa ancora che si tratti di compagni o amici che sbagliano. E' un abbaglio! I violenti sono pericolosi avversari del movimento per la pace. Lo umiliano. Lo sgretolano. Lo screditano. E' per questo che, a volte, vengono lasciati fare o sono manipolati. E' una storia vecchia. Il modo migliore per eliminare o indebolire un soggetto politico alternativo e' quello di minarlo dall'interno, usando parole d'ordine condivise. E' quello di portarlo al degrado e al suicidio. Condivido l'allarme lanciato piu' volte da Susan George in riferimento a episodi di violenza avvenuti a Goteborg, a Genova e altrove: "ne ho abbastanza di questi gruppi che arrivano nelle manifestazioni per distruggere...; ne ho abbastanza di questi teppisti e temo che se si continua a lasciarli fare finiranno per distruggere il movimento: la piu' bella speranza politica da trent'anni a questa parte" ("Azione nonviolenta", n. 7, 2001). Per Susan George, "il movimento che lotta per una globalizzazione diversa e' in pericolo... Non potra' piu' andare avanti allo stesso modo... Noi, la immensa maggioranza che avanza proposte serie, noi che crediamo fermamente che un altro mondo e' possibile, dobbiamo agire responsabilmente... Dovremo trovare nuovi percorsi democratici per portare avanti la lotta". Alcuni pensano che lanciare i sassi sia legittimo o, comunque, poco rilevante davanti ai problemi dell'umanita'. C'e' chi si appella, tra l'altro, alla "legittima difesa" senza rendersi conto che usano proprio l'argomentazione di coloro che preparano le guerre o la corsa agli armamenti. La loro "disobbedienza civile" assomiglia a una disperata sfida di guerra. Sono complici e vittime della logica dello scontro. Chi giustifica i "microviolenti" ripete frasi solo apparentemente sensate come: "la vera violenza e' quella dei potenti", "ci sono violenze piu' grandi", "il mondo e' pieno di violenza". A mio parere, tali espressioni sono pericolose e subalterne. Chi pensa cosi' non si rende conto che la violenza fa sempre il gioco dei potenti. Bisogna ripeterlo con calma e determinazione. Le cosiddette "microviolenze" rafforzano le "macroviolenze". Le imitano. Le riproducono. Le riciclano. Le occultano. Le giustificano. Accreditano chi compie nel mondo orribili misfatti, e continua a farlo indisturbato, capace di presentarsi come benefattore o salvatore. La violenza corrompe ogni fine cui venga subordinata. Appartiene alla notte della democrazia. Alla preistoria, ancora in atto, dell'umanita'. Le "microviolenze" sono figlie e complici delle grandi violenze. Sono la loro clonazione. Bisogna dire con fermezza che ogni violenza e' cattiva. Un sasso, un bastone, un oggetto lanciato possono ammazzare. Non colpiscono il capitalismo, l'imperialismo, il male ma un essere umano, una persona. Il suo diritto alla vita. Occorre ripeterlo. Oltre che cattiva, la "microviolenza" e' stupida, ingenua, controproducente. Da' ampio spazio alla repressione. E' certamente vero, osservava Enrico Peyretti, che c'e' una differenza tra le violenze, "ma la cultura nonviolenta non si accontenta di questa graduatoria e vuole un passo in piu': vuole l'onore di cominciare ad abolire la violenza nella difesa degli offesi. La nonviolenza vuole questo primato onorevole, perche' essa e' onore umano e coraggio: percio' ha piu' paura di uccidere che di morire... Nulla e' piu' gradito ai padroni del mondo che le manifestazioni contrarie in forma violenta. Esse permettono agli oppressori di apparire oppressi, quindi sono uno stupido regalo fatto ai padroni da rivoluzionari ingenui, complici per ignoranza e superficialita', succubi della stessa cultura dei loro avversari, percio' profondamente sconfitti" ("Adista" 28, 9 aprile 2001). La sconfitta e', soprattutto, umana. Chi sottovaluta il peso avvilente e degradante delle violenze o le vede come un fenomeno "normale" del mondo moderno, per quanto protesti o gridi, e' sull'orlo della resa. Sta cadendo nella disperazione. Sta incubando il cinismo. Il popolo della pace deve esprimere in tutti i modi la sua radicale estraneita', il suo irriducibile antagonismo nei confronti di ogni forma di violenza. * La violenza e' male perche' e' disumana. Crea una spirale autodistruttiva nella persona e nella societa'. Sarebbe interessante approfondire, al riguardo, gli studi di Rene' Girard. Egli analizza il "ciclo della rivalita' mimetica" che moltiplica la violenza e scatena il meccanismo del "capro espiatorio". I "doppi nemici" diventano l'uno lo specchio dell'altro, preda del "contagio" o dell'"invasamento" mimetico. Possiamo spesso verificare attorno a noi il carattere devastante e avvilente dell'automatismo legato alla logica botta-risposta, amico-nemico, occhio per occhio. Penso alla diffusa assuefazione alle violenze (in molti casi all'incitamento ad esse) di ogni giorno, ad alcuni orribili episodi di violenza urbana e familiare per motivi futili. Alla spirale che sta travolgendo il Medio Oriente o l'Iraq, il Centro Africa o la Cecenia... La violenza ci ingabbia in un meccanismo mortifero che paralizza il piacere di vivere e blocca ogni energia vitale. Ci inchioda in una coazione a ripetere che Erich Fromm chiamerebbe "necrofilia". La nonviolenza, invece, rappresenta la "biofilia" operosa. Una forma di sanita' mentale. Il libero civile dispiegarsi del piacere di vivere. La gioia di comunicare. La fiducia nella possibilita' di costruire rapporti liberi, giusti e fraterni. Per questo e' importante riattivare il movimento per il disarmo (convenzionale e nucleare, batteriologico e chimico...) partendo anche dall'opposizione a fatti come il potenziamento delle basi nucleari in Sardegna, la costruzione dello "scudo spaziale", la formazione di un grande esercito europeo, le prossime spedizioni militari contro la Siria o l'Iran. Occorre denunciare guerre e violenze, che costituiscono un'immensa ingiustizia verso i poveri, con proposte di una politica di pace basata sulla nonviolenza come forza di liberazione. "La nonviolenza in cammino" ne ha gia' fatte molte. Cosi' pure la Rete Lilliput o la Tavola dela pace. Altre stanno emergendo dalla quinta assemblea dell'"Onu dei popoli" e dalla Perugia- Assisi. Altre ancora stanno maturando in vista della prossima Giornata mondiale della pace (primo gennaio 2003), promossa da alcune associazioni cattoliche (in accordo col papa Giovanni Paolo II) sul tema-appello "Il diritto internazionale, una via per la pace". Non c'e' pace, infatti, senza diritto. Ce lo diceva la "Pacem in terris" nel 1963 con l'idea dei "quattro pilastri" della pace nella nonviolenza che e', appunto, forza di verita', spirito di liberta', fame di giustizia, potere dell'amore che trasforma. 2. EDITORIALE. MAO VALPIANA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE, DALLA RIFLESSIONE ALL'INCONTRO ALL'INIZIATIVA [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario] Non sono intervenuto finora nel dibattito perche' condivido il senso e i contenuti della proposta ed anche di gran parte degli interventi fatti. Ora, pero', mi pare giunto il momento di passare dalla teoria alla pratica, dal pensiero all'azione. Dobbiamo dare spessore politico al progetto. Avanzo alcune ipotesi di lavoro, sulle quali chi lo desidera potra' esprimersi. Se saranno condivise, potremo poi definire il percorso comune, con date e luoghi. 1) Penso che sia importante un incontro di tutti coloro, singoli e associazioni, che si sono espressi e che condividono l'idea, per mettere a punto un documento "per un'Europa neutrale, disarmata, smilitarizzata, nonviolenta" da diffondere e sul quale trovare adesioni. 2) Una volta definito il documento , bisognera' individuare le modalita' ed il carattere di una manifestazione nonviolenta nel corso della quale presentare all'opinione pubblica e alle istituzioni la nostra visione di Europa, con la volonta' di far giungere il messaggio nonviolento anche alla Conferenza intergovernativa dei capi di stato e di governo (che si riunira' a Bruxelles il 12 e 13 dicembre). * Ritengo importante che nel nostro percorso ci sia il momento della manifestazione pubblica, esemplare nei fini e nei mezzi. Non sara' tanto importante il numero dei partecipanti, quanto la qualita' del nostro agire. Non sara' una manifestazione contro qualcuno, non inseguira' nessun vertice, non avra' "zone rosse", ma sara' un momento alto per far conoscere il nostro progetto costruttivo europeo, per il disarmo unilaterale e per la costituzione dei corpi civili di pace. Il movimento della nonviolenza organizzata ha la maturita', la capacita', l'autorevolezza per mettere in campo una propria specifica iniziativa politica. Questo e' un possibile percorso che tiene conto delle nostre forze e dei tempi politici. Dobbiamo avere attenzione alle nostre idealita' ma anche all'efficacia del nostro agire. Essere nel contempo idealisti e realisti, "candidi conme colombe e astuti come serpenti". * Avanzo possibili date e luoghi di questa proposta: 1) Fissare l'incontro a Verona il giorno 8 novembre (sabato) presso la Casa per la nonviolenza (via Spagna 8), dalle ore 12 alle ore 16 (per permettere a tutti di arrivare e ripartire in giornata). 2) Organizzare la manifestazione/sit-in a Roma, in piazza Colonna, davanti alla sede del governo, il giorno 8 dicembre: e' un lunedi' festivo, ricorrenza dell'Immacolata Concezione e ... anniversario della scomparsa di John Lennon... Sono convinto che possiamo davvero avviare una politica della nonviolenza. Abbiamo due mesi di tempo per preparare una buona iniziativa. 3. EDITORIALE. UNA PERSONA, UN VOTO Democrazia e' prendere in comune le decisioni che tutti riguardano. E cosi' non vi e' dubbio che chi in un luogo vive abbia diritto a esprimere la sua opinione su cio' che anche lui riguarda, abbia diritto a concorrere a formare la volonta' comune. E dunque il riconoscimento del diritto di voto agli immigrati residenti nel nostro paese e' cosa buona e giusta e necessaria. Che doveva essere realizzata da molti anni, lo si faccia almeno adesso senza perdere altro tempo. 4. RIFLESSIONE. MARIO DI MARCO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Mario Di Marco (per contatti: mdmsoft at tin.it) per questo intervento. Mario Di Marco e' responsabile degli obiettori di coscienza in servizio civile presso la Caritas diocesana di Viterbo, ed e' uno dei fondamentali punti di riferimento a Viterbo per tutte le persone di volonta' buona] Il dibattito in corso su piu' fronti circa i principi da includere nella Costituzione europea sta facendo affiorare la confusione (e la carenza) dei valori che da tempo interessa un po' tutte le societa' occidentali. La riscoperta di nobili radici comuni (e tra queste non si potrebbero trascurare quelle cristiane originarie, che, tra l'altro, potrebbero portare a trarre inevitabili conseguenze nella direzione della pace e della nonviolenza) risulterebbe senz'altro importante, ma in ogni caso cozzerebbe contro una realta' che manifestamente le contraddice e le rende anacronistiche. Certo non per questo si puo' rinunciare a proporre un nuovo modello di Europa che possa contrastare (e non assorbire) quello neoliberista made in Usa, tant'e' vero che molti di noi si stanno preparando al grande appuntamento della Perugia-Assisi che quest'anno e' finalizzata proprio all'inserimento nella Costituzione europea sia del ripudio della guerra quale mezzo di soluzione dei conflitti, sia del ruolo di costruttrice di un ordine internazionale pacifico e democratico. Temo sara' pero' molto difficile che la proposta venga accolta, ed altrettanto ardua sara' una iniziativa per il principio della neutralita' di cui si sta trattando su questa rivista telematica. Se l'Europa davvero lo volesse adottare, dovrebbe infatti prima liberarsi dalla dipendenza politica, economica, militare (e per tanti versi persino culturale) da quel paese "straniero" le cui politiche (interne ed estere) sono sempre piu' ispirate ai principi di un neoliberismo disumano e delirante. Non si vuole dimenticare il ruolo decisivo degli Stati Uniti nella liberazione dell'Europa dalla barbarie nazista, ne' quello (seppur contraddittorio) di deterrente contro l'espansionismo sovietico, ma ormai da tempo il debito e' stato pagato e nessun patto prevedeva l'asservimento ad allucinanti piani di dominio globale quali sono quelli della cosiddetta pax americana. Invece i padri costituenti sono dei progressisti come Blair, fedele scudiero di qualunque avventura, dei conservatori come Chirac, che ultimamente occorre ringraziare anche se sappiamo si muove soprattutto per interessi nazionalistici, dei servi di corte (all'uopo giullari) come certi altri personaggi. Ciononostante la proposta di Lidia Menapace e' intelligente ed opportuna in quanto, come dice lei stessa, e' gia' stata realizzata da piu' di uno stato europeo dando i suoi frutti. Essa e' realizzabile anche perche', diciamolo, e' "sostenibile" pure dal punto di vista occupazionale (e con la neutralita' anche se gli eserciti restassero, sarebbero comunque un male minore se fossero finalizzati strettamente alla legittima difesa). Tuttavia credo che l'ambito vincente non sia quello europeo, bensi' quello nazionale: solo se il numero degli stati neutrali crescera' si potra' arrivare ad un'Europa neutrale. Dobbiamo allora agire prima di tutto in casa nostra. Abbiamo gia' nella nostra Costituzione un'avanzata base giuridica quale l'art. 11, siamo prossimi ad una probabile svolta di governo, ebbene, che sia allora un vero cambiamento. Che tutte le sigle della societa' civile "democratica" si riuniscano attorno ad un progetto di neutralita' del nostro paese, che sulla base del suo inserimento nei programmi di governo discriminino le compagini che si affronteranno nelle prossime elezioni politiche, considerando anche la possibilita' di non votare qualora nessuno si dovesse prendere impegni precisi. Un'Italia neutrale sarebbe un grosso passo avanti sulla via della pace ed avrebbe una grande forza trainante su tutto il continente. 5. RIFLESSIONE. AUSILIA RIGGI PIGNATA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE (PARTE SECONDA) [Ringraziamo Ausilia Riggi Pignata (per contatti: donnecosi at virgilio.it) per questo suo impegnativo intervento, di cui pubblichiamo oggi la seconda parte in attesa che ci invii il seguito. Ausilia Riggi Pignata e' un'acuta pensatrice e testimone di scelte di forte rigore intellettuale e morale e di profondo anelito alla liberazione di tutte e tutti; "si e' data - come ha scritto lei stessa - un campo circoscritto di impegno per abbattere la violenza istituzionale quando contrasta con la liberta' di coscienza; e nello stesso ambito ha particolarmente approfondito il tema 'donna e sacro' (su cui si veda il sito www.donne-cosi.org)"] (Chiedo scusa se anche in questa seconda parte mi attardo sull'impostazione del concetto della nonviolenza, senza giungere ancora al tema proposto dalla Menapace). Nell'universo umano la liberta' dovrebbe giocare la sua parte per svincolarsi dal determinismo; eppure in esso la "lotta di tutti contro tutti" e' ancora, in maniera piu' o meno velata, legge rigorosa, la piu' violenta. La legge elaborata dalla mente umana ha di fatto sostituito alla violenza naturale un altro tipo di violenza, adoperata da "persone di potere" che predominano sui deboli. Dove mai c'e' stato ordine (sempre relativo) senza strutture di potere, qualunque esse fossero? (Qui apro una lunga parentesi: e' proprio vero che le primitive societa' ci avrebbero superato in materia di partecipazione alle comuni decisioni? Sarebbe troppo lungo tentarne una dimostrazione: basti dire che delle civilta' "morte" sono rimaste tracce che testimoniano una tale magnificenza del potere, che puo' liberarci dalla tentazione di immaginare paradisi terrestri per tutti; sono stati sempre i pochi a far uso ed abuso del potere a discapito degli altri. Talvolta si e' verificata qualche esemplare anticipazione di novita', ma di forma, durata ed estensione ben limitata). * Non e' inutile confessare a noi stessi che di fronte alle continue sconfitte della razionalita' non c'e' speranza di far attecchire la nonviolenza ad ogni livello. Soltanto le lotte per uguali diritti e doveri costituiscono una pagina necessaria da scrivere sulla nonviolenza, nonostante la scarsita' dei risultati. Non sono pochi a pensare che la "forza (che e' violenza) legalizzata" abbia una sua ragion d'essere, quasi che la violenza avesse diritto di cittadinanza se usata nell'esercizio della giustizia. La nonviolenza dovrebbe evitare sempre e in ogni caso l'uso della violenza, perche', anche se dispiegata contro i trasgressori della legge, si contagia e si perpetua in coloro che puniscono e in coloro che sono puniti. Fa male sentir parlare di "debito da pagare alla giustizia". La tutela della legge non puo' e non deve assumere carattere meramente punitivo, bensi' riabilitativo: ricostruttore dell'umanita', sconfitta dalla perversione indegna di essere chiamata umana. E' vero: siamo testimoni giorno dopo giorno del facile esplodere della violenza, anarchica, distruttiva, corrosiva di ogni principio; e la nonviolenza non puo' stare a guardare. Ma, o si fa di questa il perno attorno a cui far ruotare ogni tipo di convivenza pacifica, o si puo' battere la ritirata e dar ragione a chi vuole "l'uso legittimo della forza". * Analogo discorso si puo' fare circa alcune ideologie che hanno ispirato forme di governo impostate sull'idea di "Stato etico". Secondo la tesi su cui si fonda, esso trasferisce la liberta' dei singoli nello stato o in una fede. Facendo coincidere religione o razionalita' con eticita', la liberta' dei cittadini e' inghiottita nella piu' terribile delle costrizioni, perche' diviene uniformita' estorta con la violenza. La violenza strutturale invade l'orizzonte della liberta', nel cui ambito i singoli non contano. Cio' non significa dare spazio al libero arbitrio di ciascuno. Siamo in molti a ritenere che una societa', per vivere in pacifica convivenza, debba essere attraversata da un sentire morale non imposto, nutrito di fede nei valori umani. Nelle tappe successive a quelle in cui ci si ispirava (detto in modo approssimativo) all'idea di stato etico, tuttora dietro l'angolo e sistematicamente in vigore in molti paesi, si sono avute forme di governo piu' razionali. Le odierne democrazie, disincagliate per principio dal vizio originale dell'uso della violenza di stato, tardano a tradurre la nonviolenza nella concretezza della vita. Il potere ha cambiato volto e alcuni metodi irrazionali, mettendo da parte il "patto sociale". E' insopportabilmente lungo il tempo che trascorre tra la legge imposta e quella iscritta, come dice Russeau, nel cuore e nella mente di ciascuno. Se dovessimo non attendere piu' e cedere allo scoraggiamento, sarebbe inutile il nostro discorrere di nonviolenza. * Debbo confessare che anch'io, nell'insegnamento della storia, ho percorso con una certa angoscia, insieme agli studenti, il succedersi dei fatti storici che ripetono, dietro il protagonismo delle guerre, il camuffato riaffermarsi della volonta' di potenza dei forti. Fa eccezione il pensiero marxiano? Marx e' da rileggere guardando all'utopia che egli contrappone alle ideologie. Strappare il potere ali cosiddetti Grandi e donarlo alle masse, come lui preconizza, implica un capovolgimento tale da rendere necessarie innumerevoli fasi di transizione, nonche', possiamo aggiungere, una riformulazione continua del concetto di potere. Procedendo a partire dal suo pensiero, ma sviluppandolo, ci si e' resi conto che anche la teoria desunta da una prassi deve essere riesaminata e corretta mediante la riflessione sui metodi. Forse la sua eredita' piu' credibile e' nell'insistente richiamo a non lasciarsi sfuggire di mano un potere di cui nessuna struttura e' autorizzato ad impossessarsi. Un pensiero da non accantonare a causa del fallimento del cosiddetto "socialismo reale"; che merita molti sviluppi, soprattutto in merito alla prefigurazione di un riassetto davvero nuovo della societa'. Questa dovrebbe reggersi, non sulla sovranita' dello stato, e forse - per ora lo affermiamo con sussiego - neanche tramite la rappresentanza partitica, ma su un tipo di struttura in movimento, in crescita, come avviene nello sviluppo di ogni organismo vivente; struttura sostanziata di ricerca, propositiva, tale che, volta per volta, potesse farsi compagna di tutti i movimenti di liberazione. Oggi, se sapessimo interpretare lo spirito dei tempi, e non le sue aberrazioni, vedremmo profilarsi la grande voglia di guardare in avanti, operando il passaggio dalla necessita' strutturale a quella che chiamerei liberta' antistrutturale, nel senso che sia la struttura ad adeguarsi alla vita, e non viceversa; e che l'alto e il basso non restino immobilizzati nell'opposizione, ma si dinamicizzassero. La lotta alle ideologie, quale Marx auspicava, oggi potrebbe servire a prendere le distanza da tutto cio' che si delega e si lascia in balia di altre forme sottili di potere. Penso, ad esempio, all'idolatria delle competenze. Queste sono necessarie anche sotto il profilo politico, se distribuite e rispettose di esigenze maturate nell'impatto col quotidiano: la cartina di tornasole della validita' della teoria e' sempre nel suo lasciarsi intersecare dalla pratica, dal modo semplice in cui si svolge la convivenza spicciola di cittadini rispettosi nel relazionarsi. (Mi permetto una parentesi: la pubblicita' oggi dominante si alimenta dello scambio tra le attese e i gusti della gente e chi ne prende atto per sfruttarlo; ma questo e' un cattivo modello di reciprocita', perche' le competenze sono asservire alla legge del mercato, in mano a chi e' piu' forte). * Piu' l'analisi si approfondisce nel tentativo di svincolare ogni aggregazione umana dalle pastoie della violenza, spesso invisibili ad occhio nudo ed inesperto, piu' si diviene consapevoli delle sue insidie. Mi fa piacere, ne' mai me ne stanco, quando leggo: "la nonviolenza e' in cammino". Aveva ragione, a suo modo, la frase marxiana: il comunismo in un solo paese non puo' reggersi. Trasferendo al nostro discorso il senso della frase, dobbiamo convenire che, per giungere a forme di associazione civile, estese a tutti i popoli della terra, ci va un impegno ciclopico: dissociare la violenza dal potere comporta far convergere tutte le potenzialita' umane nella creazione di nuovi stili di convivenza, tali da far esplodere ovunque la pace. La pace, e' stato detto da un fine analista come Machiavelli, facilmente si tramuta in ozio e quindi in licenza. Si puo' essere d'accordo sotto un solo profilo: la pace non si potra' mai mantenere nell'immobilismo. E' conquista continua; se non si espande, si tramuta davvero in inerzia dello spirito. Mentre scrivo, sento la paura di cadere nell'enfasi delle utopie astratte, dei velleitarismi e dei fanatismi di ogni genere. E per esorcizzarla non ho saputo parlare della nonviolenza senza aver fatto un giro di orizzonte nella storia. Mi convince, in questa ricerca a piu' voci, il discorso su un attivismo nonviolento che superi perfino i concetti di un sano riformismo, al quale si ispirano, nei paesi occidentali, le politiche meno perverse. Quanto a noi, dobbiamo parlare con termini nuovi, con idee nuove, con volonta' nuova. Non per ignoranza delle lentezze della storia o del bisogno di regole in ogni forma di organizzazione, ma per consapevolezza del limite di cui e' impastato tutto il creato, compresi gli esseri umani. Percio' non dobbiamo illuderci di aver fatto qualcosa di buono nel lanciare idee; occorre soprattutto persistere in esse di fronte agli insuccessi. La scala su cui salire e' fatta di tanti gradini, su ognuno dei quali sostare quel tanto che e' utile per proseguire. Lo scoraggiamento deve trasformarsi, da cedimento, in rinnovata consapevolezza. La compiutezza del sogno di pace non sara' mai raggiunta, ma ad ogni tappa dobbiamo saper girare attorno lo sguardo. Uno sguardo di insieme (che solo Dio puo' avere, ma che da lui siamo chiamati ad apprendere momento per momento), non miope ne' presbite. Dalla storia non si esce. Ma nella storia il nuovo e' sempre possibile. E' vero. La pace mediante la pace e' il traguardo col quale soltanto pochissimi si sono misurati, e spesso pagando con la morte il loro sogno. Oggi puo' essere scoccata l'ora di una mutazione antropologica, mai inverata: quella che permetta all'essere umano di traghettare la vita biologica dalle sacche dell'impotenza contro la morte, verso una vita dignitosa, degna di essere vissuta, dando alla morte stessa un significato oltre la vita. Non parlo dell'aldila', ma dell'eredita' da lasciare alle fut ure generazioni: il proposito fermo di immettere nella creazione la liberta' dalla necessita'. Non c'e' altro centro su cui gravitare, se non un pluricentro umano collaborativo, in continua espansione; tale da accogliere in se' individualita' paghe, anziche' della loro sussistenza, di una sussidiarieta' che trasformi le relazioni umane in cooperazione dai mille modi. (Continua) 6. RIFLESSIONE. FRANCESCO TULLIO: IL BISOGNO DI SICUREZZA E LA DIFESA CIVILE PER L'EUROPA (UN CONTRIBUTO ALLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE). PARTE SECONDA [Siamo assai grati a Francesco Tullio (per contatti: psicosoluzioni at francescotullio.it) per averci messo a disposizione questo suo saggio - di cui pubblichiamo oggi la seconda parte - aggiornato per l'occasione. Francesco Tullio, prestigioso studioso e amico della nonviolenza, e' uno dei piu' noti peace-researcher a livello internazionale e animatore di molte iniziative per la pace e la gestione e risoluzione nonviolenta dei conflitti; nato a Roma il 18 giugno 1952, laurea in medicina e chirurgia, specializzazione in psichiatria, libero professionista, psicoterapeuta, esperto di gestione delle risorse umane, di prevenzione e trasformazione dei conflitti, di problem solving organizzativo; docente di psicoterapia breve alla Universita' di Perugia, docente di psicologia al master "Esperto in cultura d'impresa" all'Universita' di Perugia, 2001, ricercatore a contratto con il Centro militare di studi strategici nell'anno 1998-1999, presidente onorario del Centro studi difesa civile (sito: www.pacedifesa.org) di cui e' stato e resta infaticabile animatore, ha coordinato ricerche per diversi enti, tra cui quella per l'Ufficio Onu del Ministero Affari Esteri su "Ong e gestione dei conflitti. Il confidence-building a livello di comunita' nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive"; promotore del Centro di ricerca e formazione sui conflitti e la pace presso l'Universita' di Perugia e dell'Istituto internazionale di ricerca sui conflitti e per la pace; numerose le sue esperienze come medico, in Germania, in Nicaragua ed in Italia, sia in reparti di medicina che di chirurgia ed in particolare in pronto soccorso, come medico di famiglia, inoltre come psichiatra nei servizi pubblici ed in un servizio di medicina legale, infine come libero professionista psicosomatista e psicoterapeuta; le sue attivita' di studioso e formatore si sono incentrate sulla ricerca teorica, la gestione pragmatica dei conflitti, sulla mediazione e la gestione delle risorse umane per e nelle emergenze; e' impegnato dal 1970 in attivita' di volontariato per la prevenzione della violenza e lo sviluppo umano; quale conduttore di incontri, seminari, laboratori teorico-pratici, si e' occupato di gestione dei conflitti, d'affiatamento di gruppi di lavoro, di gruppi di terapia e di crescita umana; in ambito sociale tale interesse si e' tradotto in un contributo culturale per la prevenzione e la gestione dei conflitti intergruppali. In particolare ha coordinato ricerche e convegni sui temi della violenza organizzata e della guerra; e' autore e curatore di diverse pubblicazioni] 2. Riflessioni sugli aspetti soggettivi della sicurezza in un sistema democratico La presente parte intende contribuire a mettere in luce due implicazioni/accezioni della sicurezza, il primo e' "l'assicurare" i vantaggi acquisiti, il secondo e' il senso di paura diffusa che si radica nella paura dei singoli. Sono processi che si intrecciano e si mescolano in proporzioni diverse nelle diverse singole persone. Le forme di attrito fra gruppi umani sono manifestazioni complesse e derivano dall'interazione di forze economiche, culturali e psicologiche. Enumero brevemente i fattori psicosociali abitualmente presi in esame (1), rinviando la discussione dei singoli fattori ad una trattazione piu' approfondita (2): - la paura e l'ostilita' individuale e di gruppo; - la competizione su risorse scarse o ritenute tali; - il bisogno degli individui di identificarsi in un gruppo o in una causa che diano alla loro vita un senso trascendente; - la tendenza umana ad esternalizzare, a proiettare su altri la responsabilita' di impulsi ed intenzioni sgradite; - una peculiare tendenza ad identificarsi, farsi rappresentare o subire dei leaders che utilizzano le inclinazioni piu' selvagge degli individui in nome della sicurezza o dell'interesse nazionale. Nel nostro periodo storico la agglutinazione collettiva di questa suscettibilita' passa attraverso la funzione dei mezzi di comunicazione di massa che, entro certi limiti, possono esaltarla o inibirla; - un ulteriore punto di vista da tenere in considerazione (3) e' lo studio di quei sistemi di credenze collettive (belief systems) di un gruppo, particolarmente perniciosi quando diventano rigidi, resistenti al cambiamento e soprattutto se si accompagnano alla intensa sensazione del gruppo di essere vittima di qualche torto. La paura di malattie contagiose e la paura di dissoluzione della propria identita' collettiva' di fronte a massicci flussi migratori sono i segni di una angoscia diffusa che ha le proprie ricadute anche sulle scelte di difesa. * I continui allarmi sul terrorismo, sulla violenza nei quartieri e nelle famiglie, sulle catastrofi ambientali, sul rischio di recessione e di perdita del lavoro, che vengono trasmessi dai mass media e vissuti da gruppi consistenti della popolazione indicano come una analisi della dimensione soggettiva della percezione della sicurezza/insicurezza e della reazione a tali problemi veri e/o presunti, sia imprescindibile per la costruzione di adeguate risposte difensive e trasformative. Applico alla riflessione che segue i seguenti postulati: 1. Il senso di insicurezza e di paura sono concetti che si riferiscono inevitabilmente ad una radice soggettiva. Queste dimensioni si riflettono sulle istituzioni e sulle modalita' sociali di gestione dei conflitti all'interno della collettivita' e con l'esterno (4). 2. Esiste anche una relazione fra bisogni, valori ed approcci individuali, scelte di sviluppo collettive, e conflitti internazionali. Esiste un nesso fra tensioni interiori (insoddisfazioni personali e malcontento sociale), i modi di affrontare il vissuto di crisi (serenita' e maturita' d'animo, rabbia o impotenza con le loro sfumature e comportamenti connessi, sia personali che collettivi), e la stabilita'/instabilita' nazionale, internazionale ed ambientale. Esiste cioo' un nesso fra micro e macroconflitti e fra aspetti psicologici, economici e politici della sicurezza. 3. Queste diverse dimensioni si influenzano reciprocamente fra di loro. E' una scelta prenderle in esame in una ottica sistemica, di circolarita' fra di esse, e non di semplice relazione causa-effetto. 4. La politica, pur essendo il risultato di un processo complesso, deve prendere adeguatamente in considerazione queste dimensioni personali. La comprensione delle dinamiche relazionali e delle personalita' individuali e collettive coinvolte nei conflitti e' utile per identificare nodi irrisolti, per costruire strategie di intervento e per individuare le modalita' comunicative piu' efficaci da applicare di volta in volta per uscire dalla crisi. Questo sapere e' di per se' neutrale. Esso puo' essere utilizzato per personale avidita' ed ambizione e/o per il bene comune. 5. Una politica che si definisca democratica non puo' applicare per definizione forme di comunicazione manipolative con i propri membri e non puo' favorire una strutturazione interna verticistica e programmi puramente repressivi. Essa deve favorire anche la comunicazione sincera con il competitore, con l'avversario e con il potenziale nemico, perche' la competizione senza limiti esita inevitabilmente in scontro (5). Essa deve dunque favorire la cooperazione almeno quanto enfatizza la competizione e deve favorire il rispetto degli altri popoli, una maturazione emotiva collettiva, lo sviluppo delle competenze e degli strumenti di gestione costruttiva dei conflitti. Il termine sicurezza viene dunque usato con molteplici implicazioni. Oltre alla tutela dell'integrita' fisica e della identita' storica ci si riferisce frequentemente alla sicurezza politico-economica di un sistema complesso, nel quale possano essere mantenuti i vantaggi materiali. Garantire la sicurezza all'interno di un ordine internazionale condiviso e concordato puo' significare distribuire almeno in parte questi vantaggi in modo che tutte le genti non avvertano rancore, odio ed ingiustizia. Bisogna altresi' trovare un punto di equilibrio nel rispetto delle molteplici culture e valori. Ma teoricamente si puo' pensare di continuare a garantire la sicurezza anche non occupandosi della "distribuzione" se non fra i piu' determinati e arroganti che possono rappresentare un pericolo. I moderati, i fatalisti o gli impotenti non rappresentano un problema per i poteri "forti" ma solo per gli "etici". Tuttavia il vissuto di molti cittadini del mondo meno sviluppato e' stato l'anelito di ricchezza materiale per tutti come promesso dal sistema economico-tecnologico-informativo dominante. Le risorse invece sono limitate. La ricchezza non potra' arrivare dappertutto ed anzi molti paesi saranno soggetti a difficolta' e catastrofi come e piu' di prima. Da qui, fra l'altro, una ragione dell'assalto al primo mondo. All'impulso del "si salvi chi puo'" si mescola la speranza che se la ricchezza non arrivera' nei paesi d'origine qualche briciola si potra' conquistare in Europa. Quel benessere promesso non puo' essere aggiunto alla ricchezza gia' esistente; I limiti dello sviluppo si intrecciano con i limiti della ricchezza. Le promesse potrebbero essere almeno parzialmente realizzate solo a scapito dei vantaggi del mondo gia' ricco. Sembra peraltro che nel frattempo chi partiva gia' ricco abbia acquisito una percentuale maggiore degli introiti e vantaggi complessivi nelle transazioni internazionali. Una ricontrattazione potrebbe garantire una adesione al sistema internazionale di popoli e categorie ora insoddisfatte, tale da svuotare l'adesione alla violenza degli estremisti (6). Una scelta diversa e' di mantenere un alto reddito per pochi, mantenere o aumentare i risultati materiali per quelli che li hanno gia' raggiunti, continuando a promettere vantaggi a chi ancora aderisce al sistema e trascurando gli altri. A sostenere questa opzione vi sono alcuni fattori caratteriali e psichici di una parte della popolazione privilegiata: l'ottimismo nel proprio benessere futuro e nella vittoria contro il nemico, la fede nel sistema. * Nel momento in cui la crisi e' evidente, oltre all'ottimismo, addirittura la baldanzosita' di coloro che sono ben immedesimati in questo sistema di sviluppo, si evidenziano due principali valenze emotive che sostengono la guerra preventiva. La prima di chi ha un approccio consapevolmente disposto allo scontro per mantenere i privilegi. Questa e' la posizione di chi e' disposto a giocare il tutto per tutto, a fare i sacrifici dello scontro, convinto che e' meglio essere determinati e magari brutali da subito. Questo tipo di prevalenza emotiva sottende spesso dei caratteri competitivi, aggressivi, anche arroganti, perlopiu' rigidi (7). L'altra valenza emotiva e' di coloro che non presentano questa bellicosita' e devono essere convinti con le buone o con le cattive della necessita' di partecipare alla lotta. La minaccia del terrorismo e' una degli eccellenti argomenti per coinvolgerli nella strategia della prevenzione. Questa e' la posizione di chi per paura accetta le scelte che vengono proposte dai vertici. Queste scelte possono progressivamente portare alla affermazione del proprio gruppo di appartenenza (non necessariamente nazionale ma ideologico o economico), oppure allo scontro. Chi appartiene a questa tipologia spera sempre che lo scontro poi non ci sia davvero, che ci si fermi alla minaccia o all'atto dimostrativo. Quando poi nello scontro ci sono i morti per davvero si puo' anche ritirare dall'adesione alla strategia intrapresa. Da qui proviene la preoccupazione dei vertici per le reazioni dell'opinione pubblica nelle missioni a rischio (8). La prima posizione emotiva sembra essere minoritaria nelle popolazioni europee e, pare, anche in Usa, almeno per ora. Essa e' piu' diffusa fra gli strati della popolazione piu' avezzi ad un approccio attivo per il raggiungimento dei propri obiettivi, che tendono alla competizione, alla leadership e puntano al raggiungimento di posti di controllo e potere, nelle forze armate, nella politica, fra i giovani e vecchi rampanti delle imprese e della new economy. La strategia della difesa preventiva, cosi' come la radicalmente diversa strategia della difesa civile e della prevenzione dei conflitti, in uno stato formalmente democratico hanno bisogno di affermarsi attraverso la progressiva approvazione di altre fette della popolazione. Quelli della difesa preventiva tendono ad imporre, ad accorciare i tempi, a prevaricare, noi tendiamo a coinvolgere costruttivamente. Per farlo dobbiamo saper ascoltare e rispettare chi non la pensa come noi. * Note 1. J. E. Mack (1990), "The Enemy system", in Volkan, Julius and Montville, The Psychodynamics of International Relationship. Lexington Books, Lexington, Mass. La trattazione approfondita di tale aspetti verra' pubblicata a breve in un volume su Guerra ed emozioni. Parte del presente capitolo proviene dalla ricerca su Le ong e la trasformazione dei conflitti. Le operazioni di pace nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive, (commissionata e finanziata dall'ufficio Onu del Ministero degli Esteri), a cura di F. Tullio nel 2002, Editori associati - editrice internazionale, Roma 2002. 2. Francesco Tullio, Guerra ed emozioni, in attesa di pubblicazione. 3. Gutlove Paula (1992), " Psychology and Conflict Resolution: Toward a New Diplomacy", in Tonci Kuzmanic e Arno Truger, Yugoslavia War, edito da Austrian Study Centre for Peace and Conflict Resolutio Sclaining e Peace Institute Ljubljana. 4. Mentzos Stavros, Interpersonale und Isntitutionalisierte Abwehr, Suhrkamp, Frankfurt am Main. 5. Simone Weil: "da un lato la guerra non fa che prolungare quell'altra guerra che si chiama concorrenza; dall'altro tutta la vita economica e' attualmente orientata verso una guerra futura". 6. Massimo Fini, Il vizio oscuro dell'Occidente, Marsilio, 2002. 7. Questo atteggiamento si rileva non solo laddove i privilegi vanno mantenuti ma anche, con alcune differenze, dove essi vanno conquistati e talvolta anche dove invece di privilegi vanno mantenute o conquistate le condizioni minime di sopravvivenza. 8. Personalmente ritengo che la forza, anche fisica, in certe situazioni sia inevitabile, ma distinguo fra forza e violenza. La forza e' intesa a bloccare l'atto violento dell'altro in mancanza di altre alternative - se per esempio un soggetto sta per uccidere un bambino ed io gli strappo l'arma uso la forza. La violenza invece ha una valenza rivendicativa, e' un abuso della forza, al di fuori del rispetto e della ricerca di dialogo e giustizia. (Continua) 7. PROPOSTE. ANGELO GANDOLFI: ALLA PERUGIA-ASSISI PER I CORPI CIVILI DI PACE [Ringraziamo Angelo Gandolfi (per contatti: angelo.gan at libero.it) per questo intervento. Angelo Gandolfi e' impegnato nell'esperienza dei "Berretti bianchi", organizzazione umanitaria di intervento nonviolento in aree di conflitto, e nella promozione dei Corpi civili di pace; e' stato recentemente in Iraq per verificare la possibilita' di realizzare a Baghdad una "ambasciata di pace" nonviolenta] In ritardo, fra timidezze ed esitazioni, decisamente "dal basso" e' nata la proposta di partecipazione alla Perugia-Assisi di uno spezzone "per i corpi civili di pace". Ed e' bene che sia cosi', perche' anche questo fa parte del processo "costituente" in atto. Non dunque una proposta "di segreteria", ma maturata fra chi si sente in questo percorso e che decide di lanciarla. Anche per cercare di caratterizzare la marcia Perugia-Assisi tentando, al di la' di "nostalgie" controproducenti, di recuperare lo spirito originario "capitiniano" che essa sembra avere un po' perso, inevitabilmente, avendo assunto le dimensioni che ha raggiunto. Nella marcia porteremo il contenuto secondo cui vogliamo essere strumento di autodifesa della societa' civile dinanzi alla "guerra costituente" in atto, dunque di denuncia della sostanziale "falsita'" della guerra come strumento di liberazione da dittature o da fantasmatici pericoli di esistenza di arsenali sconosciuti o "non dichiarati", e soprattutto denuncia della corsa al riarmo che si nasconde dietro l'accordo unanime dei "potenti" in disaccordo su tutto, tranne che sul ricorso alle armi. Intendiamo dare visibilita' alla nostra proposta attraverso la presenza fisica di un gruppo di persone, augurandoci che sia possibile avere uno striscione molto semplice, anche solamente con la scritta "per un corpo civile di pace", se vogliamo aggiungerci "europeo" forse meglio, nello stile di sobrieta' che dovrebbe caratterizzare noi nonviolenti o amici della nonviolenza. Invitiamo tutti coloro che riusciranno a leggere questo appello e si riconoscono nella nostra proposta a fare riferimento a Sandro Mazzi (tel. 3288783637) o a Silvano Tartarini (tel. 3357660623), entrambi della segreteria della "Rete per i Corpi civili di pace". 8. INCONTRI. CATIUSCIA BARBAROSSA: DA PERUGIA AI POPOLI DEL MONDO [Ringraziamo Catiuscia Barbarossa (per contatti: casapetrof at hotmail.com) per questo intervento. Catiuscia Barbarossa e' da sempre impegnata per la pace e i diritti umani e nell'educazione alla pace e alla nonviolenza] E' iniziata a Perugia la quinta assemblea dell'Onu dei popoli che si svolgera' dal 9 all'11 ottobre e si concludera' domenica 12 con la amrcia Perugia-Assisi. Sono arrivata puntualissima per l'inizio della sesione di apertura dell'assemblea. La sala dei Notari era attrezzata per le traduzioni in simultanea e ben presto si e' riempita di tanti colori, abiti e fisionomie. Gli Italiani sono stati invitati a sedersi sui banchi laterali lasciando i tavoli centrali agli ospiti stranieri. Un componente della Tavola della pace ha iniziato ad introdurre le finalita' dell'incontro (il titolo era: Le responsabilita' globali dell'Europa dopo la guerra in Iraq) e a presentare le autorita' presenti; seppur nella mia impazienza di superare presto la fase dei discorsi piu' o meno di circostanza delle autorita', ho apprezzato molto che questo rappresentante abbia poi chiamato al tavolo i rappresentanti di associazioni componenti la Tavola della pace, chiedendo loro di presentarsi velocemente. Come ha detto lui e' stato importante vedere in faccia quelle persone, avere per lo meno un'idea di chi sta dietro certe iniziative e risentire i nomi di organizzazioni piu' o meno note: Agesci, Legambiente, Pax Christi, Emmaus, Beati i costruttori di pace, Mani tese, Banca etica, ed altri. * Il primo a prendere la parola e' stato Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace, il quale ha iniziatocol ricordare che cio' che muove certe scelte individuali e comunitarie non e' idealismo ma alla fine un sano interesse, poiche' non c'e' modo di garantire la sicurezza se non difendendo la sicurezza di tutti. I governi europei, di fronte a ingiustizie e atrocita' commesse un pu' in tutto il mondo, si sono spesso mostrati silenti o hanno avanzato vuote promesse. Anche la solidarieta' sta andando in crisi, non ci domandiamo piu' quali sono le nostre responsabilita'. Barriere disumane vengono innalzate ai confini dell'Europa con annessi campi di detenzione. Il governo italiano distribuisce pillole quotidiane di ingiustizia e qualunquismo. E' necessario percio' sentirsi parte di un'Europa che dice no alla guerra preventiva e alla guerra in assoluto, poiche' dalla storia abbiamo imparato che la guerra non risolve i problemi, anzi li aggrava. Gli europei hanno una grande responsabilita' verso il mondo, e devono, in ogni caso, fare molta attenzione a non cadere nella tentazione dell'eurocentrismo, o del senso di superiorita' (sia esso nei confronti degli americani o degli arabi). Lotti ha ricordato come in passato (e anche nel presente) gli europei abbiano fatto un sacco di guai. Punto fondamentale dell'intervento e' stato il richiamo al non limitarsi alla protesta contro l'ingiustizia ma a una ricerca precisa di nuove alleanze per il cambiamento. L'assemblea deve essere utilizzata bene, ci si deve porre in ascolto, e vivere l'assemblea come punto di incontro e confronto fra la societa' civile europea e la societa' civile mondiale. Se gli altri preparano lo scontro di civilta', i componenti della societa' civile preparano l'incontro, se altri pongono gli interessi nazionali al primo posto e innalzano muri, i componenti dell'assemblea pongono l'interesse globale al primo posto e costruiscono ponti. * Dopo l'introduzione di Flavio Lotti sono intervenuti Candido Grzybowski (Brasile), direttore di Ibase, membro fondatore del Forum sociale mondiale di Porto Alegre; Vandana Shiva (India), fondatrice del movimento Navdanya, per la preservazione della biodiversita' e dei diritti delle comunita' locali; Eveline Herfkens, coordinatrice della campagna delle Nazioni Unite "Millennium development goals"; Federico Mayor (Spagna), Presidente di Ubuntu, network internazionale per la riforma delle istituzioni internazionali, gia' direttore generale dell'Unesco; Mario Soares (Portogallo), parlamentare Europeo, gia' presidente della Repubblica del Portogallo, presidente del Comitato internazionale per il Contratto mondiale dell'acqua. Gli interventi di tutti questi relatori meriterebbero una trascrizione integrale. Vandana Shiva si e' mostrata particolarmente energica, come del resto la coordinatrice del Millennium development goals: non so se sono di parte, ma le donne mi sono sembrate un po' piu' concrete, forse solo piu' comunicative, meno "ufficiali" rispetto ad alcune esposizioni maschile comunque interessanti per altri versi. * Uscita dalla Sala dei Notari mi sono diretta in Piazza Matteotti, perche' ho visto che c'era una mostra fotografica che riguardava il lavoro minorile nel mondo. Guardare certe immagini non puo' che dirti che devi fare qualcosa perche' certe cose non si verifichino, in nessuna parte del mondo e in assoluto. Non c'e' destino, karma, aberrazione ideologica, che giustifichi l'impiego di bambini in lavori massacranti... Siamo noi che avremmo dovuto toglierli (e dobbiamo toglierli) dalla miniere, dalle fornaci, da stanze buie e malsane e porli in scuole per l'infanzia, in parchi, in case dignitosamente accoglienti in cui vivere con le loro famiglie. 9. INCONTRI. ROBERTA BERTOLDI: L'INTERVENTO DI VANDANA SHIVA A PERUGIA [Dal sito di Peacelink (www.peacelink.it) riprendiamo ampi stralci del seguente articolo di Roberta Bertoldi (per contatti: roberta.bertoldi at unimondo.org) sull'intervento di Vandana Shiva alla quinta assemblea dell'Onu dei popoli in corso a Perugia. Roberta Bertoldi segue l'assemblea dell'Onu dei popoli per alcune testate on-line pacifiste. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003] Un applauso caloroso ha accolto Vandana Shiva, la famosa ricercatrice indiana che ha condotto una campagna contro la brevettabilita' delle sementi e la privatizzazione dell'acqua a livello mondiale. "La logica dell'impero e' quella di brevettare le sementi. Dopo Cancun i governi europei sono rimasti seduti e cercano di dividere la nostra societa' civile. A Cancun il sacrificio di un contadino coreano e' stato un simbolo di vita per altri milioni di contadini del mondo. La guerra dell'impero non e' solo buttare le bombe ma e' anche il genocidio causato da scambi commerciali ingiusti e inqui portati avanti dall'Organizzazione mondiale del commercio"... Secondo Vandana Shiva "su pressione delle multinazionali delle biotecnologie, in questi mesi l'Europa ha cambiato politica sugli organismi geneticamente modificati. E in India 20.000 agricoltori sono morti intrappolati nei debiti contratti con le multinazionali dell'agrobusiness che spingono verso politiche che portano la morte di milioni di persone e consentono di far marcire migliaia di tonnellate di alimenti". Vandana Shiva ha richiamato i governi europei a un'agricoltura che garantisca un cibo sano e sostenibile. "Le pressioni a favore degli ogm da parte degli Stati Uniti sull'Europa sono paragonabili a una corruzione che rientra nel progetto di controllo degli esseri viventi. Quattro delle imprese idriche che stanno portando avanti la privatizzazione l'acqua nel mondo sono europee e vogliono merceficare un diritto di tutti, l'acqua che e' un bene comune". Concludendo il suo intervento Vandana Shiva e' intervenuta con la sensibilita' di donna del Sud del mondo su recenti polemiche: "L'Europa non deve rafforzare i simboli ma deve riuscire a comprende la diversita' culturale". Una diversita' che e' anche la forza del movimento per una globalizzazione dal basso, del Forum sociale mondiale, che secondo la ricercatrice indiana dovra' radicarsi territorialmente non diventando una piramide che schiaccia tutto quello che ha sotto, ma costruendo dei centri concentrici che si espandano e si allarghino. Al prossimo Forum sociale mondiale Vandana Shiva manda un "messaggio di pace che va dalla terra di S. Francesco alla terra di Gandhi". 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 700 dell'11 ottobre 2003
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