[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 699
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 699
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 9 Oct 2003 18:56:12 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 699 del 10 ottobre 2003 Sommario di questo numero: 1. Patrizia Morgante: il diario dal carcere di suor Kathy Long, sorella domenicana detenuta per un'azione nonviolenta davanti alla famigerata "Scuola delle Americhe" di Fort Benning 2. Alessandro Pizzi: lungo il cammino e urgenti le questioni 3. Enrico Peyretti: una sola umanita' 4. Biagio Di Pasquale: sulla proposta di Lidia Menapace 5. Nella Ginatempo: per una politica di disarmo in Europa (un contributo alla proposta di Lidia Menapace) 6. Francesco Tullio: il bisogno di sicurezza e la difesa civile per l'Europa (un contributo alla proposta di Lidia Menapace). Parte prima 7. Michele Giorgio intervista Hanan Ashrawi 8. Giulio Vittorangeli: Bhopal in Italia 9. Riletture: Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein 10. Riletture: Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt 11. Riletture: Gabriella Fiori, Simone Weil 12. Riletture: Nadia Neri, Un'estrema compassione; Etty Hillesum testimone e vittima del Lager 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. ESEMPI. PATRIZIA MORGANTE: IL DIARIO DAL CARCERE DI SUOR KATHY LONG, SORELLA DOMENICANA DETENUTA PER UN'AZIONE NONVIOLENTA DAVANTI ALLA FAMIGERATA "SCUOLA DELLE AMERICHE" DI FORT BENNING [Ringraziamo Patrizia Morgante, della segreteria della "Commissione internazionale Giustizia e Pace" della Famiglia Domenicana (per contatti: JP at curia.op.org) per questo intervento. Patrizia Morgante e' da sempre nitida e generosa costruttrice di pace, persona solidale, amica della nonviolenza] Kathy Long, domenicana della congregazione di Sinsinawa (Usa), ha ricevuto una condanna penale di tre mesi di reclusione nella prigione federale americana di Pekin (Illinois) per aver realizzato, insieme ad altri attivisti dell'Osservatorio della Scuola delle Americhe (Soa Watch) un'azione diretta nonviolenta davanti la sede della Scuola militare di Fort Benning, Georgia. Insieme a lei furono arrestate 85 persone, delle quali 49 sono state condannate e a 36 e' stata irrogata la liberta' vigilata. Ogni anno gli attivisti si incontrano nel mese di novembre a Fort Benning, in memoria dell'uccisione di sei gesuiti e due laiche nel 1989 in Salvador per opera di alcuni "diplomati della Sscuola delle Americhe". Le azioni mirano alla denuncia delle violazioni dei diritti umani che si perpetrano ormai da anni nella Scuola e alla sua chiusura definitiva. Kathy durante i suoi mesi di prigionia (marzo-giugno 2003) ha scritto delle lettere che abbiamo tradotto e che divulghiamo volentieri, come testimonianza e incoraggiamento per tutti e tutte coloro che lavorano per un mondo di pace e di giustizia. Fratel Joao Xerri, op, Promotore internazionale Giustizia e Pace della Famiglia Domenicana, definisce cosi' cio' che Kathy ha scritto: "Le lettere di Kathy sono semplici, trasparenti, prive di collera, ricche di compassione e di sensibilita' femminile davanti a ogni sofferenza: sia quelle causate dal sistema politico che quelle personali delle sue compagne di prigione. Sono lettere di una persona in pace, anche se cosciente dell'ingiustizia subita con la sentenza". In questo periodo Kathy e' impegnata in un giro di conferenze e incontri in America Latina, Argentina e Brasile, ma a novembre rispettera' l'annuale impegno di protesta a Fort Benning, rischiando di nuovo in prima persona, ma come scrive lei citando l'arcivescovo Oscar Romero: "Il sangue dei poveri va oltre ogni politica". Il diario (in inglese e italiano) si puo' richiedere alla Commissione internazionale Giustizia e Pace dei Domenicani. Segreteria: Patrizia Morgante, e-mail: jp at curia.op.org; tel. 0657940656; fax: 065750675. 2. APPELLI. ALESSANDRO PIZZI: LUNGO IL CAMMMINO E URGENTI LE QUESTIONI [Ringraziamo Alessandro Pizzi (per contatti: alexpizzi at virgilio.it) per questo intervento. Sandro Pizzi, gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano nel Cimino (Vt), citta' in cui il suo rigore morale e la sua competenza amministrativa sono diventati proverbiali, ha preso parte a molte iniziative di pace, di solidarieta', ambientaliste, per i diritti umani e la nonviolenza, tra cui l'azione diretta nonviolenta in Congo con i "Beati i costruttori di pace" e la recente camminata Assisi-Gubbio; ha promosso il corso di educazione alla pace presso il liceo scientifico di Orte (l'istituto scolastico dove insegna)] Sento il bisogno di parlare di alcuni fatti che da alcune settimane mi stanno particolarmente a cuore. Il primo riguarda la morte di Alessandro, tunisino, avvenuta alla fine di agosto nel carcere Mammagialla di Viterbo. Alessandro lascia una giovane moglie, affetta da una malattia che la sta portando alla cecita', e un figlio di tre anni. Chi ha conosciuto Alessandro esclude assolutamente il suicidio, d'altra parte ho sentito parlare di morte causata da overdose; overdose di cosa non e' dato sapere. Ancora non risulta accertata la verita' sul decesso. Il secondo riguarda la detenzione, per reati minori, negli Ospedali psichiatrici giudiziari di Aversa e di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) di due amici, tutti e due di nome Franco, uno da qualche anno e uno da qualche mese. Entrambi sono riconosciuti seriamente malati di mente e da sempre sono alle prese con la violenza delle istituzioni (arresti, processi, carcere, manicomio), quando avrebbero avuto ed hanno, oggi piu' che mai, bisogno di amicizia, di amore, di cure. Il terzo riguarda la scuola, che, grazie alle politiche dei governi di centrosinistra e di centrodestra, sta precipitando sempre piu' verso la privatizzazione. Ne e' un segno l'introduzione di parole come "azienda", "managerialita'", "meritocrazia", che portano gli studenti piu' deboli (vedi i portatori di handicap) ad una sempre maggiore emarginazione. Ulteriore segno e' la pericolosa gerarchizzazione della categoria degli insegnanti attraverso l'individuazione delle cosiddette figure funzionali (in questo modo si hanno insegnanti "responsabili" e insegnanti "esecutori"). Figure che, a mio parere, non migliorano il servizio scolastico, ma favoriscono la competizione a danno della cooperazione tra colleghi. Altro segno inequivocabile della volonta' di trasformare la scuola in "azienda" e' la ricerca del "marchio di qualita'", certificato da enti privati. La corsa al marchio di qualita' e' gia' cominciata; la scuola presso la quale insegno sta pagando una consulenza per poter arrivare al marchio. Oltre che uno sperpero di soldi pubblici, ritengo l'iniziativa del tutto diseducativa e pericolosa. A un mese dalla marcia per la nonviolenza Assisi-Gubbio mi viene in mente la camminata come metafora della vita. Cosi', per affrontare situazioni come quelle sopra richiamate, il cammino e' lungo e faticoso, ed e' bene affrontarlo insieme agli altri. Per ora mi sembrano piu' urgenti le prime due questioni. Allora lancio un appello perche' venga tenuta viva l'attenzione sulla morte di Alessandro, fino ad arrivare alla verita' e appurare le responsabilita' dell'assurda morte. Lancio, poi, un appello per una riflessione sul disagio psichico, su come viene vissuto dalla societa', e in particolare sugli Ospedali psichiatrici giudiziari, che racchiudono, a mio parere, una doppia violenza, quella del carcere e quella del manicomio. 3. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: UNA SOLA UMANITA' [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscali.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; della sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, una edizione a stampa - ma il lavoro e' stato successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios, Trieste 2001, un'edizione aggiornata e' apparsa recentemente in questo stesso notiziario (e contiamo di presentarne prossimamente un'edizione nuovamente aggiornata). Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 477 del 15 gennaio 2003 di questo notiziario] Ma che cosa significa straniero? La parola viene da "extra", fuori. Fuori da che cosa? Certo, noi siamo anche un poco piante, legati al territorio. Il paesaggio natio ci parla in modo speciale e noi lo amiamo. Le comunita' umane si identificano anche per il territorio che occupano, coi suoi limiti, confini, cioe' linee di passaggio, non necessariamente muri. Sfumature, piu' che linee nette, come constatiamo nella realta', non sulle carte geografiche. La natura, il clima e la storia locale determinano aspetti del nostro essere e della nostra vita, con le conseguenti varieta' che la arricchiscono. Ma noi possiamo, ben piu' che le piante, trapiantarci. Ci piace viaggiare. O anche trasferirci, per necessita' o per scelta: i piu' per necessita'. Dove mettiamo nuove radici umane (residenza, lavoro, scambi sociali di ogni genere) la' siamo cittadini, la' abbiamo dovere e diritto di partecipare alla comunita' locale in tutti i modi giusti e positivi. Non c'e' veramente un fuori, quando le persone umane si muovono e si incontrano. Ci sono dei problemi, certo, risolvibili con saggezza e apertura umana. Ci sono ospiti, che possono diventare cittadini. Non ci sono stranieri, estranei, esterni, strani. C'e' la terra, l'umanita', unica vera grande patria. C'e' una sorte comune, nel rischio e nelle possibilita'. Scindere le sorti e i diritti e' delitto. Non ci sono stranieri, ma solo problemi di interpretariato tra lingue e culture. C'e' possibilita' per ciascuno di essere piu' largamente umano. 4. RIFLESSIONE. BIAGIO DI PASQUALE: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Biagio Di Pasquale per questo intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera personale che toccava anche altri temi. Biagio di Pasquale e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace di Viterbo - il che ci onora assai essendo formidabile un critico del nostro lavoro] Il merito maggiore, e l'originalita' autentica, della proposta di Lidia Menapace a me pare che siano nel fatto che rispetto a tanti atteggiamenti rinunciatari e compromissori, o velleitari e cialtroni, essa unisce nettezza di posizioni, chiarezza di articolazioni, e praticabilita' concreta, come assai di rado accade nel dibattito pacifista. * In primo luogo questa proposta crea uno spazio politico grazie al suo stesso venir formulata: lo spazio politico di una posizione rigorosa e insieme aperta che entra nel merito del progetto politico, istituzionale e giuridico dell'Unione europea formulando una proposta dotata di una propria autonomia teorica sulla quale puo' essere aperto un confronto alla pari con le altre posizioni. Non e' piccola cosa, perche' purtroppo invece solitamente le proposte pacifiste o sono del tutto vellitarie ed ininfluenti (il "vogliamo tutto" meramente predicatorio) o astratte e quindi peggio che minimali (la richiesta di meri enunciati senza modalita' di applicazione e soprattutto senza costruzione di schieramenti a sostegno della loro pratica) o sono del tutto parziali (scavarsi una nicchia lasciando ad altri la "politica dei grandi", ed e' la scelta che poi consente l'assalto alla diligenza dei soldi pubblici da parte di intellettuali ed associazionismo senza disturbare troppo il manovratore che l'offa eroga), e soprattutto il piu' delle volte si presentano alle istituzioni o col cappello in mano o col rumorismo piazzaiolo, atteggiamenti entrambi che precludono di esser presi sul serio. * In secondo luogo questa proposta avvia un percorso grazie al suo stesso venir formulata: il percorso che convoca e aggrega esperienze e soggettivita' diverse, tradizioni che solitamente faticano a incontrarsi e riconoscersi. Poiche' essa nasce dalla riflessione e dalla prassi del movimento delle donne (storicamente la piu' rilevante esperienza della nonviolenza in cammino) e si propone a un impegno comune senza pretese autoritarie, senza volonta' assimilazionista o fagocitante, nella ricerca e nella costruzione di una mobilitazione plurale che non deprima ne' opprima la diversita' dei soggetti e delle tradizioni che convoca, ma insieme neppure accetti che si continui con le consuete litigiosita', l'ormai intollerabile soggiacenza a logiche spettacolari e carrieriste, il gioco stolto del "piu' uno". Sia dato merito alla proposta di Lidia Menapace di essere fuori e oltre le meschinita' in cui diuturnamente reciprocamente si affogano e azzannano tanti settori del cosiddetto movimento per la pace (che come costruttori di pace falliscono gia' nel loro essere incapaci di ascoltare e ascoltarsi senza ingiuriare e sbranarsi). * Ed e' in forza di questi due elementi che sara' possibile poi andare a un confronto e raggiungere esiti, e siano pure infine di mediazione, sicuramente piu' avanzati di quelli raggiungibili con posizioni meramente verbalistiche ("Europa di pace" senza poi saper dire cosa significhi) o astrattamente ideologiche ed alienate (le utopie palingenetiche incapaci di indicare il percorso attraverso cui costruire liberazione nella storia), o peggio ancora gia' del tutto arrese (la sinistra europea che si e' gia' inginocchiata al feticcio del militare, dell'industria bellica, dei patti leonini). * Questa proposta, se ben la intendo, e' netta nelle posizioni e chiara nelle articolazioni: - la proposta giuridica della neutralita' attiva; - la proposta politica (ed istituzionale ed amministrativa) di una gestione della difesa, della sicurezza e della cooperazione incardinate sul ripudio della guerra, e quindi sul disarmo e la smilitarizzazione, sull'alternativa nonviolenta; - posizioni quindi articolate nel programma costruttivo della riconversione ad usi civili dell'industria bellica, del servizio civile, della difesa popolare nonviolenta, dei corpi civili di pace, della cooperazione decentrata con tecnologie appropriate e promozione di democrazia, partecipazione popolare, diritti umani. Essa non elude quindi le domande cui tradizionalmente da parte degli stati si risponde con il militare (e si risponde peggio che male, aggravendo i problemi e provocando catastrofi), ma li affronta in una prospettiva nonviolenta di politica di pace realizzata con mezzi di pace. La difesa popolare nonviolenta significa partecipazione democratica e gestione nonviolenta della sicurezza e della difesa; i corpi civili di pace possono essere strumento principe di politica estera sui temi della risoluzione dei conflitti, della costruzione della pace e della difesa dei diritti umani; politiche di solidarieta' (ergo "neutralita' attiva") come cooperazione internazionale; le politiche di accoglienza e di assistenza (serrvizio civile, welfare state, welfare community) come inveramento dei diritti umani in loco. Infine, e' una proposta concretamente praticabile, poiche' valorizza esperienze gia' esistenti, e invera indicazioni gia' presenti sia nelle legislazioni nazionali che nei trattati europei che negli altri costituti in cui si concreta il diritto internazionale (la Carta dell'Onu e la Dichiarazione universale dei diritti umani in primis). * Il problema dei problemi, ancora una volta, sara' riuscire a passare dal cielo delle enunciazioni alla terrestrita' della pratica (ma va ricordato che senza il "prologo in cielo" non c'e' neppure la possibilita' di un successivo "prologo in terra"), ovvero riuscire a costruire un movimento e una mobilitazione che sappiano rendere centrale questa proposta nel dibattito in corso sia nelle istituzioni sia nei grandi soggetti collettivi che concorrono a comporle; sia nel dibattito giuridico che nell'attivita' legislativa ed amministrativa; sia, infine e soprattutto, nella riflessione collettiva, in quel confuso e complesso fenomeno sociale che si chiama opinione pubblica. Quali le forme? Azzardiamo un percorso possibile. In primo luogo aggregare attraverso un confronto serrato un ampio arco di movimenti delle donne, dei lavoratori, di solidarieta', ecopacifisti, solidali e nonviolenti su un testo condiviso recante un numero limitato e inequivoco di proposizioni. Poi, su quell'appello-programma, raccogliere adesioni. Poi, su quell'appello-programma promuovere una serie di iniziative pubbliche di dibattito e confronto. Poi anche una serie di incontri per cosi' dire bilaterali tra una rappresentanza di promotrici e promotori della proposta-programma con interlocutori specifici (ad esempio i gruppi politici democratici rappresentati nel parlamento europeo, e quelli dei singoli parlamenti nazionali degli stati dell'Unione; gli enti locali gia' impegnati per la pace; le altre agenzie pubbliche - sovranazionali; nazionali, locali - che lavorano sui temi della pace e dei diritti umani; ma anche le grandi organizzazioni sindacali dei lavoratori; le varie ong che con l'Unione europea hanno gia' rapporti di collaborazione; gli organismi rappresentativi delle Chiese impegnate per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato; le istituzioni della cultura e della ricerca; ed anche i governi degli stati e la Commissione dell'Unione). Insomma molte sono le cose da fare, ed alla mobilitazione deve ovviamente affiancarsi lo studio, il dibattito e l'approfondimento, anche quello specificamente tecnico-giuridico e tecnico-amministrativo. * Molti lo hanno gia' scritto: il tempo e' poco. Ma la consapevolezza per fortuna e' crescente. Il fatto che l'assemblea dell'Onu dei popoli e la marcia Perugia-Assisi quest'anno siano dedicate specificamente al tema dell'Europa di pace puo' molto aiutare in questi giorni e non manchera' di avere una ricaduta benefica nell'immediato futuro. Naturalmente si tratta di riuscire a formulare una proposta e un percorso, ed a costruire uno schieramento, in tempi ristretti: avendo presente la necessita' di riuscire a intervenire sulla cosiddetta Costituzione europea prima che essa venga "blindata" sulle pessime posizioni che attualmente contiene ed enuncia; e di riuscire a influire sui programmi delle forze politiche e dei candidati che comporranno il parlamento europeo che sortira' dalle elezioni del 2004. O ci si riesce adesso, o sara' un altro appuntamento mancato, poiche' allo stato attuale sia la bozza di Costituzione, sia le posizioni egemoni nel parlamento europeo, sono pressoche' del tutto supine alla logca militarista e bellicista che rischia di travolgere il diritto e le relazioni internazionali in un spirale di guerre, rapina e terrore. 5. RIFLESSIONE. NELLA GINATEMPO: PER UNA POLITICA DI DISARMO IN EUROPA (UN CONTRIBUTO ALLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE) [Ringraziamo Nella Ginatempo (per contatti: nellagin at tiscali.it) per averci messo a disposizione questo intervento presentato tempo fa al forum sociale di Firenze. Nella Ginatempo e' una prestigiosa intellettuale impegnata nei movimenti delle donne, contro la guerra, per la globalizzazione dei diritti; e' docente di sociologia urbana e rurale all'universita' di Messina; ha tenuto per alcuni anni il corso di sociologia del lavoro, svolgendo ricerche sul tema del lavoro femminile; attualmente svolge ricerche nel campo della sociologia dell'ambiente e del territorio. Tra le sue pubblicazioni: La casa in Italia, 1975; La citta' del Sud, 1976; Marginalita' e riproduzione sociale, 1983; Donne al confine, 1996; Luoghi e non luoghi nell'area dello Stretto, 1999] Il vertice Nato di Praga ha sancito il sostegno politico e all'occorrenza militare dei paesi Nato alla guerra di Bush, di cui l'Iraq costituisce la tappa cruciale. Infatti la guerra preparata contro l'Iraq e teorizzata nella aberrante teoria della guerra preventiva non solo costituisce l'ultima gigantesca infamia ma anche il pericolosissimo varco di una soglia per tutta l'umanita'. A differenza del passato, il nuovo volto della guerra non cerca piu' di nascondere i propri orrori con la giustificazione di rispondere ad un nemico reale, ma si autoimpone al mondo come licenza pubblica di uccidere senza un nemico ovvero contro una minaccia potenziale o virtuale, del tutto costruita). Si tratta dunque di una strage degli innocenti gia' annunciata che si svela finalmente senza piu' maschere nella sua vera veste di terrorismo di Stato. Per questo l'opposizione della coscienza collettiva contro questa guerra in Iraq e' dilagata sia in Europa che negli Usa, contaminando anche i settori sociali che in precedenza avevano approvato la "guerra umanitaria" e la "guerra al terrorismo". L'opposizione di massa a questa guerra in Iraq puo' dunque diventare nell'attuale fase, non solo il tentativo di salvare migliaia di civili in Iraq, condizionando i governi e le scelte internazionali, ma anche l'inizio di una opposizione permanente alla guerra per una nuova politica di disarmo. La nostra prospettiva internazionalista richiede oggi un salto di qualita' nel conflitto sociale internazionale per fare della pace e del diritto alla pace per i popoli la leva del nuovo mondo da costruire. Non bastano oggi, di fronte all'offensiva della guerra infinita, le battaglie di testimonianza o di opinione pubblica: il popolo afghano e' stato devastato, il popolo palestinese e' in agonia, altri popoli, a partire dal gia' martoriato popolo dell'Iraq, verranno colpiti per difendere gli interessi economici e geopolitici del nuovo "Impero". Non basta che obiettiamo e diciamo "non in nostro nome, non col nostro denaro". E' drammaticamente urgente un grande processo di unificazione del movimento dei movimenti e di conflitto coi nostri governi di guerra per ottenere il disarmo e lo stop alla funesta "Liberta' duratura" di uccidere. * Riarmo o disarmo in Europa? Un memorabile discorso di Rosa Luxemburg al Parlamento tedesco contro il riarmo e per la riconversione delle spese militari in spese sociali ci indica ancora oggi una strada. Siamo di nuovo, in circostanze del tutto cambiate, su un crinale della storia d'Europa: siamo chiamati a scegliere come edificare la nuova Europa: della guerra o della pace. Il riarmo in Europa ha significato: - nuovo modello di difesa europeo con la generalizzazione in tutte le nazioni, compresa l'Italia, dell'esercito professionale; - acquisto di nuovi armamenti; - incremento della militarizzazione dei territori con la Nato europea e liberalizzazione del commercio delle armi (attacco alle leggi vincolistiche come la 185 in Italia). Questa politica estera porta inevitabilmente all'aumento generalizzato delle spese militari (in Italia + 10% negli ultimi anni, fino a oltre 500 milioni di euro per il 2003) con grande sacrificio di risorse che vengono cosi' sottratte alle spese sociali; contribuendo in tal modo al peggioramento delle condizioni di vita collettive. Il volto oscuro di un'Europa sempre piu' militarizzata, xenofoba e chiusa ai flussi di migranti ed ai diritti sociali, si afferma nei fatti, nella Costituzione materiale, mentre si e' adottata una Carta dei diritti dell'Unione europea in cui si ignora la questione della guerra e si misconosce il diritto alla pace. Il Nuovo concetto strategico della Nato, varato a Washington il 24 aprile del 1999, e' stato.definitivamente sancito nell'ultimo vertice di Praga: ribadendo il nuovo ruolo degli interventi militari oltreconfine per motivi di sicurezza ( e non piu' per semplice difesa dei territori interni ai confini degli Stati partecipanti alla Nato): a questo punto, quindi, l'Italia aderisce non piu' ad un patto atlantico di difesa, ma ad un patto di aggressione militare verso gli altri popoli della terra. E questo riguarda tutta l'Europa e tutti i paesi aderenti alla Nato. Significa anche che l'Italia, aderendo a questa opzione bellica ed a queste scelte materiali, economiche e geopolitiche, rompe il proprio patto di cittadinanza tra popolo e Stato. Infatti il vincolo della nostra Costituzione stabilisce il divieto assoluto di muovere guerra ad altri Stati, e il divieto assoluto di usare la guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali. Le forze politiche in campo europeo (salvo rare eccezioni) presentano due modelli alle scelte dei popoli: secondo loro si tratta di scegliere se avere un ruolo complice come alleati supini alle scelte Usa, che sostengano tutte le conseguenze distruttive della guerra permanente globale, oppure perseguire (come indica una certa linea europeista di "centrosinistra") una politica di riarmo europeo per dare all'Europa un ruolo di potenza militare, oltre che economica, che fronteggi gli Usa nella competizione globale (ed all'occorrenza ne freni gli eccessi di onnipotenza) ma partecipi tuttavia con un suo ruolo alla gestione armata del nuovo ordine mondiale ed alla spartizione del bottino (risorse energetiche, mercati). Anche le posizioni di aperta critica della politica militare Usa che stanno emergendo attualmente in seno all'Unione europea e presso la Francia e la Germania (sulla Palestina, sull'Iraq e col dissenso sull'"asse del male" di Bush e sull'allargamento della guerra ad altri Stati) non sfociano poi in nessuna proposta chiara di disarmo e pacificazione poiche' nessun governo europeo rinuncia all'opzione militare (a favore delle vie diplomatiche e della pratiche di vera cooperazione), anche in funzione di interessi economici che guidano la ricolonizzazione in Africa, i corridoi energetici nei Balcani ed in Asia, il sostegno al commercio delle armi, alla finanza armata ed a tutta l'economia di guerra. * Dalla guerra militare economica e sociale al disarmo militare economico e sociale L'anno scorso manifestavamo a Roma il 10 novembre contro la guerra in Afghanistan con un grande striscione che diceva "No alla guerra militare economica e sociale". Cio' perche' e' consapevolezza comune che la guerra sia un sistema: i bombardamenti sono il volto militare della ingiustizia globale. Ma oggi si tratta di passare dalla protesta al progetto per una nuova Europa: l'Europa del disarmo. E per disarmo dovremmo intendere specularmente il disarmo militare, economico e sociale. Disarmo militare corrisponde ad una fuoruscita dell'Europa dalla guerra militare: - a livello istituzionale e giuridico assumendo nella nuova Costituzione Europea il ripudio della guerra e il diritto alla pace per tutti i popoli del mondo; - a livello di scelte di riarmo, praticando la contestazione del nuovo modello di difesa armato che si fonda sulla commistione indebita tra difesa e guerra, e realizzando la Difesa popolare nonviolenta e i Corpi civili di pace; - chiedendo la chiusura delle basi militari, denunciando la nuova Nato e i trattati o i nuovi patti che impongano guerre di aggressione contro gli altri popoli e rifiutando lo scudo spaziale e i programmi di riarmo nucleare. Per disarmo sociale intendo soprattutto il rilancio dello Stato sociale in sostituzione dello Stato militarista, attraverso una vasta campagna contro l'aumento delle spese militari per riconvertirle in spese sociali, per la redistribuzione dei redditi sociali e per la protezione civile dei territori, quanto mai urgente oggi in tutta Europa. Con disarmo economico si indica soprattutto: - il passaggio dalla finanza armata alla finanza etica attraverso una campagna di boicottaggio delle banche armate; - il passaggio dalla economia di guerra alla economia di pace attraverso la riconversione ad usi civili dell'industria bellica, con il necessario coinvolgimento dei sindacati, ed una campagna contro la produzione e il commercio degli armamenti. Questa Europa del disarmo comincia dall'opposizione qui e ora alla guerra preventiva in Iraq con la mobilitazione globale di tutta la societa' civile. 6. RIFLESSIONE. FRANCESCO TULLIO: IL BISOGNO DI SICUREZZA E LA DIFESA CIVILE PER L'EUROPA (UN CONTRIBUTO ALLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE). PARTE PRIMA [Siamo assai grati a Francesco Tullio (per contatti: psicosoluzioni at francescotullio.it) per averci messo a disposizione questo suo saggio - di cui pubblichiamo oggi la prima parte - aggiornato per l'occasione. Francesco Tullio, prestigioso studioso e amico della nonviolenza, e' uno dei piu' noti peace-researcher a livello internazionale e animatore di molte iniziative per la pace e la gestione e risoluzione nonviolenta dei conflitti; nato a Roma il 18 giugno 1952, laurea in medicina e chirurgia, specializzazione in psichiatria, libero professionista, psicoterapeuta, esperto di gestione delle risorse umane, di prevenzione e trasformazione dei conflitti, di problem solving organizzativo; docente di psicoterapia breve alla Universita' di Perugia, docente di psicologia al master "Esperto in cultura d'impresa" all'Universita' di Perugia, 2001, ricercatore a contratto con il Centro militare di studi strategici nell'anno 1998-1999, presidente onorario del Centro studi difesa civile (sito: www.pacedifesa.org) di cui e' stato e resta infaticabile animatore, ha coordinato ricerche per diversi enti, tra cui quella per l'Ufficio Onu del Ministero Affari Esteri su "Ong e gestione dei conflitti. Il confidence-building a livello di comunita' nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive"; promotore del Centro di ricerca e formazione sui conflitti e la pace presso l'Universita' di Perugia e dell'Istituto internazionale di ricerca sui conflitti e per la pace; numerose le sue esperienze come medico, in Germania, in Nicaragua ed in Italia, sia in reparti di medicina che di chirurgia ed in particolare in pronto soccorso, come medico di famiglia, inoltre come psichiatra nei servizi pubblici ed in un servizio di medicina legale, infine come libero professionista psicosomatista e psicoterapeuta; le sue attivita' di studioso e formatore si sono incentrate sulla ricerca teorica, la gestione pragmatica dei conflitti, sulla mediazione e la gestione delle risorse umane per e nelle emergenze; e' impegnato dal 1970 in attivita' di volontariato per la prevenzione della violenza e lo sviluppo umano; quale conduttore di incontri, seminari, laboratori teorico-pratici, si e' occupato di gestione dei conflitti, d'affiatamento di gruppi di lavoro, di gruppi di terapia e di crescita umana; in ambito sociale tale interesse si e' tradotto in un contributo culturale per la prevenzione e la gestione dei conflitti intergruppali. In particolare ha coordinato ricerche e convegni sui temi della violenza organizzata e della guerra; e' autore e curatore di diverse pubblicazioni] 1. Il bisogno di sicurezza Dopo l'11 settembre 2001 emerge un filo conduttore ampiamente condiviso nella riflessione dell'Occidente: evento traumatico, minaccia del terrorismo, bisogno di sicurezza, bisogno di difesa. Delle divergenze si rilevano invece nelle analisi delle radici del terrorismo e nelle scelte operative. L'oggetto di questo intervento e' l'interpretazione della sicurezza. La nozione di sicurezza nelle scienze politiche viene tradizionalmente connessa a due settori, quello estero e quello interno. Il primo tratta le eventuali minacce provenienti da altri paesi a cui si risponde operativamente con la disponibilita' di un potenziale militare adeguato a dissuadere eventuali aggressori, ma spesso anche idoneo a tutelare con la forza i propri interessi all'estero. L'altra accezione del termine sicurezza tratta il rischio per l'integrita' dello stato di fronte ad organizzazioni politiche, movimenti criminali e tendenze disgreganti interne. Questo seconda implicazione rimanda operativamente perlopiu' alla disponibilita' di adeguate forze di pubblica sicurezza. Dalla fine della guerra fredda risulta evidente che le minacce alla sicurezza di un paese o di una societa' non sono piu' solamente di tipo classico: la crisi ecologica globale, con la minaccia di un repentino cambiamento climatico, rappresenta un pericolo sempre piu' concreto, al quale naturalmente non esiste una risposta armata. * Il concetto classico e' stato ridefinito negli anni '90 in particolare da Buzan, che ha introdotto le cinque dimensioni seguenti della sicurezza: 1. militare, comprendente le capacita' offensive e difensive degli stati e le percezioni relative; 2. politica, riguardante la stabilita' degli stati in quanto organizzazioni; 3. economica, riguardante la stabilita' dei rapporti finanziari, commerciali e produttivi; 4. sociale, che si rifa' agli aspetti culturali, linguistici e religiosi del vivere comune; 5. ambientale, che riguarda il mantenimento della biosfera e degli ecosistemi locali (1). Questa nuova nozione di sicurezza e' stata fatta propria dalle autorita' politiche e militari dell'Occidente per esempio nello Strategic concept della Nato dell'aprile del 1999 che recita al par. 25 "l'Alleanza si impegna in un approccio ampio alla sicurezza, che riconosce l'importanza dei fattori politici, economici, sociali e ambientali in aggiunta all'indispensabile dimensione della difesa". Tale riconoscimento di principio tarda a tradursi in adeguate linee operative. La complessita' del sistema con le sue contraddizioni, le sue smagliature, le sue lotte di potere e di possesso non hanno potuto prevenire la catastrofe dell'11 settembre. Si e' affermato che nel nuovo sistema globale non vi puo' essere sicurezza se non nella sicurezza reciproca e multidimensionale (2). Tuttavia si tarda ad aggiornare i programmi di difesa, incentrati sulla potenza bellica e repressiva, alla nuova concezione ampia della sicurezza. Evidentemente esiste nei fatti una logica diversa da quella affermata. Qualcuno, applicando l'arroccamento militare e fomentando la contrapposizione violenta, in base ad un proprio calcolo di costi/benefici, ritiene ed afferma implicitamente che questa sia la strada che offre maggiori probabilita' di tutela della propria comunita' e dei propri interessi (3). Dopo l'11 settembre "si parlo' dalle due parti dell'oceano di una minaccia unificante del terrorismo, che non veniva dall'Islam ma da una delirante estremizzazione ideologica, e che avvertivamo come una minaccia per la civilta' che noi europei e americani, insieme, incarnavamo. E' emerso in modo sempre piu' vistoso che, da parte dei neoconservatori americani, il bisogno di sicurezza viene fatto prevalere sull'ordine internazionale garantito dalle istituzioni sopranazionali. E quindi ci siamo ritrovati davanti ad un'America che si affida a quella che noi europei abbiamo abbandonato da un secolo, e cioe' la 'Macht-Politik' che oggi premia gli Stati Uniti e domani potrebbe premiare la Cina" (4). * Il bisogno di sicurezza, in questo passaggio di Giuliano Amato, viene dunque contrapposto operativamente all'ordine internazionale. L'ordine internazionale e l'ordine europeo sono in fondo anch'essi risposte al bisogno di sicurezza, ad un certo tipo di visione della sicurezza, piu' basata sulla ricerca del dialogo. La realizzazione di queste scelte non puo' prescindere pero' dalla considerazione degli strumenti e degli attori tradizionali che il sistema adottava per la propria sicurezza. E' irrealistico pensare che le componenti della societa' e delle istituzioni nazionali europee, che si sono occupate finora della sicurezza in termini classici accettino di collaborare al piano europeo senza avere alcun ruolo. La difesa europea dovra' quindi contemplare entrambi questi elementi calibrandoli sapientemente, senza permettere che la foga difensiva tradizionale ostacoli la costruzione del dialogo anche con i potenziali avversari. La discussione politica fra Usa ed Unione europea a due anni circa dall'11 settembre 2001 verte di fatto su quale combinazione di queste opzioni si possa mediare. Un avanzamento nel senso della nuova concezione della sicurezza e' avvenuto nella bozza di costituzione europea che nella parte I, titolo V, articolo 40 sulle "Disposizioni particolari relative all'attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune" che recita: "1. La politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune. Assicura che l'Unione disponga di una capacita' operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. L'Unione puo' avvalersi di tali mezzi in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite". Tuttavia nella bozza di convenzione e' stata anche inserita una proposta di agenzia per gli armamenti. Le reti europee con le quali il Centro studi difesa civile collabora ( Eplo - European Peace Liason Office) propongono per equilibrare il peso di una tale agenzia, una modifica al testo della convenzione che preveda la realizzazione accanto alla Agenzia per gli armamenti di una Agenzia del Peacebuilding e per la gestione costruttiva dei conflitti. La politica dell'Unione europea e' molto orientata alla prevenzione dei conflitti. La stessa Unione e' il risultato di una riduzione delle sovranita' nazionali in una logica di dialogo e di prevenzione che dovra' essere auspicabilmente applicata anche ad ulteriori ambiti. Se dunque l'Unione intende garantire la propria sicurezza con mezzi sia civili che militari, e' opportuno che non esista solo una agenzia europea sugli strumenti militari, ma che se ne costituisca anche una sul peacebuilding. Conviene orientare tutte le energie a raggiungere questo obiettivo, anziche' disperdersi in polemiche con gli altri operatori della sicurezza, con i quali spesso non concordiamo ma dei quali ho imparato ad apprezzare spesso l'onesta' intellettuale e la fedelta' alla Costituzione. * Note 1. Barry Buzan, People, States and fear. An agenda for international security studies in the post-Cold War era, Hempstead: Wheatsheaf, 1991. 2. Io stesso ho ripreso tale affermazione nella ricerca effettuata per il Cemiss: La difesa civile ed il progetto Caschi Bianchi, peacekeepers civili disarmati, Franco Angeli, Roma 2001. 3. Quali siano queste comunita' ed interessi sara' difficile farlo riconoscere esplicitamente. 4. Intervista a Giuliano Amato, "La Repubblica", 9 aprile 2003. (Continua) 7. TESTIMONIANZE. MICHELE GIORGIO INTERVISTA HANAN ASHRAWI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 ottobre 2003. Michele Giorgio e' corrispondente da Gerusalemme del quotidiano. Hanan Ashrawi, una delle figure piu' autorevoli della societa' civile palestinese, dirige il centro "Miftah" per la diffusione della democrazia e il rispetto dei diritti umani] Molte personalita' palestinesi si sono schierate in questi tre anni di Intifada contro gli attentati kamikaze compiuti contro i civili all'interno del territorio di Israele. Tra questi c'e' anche la signora Hanan Ashrawi che, se da un lato condanna nel modo piu' esplicito l'occupazione militare israeliana di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est, dall'altro giudica in modo negativo la svolta armata compiuta dall'Intifada. Storica portavoce palestinese, molto nota e stimata all'estero, Hanan Ashrawi dirige il centro "Miftah" per la diffusione della democrazia e il rispetto dei diritti umani. L'abbiamo raggiunta a Ramallah, la citta' della Cisgiordania dove vive e lavora. - Michele Giorgio: Signora Ashrawi, lei ha piu' volte criticato la trasformazione dell'Intifada da lotta popolare a lotta armata e ha condannato gli attentati kamikaze contro obiettivi civili in Israele. - Hanan Ashrawi: Si', e' vero, su questo punto mi sono espressa sempre con estrema chiarezza. Sono contro gli attacchi che colpiscono civili e persone innocenti, da tutte e due le parti. Ho sempre creduto che l'Intifada dovesse rimanere una rivolta dello spirito, una rivolta morale, fatta di resistenza pacifica all'occupazione israeliana. Ma c'e' di piu'. Chi organizza ed esegue gli attentati ha una gravissima responsabilita' anche nei confronti dei palestinesi perche' fa il gioco del governo israeliano. Ariel Sharon, approfittando dello sdegno provocato dopo l'11 settembre 2001, e' riuscito a descrivere la lotta dei palestinesi come una forma di terrorismo, simile a quello di Al Qaeda. Quindi gli attentatori non solo hanno ucciso persone innocenti ma hanno anche danneggiato la causa palestinese. Nel momento in cui abbiamo bisogno di ottenere maggior aiuto internazionale per contrastare l'aggressione militare israeliana e bloccare il muro che viene costruito intorno alle nostre citta', questi attentati invece danno una mano proprio alla strategia di Sharon. - M. G.: Qualche giorno fa l'Intifada ha compiuto tre anni. Qual e' il suo bilancio della lotta contro l'occupazione militare israeliana? - H. A.: Come ho detto in precedenza una rivolta fatta di manifestazioni popolari e movimenti di massa avrebbe avuto, a mio avviso, risultati piu' concreti per la nostra causa rispetto alla lotta armata alla quale assistiamo ora. Fatta questa premessa, posso dire che per noi palestinesi sono stati tre anni di dolore, nei quali abbiamo perduto altre porzioni della nostra terra, case, proprieta', e soprattutto tante vite umane che sono uniche, insostituibili. Allo stesso tempo abbiamo anche chiarito al mondo intero che non saremo sconfitti dalla potenza dell'esercito israeliano e che non rinunceremo mai ai nostri diritti che sono sanciti dalle risoluzioni internazionali nonostante la brutalita' dell'occupazione. I palestinesi soffrono ma vanno avanti, certi che riusciranno a far valere i loro diritti. 8. INIZIATIVE. GIULIO VITTORANGELI: BHOPAL IN ITALIA [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'". Tra le opere di Xabier Gorostiaga: (a cura di, con George Irvin), Un'alternativa politica per l'America Centrale, Edizioni Associate, Roma 1986] In un luogo suggestivo come i "Mercati Traianei" a Roma, si svolge (fino al 15 ottobre) una mostra fotografica, promossa da Greenpeace, su Bhopal. Le foto in bianco e nero di Raghu Rai, grande reporter indiano della Magnum, sono state scattate dalla mattina dopo l'incidente che provoco' il piu' grande disastro industriale della storia. 7.500 furono i decessi immediatamente dopo la fuoriuscita (per errore della Union Carbide) della nube tossica (40 tonnellate di gas) della fabbrica di Bhopal nella notte fra il 2 e 3 dicembre 1984; sedicimila le persone morte in seguito, e quasi mezzo milione quelle che ne hanno successivamente comunque subito gli effetti. Inquinamento delle acque, danni ambientali ed economici a scapito di popolazioni, ovviamente, poverissime. A distanza di quasi vent'anni nessuna bonifica e' stata fatta: la gente continua ancora a bere acqua inquinata e ad ammalarsi. La Dow Chemical rifiuta di prendersi la responsabilita' del disastro, nonostante abbia acquistato la Union Carbide. La Dow Chemical, tra le altre cose, e' una delle sette compagnie multinazionali responsabili della produzione, l'uso e il commercio del pesticida Nemagon (nel momento in cui era divenuto illegale negli Stati Uniti) nelle piantagioni di banane in Centroamerica. Contadini e contadine che non hanno avuto altra alternativa se non quella di trascorrere intere giornate sotto il sole cocente delle bananeras per un dollaro al giorno, per finire morti o malati a causa dell'esposizione e il contatto prolungato con il Nemagon. Per ricordare il piu' grave disastro chimico della storia Greenpeace ho organizzato un tour italiano della mostra che e' iniziato a Bologna, e' proseguito a Milano, Napoli, Cagliari e Roma, e si concludera' a Porto Marghera. La mostra, presentata a Johannesburg al vertice sulla Terra, e' gia' stata esposta, naturalmente, in India, e in diversi paesi europei. Nelle immagini di Raghu i protagonisti sono i sopravvissuti, che nel racconto delle loro terribili vicende rappresentano un monito per non fermarsi nella ricerca della giustizia. E' l'ennesima conferma di come la presente tipologia di cultura dominante e di "civilta'" globalizzata sta conducendo il mondo verso il baratro: "Il progresso ha un prezzo / per vivere meglio / e' necessario morire peggio / accettare l'equivalenza / muore chi non mangia / e muore / chi mangia in eccedenza / ma meglio vivere un giorno da mangioni / che cent'anni da anoressico (...) danni e non danni / ambiente e sviluppo / se non si muore di fame oggi / ma di cancro domani / si e' ottenuta la grazia / per vent'anni / si vuole forse vivere in eterno? / Dacci allora / dio della storta / e del reagente / il nostro pesticida quotidiano / perche' chi ha fame e sete / di giustizia / mangi un po' di parathion / beva molta atrazina / e qualche altra / miracolosa delizia. / Venga il tuo regno / l'oceano verde del mais / la citta' del sole di Bhopal / dove si e' lavorato / tanto per la vita / che la vita e' sparita / e il benessere e' arrivato davvero / cominciando con l'ampliamento / del cimitero." (da La ballata del dottor Das, di Giorgio Celli). Intanto da noi e' bastato un blackout, con l'Italia rimasta al buio nella notte fra il 27 e 28 settembre, per dare la via ad un mucchio di stupidate: "abbiamo poche centrali! Urge il nucleare!" ecc. ecc. La realta' e' che la condizione del mondo e' giunta agli estremi, non si puo' piu' ignorare il paradigma generale dell'ecologia, e i margini sono molto ristretti: forse sara' decisivo il tempo della prossima generazione, quello di chi si affaccia ora alla vita. I temi del pacifismo e della solidarieta' si fondono con il problema ecologico. Sono problemi che richiedono una lunga maturazione di coscienza e delle grandi e coraggiose scelte che vanno in direzione opposta al nostro attuale modo di produrre e consumare. 9. RILETTURE. LAURA BOELLA, ANNAROSA BUTTARELLI: PER AMORE DI ALTRO. L'EMPATIA A PARTIRE DA EDITH STEIN Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, pp. 118, euro 8,25. Un'acuta riflessione muovendo dalla figura e dal pensiero della grande filosofa. 10. RILETTURE. SIMONA FORTI (A CURA DI): HANNAH ARENDT Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. XXXIV + 318, lire 25.000. Una utile raccolta di saggi sulla grande intellettuale. 11. RILETTURE. GABRIELLA FIORI: SIMONE WEIL Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1981, 1990, pp. 494, lire 20.000. Uno dei libri migliori sulla grande pensatrice. 12. RILETTURE. NADIA NERI: UN'ESTREMA COMPASSIONE. ETTY HILLESUM TESTIMONE E VITTIMA DEL LAGER Nadia Neri, Un'estrema compassione; Etty Hillesum testimone e vittima del Lager, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 176, euro 9,30. Una assai fine monografia sulla grande testimone. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 699 del 10 ottobre 2003
- Prev by Date: [AI] Onu dei Popoli: Intervento di Flavio Flotti
- Next by Date: [Agenzia di Base] giovedì 9 ottobre 2003
- Previous by thread: [AI] Onu dei Popoli: Intervento di Flavio Flotti
- Next by thread: [Agenzia di Base] giovedì 9 ottobre 2003
- Indice: