storia giudiziaria del Vajont





 Tre giorni dopo il disastro, l'11 ottobre, il Ministro dei Lavori Pubblici,
in accordo con il Presidente del Consiglio, nomina la Commissione di
inchiesta sulla sciagura, che si insedia il 14 ottobre. Essa dispone di due
mesi di tempo per presentare una relazione. Suo compito è quello di
accertare le cause, prossime e remote, che hanno determinato la catastrofe.
La Commissione finirà il suo lavoro tre mesi dopo.
Il 20 di febbraio 1968 il Giudice istruttore di Belluno, Mario Fabbri,
deposita la sentenza del procedimento penale contro Alberico Biadene, Mario
Pancini, Pietro Frosini, Francesco Sensidoni, Curzio Batini, Francesco
Penta, Luigi Greco, Almo Violin, Dino Tonini, Roberto Marin e Augusto
Ghetti. Due di questi, Penta e Greco, nel frattempo muoiono, mentre Pancini
si toglie la vita il 28 novembre di quell'anno.
Il giorno dopo inizia il Processo di Primo Grado, che si tiene a L'Aquila, e
che si conclude il 17 dicembre del 1969. L'accusa chiede 21 anni per tutti
gli imputati (eccetto Violin, per il quale ne vengono richiesti 9) per
disastro colposo di frana e disastro colposo d'inondazione, aggravati dalla
previsione dell'evento e omicidi colposo plurimi aggravati. Biadene, Batini
e Violin vengono condannati a sei anni, di cui due condonati, di reclusione
per omicidio colposo, colpevoli di non aver avvertito e di non avere messo
in moto lo sgombero; assolti tutti gli altri. La prevedibilità della frana
non viene riconosciuta.
Il 26 luglio 1970 inizia all'Aquila il Processo d'Appello, con lo stralcio
della posizione di Batini, gravemente ammalato di esaurimento nervoso.
Il 3 ottobre la sentenza riconosce la totale colpevolezza di Biadene e
Sensidoni, che vengono riconosciuti colpevoli di frana, inondazione e degli
omicidi. Essi vengono condannati a sei e a quattro anni e mezzo (entrambi
con tre anni di condono). Frosini e Violin vengono assolti per insufficienza
di prove; Marin e Tonini assolti perché il fatto non costituisce reato;
Ghetti per non aver commesso il fatto.
Tra il 15 e il 25 marzo del 1971 si svolge, a Roma, il Processo di
Cassazione, nel quale Biadene e Sensidoni vengono riconosciuti colpevoli di
un unico disastro: inondazione aggravata dalla previsione dell'evento
compresa la frana e gli omicidi. Biadene viene condannato a cinque anni,
Sensidoni a tre e otto mesi, entrambi con tre anni di condono. Tonini viene
assolto per non aver commesso il fatto; gli altri verdetti restano
invariati. La sentenza avvenne quindici giorni prima della scadenza dei
sette anni e mezzo dell'avvenimento, giorno nel quale sarebbe intervenuta la
prescrizione.
Il 16 dicembre 1975 la Corte d'Appello dell'Aquila rigetta la richiesta del
Comune di Longarone di rivalersi in solido contro la Montedison, società in
cui è confluita la SADE, condannando l'ENEL al risarcimento dei danni subiti
dalle pubbliche amministrazioni, condannate a pagare le spese processuali
alla Montedison.
Sette anni dopo, il 3 dicembre 1982, la Corte d'Appello di Firenze ribalta
la sentenza precedente, condannando in solido ENEL e Montedison al
risarcimento dei danni sofferti dallo Stato e la Montedison per i danni
subiti dal comune di Longarone. Il ricorso della Montedison non si fa
attendere ma il 17 dicembre del 1986 la Corte Suprema di Cassazione rigetta
il ricorso alla sentenza del 1982.
Infine il 15 febbraio 1997 il Tribunale Civile e Penale di Belluno condanna
la Montedison a risarcire i danni subiti dal comune di Longarone per un
ammontare di lire 55.645.758.500, comprensive dei danni patrimoniali,
extra-patrimoniali e morali, oltre a lire 526.546.800 per spese di liti ed
onorari e lire 160.325.530 per altre spese. La sentenza ha carattere
immediatamente esecutivo. Nello stesso anno viene rigettato il ricorso
dell'ENEL nei confronti del comune di Erto-Casso e del neonato comune di
Vajont, obbligando così l'ENEL al risarcimento dei danni subiti, che
verranno quantificati dal Tribunale Civile e Penale di Belluno in lire
480.990.500 per beni patrimoniali e demaniali perduti; lire 500.000.000 per
danno patrimoniale conseguente alla perdita parziale della popolazione e
conseguenti attività; lire 500.000.000 per danno ambientale ed ecologico. La
rivalutazione delle cifre hanno raggiunto il valore di circa 22 miliardi di
lire.

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