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La nonviolenza e' in cammino. 686
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 686
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 26 Sep 2003 20:56:02 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 686 del 27 settembre 2003 Sommario di questo numero: 1. La scomparsa di Edward Said 2. Angela Dogliotti Marasso: sulla proposta di Lidia Menapace per costruire l'Europa disarmata 3. Lidia Menapace: due note ancora 4. Hannah Arendt racconta la Resistenza nonviolenta in Danimarca 5. Maria G. Di Rienzo: movimenti per il cambiamento sociale: piccino un abbecedario 6. Luisa Morgantini: un appello per fermare il muro che tagliera' in due l'universita' di Al Quds 7. Amnesty International: soddisfazione per l'annullamento della condanna a morte di Amina Lawal, l'impegno per i diritti umani continua 8. Benedetta Frare: commercio equo: istruzioni per l'uso 9. Giovanni Lenzi: dopo la camminata Assisi-Gubbio 10. Arundhati Roy: quello che accade 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. LUTTI. LA SCOMPARSA DI EDWARD SAID Ci giunge adesso, come una frustata, la notizia della scomparsa, il 25 settembre a New York, di Edward Said, il grande intellettuale palestinese, nato a Gerusalemme nel 1935, docente di letteratura comparata alla Columbia University, autore di opere indimenticabili, da tempo colpito da leucemia, voce dell'umanita' dolente e coraggiosa. Un grande umanista, uno strenuo difensore della dignita' umana. Per rendergli omaggio ed ancora una volta nutrirci della sua lezione di rigore morale e intellettuale, di acutezza e generosita', pubblicheremo domani su questo foglio uno dei suoi piu' recenti saggi in cui ancora una volta difende l'umanita', la comprensione tra i popoli, la dignita' di ogni persona. Percossi e attoniti, ma grati, ma fedeli, qui lo salutiamo, uomo di pace, maestro per sempre. 2. EDITORIALE. ANGELA DOGLIOTTI MARASSO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE PER COSTRUIRE L'EUROPA DISARMATA [Ringraziamo di cuore Angela Dogliotti Marasso (per contatti: angelaebeppe at libero.it) per questo intervento. Angela Dogliotti Marasso, rappresentante autorevolissima del Movimento Internazionale della Riconciliazione e del Movimento Nonviolento, studiosa e testimone, educatrice e formatrice, e' una delle figure piu' nitide della nonviolenza in Italia. Tra le sue opere segnaliamo particolarmente Aggressivita' e violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino; e il suo saggio su Domenico Sereno Regis, in AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino - Verona 1999] La proposta di "neutralita' attiva" che la "Convenzione permanente di donne contro la guerra" ha lanciato e che Lidia Menapace ha presentato su "La nonviolenza in cammino" (n. 671, 11 settembre 2003), mi pare non una semplice proposta tra le tante, ma una sorta di idea-guida che indica una direzione concreta di lavoro, in sintonia con quanto si va elaborando, ad esempio con il progetto del Corpo civile di pace europeo, e attorno alla quale, dunque, raccogliere le forze dei movimenti nonviolenti e per la pace. Provo percio' ad esporre alcune considerazioni in questa direzione, a sostegno della proposta. 1. Credo sia preferibile usare l'espressione "neutralita' attiva" (anziche' parlare semplicemente di neutralita'), per evitare ogni interpretazione "attendista" (nel senso di non voler entrare nella mischia, ma di essere pronti a beneficiare poi dei vantaggi offerti dal vincitore di turno) o indifferente, che il sostantivo da solo potrebbe suggerire (non mi pare, infatti che nel concetto di neutralita' sia implicito quello di intervento non armato). 2. Se e' vero che neutralita' attiva, invece, puu' ben essere intesa come "la posizione di un soggetto politico che dichiara di rinunciare all'uso della guerra, e di vincolarsi nei confronti della comunita' internazionale a non fare politiche aggressive" ma che prende posizione e agisce "nelle varie situazioni in tutti i modi tranne che con le armi", cio' implica: - una rinuncia ad usare lo scudo delle alleanze dotate di armi offensive; - la realizzazione di un modello alternativo di difesa, che passa per il transarmo, comporta la creazione di un corpo di polizia internazionale, anche armato, al servizio di organismi sopranazionali come le Nazioni Unite, e, soprattutto, che si fonda sui principi e sul modello della difesa civile, non armata, nonviolenta, per poter esercitare, appunto, il diritto-dovere di difesa e di intervento nei conflitti, tutte le volte che e' necessario, senza usare gli eserciti. Accettare la proposta di neutralita' attiva significa assumere questa prospettiva, in continuita', come Lidia ricorda, con le migliori tradizioni, neutraliste, del movimento femminista e del movimento operaio. Il problema dunque e': come si puo' rendere efficace, autorevole, ascoltata questa proposta? L'inserimento di un simile principio nella Costituzione europea non e' semplice, perche' anche il diritto nasce dalle maggioranze, e' frutto di quanto si e' sedimentato nella storia e nella cultura collettive. Cio' che possiamo fare va dunque, a mio parere, in tre direzioni: a) far crescere questa prospettiva nella cultura, attraverso l'educazione, la ricerca, il confronto politico (la strada lunga del cambiamento di mentalita'); b) continuare ad agire dal basso con iniziative e proposte concrete che prefigurano un modello diverso di difesa e intervento nei conflitti, come hanno fatto e continuano a fare diverse realta' quali la rete delle Donne in nero, i Caschi bianchi, i Berretti bianchi, le P. B. I.,il Nonviolence Peace Force ecc... Molte e molto ricche sono le esperienze gia' maturate in questo ambito. Una proposta molto interessante e che prefigura un modello di intervento coordinato dal basso a livello europeo e' quella del M. A. N. (Mouvement pour une Alternative Nonviolente) francese, che sta lanciando una campagna europea per una pace vera e duratura in Medio oriente, che prevede il dispiegamento di una forza di interposizione civile internazionale in Palestina-Israele accettata da entrambe le parti, volta a contenere la violenza, proteggere i civili sia palestinesi, sia israeliani, ridurre la paura ed il senso di insicurezza, per aiutare il dialogo a partire dal basso e creare le condizioni per trovare una soluzione politica al conflitto. E' il tipo di intervento nei conflitti che si propone anche il Corpo civile di pace europeo, progetto che pero' fatica ad andare avanti, nonostante alcuni passi della bozza di Costituzione europea siano importanti per dargli piena legittimazione istituzionale; c) agire politicamente con campagne ad hoc transnazionali che coinvolgano forze politiche europee disponibili a impegnarsi sul tema della pace - e la proposta di inserire nella Costituzione europea il principio della neutralita' attiva potrebbe essere proprio una di queste -, facendo leva sulla massiccia opposizione alla guerra che le/i cittadine/i europee/i hanno manifestato durante la crisi irachena. Allora si espresse una chiara volonta' di pace, che le sinistre europee dovrebbero saper cogliere e tradurre in principi di diritto, linee politiche e progetti concreti, conformi a quella volonta'. 3. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: DUE NOTE ANCORA [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001. Sull'Olanda, la Norvegia, il Belgio, la Svizzera e la Svezia nella seconda guerra mondiale dal punto di vista della Resistenza nonviolenta al nazifascismo e alla Shoah cfr. introduttivamente i seguenti lavori: Enrico Peyretti, Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente (una edizione a stampa - ma il lavoro e' stato successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios, Trieste 2001, un'edizione aggiornata e' apparsa recentemente in questo stesso notiziario e contiamo di presentarne prossimamente un'edizione nuovamente aggiornata); Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, 1993; Raul Hilberg, La distruzione degli Ebrei d'Europa, Einaudi, Torino 1995; William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino 1962, 1990; ed anche rispettivamente: sull'Olanda le testimonianze di e su Anne Frank e Etty Hillesum; sulla Norvegia Magne Skodvin, Resistenza nonviolenta in Norvegia sotto l'occupazione tedesca, Edizioni del Movimento Nonviolento; sulla Svizzera le testimonianze dei molti antifascisti che vi trovarono rifugio] Carissimi e carissime, gioisco con voi per la salvezza raggiunta da Amina, a prezzo - a dire il vero - di una prolungata tortura, dato che per lei la maternita' era condanna e l'allattamento procrastinazione della condanna (sapete che, fino a che allatta, una madre condananta alla lapidazione non puo' essre "eseguita"): comunque diamo espressione al nostro sollievo e mettiamo in memoria che davvero una pressione tenace, decisa, organizzata di mezzi pacifici da parte dell'opinione pubblica sortisce effetti: a me piace sempre far rilevare che gli strumenti dell'azione nonviolenta - oltre che nobili, generosi, eticamente intoccabili- sono anche utili ed efficaci. * Ho preso la parola per ringraziare molto Daniele Lugli per avere cosi' bene argomentato sul tema della neutralita' attiva d'Europa: e' vero, la proposta non e' stata ripresa da nessuno dei due "schieramenti" (non per nulla hanno un nome militare) maggiori del parlamento europeo: pero' ha il pregio di poter camminare entro le forme e gli appuntamenti del movimento dei movimenti ("Stati generali di un'altra Europa") dando una possibilita' di agire tenacemente sulla base di un'espressione giuridicamente significativa, arricchita di tutte le argomentazioni offerte da Lugli, da Peppe e da chi altri vorra'. Mi pare che durante la seconda guerra mondiale Olanda Norvegia e Belgio non fossero giuridicamente neutrali, non avevano pero' dichiarato guerra a nessuno e - a differenza di Svizzera e Svezia - furono invasi da Hitler e reagirono con mirabili forme di resistenza e difesa popolare nonviolenta: gli olandesi affondarono letteralmente le loro campagne e i carri armati nazi impantanati furono fermati piu' a lungo da questa coraggiosissima e solidale iniziativa popolare che dalla linea Maginot, orgoglio dell'architettura militare francese. Ringrazio molto davvero: penso che si potra' anche in futuro fare molto in proposito: adesso si tratta di impedire almeno che la futura prossima Costituzione europea non abbia espressioni troppo militariste e che lasci aperta la strada per ulteriori miglioramenti, il che si puo' ottenere spingendo perche' il testo sia emendabile, la sua approvazione fatta dai parlamenti e sanzionata da referendum popolare e le procedure per il mutamento siamo agibili: la proposta giscardiana e dei governi per ora rende blindato il testo che diventa pressoche' non modificabile. Grazie ancora e avanti. 4. MEMORIA. HANNAH ARENDT RACCONTA LA RESISTENZA NONVIOLENTA IN DANIMARCA [Da Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, 1993, alle pp. 177-182. E' un brano che abbiamo gia' riprodotto nel n. 60 del 30 novembre 2000 di questo foglio. La vicenda della resistenza nonviolenta danese contro il nazismo ha un valore paradigmatico: anche contro un avversario brutale e genocida e' possibile adottare vittoriosamente strategie di lotta nonviolenta. Su questa esperienza cfr. anche Jeremy Bennet, La resistenza contro l'occupazione tedesca in Danimarca, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1979. Ovviamente indispensabile e' la lettura di Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d'Europa, Einaudi, Torino 1995. Sulle esperienze di Resistenza nonviolenta al nazifascismo si veda la ricca bibliografia raccolta da Enrico Peyretti nel suo Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente (una edizione a stampa - ma il lavoro e' stato successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios, Trieste 2001, un'edizione aggiornata e' apparsa recentemente in questo stesso notiziario e contiamo di presentarne prossimamente un'edizione nuovamente aggiornata). Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] La storia degli ebrei danesi e' una storia sui generis, e il comportamento della popolazione e del governo danese non trova riscontro in nessun altro paese d'Europa, occupato o alleato dell'Asse o neutrale e indipendente che fosse. Su questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte le universita' ove vi sia una facolta' di scienze politiche, per dare un'idea della potenza enorme della nonviolenza e della resistenza passiva, anche se l'avversario e' violento e dispone di mezzi infinitamente superiori. Certo, anche altri paesi d'Europa difettavano di "comprensione per la questione ebraica", e anzi si puo' dire che la maggioranza dei paesi europei fossero contrari alle soluzioni "radicali" e "finali". Come la Danimarca, anche la Svezia, l'Italia e la Bulgaria si rivelarono quasi immuni dall'antisemitismo, ma delle tre di queste nazioni che si trovavano sotto il tallone tedesco soltanto la danese oso' esprimere apertamente cio' che pensava. L'Italia e la Bulgaria sabotarono gli ordini della Germania e svolsero un complicato doppio gioco, salvando i loro ebrei con un tour de force d'ingegnosita', ma non contestarono mai la politica antisemita in quanto tale. Era esattamente l'opposto di quello che fecero i danesi. Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le loro immediate dimissioni. Decisivo fu poi il fatto che i tedeschi non riuscirono nemmeno a imporre che si facesse una distinzione tra gli ebrei di origine danese (che erano circa seimilaquattrocento) e i millequattrocento ebrei di origine tedesca che erano riparati in Danimarca prima della guerra e che ora il governo del Reich aveva dichiarato apolidi. Il rifiuto opposto dai danesi dovette stupire enormemente i tedeschi, poiche' ai loro occhi era quanto mai "illogico" che un governo proteggesse gente a cui pure aveva negato categoricamente la cittadinanza e anche il permesso di lavorare. (Dal punto di vista giuridico, prima della guerra la situazione dei profughi in Danimarca non era diversa da quella che c'era in Francia, con la sola differenza che la corruzione dilagante nella vita amministrativa della Terza Repubblica permetteva ad alcuni di farsi naturalizzare, grazie a mance o "aderenze", e a molti di lavorare anche senza un permesso; la Danimarca invece, come la Svizzera, non era un paese pour se debruiller). I danesi spiegarono ai capi tedeschi che siccome i profughi, in quanto apolidi, non erano piu' cittadini tedeschi, i nazisti non potevano pretendere la loro consegna senza il consenso danese. Fu uno dei pochi casi in cui la condizione di apolide si rivelo' un buon pretesto, anche se naturalmente non fu per il fatto in se' di essere apolidi che gli ebrei si salvarono, ma perche' il governo danese aveva deciso di difenderli. Cosi' i nazisti non poterono compiere nessuno di quei passi preliminari che erano tanto importanti nella burocrazia dello sterminio, e le operazioni furono rinviate all'autunno del 1943. Quello che accadde allora fu veramente stupefacente; per i tedeschi, in confronto a cio' che avveniva in altri paesi d'Europa, fu un grande scompiglio. Nell'agosto del 1943 (quando ormai l'offensiva tedesca in Russia era fallita, l'Afrika Korps si era arreso in Tunisia e gli Alleati erano sbarcati in Italia) il governo svedese annullo' l'accordo concluso con la Germania nel 1940, in base al quale le truppe tedesche avevano il diritto di attraversare la Svezia. A questo punto i danesi decisero di accelerare un po' le cose: nei cantieri della Danimarca ci furono sommosse, gli operai si rifiutarono di riparare le navi tedesche e scesero in sciopero. Il comandante militare tedesco proclamo' lo stato d'emergenza e impose la legge marziale, e Himmler penso' che fosse il momento buono per affrontare il problema ebraico, la cui "soluzione" si era fatta attendere fin troppo. Ma un fatto che Himmler trascuro' fu che (a parte la resistenza danese) i capi tedeschi che ormai da anni vivevano in Danimarca non erano piu' quelli di un tempo. Non solo il generale von Hannecken, il comandante militare, si rifiuto' di mettere truppe a disposizione del dott. Werner Best, plenipotenziario del Reich; ma anche le unita' speciali delle SS (gli Einsatzkommandos) che lavoravano in Danimarca trovarono molto da ridire sui "provvedimenti ordinati dagli uffici centrali", come disse Best nella deposizione che rese poi a Norimberga. E lo stesso Best, che veniva dalla Gestapo ed era stato consigliere di Heydrich e aveva scritto un famoso libro sulla polizia e aveva lavorato per il governo militare di Parigi con piena soddisfazione dei suoi superiori, non era piu' una persona fidata, anche se non e' certo che a Berlino se ne rendessero perfettamente conto. Comunque, fin dall'inizio era chiaro che le cose non sarebbero andate bene, e l'ufficio di Eichmann mando' allora in Danimarca uno dei suoi uomini migliori, Rolf Guenther, che sicuramente nessuno poteva accusare di non avere la necessaria "durezza". Ma Guenther non fece nessuna impressione ai suoi colleghi di Copenhagen, e von Hannecken si rifiuto' addirittura di emanare un decreto che imponesse a tutti gli ebrei di presentarsi per essere mandati a lavorare. Best ando' a Berlino e ottenne la promessa che tutti gli ebrei danesi sarebbero stati inviati a Theresienstadt, a qualunque categoria appartenessero - una concessione molto importante, dal punto di vista dei nazisti. Come data del loro arresto e della loro immediata deportazione (le navi erano gia' pronte nei porti) fu fissata la notte del primo ottobre, e non potendosi fare affidamento ne' sui danesi ne' sugli ebrei ne' sulle truppe tedesche di stanza in Danimarca, arrivarono dalla Germania unita' della polizia tedesca, per effettuare una perquisizione casa per casa. Ma all'ultimo momento Best proibi' a queste unita' di entrare negli alloggi, perche' c'era il rischio che la polizia danese intervenisse e, se la popolazione danese si fosse scatenata, era probabile che i tedeschi avessero la peggio. Cosi' poterono essere catturati soltanto quegli ebrei che aprivano volontariamente la porta. I tedeschi trovarono esattamente 477 persone (su piu' di 7.800) in casa e disposte a lasciarli entrare. Pochi giorni prima della data fatale un agente marittimo tedesco, certo Georg F. Duckwitz, probabilmente istruito dallo stesso Best, aveva rivelato tutto il piano al governo danese, che a sua volta si era affrettato a informare i capi della comunita' ebraica. E questi, all'opposto dei capi ebraici di altri paesi, avevano comunicato apertamente la notizia ai fedeli, nelle sinagoghe, in occasione delle funzioni religiose del capodanno ebraico. Gli ebrei ebbero appena il tempo di lasciare le loro case e di nascondersi, cosa che fu molto facile perche', come si espresse la sentenza, "tutto il popolo danese, dal re al piu' umile cittadino", era pronto a ospitarli. Probabilmente sarebbero dovuti rimanere nascosti per tutta la durata della guerra se la Danimarca non avesse avuto la fortuna di essere vicina alla Svezia. Si ritenne opportuno trasportare tutti gli ebrei in Svezia, e cosi' si fece con l'aiuto della flotta da pesca danese. Le spese di trasporto per i non abbienti (circa cento dollari a persona) furono pagate in gran parte da ricchi cittadini danesi, e questa fu forse la cosa piu' stupefacente di tutte, perche' negli altri paesi gli ebrei pagavano da se' le spese della propria deportazione, gli ebrei ricchi spendevano tesori per comprarsi permessi di uscita (in Olanda, Slovacchia e piu' tardi Ungheria), o corrompendo le autorita' locali o trattando "legalmente" con le SS, le quali accettavano soltanto valuta pregiata e, per esempio in Olanda, volevano dai cinquemila ai diecimila dollari per persona. Anche dove la popolazione simpatizzava per loro e cercava sinceramente di aiutarli, gli ebrei dovevano pagare se volevano andar via, e quindi le possibilita' di fuggire, per i poveri, erano nulle. Occorse quasi tutto ottobre per traghettare gli ebrei attraverso le cinque-quindici miglia di mare che separano la Danimarca dalla Svezia. Gli svedesi accolsero 5.919 profughi, di cui almeno 1.000 erano di origine tedesca, 1.310 erano mezzi ebrei e 686 erano non ebrei sposati ad ebrei. (Quasi la meta' degli ebrei di origine danese rimase invece in Danimarca, e si salvo' tenendosi nascosta). Gli ebrei non danesi si trovarono bene come non mai, giacche' tutti ottennero il permesso di lavorare. Le poche centinaia di persone che la polizia tedesca era riuscita ad arrestare furono trasportate a Theresienstadt: erano persone anziane o povere, che o non erano state avvertite in tempo o non avevano capito la gravita' della situazione. Nel ghetto godettero di privilegi come nessun altro gruppo, grazie all'incessante campagna che in Danimarca fecero su di loro le autorita' e privati cittadini. Ne perirono quarantotto, una percentuale non molto alta, se si pensa alla loro eta' media. Quando tutto fu finito, Eichmann si senti' in dovere di riconoscere che "per varie ragioni" l'azione contro gli ebrei danesi era stata un "fallimento"; invece quel singolare individuo che era il dott. Best dichiaro': "Obiettivo dell'operazione non era arrestare un gran numero di ebrei, ma ripulire la Danimarca dagli ebrei: ed ora questo obiettivo e' stato raggiunto". L'aspetto politicamente e psicologicamente piu' interessante di tutta questa vicenda e' forse costituito dal comportamento delle autorita' tedesche insediate in Danimarca, dal loro evidente sabotaggio degli ordini che giungevano da Berlino. A quel che si sa, fu questa l'unica volta che i nazisti incontrarono una resistenza aperta, e il risultato fu a quanto pare che quelli di loro che vi si trovarono coinvolti cambiarono mentalita'. Non vedevano piu' lo sterminio di un intero popolo come una cosa ovvia. Avevano urtato in una resistenza basata su saldi principi, e la loro "durezza" si era sciolta come ghiaccio al sole permettendo il riaffiorare, sia pur timido, di un po' di vero coraggio. Del resto, che l'ideale della "durezza", eccezion fatta forse per qualche bruto, fosse soltanto un mito creato apposta per autoingannarsi, un mito che nascondeva uno sfrenato desiderio di irreggimentarsi a qualunque prezzo, lo si vide chiaramente al processo di Norimberga, dove gli imputati si accusarono e si tradirono a vicenda giurando e spergiurando di essere sempre stati "contrari" o sostenendo, come fece piu' tardi anche Eichmann, che i loro superiori avevano abusato delle loro migliori qualita'. (A Gerusalemme Eichmann accuso' "quelli al potere" di avere abusato della sua "obbedienza": "il suddito di un governo buono e' fortunato, il suddito di un governo cattivo e' sfortunato: io non ho avuto fortuna"). Ora avevano perduto l'altezzosita' d'un tempo, e benche' i piu' di loro dovessero ben sapere che non sarebbero sfuggiti alla condanna, nessuno ebbe il fegato di difendere l'ideologia nazista. 5. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: MOVIMENTI PER IL CAMBIAMENTO SOCIALE: PICCINO UN ABBECEDARIO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Diritti civili, femminismo, ecologia, diritti dei lavoratori/delle lavoratrici, diritti umani: movimenti sociali centrati su tali istanze hanno all'attivo clamorose e bellissime vittorie. Cos'hanno in comune, e che cosa li ha condotti al successo? Cinque i fattori fondamentali: opportunita' politica, abilita' organizzativa, capacita' di riformulare schemi di dominio in schemi di condivisione, capacita' di andare oltre l'emergenza verso lo sviluppo di un confronto persistente, l'uso di metodologie nonviolente nel confronto. * Condizioni favorevoli per la nascita di un movimento 1) Presenza di organizzazioni di base preesistenti (gruppi basati sulla fede, associazioni locali, volontariato, ecc.). I primi stadi della mobilitazione sono difficili se la maggior parte delle persone vive delle esistenze puramente "private" e se le organizzazioni di base hanno pochi membri. 2) Condizioni drammatiche che vengono alla luce (un disastro ecologico, la rivelazione di gravi brogli politici, la violenza usata contro i dissidenti, un alto tasso di disoccupazione, ecc.). 3) Lo svilupparsi di una cultura della solidarieta', ove l'enfasi e' posta sulle relazioni fra persone, e sulla necessita' dell'impegno di ciascuna/o. * Incentivi individuali 1) Contatto personale con gli attivisti/le attiviste. E' l'incentivo piu' forte a partecipare al lavoro per il cambiamento sociale, poiche' la fiducia ed il rispetto vengono sperimentati direttamente. I "nuovi membri" tendono ad apparire sulla scena secondo linee fisse di interazione, conoscendo persone che sono gia' impegnate. 2) Appartenenza a gruppi/associazioni. Poiche' raggiungere le persone isolate presenta maggiori difficolta', gran parte degli organizzatori si concentra sul contatto con le aggregazioni gia' presenti, sapendo che piu' un individuo e' integrato in un'attivita' comunitaria, piu' sara' disponibile ad azioni dirette. 3) Precedenti esperienze di attivismo. Le persone che sono gia' state coinvolte in azioni collettive in passato sono maggiormente pronte ad essere coinvolte in esperienze similari in futuro. 4) Tensione emotiva. Le persone sono piu' facilmente coinvolte in azioni collettive quando rispondono a forti emozioni. Moltissimi vengono spinti all'attivismo dalla rabbia e dal dolore: e' importante che gli organizzatori sappiano rispondere al potenziale distruttivo di tali emozioni, mostrando come usare l'energia in modo forte, gioioso, persistente e nonviolento. 5) Musica. Davvero, non sto scherzando: e' stata spesso centrale nei movimenti, proprio perche' si basa sulle emozioni. Prendete Thomas Paine: gli storici menzionano spesso i suoi pamphlets, che erano senz'altro motivanti, ma altrettanto, se non di piu', lo furono i suoi adattamenti di canzoni popolari. E per fare un esempio sicuramente familiare: Imagine di John Lennon ha ispirato ed ispira i movimenti per la pace in tutto il mondo. * Gli ingredienti iniziali del muoversi 1) L'appartenenza a piccoli gruppi informali. E' quella che produce la cosiddetta "micro-mobilitazione": concerne gruppetti di amici, di studenti, di colleghi di lavoro, ecc., che fanno girare informazioni e notizie e/o si preparano all'azione in modo appunto informale e che inseriti nel contesto generale diventeranno probabilmente gruppi per affinita'. 2) Lo stabilire una rete comunicativa. Oggi utilizziamo con successo quella informatica, ma gli esempi del passato possono fornirci spunti interessanti: il passaparola, le pubblicazioni alternative, i circoli di studio e autocoscienza, ecc. Quanto piu' differenti e numerose sono le persone che partecipano alla rete comunicativa, tanto piu' il loro sostegno alle azioni sara' decisivo. 3) Portavoce capaci. Persone che necessariamente rappresentano altre nei contatti con media, istituzioni e altri gruppi, non devono essere scelte a caso, o in base alla capacita' di gridare piu' forte: abbiamo bisogno che chi riveste un ruolo pubblico sia onesto, seriamente impegnato sull'istanza, abile nel sostenere le ragioni dell'azione o della campagna, capace di motivare ed ispirare gli ascoltatori... e un po' furbo o furba, per non cadere nei tranelli verbali o mediatici. E' importante che questo ruolo ruoti, ovvero dobbiamo impegnarci nel formare gli attivisti ad esso. 4) Il saper decostruire le cornici del dominio, sostituendovi altri modi di osservare e descrivere. Le elites economiche, politiche e culturali, sostenute dai media, preservano lo status quo anche con il definire i problemi come "scelte individuali" delle persone. E' la cornice "biasima la vittima", in cui se sei disoccupato e' perche' sei pigro, se ti hanno stuprata e' perche' vestivi da sgualdrina, e cosi' via. Uso il termine "cornice" nel senso di "schema interpretativo" fornito per semplificare e dar senso a degli aspetti del vivere: quando una cornice alternativa diventa largamente condivisa, le probabilita' che le azioni abbiano successo aumentano in modo sensibile. 5) Fiducia in se stessi e nel futuro. Gli individui partecipano piu' facilmente ad un progetto se pensano che esso otterra' davvero un cambiamento sostanziale e se credono che il loro personale impegno contribuira' al successo. * Mantenere in essere il movimento 1) Gruppi ed individui specificatamente "centrati" sul cambiamento sociale. Ne abbiamo bisogno come dell'ossigeno, altrimenti la "micro-mobilitazione" rimane tale, focalizzata su se stessa ed incapace di svilupparsi raggiungendo vasti strati dell'opinione pubblica. Cioe' abbiamo bisogno di formatori all'azione diretta nonviolenta, di network e reti che si occupino di diffondere tecniche ed esperienze, di collettivi di formatori/formatrici alla nonviolenza che si scambino i loro saperi e formino nuovi trainers, ecc. 2) Attenzione ai "radicalissimi dell'ultima ora". Sono quelli che saltano in groppa alle campagne, per cosi' dire, quando esse cominciano a riscuotere attenzione e ad ottenere qualche risultato. Naturalmente, visto che non si sono mai occupati prima della cosa, che l'unico loro scopo e' la visibilita' del loro leader o del loro gruppo, e che avendo la verita' in tasca non hanno certo ragione di interpellare i "moderati", gli "imbelli", i "fessi con le mani bianche che stanno li' a prenderle", pretenderanno di "alzare il livello dello scontro" tramite le loro dichiarazioni di guerra, la distruzione di proprieta', i tira e molla (spesso concordati) con la polizia, ecc. Questo, oltre a far arretrare (nel migliore dei casi) la campagna, o ad affossarla completamente, costringera' voi a distinguo e prese di posizione pubbliche che non convinceranno nessuno tanto piu' darete l'idea, in esse, che costoro sono "parte" del movimento, e vanno solo calmati un pochino: la realta' e' che o essi cambiano, e davvero "radicalmente", o il movimento trasformera' il suo scopo da "cambiamento sociale" a "cambiamento di classe politica dirigente": ma a noi interessa che sia la musica a cambiare, non i suonatori, vero? 3) Il rapporto con le centrali del dominio. Gli stati moderni, democratici o meno, usualmente difendono gli interessi delle elites, e resistono al cambiamento sociale: lo fanno con la politica dei redditi, con leggi che tendano a rendere piu' difficile l'organizzazione di scioperi e manifestazioni, con il trattenere o far sparire fondi destinati al "sociale", con l'intimidazione e la repressione e, ultimo ma non minore, con varie forme di cooptazione. L'uso della violenza contro manifestanti ed oppositori nonviolenti puo' funzionare a brevissimo termine, ma si rivela un boomerang subito dopo, poiche' genera nell'opinione pubblica simpatia verso i manifestanti e sdegno verso chi ha usato violenza. I gruppetti di provocatori "radicalissimi" usano questo scenario come "tattica": tirano pietre per avere in risposta manganellate e poter denunciare la repressione poliziesca, nonche' fare pressione sui dimostranti nonviolenti, che se non si uniscono a loro e non li difendono, stanno "spaccando il movimento", sono "conniventi", "deboli", eccetera. In realta', e' agli attivisti nonviolenti che verra' presentato il conto del comportamento altrui: in maniera strumentale, certo, per presentare qualsiasi responso violento come giustificabile, ma vogliamo una buona volta dire a questi individui che non siamo pedine nei loro speculari giochi di dominio? 4) Mantenere desta la coscienza. L'adozione di una cornice che riconosca il valore del contributo individuale e dell'impegno collettivo e' sufficiente a generare azione, ma non a mantenerla in modo persistente. Il successo di una campagna, per esempio, se contribuisce a tenere insieme i gruppi di attivisti, puo' attenuare di molto la presenza dei semplici "partecipanti" ("Abbiamo vinto, no? Adesso possiamo andare a casa"). Per ottenere cambiamenti significativi, un movimento deve ottenere sostegno nelle file dei suoi oppositori, simpatia da coloro che osservano e non hanno ancora deciso di impegnarsi, e la sua esistenza deve continuare ad essere vista come legittima ed efficace da coloro che ne fanno parte. Un buon modo per ottenere che la coscienza resti desta e' concentrarsi sui modi in cui le persone possono prendere direttamente in mano le loro vite, compiere scelte, sottrarre consenso al dominio. 5) Il contributo intellettuale. Pensiero e azione devono essere come l'acqua in una spugna: distinguibili ma strettamente uniti. Intellettuali, artisti, insegnanti e studenti possono contribuire in modo forte a creare quelle "cornici" differenti di cui abbiamo detto (non per niente le universita' e le scuole superiori sono state spesso delle incubatrici per i movimenti tesi al cambiamento sociale). L'importante e' saper aprire simbolicamente i cancelli della scuola: per far entrare il pensiero di chi studente o insegnante non e', e per farne uscire i contenuti elaborati. 6) Tenere insieme gli attivisti/le attiviste. Oltre a tendere al proprio allargamento, un movimento deve sapere tenere insieme le persone che ci sono gia', verificando di continuo l'allineamento fra valori, metodi e scopi. Molti gruppi fronteggiano una sfida semplicemente continuando ad esistere, nonostante i problemi economici, politici, organizzativi che si presentano loro; troppi di essi trascurano di pianificare ed analizzare le azioni che compiono, e la quasi totalita' tende ad ignorare il lavoro di ricerca sui movimenti sociali (rinunciando, per delirio di onnipotenza o per attaccamento ideologico, ad un'importantissima fonte di ispirazione e risorse). 7) Imparare dal passato, inventare il presente, visualizzare il futuro. E' quello che i movimenti "vincenti" hanno storicamente fatto. Adesso tocca a noi. 6. APPELLI. LUISA MORGANTINI: UN APPELLO PER FERMARE IL MURO CHE TAGLIERA' IN DUE L'UNIVERSITA' DI AL QUDS [Ringraziamo "Luisa Morgantini" (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int) per questo appello. Luisa Morgantini e' presidente della delegazione del Parlamento Europeo con il Consiglio legislativo palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace; il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo, eletta come indipendente nelle liste del Prc e aderente al gruppo Gue-Ngl. Presiede la delegazione parlamentare per i rapporti con il consiglio legislativo palestinese, oltre ad essere membro titolare nella commissioni diritti della donna e pari opportunita' ed in quella per lo sviluppo e la cooperazione, membro della delegazione per le relazioni con il Sud Asia e membro sostituto della commissione industria, commercio esterno, ricerca ed energia. In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la pace"] Un appello a tutte/tutti voi per sottoscrivere la petizione in rete per fermare la costruzione del muro divisorio che tagliera' in due l'Universita' di Al Quds: www.hacampus.org/petition/ Naturalmente va fermata e smantellata la costruzione del muro dell'apartheid, della vergogna, della separazione e dell'annessione di territorio. Da organizzazioni palestinesi e israeliane per il 9 novembre, giorno della caduta del muro di Berlino, e' stata lanciata una giornata internazionale contro il muro a cui ha aderito per l'Italia anche Action for Peace. Nel frattempo pero si puo' agire sulle specificita' e sui singoli pezzi di muro. La petizione che vi invito a sottoscrivere e' stata proposta dalla facolta' e dagli studenti dell'Universita' ebraica di Gerusalemme a sostegno dell'Universita' di Al Quds a Gerusalemme Est. 7. RIFLESSIONE. AMNESTY INTERNATIONAL: SODDISFAZIONE PER L'ANNULLAMENTO DELLA CONDANNA A MORTE DI AMINA LAWAL, L'IMPEGNO PER I DIRITTI UMANI CONTINUA [Dall'ufficio stampa di Amnesty Internazional (per contatti: press at amnesty.it, stampa at amnesty.it) riceviamo e diffondiamo] Amnesty International ha espresso soddisfazione per la decisione del 25 settembre 2003, da parte della corte d'appello della sharia dello stato nigeriano di Katsina, di annullare la condanna a morte di Amina Lawal, emessa il 22 marzo 2002. Secondo quanto dichiarato dal suo collegio di difesa, Amina Lawal e' stata rimessa in liberta' poiche' ne' la condanna ne' la confessione sono state giudicate valide e dunque non e' stata provata la commissione di alcun reato. "Il caso di Amina Lawal non avrebbe mai dovuto essere trattato in un tribunale. Nessuna persona dovrebbe vivere un'esperienza del genere" - ha dichiarato Marco Bertotto, presidente della sezione italiana di Amnesty International. L'organizzazione per i diritti umani si e' detta felice per la mobilitazione delle organizzazioni femminili, che hanno condannato con forza le discriminazioni di genere su cui si basano alcune sentenze delle corti della sharia in Nigeria. Contemporaneamente all'annullamento del verdetto di Amina Lawal, ricorda Amnesty International, rimane in corso un altro appello relativo a una condanna a morte nei confronti di Fatima Usman e Ahmadu Ibrahim, sempre da parte di una corte della sharia nello stato di Niger. "La pena di morte e' l'estrema violazione del diritto alla vita e costituisce una punizione crudele inumana e degradante, sempre e comunque. Amnesty International chiede al governo e alla societa' civile della Nigeria di cogliere questa occasione e affrontare un problema che e' causa di danni e sofferenza inutili per molti cittadini nigeriani", ha aggiunto Bertotto. Per Amnesty International, il governo federale della Nigeria dovrebbe assumere l'iniziativa di abolire la pena di morte ed emendare le parti della legislazione - federale e locale, compresa quella della sharia - che prevedono la pena di morte e le punizioni crudeli, inumane e degradanti. Amnesty International ricorda che punizioni quali la lapidazione, la fustigazione e l'amputazione, previste nella nuova legislazione, sono considerate trattamenti crudeli inumani e degradanti dal diritto internazionale sui diritti umani. Esse sono in totale contrasto con la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, ratificata dalla Nigeria nel giugno 2001. Le relazioni sessuali extramatrimoniali tra adulti consenzienti non possono essere considerate reati penali. Il Comitato sui diritti umani delle Nazioni Unite ha affermato che "e' incontestabile che gli atti sessuali in privato tra adulti consenzienti rientrano nella sfera della riservatezza". Incriminare e imprigionare donne a causa delle loro relazioni sessuali viola il loro diritto alla libera espressione e associazione, alla liberta' dalla discriminazione e alla riservatezza. Amnesty International prosegue dunque la propria campagna per l'abolizione di tutte le leggi discriminatorie e contro la criminalizzazione di atti sessuali in privato tra adulti consenzienti. Per ulteriori informazioni: Amnesty International Italia, ufficio stampa, tel. 064490224, 3486974361. 8. INIZIATIVE. BENEDETTA FRARE: COMMERCIO EQUO: ISTRUZIONI PER L'USO [Da Benedetta Frare, dell'ufficio stampa di TransFair Italia (per contatti: tel. 348.8243386, 049 8750823, fax: 049 8750910, e-mail: stampa at transfair.it, koine at koinecomunicazione.it) riceviamo e diffondiamo] Il corso per aprire una "Bottega del Mondo" replica a novembre a Levo di Stresa. L'appuntamento e' per venerdi' 7 e sabato 8 novembre a Levo di Stresa, sul Lago Maggiore dove si ritroveranno relatori e partecipanti al corso "Commercio Equo: istruzioni per l'uso". Non si contano ormai le edizioni di questa felice formula per avvicinare alla gestione di un punto vendita equosolidale decine di persone desiderose di coniugare valori e impegno professionale. L'appuntamento di novembre, organizzato sempre da TransFair Italia, in collaborazione con le Acli di Milano, si svolgera' alla Casa don Tettamanzi di Levo di Stresa. Si comincia il venerdi' mattina con il primo modulo che comprende un'introduzione al commercio equo. La giornata proseguira' con una lezione sulla gestione di un'attivita' in questo ambito, con gli oneri ammnistrativi e contabili. Si chiude con un modulo sulla comunicazione e la promozione del punto vendita. La giornata del sabato sara' tutta dedicata alla gestione e alle tecniche di vendita e si concludera' con un'esercitazione pratica. Ai corsisti viene richiesto un contributo a copertura dei costi di accoglienza e alloggio presso la struttura, dei materiali didattici del corso e del costo dei relatori, tutti esperti del settore non profit. Per i soci Acli sono previsti particolari sconti. Le iscrizioni sono aperte fino al 10 ottobre. Per ulteriori informazioni: Indira Franco, TransFair Italia, tel. 0498750823; e-mail: info at transfair.it 9. RIFLESSIONE. GIOVANNI LENZI: DOPO LA CAMMINATA ASSISI-GUBBIO [Ringraziamo Giovanni Lenzi (per contatti: giovanni at ilterapista.it) per questo intervento. Giovanni Lenzi, amico della nonviolenza, e' impegnato nell'associazione "Il colibri'. Per i diritti dei bambini di tutto il mondo" (www.comune.prato.it/associa/colibri) e nella rete di Lilliput a Prato] Ho partecipato alla bellissima marcia Assisi-Gubbio come ad altre iniziative organizzate dal Movimento Nonviolento. Sono stato molto felice di vivere lo spirito della marcia, un momento molto forte di ricarica. Proprio la bellezza della marcia ha indotto in me alte aspettative sul convegno che seguiva nei giorni di sabato e domenica. Devo dire che queste aspettative sono andate in parte deluse, non tanto per i contenuti che sono emersi nel dibattito, ma soprattutto per i metodi comunicativi che sono stati utilizzati. Penso infatti che un approccio veramente nonviolento ai temi della pace e della costruzione di un ordine democratico internazionale passi anche e soprattutto attraverso la scelta dei linguaggi e dei metodi che utilizziamo per riflettere e approfondire. La modalita' della conferenza con una lista di relatori e una serie di interventi dal pubblico induce un atteggiamento passivo negli ascoltatori che non possono essere sufficientemente protagonisti del confronto e del dibattito, soprattutto se il poco spazio per le domande viene monopolizzato da pochi interventi. La gestione del tempo negli interventi dal pubblico, la proposta di piccoli gruppi di discussione e approfondimento che poi riportino in plenaria le riflessioni emerse, la possibilita' di avere materiale cartaceo a disposizione dei partecipanti per seguire la traccia del discorso sono solo alcuni dei suggerimenti che mi sento di proporre al gruppo organizzatore. In questo modo puo' emergere un processo in cui il contributo di tutti diventa proposta e progetto per il futuro, frutto di un vero e profondo confronto. Tra l'altro modalita' partecipative di riflessione stimolano la partecipazione dei giovani che sono i veri protagonisti del futuro e che, come molti hanno lamentato al convegno, erano poco presenti. 10. MAESTRE. ARUNDHATI ROY: QUELLO CHE ACCADE [Da Arundhati Roy, Guida all'impero per la gente comune, Guanda, Parma 2003, p. 152. Arundhati Roy e' una celebre scrittrice indiana, impegnata contro il riarmo, in difesa dell'ambiente e per i diritti delle persone e dei popoli. Opere di Arundhati Roy: cfr. il romanzo Il Dio delle piccole cose, Guanda, Parma 1997, Superpocket, Milano 2000; e i saggi di testimonianza e denuncia raccolti in La fine delle illusioni, Guanda, Parma 1999, Tea, Milano 2001, poi recuperati poi nella piu' ampia raccolta di saggi di intervento civile, Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002; e Guida all'impero per la gente comune, Guanda, Parma 2003] Le condanne contro il terrorismo pronunciate dai governi acquisterebbero credibilita' solo se questi si mostrassero sensibili al dissenso responsabile, argomentato e nonviolento. Quello che accade e' esattamente il contrario. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 686 del 27 settembre 2003
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