[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Missione Oggi - ottobre 2003 - Argentina
- Subject: Missione Oggi - ottobre 2003 - Argentina
- From: "Missione Oggi" <missioneoggi at saveriani.bs.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Fri, 19 Sep 2003 11:27:58 +0100
SCELTE DI RESISTENZA ARGENTINA: LA RESISTENZA DEI PIQUETEROS INTERVISTA A TOTI FLORES Diventati famosi per il corte de rutas (il blocco delle strade), i movimenti di disoccupati sono oggi una realtà organizzata fortissima e variegata in Argentina. Ne abbiamo parlato con Toti Flores, uno dei leader più autorevoli. Siamo solo dei catalizzatori della combattività della gente, ma non abbiamo l'abitudine di contarci, né di protestare continuamente, come fanno altre correnti. Liberi da vincoli politici, gettiamo le idee e raccogliamo le risposte. Oggi l'Argentina è piena di esperienze di autogestione. Abbiamo visto il modello menemista e neoliberale andare in fumo. Così ci stiamo organizzando, stiamo acquistando fiducia nella nostra iniziativa. Toti Flores è il leader dell'Mtd (Movimiento Trabajadores Desempleados), uno dei gruppi di piqueteros (disoccupati) più originali del panorama argentino. Rimasto senza lavoro negli anni 90, Toti dà vita al movimento nel 95', quando il paese raggiunge il 18% di disoccupazione e il fenomeno diventa una piaga permanente. L'Mtd ha sede nella Matanza, comune del cono urbano di Buenos Aires, ex dormitorio operaio di un milione e 800mila abitanti (di cui 3-400mila sono disoccupati). Diventati famosi per il corte de rutas (il blocco delle strade), i movimenti di disoccupati sono oggi una realtà organizzata fortissima e variegata. Moltissime le sigle e i gruppi. Dei dieci principali, alcuni (il Polo Obrero e la Corrente Clasista y Combativa) hanno raggiunto molta visibilità e un notevole potere di contrattazione con il governo. Ma qualcuno è ricaduto nei meccanismi clientelari di sempre. Nel quadro dei movimenti di piqueteros, voi siete un gruppo a sé. In cosa vi differenziate? Innazitutto, rifiutiamo i piani assistenziali, cioè i soldi che il governo dà ai disoccupati (150 pesos per famiglia al mese, l'equivalente di 50 euro, ndr). Su questi piani si struttura l'organizzazione di molti gruppi di piqueteros. In che senso? Il governo concede questi piani ad alcuni gruppi di disoccupati, perché li distribuiscano. I planes diventano così il parametro su cui ogni gruppo si conta e valuta la propria forza o influenza. A mio parere, l'organizzazione dei piqueteros non può passare per i planes: più che andare incontro alle necessità della gente, sono un perfetto sistema di dominazione. In Argentina, nei quartieri poveri, è tipica la figura del puntero. È un uomo di partito che gira per il territorio ripartendo l'assistenza dello Stato. In cambio, fa pressione perché si partecipi ad una mobilitazione o si dia il voto a questo o quel partito (per anni - e ancora oggi - ha spadroneggiato il Pj, il Peronismo, nelle sue varie accezioni). Se è vero che alcuni piani assistenziali sono in mano ai piqueteros, la maggior parte restano ancora al Pj. Le correnti di disoccupati che accettano i piani, di fatto si conformano ad un sistema perverso e mafioso, da sempre usato dai partiti. I planes non generano coscienza. Incentivano la cultura della sopravvivenza e fanno perdere quella del lavoro. Un esempio: con 150 pesos per famiglia, non si vive, si sopravvive. La gente, per portare qualcosa a casa, baratta, trova lavori saltuari e cerca di unire al piano altri aiuti: la borsa de comida (i buoni per la spesa) e l'assistenza medica, per ottenere la quale passa tutto il giorno a fare code interminabili dal medico. Questo "arrangiarsi per la sopravvivenza", improduttivo e faticoso, viene chiamato lavoro. In una recente inchiesta tra i giovani della Matanza (dei quali il 50% risultano disoccupati) molti dicevano di lavorare. Poi si scopriva che vivevano di piani assistenziali. Si arriva cioè all'assurdo di scambiare i piani assistenziali per lavoro: chi non l'ha mai avuto, non sa neanche cos'è. Ma non solo: è da questa zona castigata della Matanza, che Menem ha sempre raccolto il maggior numero di voti (anche nelle ultime presidenziali). Come? Ripartendo con i suoi punteros la pubblica assistenza. Detto questo, non possiamo condannare le famiglie che accettano aiuti statali. Ci sono situazioni difficili e c'è fame. Ma non tolleriamo che questo si veda come un successo. Quanti siete? Abbiamo un nocciolo duro di cinquanta persone, militanti, che lavorano nella cooperativa nata un anno e mezzo fa. Poi, secondo le mobilitazioni, raggiungiamo il centinaio o migliaio di persone. Siamo solo dei catalizzatori della combattività della gente, ma non abbiamo l'abitudine di contarci, né di protestare continuamente, come fanno altre correnti. Liberi da vincoli politici, gettiamo le idee e raccogliamo le risposte. Avete un coordinamento nazionale? No, perché questo comprometterebbe la costruzione del movimento dalla base. Nei gruppi di piqueteros più importanti, che si appoggiano a qualche partito (il Polo Obrero, ad esempio), politica e decisioni non vengono discusse in quartiere: le prende la direzione nazionale del Partito Obrero. Noi invece diamo molta importanza al territorio, all'orizzontalità, ai processi che costruiscono dal basso. Questo, ad esempio, è anche il senso della cooperativa che abbiamo creato due anni fa, il "Centro para la educacion y formacion de cultura comunitaria". Attorno ad essa ruota il cuore dell'Mtd. Com'è nata? Per anni ci incontravamo solo nelle manifestazioni e nei cortes de ruta (i blocchi stradali). Ad un certo punto, sentimmo il bisogno di più continuità e di organizzarci in forma costruttiva. Così pensammo di dar vita ad un progetto comune: una scuola elementare. Avremmo creato una scuola diversa, simile all'esperienza dei sem terra, in Brasile, che non riproducesse il sistema educativo di sempre. L'idea era un po' folle e fuori luogo, in un ambiente dove l'istruzione non è certo al primo posto nella scala dei bisogni. Lo stesso, entrammo in un edificio abbandonato e cominciammo. Per finanziarci, ci costituimmo in cooperativa e cominciammo a mettere in piedi alcune attività produttive: una panetteria, un laboratorio di serigrafia, uno di stampa, una casa editrice, due laboratori di sartoria e di pittura. Ora siamo in 50 a vivere un po' della cooperativa, un po' del lavoro occasionale. Per noi si tratta di un'esperienza straordinaria. Dimostra che l'autogestione è possibile e che si può fare a meno di un datore di lavoro. Se noi lavoratori creiamo la ricchezza, possiamo anche amministrarla. È un processo molto simile a quello delle fabbriche recuperate, le imprese abbandonate dai proprietari alla fine degli anni 90 e fatte funzionare da operai e impiegati (sono circa 200 in tutto il paese). Oggi l'Argentina è piena di esperienze di autogestione. Abbiamo visto il modello menemista e neoliberale andare in fumo. Così ci stiamo organizzando, stiamo acquistando fiducia nella nostra iniziativa. Si tratta di esperienze marginali, è vero. Ma sono tante e mai viste prima. L'Mtd punta proprio su questa riorganizzazione dal basso: del lavoro, della politica, dei servizi. La nostra cooperativa, ad esempio, è un polo d'attrazione per il quartiere. Vengono da noi a imparare come si fa il pane e inevitabilmente, poi, diventa spazio per la costruzione dell'Mtd. Per i vari movimenti (non solo piqueteros) oggi, è un momento di profonda riflessione. Non si sta più discutendo dell'immediato, ma di questioni strategiche. L'esperienza dell'Mtd è stata riportata da un libro da lei curato che si intitola "dalla colpa all'autogestione". Cosa significa? Una delle cose perverse di questo sistema è che alla disoccupazione non si dà carattere sociale. Appare come un problema individuale. Menem diceva che chi faceva il corte di ruta, non aveva voglia di lavorare. Questo generava in noi un grande senso di colpa. Uscivi di casa per cercare lavoro e ti dicevano che eri salito per bighellonare. Il senso di colpa è uno dei motivi fondamentali, per cui i disoccupati non si organizzano. Ancora oggi. Prenderne coscienza è il primo passo per reagire. E magari passare all'autogestione: dell'economia, della politica, del potere. Qual è il vostro rapporto con il "potere", visto che rifiutate qualsiasi aiuto economico e appoggio politico da parte dello Stato? Il potere non ha nulla di male: dipende da come lo costruisci. Per cosa e per chi. È solo uno strumento. Come tale, è buono o cattivo a seconda di chi lo tiene. Quello che non vogliamo (il motivo per cui rifiutiamo i planes) è riprodurre i soliti meccanismi mafiosi di potere. Bisogna uscire da questa cultura, i movimenti di disoccupati in primo luogo. Non chiediamo l'assalto ad un potere già costituito, vogliamo costruirlo. Con il tempo. Mi vengono in mente i giorni del dicembre 2001, quando sembravamo al punto di mandare a casa i vecchi politici e il potere tradizionale era in grosse difficoltà. Stavamo tornando al quartiere, di notte, e fummo accolti da uno spettacolo dantesco. Davanti ad ogni casa c'erano enormi falò e uomini armati ovunque. Perché? Punteros e polizia avevano diffuso la fobia del saccheggio e tutti si proteggevano, gli uni contro gli altri. Provammo paura: in quel momento, chiunque avrebbe potuto spararci, scambiandoci per saccheggiatori e sarebbe stato giustificato. Il presidente stava cadendo, ma nelle periferie il potere era in mano a quelli di sempre. Dov'è dunque il potere? E se si fosse creato un vuoto a livello di governo, chi l'avrebbe preso? In quel momento non c'era organizzazione capace di sostenerlo. Il potere va costruito, ma deve essere reale, legato al territorio, al consenso, alla partecipazione. Dobbiamo cambiare le cose alla radice. A cura di PAOLA ERBA
- Prev by Date: Missione Oggi - ottobre 2003 - editoriale
- Next by Date: Missione Oggi - ottobre 2003 - Pace
- Previous by thread: Missione Oggi - ottobre 2003 - editoriale
- Next by thread: Missione Oggi - ottobre 2003 - Pace
- Indice: