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La nonviolenza e' in cammino. 672
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 672
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 12 Sep 2003 19:19:13 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 672 del 13 settembre 2003 Sommario di questo numero: 1. Toni Maraini: frammenti d'anima e di terra 2. Benito D'Ippolito: Agli amici della Rete Radie' Resch in occasione della decima marcia per la giustizia da Agliana a Quarrata 3. Per una cultura antimafia: l'esempio di Giuseppe Puglisi (con testi di Umberto Santino, Saverio Lodato, Luigi Ciotti) 4. David Bidussa: una riflessione sull'otto settembre 5. Maria Zambrano: ma l'essere umano dovrebbe 6. Simone de Beauvoir: due maniere di abdicare 7. Presentata opposizione alla richiesta di archiviazione dell'esposto sui "treni della morte" 8. Appello per il forum e la manifestazione a Roma il 3-4 novembre 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. TONI MARAINI: FRAMMENTI D'ANIMA E DI TERRA [Dal saggio-testimonianza, bellissimo, di Toni Maraini, Scena postmoderna per Gilgamesh, in "Quaderni" del Fondo Moravia, n. 1, 2003, p. 215. Toni Maraini, scrittrice, poetessa, storica dell'arte, promotrice dell'incontro tra le culture e costruttrice di pace, e' autrice di molte opere e dirige gli eccellenti "Quaderni" del Fondo Moravia; tra i suoi libri segnaliamo particolarmente il recente Diario di viaggio in America. Tra fondamentalismo e guerra, La mongolfiera, Cassano Jonio (Cs) 2003] Ad ognuna di queste guerre devastanti e menzognere della post-moderna spettacolarita' sono frammenti d'anima e di terra, parte dell'avventura umana tout court che vengono devastati. Guai a non capirlo. 2. INCONTRI. BENITO D'IPPOLITO: AGLI AMICI DELLA RETE RADIE' RESCH IN OCCASIONE DELLA DECIMA MARCIA PER LA GIUSTIZIA DA AGLIANA A QUARRATA [Riportiamo questi versi improvvisati dal nostro amico Benito D'Ippolito in guisa di saluto ai partecipanti alla decima marcia per la giustizia da Agliana a Quarrata che si svolge oggi, 13 settembre 2003] Lunga e' la via che mena alla giustizia che reca in dono comprensione e pace, e questa e' una buonissima ragione per subito intraprenderla, gia l'ora e' tarda, presto giungera' la sera. Ma questo viaggio reca incanti tali che tutta sanno illuminar la stanca vita, e recare rorido un ristoro quando si apre il cuore e incontri il volto dell'altro che e' gia' qui e che ti attendeva. 3. PER UNA CULTURA ANTIMAFIA: L'ESEMPIO DI GIUSEPPE PUGLISI (CON TESTI DI UMBERTO SANTINO, SAVERIO LODATO, LUIGI CIOTTI) [Riproponiamo di seguito senza modifiche una scheda che redigemmo e diffondemmo nel 2000 e che ripubblicammo nel 2001 su questo foglio. Giuseppe Puglisi, sacerdote cattolico, dal 1990 alla guida della parrocchia di san Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo, un quartiere dominato dal potere mafioso; dal 1990 al 1993 un impegno sereno e inflessibile per i diritti e la dignita', per aiutare chi ha bisogno e promuovere la civile convivenza; la sera del 15 settembre 1993, mentre rincasava, con un colpo di pistola alla tempia un killer mafioso lo uccide. Opere su Giuseppe Puglisi: F. Anfossi, Puglisi. Un piccolo prete tra i grandi boss, Edizioni Paoline, Milano 1994; F. Deliziosi, "3 P". Padre Pino Puglisi. La vita e la pastorale del prete ucciso dalla mafia, Edizioni Paoline, Milano 1994; Bianca Stancanelli, A testa alta. Don Giuseppe Puglisi: storia di un eroe siciliano, Einaudi, Torino 2003; cfr. anche Saverio Lodato, Dall'altare contro la mafia. Inchiesta sulle chiese di frontiera, Rizzoli, Milano 1994; segnaliamo anche i contributi (molto interessanti) pubblicati in "Una citta' per l'uomo", nel fascicolo 4/5 dell'ottobre 1994 e nel fascicolo 1/2 dell'aprile 1995. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito internet: www.centroimpastato.it) e' un istituto di ricerca tra i piu' accreditati in campo internazionale, particolarmente specializzato su mafia e poteri criminali; operante dal 1977, e' stato successivamente intitolato a Giuseppe Impastato, militante della nuova sinistra assassinato dalla mafia nel 1978; una sintetica ma esauriente scheda di autopresentazione, di quattro pagine, e' richiedibile presso il Centro Impastato. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000. Scritti su Umberto Santino: Peppe Sini, Una rassegna bibliografica di alcuni lavori di Umberto Santino. La borghesia mafiosa tra violenza programmata, "doppio Stato" e capitalismo finanziario, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1998, 2003 (ripubblicata in aprile su questo stesso notiziario). Savero Lodato, giornalsta impegnato contro la mafia, nato nel 1951 a Reggio Emilia, vive e lavora a Palermo dove e' inviato de "L'Unita'". Opere di Saverio Lodato: Dieci anni di mafia, Rizzoli, Milano 1990 (successivamente piu' volte aggiornato, attualmente: Venti anni di mafia, ibidem 2000); Potenti, Garzanti, Milano 1992; Vademecum per l'aspirante detenuto, Garzanti, Milano 1993; Dall'altare contro la mafia, Rizzoli, Milano 1994; con Attilio Bolzoni, C'era una vlta la lotta alla mafia, Garzanti, Milano 1998; ha inoltre curato il libro-intervista di Antonino Caponnetto, I miei giorni a Palermo, Garzanti, Milano 1992; ha inoltre raccolto la testimonianza di Giovanni Brusca in Ho ucciso Giovanni Falcone, Mondadori, Milano 1999, e di Tommaso Buscetta in La mafia ha vinto, Mondadori, Milano 1999; con Piero Grasso ha scritto La mafia invisibile, Mondadori, Milano 2001. Luigi Ciotti e' nato a Pieve di Cadore nel 1945, sacerdote, animatore a Torino del Gruppo Abele; impegnato contro l'emarginazione, per la pace, contro i poteri criminali; ha promosso numerosissime iniziative. Riportiamo la seguente piu' ampia scheda biografica dalla Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Luigi Ciotti nasce il 10 settembre 1945 a Pieve di Cadore (Bl), emigra con la famiglia a Torino nel 1950. Nel 1966 promuove un gruppo di impegno giovanile, che prendera' in seguito il nome di Gruppo Abele, costituendosi in associazione di volontariato e intervenendo su numerose realta' segnate dall'emarginazione. Fin dall'inizio, caratteristica peculiare del gruppo e' l'intreccio dell'impegno nell'accompagnare e accogliere le persone in difficolta' con l'azione educativa, la dimensione sociale e politica, la proposta culturale. Nel 1968 comincia un intervento all'interno degli istituti di pena minorili: l'esperienza si articola in seguito all'esterno, sul territorio, attraverso la costituzione delle prime comunita' per adolescenti alternative al carcere. Terminati gli studi presso il seminario di Rivoli (To), Ciotti nel 1972 viene ordinato sacerdote dal cardinale Michele Pellegrino: come parrocchia, gli viene affidata "la strada". Sulla quale, in quegli anni, affronta l'irruzione improvvisa e diffusa della droga: apre un Centro di accoglienza e ascolto e, nel 1974, la prima comunita'. Partecipa attivamente al dibattito e ai lavori che portano all'entrata in vigore, nel 1975, della legge n. 685 sulle tossicodipendenze. Da allora, la sua opera sul terreno della prevenzione e del recupero rispetto alle tossicodipendenze e all'alcolismo non si e' mai interrotta. E' invitato in vari Paesi (Gran Bretagna, Usa, Giappone, Svizzera, Spagna, Grecia, ex Jugoslavia) per tenere relazioni e condurre seminari sul tema ed e' chiamato per audizioni presso il Parlamento europeo. Nei primi anni Ottanta segue un progetto promosso dall'Unione internazionale per l'infanzia in Vietnam. Sempre sul piano internazionale, promuove programmi di cooperazione sul disagio giovanile e per gli ex detenuti in alcuni Paesi in via di sviluppo. Nel 1982, contribuisce alla costituzione del Coordinamento nazionale delle comunita' di accoglienza (Cnca), presiedendolo per dieci anni: al coordinamento, oggi, aderiscono oltre 200 gruppi, comunita' e associazioni. Nel 1986 partecipa alla fondazione della Lega italiana per la lotta all'aids (Lila), nata per difendere i diritti delle persone sieropositive, di cui e' il primo presidente. Nel marzo 1991 e' nominato Garante alla Conferenza mondiale sull'aids di Firenze, alla quale per la prima volta riescono a partecipare le associazioni e le organizzazioni non governative impegnate nell'aiuto e nel sostegno ai malati. Nel marzo 1995 presiede a Firenze la IV Conferenza mondiale sulle politiche di riduzione del danno in materia di droghe, tra i cui promotori vi e' il Gruppo Abele. Nel corso degli anni Novanta intensifica l'opera di denuncia e di contrasto al potere mafioso dando vita al periodico mensile "Narcomafie", di cui e' direttore responsabile. A coronamento di questo impegno, dalle sinergie tra diverse realta' di volontariato e di un costante lavoro di rete, nasce nel 1995 "Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie", un network che coordina oggi nell'impegno antimafia oltre 700 associazioni e gruppi sia locali che nazionali. Sin dalla fondazione, "Libera" e' presieduta da Luigi Ciotti. Il primo luglio 1998 riceve all'Universita' di Bologna la laurea honoris causa in Scienze dell'educazione; Ciotti accoglie il conferimento del titolo accademico come un riconoscimento significativo dell'opera di tutto il Gruppo Abele. Alle attivita' del Gruppo Abele, di cui Ciotti e' tuttora presidente, attendono oltre trecentocinquanta persone che si occupano di: accoglienza, articolata in due servizi di pronto intervento a Torino; in otto comunita' che ospitano persone con problemi di tossicodipendenza, di alcolismo o malate di aids; in un servizio di accoglienza notturno per persone senza fissa dimora. Il gruppo Abele ha anche promosso e gestito l'esperienza di una "Unita' di strada" a Torino, la seconda attivata in Italia; lavori di tipo artigianale, informatico, agricolo, condotti attraverso la costituzione di cooperative sociali e di uno specifico progetto Carcere e lavoro; interventi di cooperazione internazionale in Costa d'Avorio, Guatemala, Messico; iniziative culturali, informative, educative, di prevenzione e formazione, che si svolgono attraverso l'Universita' della Strada, l'Universita' Internazionale della Strada, il Centro Studi, documentazione e ricerche, l'Ufficio Stampa e comunicazione, la casa editrice Edizioni Gruppo Abele, la libreria Torre di Abele, le riviste "Animazione sociale" e "Narcomafie", l'Ufficio scuola. Luigi Ciotti e' stato piu' volte membro del Consiglio Presbiteriale ed e' attualmente membro del Consiglio Pastorale della Diocesi di Torino. Da alcuni anni tiene corsi di formazione presso la Scuola per vigili urbani di Torino e provincia. Nei primi anni Ottanta e' stato docente presso la Scuola superiore di polizia del ministero dell'Interno. Giornalista pubblicista dal 1988, Ciotti e' editorialista e collabora con vari quotidiani e periodici (tra cui: La Stampa, L'Avvenire, L'Unita', Il Manifesto, Il Sole-24 Ore, il Mattino, Famiglia Cristiana, Messaggero di Sant'Antonio, Nuovo Consumo), scrive su riviste specializzate per operatori sociali e insegnanti, interviene su testate locali". Opere di Luigi Ciotti: e' autore di vari libri a carattere educativo, di impegno sociale, di riflessione spirituale; tra le sue pubblicazioni segnaliamo: Genitori, figli e droga, Edizioni gruppo Abele, Torino 1993; Chi ha paura delle mele marce?, Edizioni gruppo Abele - Sei, Torino 1992; Persone, non problemi, Edizioni gruppo Abele, Torino 1994; Terra e cielo, Mondadori, Milano 1998; naturalmente ha anche contribuito con propri interventi a numerosi testi collettanei. Per contattare l'Associazione intercondominiale Brancaccio e la Rete interculturale di solidarieta' "Ali per volare" di Palermo che tengono viva l'eredita' e proseguono il lavoro di padre Puglisi, si puo' inviare una e-mail a Pino e a Rino Martinez: rinomartinez1 at tin.it] Tra l'8 e il 10 maggio 1993 il papa visita la Sicilia occidentale: ad Agrigento, dinanzi a centomila fedeli, tiene un forte discorso contro la mafia. Vi era gia' stato undici anni prima, nel novembre 1982, dopo le uccisioni di Pio La Torre in aprile e di Carlo Alberto dalla Chiesa in settembre; dopo l'omelia "di Sagunto" del cardinal Pappalardo che divenne quasi una bandiera e un grido di battaglia: ma allora nei discorsi effettivamente pronunciati da Giovanni Paolo II la parola "mafia" non comparve mai; i brani del testo diffuso alla stampa in cui si faceva riferimento alla mafia non vennero letti, ufficialmente per motivi di tempo. Ma il 9 maggio 1993, sotto il tempio della Concordia nella Valle dei templi di Agrigento, la voce di Wojtyla risuono' alta e forte: "Dio ha detto: non uccidere! L'uomo, qualsiasi agglomerazione umana o la mafia, non puo' calpestare questo diritto santissimo di Dio. Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che e' vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Per amore di Dio. Mafiosi convertitevi. Un giorno verra' il giudizio di Dio e dovrete rendere conto delle vostre malefatte". Don Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio, che giorno per giorno contendeva alla mafia quel lembo di terra, quel pezzo di societa', le anime (sia consentito a noi laici usare tal termine per intendere: la dignita' e i diritti) e le vite della gente, della sua gente, si', don Pino Puglisi si sara' sentito confortato ed orgoglioso per le parole del papa. La mafia, invece, non ama le parole, soprattutto non ama quella parola che la designa e l'accusa. Anche la Chiesa, avra' ruminato qualcuno, non era piu' quella di una volta. Quella di una volta era quella dell'eminenza reverendissima il cardinal Ruffini e della sua lettera pastorale del 1964 dal titolo Il vero volto della Sicilia. Ma c'era, c'era sempre stata, anche un'altra chiesa: anzi, altre chiese, che per affermare i valori attestati dalla loro religione contro la mafia si erano battute ed avrebbero continuato a farlo, a costo del martirio. E questa altra tradizione ora emergeva e trovava ad un tempo ascolto e voce nelle parole del pontefice cattolico. (E sia detto qui solo per inciso, non essendo questo il luogo per sviluppare un cosi' impegnativo tema: nella chiesa cattolica avrebbero naturalmente continuato a scontrarsi culture diverse e posizioni fin opposte: il costante sostegno vaticano ad Andreotti, ad esempio, pare a noi confliggere flagrantemente con la testimonianza dei cristiani impegnati contro la mafia). * Don Pino Puglisi era parroco di san Gaetano, a Brancaccio, dal 1990. Ed aveva fatto la sua scelta. L'aveva fatta con naturalezza, per coerenza, per convinzione, perche' era un prete, ed era naturale che un prete facesse certe cose e non altre: che cercasse di alleviare le sofferenze della gente intorno a lui, che si impegnasse per realizzare servizi educativi e sociali; che indirizzasse al vero ed al bene; che si prendesse cura degli ultimi. E che denunciasse il male; che contrastasse il male; che non scendesse a patti col male. Una persona normale, un prete come si deve. Ma era a Brancaccio. Perche' Brancaccio e' la borgata in cui quando lo Stato decide di aprire un commissariato di pubblica sicurezza, a quarantott'ore dall'inaugurazione la mafia lo fa saltare in aria. Perche' a Brancaccio, ottomila abitanti, non ci deve essere ne' la scuola media ne' il cinema ne' la palestra, perche' a Brancaccio sia chiaro a tutti: qui e' la mafia che comanda, qui essa esercita la sua signoria territoriale. E questo piccolo parroco cosa fa? Proprio quella le contende: contende alla mafia la signoria territoriale, contende alla mafia la risorsa decisiva, contrasta alla mafia il territorio, si pone nei fatti come contropotere, organizza la vita civile. Facendo le cose semplici, le cose logiche, le cose normali, fa la rivoluzione. A Gomorra don Pino Puglisi porta la Sierra Maestra. Tre anni di insurrezione evangelica, tre anni di rivoluzione delle coscienze, tre anni di lotta per la scuola e per l'assistenza, per i bisogni e per i servizi, per i diritti e per la luce, per il pane e le rose. La dittatura mafiosa lo ferma il 15 settembre 1993. * E' uno dei tanti paradossi di questa vicenda pirandelliana e kafkiana che e' la lotta per la vita e per la morte tra la mafia e l'umanita', il fatto che da assassinato don Pino Puglisi venga riconosciuto: la sua morte lumeggia (certo: di tragica, gelida luce) la sua vita e la sua azione: si capisce adesso quanto efficace fosse quella tenace costante testarda lotta fatta di piccole cose semplici, di quotidiani gesti netti, di sollecitudine per gli altri, di attenzione ai bisogni concreti; si capisce adesso la vittoria grande che Pino Puglisi aveva costruito giorno per giorno senza impettite parate, senza proclami e senza spot, senza le arti del truccatore e dei tecnici del suono e delle luci; si capisce adesso che nel quartiere Brancaccio un uomo, senza parere, facendo le cose ovvie e minute, stava rompendo il consenso alla mafia, stava organizzando la Resistenza, ogni giorno una barricata, ogni giorno un Gavroche. Il 15 settembre uccisero don Pino Puglisi e ci fecero conoscere la sua lotta e la sua strategia, ci fecero sapere che un prete li aveva sconfitti e umiliati proprio li', sul piazzale dell'appello. Uccidendolo ci rivelarono un segreto: che saranno gli uomini di pace, quelli del discorso della montagna, che spezzeranno la dittatura mafiosa. * Un estratto da: Umberto Santino, Storia del movimento antimafia Il 15 settembre 1993 nel quartiere Brancaccio, roccaforte storica della mafia, veniva ucciso il parroco della chiesa di San Gaetano, Giuseppe Puglisi. L'omicidio arriva dopo una serie di intimidazioni, di minacce per telefono e attentati incendiari. Alla fine di maggio era stato incendiato un furgone dell'impresa Balistreri di Bagheria che aveva vinto l'appalto per la ristrutturazione della chiesa (i mafiosi considerano l'imprenditore un intruso). Alla fine di giugno era stato appiccato il fuoco alle porte delle case di abitazione di tre rappresentanti del comitato intercondominiale del quartiere. Alle minacce padre Puglisi aveva risposto con serenita' nelle sue prediche in chiesa: "Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e sapere i motivi che vi spingono a ostacolare chi tenta di aiutare ed educare i vostri bambini alla legalita', al rispetto reciproco, ai valori della cultura e dello studio". La sua azione nel quartiere era discreta ma decisa, senza scoop ma continua. "Questa e' la borgata piu' dimenticata della citta' - diceva -. Non ha una scuola media, niente asilo e nemmeno consultorio o centro sociale comunale" e si dava da fare per dotare il quartiere di quei servizi elementari, formando un comitato, scontrandosi con la burocrazia comunale. Aveva creato il Centro sociale "Padre nostro", in cui operavano alcune suore e dei volontari. Questo impegno quotidiano, poco appariscente ma instancabile, lo ha portato a scontrarsi con il dominio mafioso, che si e' sentito messo in discussione, scalzato, e per imporsi ha fatto ricorso all'assassinio. Padre Puglisi, rispetto ai cosiddetti "preti antimafia", si potrebbe definire un moderato, un prete all'antica che per la serieta' del suo impegno si e' trovato in prima linea e davanti agli ostacoli piu' pericolosi non e' retrocesso di un millimetro. Una figura simile a quella di monsignor Romero, il vescovo salvadoregno inizialmente spoliticizzato che poi si e' opposto con tutto se stesso alle violenze degli squadroni della morte fino al sacrificio della vita. La reazione suscitata dall'omicidio di padre Puglisi e' stata intensa ma tutto sommato inadeguata. Alcuni preti hanno scritto al papa chiedendogli "un forte segno della sua presenza tra noi come conferma e guida in questo cammino difficile ed ogni giorno piu' rischioso", ma il papa non e' ritornato, se non due anni dopo per il convegno nazionale delle chiese tenutosi a Palermo nel novembre del 1995. Si puo' dire che, al di la' dell'emozione del momento, non si e' colta la valenza del delitto, che era rivolto contro quel tipo d'impegno, vissuto quotidianamente in contatto con il territorio, quindi non solo contro gli uomini di Chiesa piu' attivi ma contro tutta la societa' civile. La Curia non si e' costituita parte civile al processo, e non lo hanno fatto neppure la parrocchia e il Centro "Padre nostro". Hanno tentato di costituirsi parti civili alcune associazioni ma la loro richiesta e' stata respinta. [Estratto da Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, pp. 307-308. L'autore, fondatore e direttore del Centro Impastato di Palermo, e' il piu' importante studioso della mafia ed uno dei principali protagonisti del movimento antimafia. Segnaliamo che la "Associazione intercondominiale quartiere Brancaccio" ha annunciato la sua costituzione come parte civile in occasione del dibattimento fissato per il 23 ottobre prossimo; cfr. l'articolo di Pino Martinez in "La nonviolenza e' in cammino" n. 219 del 5 settembre scorso]. * Un estratto da: Saverio Lodato, Dall'altare contro la mafia Sembrava (...) che nessun potere avrebbe mai avuto il coraggio di sfidare i clan di Brancaccio, sin quando nella parrocchia di san Gaetano, al centro della borgata, non giunse un parroco apparentemente piccolo piccolo. Si chiamava Pino Puglisi. Don Pino e' stato l'unica autentica spina nel fianco, per boss che non avevano mai incontrato sul loro cammino un oppositore vero, uno che avesse il coraggio di guardarli negli occhi. Ho gia' avuto modo di dirlo: per noi giornalisti, sino al giorno della sua tragica scomparsa, don Pino Puglisi era un illustre sconosciuto. Non avevamo idea di quanto fosse prezioso il lavoro sotterraneo che stava conducendo in una delle borgate a piu' alta densita' mafiosa di tutta la citta'. Non lo tenevamo d'occhio perche' raramente aveva fatto parlare di se' e mai aveva fatto notizia. (...) Chi era veramente quel prete apparentemente piccolo piccolo? Testimonianze ne ho raccolte tante, e sono concordanti. Tutti quelli che lo hanno conosciuto lo descrivono come umile, dolcissimo, ma anche capace di usare il pugno di ferro. Non accettava imposizioni. Rifiutava le situazioni ambigue giustificate da una lunga pressi che nessuno, prima di lui, aveva osato mettere in discussione. Si ribellava, con lo stesso spirito combattivo, sia alle spaventose condizioni di vita degli abitanti della sua parrocchia, sia a tutti quei gruppi organizzati che, a vario titolo, avevano interesse al mantenimento della palude. Era giunto a Brancaccio nel 1990. Nei tre anni trascorsi alla guida di san Gaetano non fece mai nulla per mantenere le vecchie regole del gioco. Fece di tutto per sovvertirle. [Brani estratti da Saverio Lodato, Dall'altare contro la mafia, Rizzoli, Milano 1994, pp. 133-135. Questo libro e' opera di uno dei giornalisti che piu' hanno contribuito ad una informazione corretta ed alla lotta contro il potere mafioso; Lodato e' autore tra l'altro di un libro molto noto, cronaca giornalistica che si avvicina alla storiografia, che nella sua piu' recente edizione aggiornata si intitola Venti anni di mafia, Rizzoli, Milano 2000. Nell'introduzione di Dall'altare contro la mafia, Lodato scrive (alle pp. 12-13): "Questo libro che avete appena cominciato a leggere parlera' solo di un delitto: l'uccisione di padre Pino Puglisi, parroco della borgata Brancaccio a Palermo"]. * Luigi Ciotti: La parabola di don Pino "Entrato nella città di Gerico, Gesu' la stava attraversando" (Lc 19, 1). Gesu' percorreva quelle strade attento non soltanto a incontrare la folla che gli era attorno, ma anche a chi, a causa della ressa, non riusciva a vederlo: Zaccheo. Un Gesu' che attraversa le strade del suo tempo e', probabilmente, il piu' bel ricordo di don Giuseppe Puglisi ucciso a Palermo esattamente un anno fa, nel giorno del suo compleanno. Lo hanno ucciso in "strada". Dove viveva, dove incontrava i "piccoli", gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalita', soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perche' un modo cosi' radicale di abitare la "strada" e di esercitare il ministero del parroco e' scomodo. Lo hanno ucciso nell'illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione. Ricordare quel momento significa non soltanto "celebrare", ma prima di tutto alzare lo sguardo, far nostro l'impegno di don Giuseppe, raccogliere quell'eredita' con la stessa determinazione, con identica passione e uguale umilta'. Cosa ci ha consegnato don Giuseppe? Innanzitutto il suo modo di intendere e di vivere la parrocchia, di essere parroco. Non ha pensato, infatti, la parrocchia unicamente come la "sua" comunita' di fedeli, come comunita' di credenti slegata dal contesto storico e geografico in cui e' inserita. L'ha vissuta, prima di tutto, come territorio, cioe' come persone chiamate a condividere uno spazio, dei tempi e dei luoghi di vita. Per partecipare alla vita di chi gli era vicino ha accettato di percorrere e ripercorrere le strade del rione Brancaccio. Ha vissuto la strada - quella strada che Gesu' ha fatto sua - come luogo di poverta', di bisogni, di linguaggi, di relazioni e di domande in continua trasformazione. L'ha abitata cosi' e ha tentato, a ogni costo, di restarvi fedele. In altre parole, ha incarnato pienamente la poverta', la fatica, la liberta' e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia. Con la sua testimonianza don Pino ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realta' con impegno e silenzio. Non il silenzio di chi rinuncia a parlare e denunciare, ma quello di chi, per la scelta dello "stare" nel suo territorio, rifiuta le passerelle o gli inutili proclami. "Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi e' il Regno dei cieli" (Mt 5, 10). Anche questo ci ha consegnato don Giuseppe: una grande passione per la giustizia, una direzione e un senso per il nostro essere Chiesa e soprattutto un invito per le nostre parrocchie ad alzare lo sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi per perseguire quella giustizia e quella legalita' che tutti, a parole, desideriamo. Per questo don Giuseppe e' morto: perche' con l'ostinata volonta' del cercare giustizia e' andato oltre i confini della sua stessa comunita' di credenti. "Entrato in casa di uno dei capi dei farisei, Gesu'..." (Lc 14, 1). Ecco un altro aspetto ricco di significati. Al di la' dei princìpi o delle roboanti dichiarazioni cio' che conta e' la capacita' di viverli e di praticarli nella quotidianita'. Don Puglisi non e' stato ucciso perche' dal pulpito della sua chiesa annunciava princìpi astratti, ma perche' ha voluto uscire dalla loro genericita' per testimoniarli nella vita quotidiana, dove le relazioni e i problemi assumono la dimensione piu' vera. Tre dimensioni, tre consegne e tre aspetti che rendono questa ricorrenza estremamente ricca e significativa. Tre messaggi perche' le nostre parrocchie e quanti in esse lavorano possano essere sostenuti con gli strumenti necessari. [Questo testo e' apparso dapprima nel quotidiano "Avvenire" il 15 settembre 1994, poi e' stato ristampato in Luigi Ciotti, Persone, non problemi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994, pp. 72-73; da li' lo abbiamo ripreso. Don Luigi Ciotti, come e' noto, e' il fondatore del Gruppo Abele di Torino, ed il presidente di "Libera", l'associazione di associazioni impegnate contro la mafia]. 4. RIFLESSIONE. DAVID BIDUSSA: UNA RIFLESSIONE SULL'OTTO SETTEMBRE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 settembre 2003. David Bidussa, studioso e saggista di grande finezza e rigore, e' direttore della biblioteca della Fondazione Feltrinelli di Milano. Opere di David Bidussa: Ebrei moderni, Bollati Boringhieri, Torino 1989; Oltre il ghetto, Morcelliana, Brescia 1992; Il sionismo politico, Unicopli, Milano 1993; Il mito del bravo italiano, Il Saggiatore, Milano 1994; La France de Vichy, Feltrinelli, Milano 1996; Identita' e storia degli ebrei, Franco Angeli, Milano 2000] Da circa un quindicennio, l'8 settembre - in particolare e simbolicamente a partire dal discorso con cui l'onorevole Luciano Violante ha inaugurato, l'11 maggio del 1996, la sua presidenza alla camera dei deputati - ha assunto una rilevanza che per molto tempo non ha avuto e un ruolo che per lungo tempo non ha ricoperto. Non sarebbe inutile chiedersi perche'. Magari riusciremmo ad individuare un paradigma capace di spiegare le regolarita' - e dunque le costanti - del nostro quadro nazionale: un paese diviso, senza una guida precisa, complessivamente allo sbando, che si trova per mille traversie a riscoprire o a ritrovare un senso collettivo di appartenenza. In questo senso collettivo da ritrovare - da ritrovare e non da rifondare come invece sarebbe appropriato dire per definire tutti quegli eventi in cui la soggettivita' degli attori in campo decide e pesa sulle fisionomie future - molte delle ipotesi successive sono gia' precostituite: gli attori o i moventi sociali e culturali che lavorano per la ricostruzione di un'appartenenza nazionale altrimenti "priva di radici"; il ritrovamento di un senso di pieta' e di solidarieta'; la ridefinizione di un'identita' collettiva. L'8 settembre appare piu' come una data da riconnettere all'interno di una scelta di lunga durata che si conclude con il 18 aprile 1948 - una lunga traversia in cui si consuma una definizione di "guerra civile" possibilmente non cruenta - e che sancisce la divisione strutturale in due di un paese che surrettiziamente il fascismo aveva unificato e che, altrettanto surrettiziamente, aveva mandato all'opposizione. Un paese che doveva ritrovare la sua identita'. L'8 settembre sarebbe dunque questo: il lento passaggio verso una forma canonica di democrazia politica che ritrova il senso della propria tradizione e che per questo deve consumare alcune rotture. La prima con la cultura politica della dittatura che ha retto il paese per venti anni; la seconda con una parte di quello schieramento che rese possibile quella rottura ma che non fu legittimato o autorizzato a governarla. In questo quadro, tuttavia, molte cose non tornano o rischiano di essere costruite solo a posteriori. * Gran parte della storia nazionale italiana del Novecento si regge su figure e su date mitogeniche. L'8 settembre rientra tra queste. Tuttavia per spiegarle o almeno per tentare di comprenderle noi oggi disponiamo di ben pochi strumenti. Soprattutto se ci limitiamo a considerarle nella loro assolutezza evenemenziale, ovvero nel loro puro accadimento fattuale. Dobbiamo allora cercare di comprenderle dentro un quadro afferente la sfera della mentalita'. All'indomani del discorso di Violante in parlamento (un testo che trova molte parti politiche concordi e che viene assunto come luogo retorico che "ricompone" quella divisione sotterranea della societa' politica italiana ancora post-resistenziale, luogo retorico-politico che sancisce un metamorfosi o permette una mutazione), Luigi Pintor scriveva a proposito di coloro che avevano fatto la scelta di Salo' come figure incomprensibile da spiegare: "Erano miei compagni di scuola, i ragazzi e le ragazze di Salo'. Non erano misteriosi, erano figli del fascismo e hanno continuato a fare cio' che gli era stato insegnato. Oppure erano coscritti, dopo l'8 settembre non c'erano le truppe americane ma le accoglienti divisioni tedesche. Di fronte al Senato ho rivisto per caso alzando gli occhi la lapide che ricorda Persichetti, un ragazzo di Porta S. Paolo. Questo si' che e' un mistero, come gli sara' venuto in mente di andare a morire da solo contro un intero esercito? Tutto era perduto per lui in quei giorni, come avra' fatto a ritrovare l'identita'?" (Luigi Pintor, I ragazzi di Salo', ne "Il manifesto" del 14 maggio 1996). Noi sappiamo oggi che parte di quel possibile percorso era anche un travaglio personale di Luigi Pintor e della sua maturazione e nelle pagine di Servabo (Bollati Boringhieri, 1991) quel senso della identita' trovava nella forma della narrazione una sorta di rendiconto tardivo. E tuttavia quella domanda rimane sul tappeto. Se l'8 settembre non e' la morte della patria allora cos'e'? E se non e' solo la somma di storie individuali (che pure spiegano o contribuiscono a spiegare un paese nei suoi luoghi profondi) che cos'e' allora l' 8 settembre? E perche' fa paura? C'e' una storia prima dell'8 settembre che noi dovremmo interrogare e che non e' determinata o segnata solo da cio' che si viene a determinare dopo. Chi ragiona sull'8 settembre come paradigma del sentimento nazionale svolge un ragionamento bifronte e bifunzionale: se da un lato legge l'esito finale della guerra civile come la conferma di un paradigma nazionale e cosi' facendo allude a un 8 settembre scontato e indolore, dall'altro - di fronte agli strappi e ai violenti eventi di cui fu costellata la Resistenza - non puo' che considerare quella stessa data come "una disgrazia", un punto oscuro della storia. Che cosa si cela e si accredita intorno a quella data e che valore ha cio' che si manifesta in forma non casuale ne' marginale, intorno a quei giorni? Che cosa non e' qualificabile come un mero incidente di percorso in quella data? * Chi si precipita in piazza il 26 luglio e' la' per ascoltare delle parole che allora nessuno pronuncia e che saranno concretamente vere solo l'8 settembre. Gli uomini e le donne che scendono per le strade e che abbattono i simboli del regime si aspettano, il 26 luglio, solo una parola: "Armistizio". Ma questa parola non viene mai pronunciata (al suo posto verra' detto: "La guerra continua"). Perche' pronunciare questa parola avrebbe voluto dire, l'8 settembre, uccidere la patria? L'8 settembre non muore la patria: muore lo Stato, inteso come luogo e come simbolo che vincola individui e che li rende sudditi, luogo e simbolo che garantisce sicurezza in cambio di limiti alla liberta' individuale. L'8 settembre muore il vincolo tra cittadino e Stato, tra suddito e governo. Un governo che non protegge e che - non solo fugge e si dissolve - ma diserta il proprio ruolo preparando furbescamente la sua stessa fuga. Molti indizi indicano come quel rapporto si fosse consumato da tempo - almeno da un anno - e certamente la vicenda bellica non permise al regime alcun recupero di consenso. E tuttavia l'8 settembre non e' tanto la fine della fiducia da parte dei sudditi, e' la presa d'atto che una nuova chance si apre e che quella chance include la percezione della rottura del vincolo di sudditanza. In altre parole cio' che si consuma l'8 settembre e' l'eclissi dello Stato. Tra il 3 e l'8 settembre si dissolve quel paradigma su cui - con Hobbes nelle pagine del Leviatano - si era espresso il vincolo tra cittadino e Stato. E, con esso, la garanzia di una sfera di liberta' per il cittadino. Nella struttura dell'argomentazione della liberta' proposta da Hobbes nel Leviatano, l'idea di liberta' che e' possibile rintracciare parte dall'idea che l'obbedienza, fondata sulla meccanica della paura, permette agli individui non solo di riconoscere un potere da cui discendono, ma anche di riconoscere la legittimita' del patto sottoscritto a propria difesa. Sono i temi che Hobbes sottolinea nel capitolo dedicato alle forme del contratto. Ora questo aspetto include che si possa scegliere e dunque si possa considerare il proprio patto di fedelta' rispetto allo Stato dissolto. Cio' significa la possibilita' di cercare altre fedelta', di costruire altre solidarieta', di organizzare diverse e differenti reti di lealta'. Niente impedisce che l'8 settembre alcuni vadano sui monti, altri a Salo' e altri - la maggioranza - decidano di rimanere in disparte e cosi' di maturare una dimensione di resistenza civile o di indifferenza. Vera e propria "zona grigia", secondo una distinzione che con acume ha proposto Claudio Pavone. Da un lato, dunque, un atteggiamento che implica una rivolta non contrassegnata da scelta militarmente combattente ma che non concede all'avversario alcuna sponda e zona grigia. Dall'altro coloro che "non vollero essere ribelli all'oppressione e alla persecuzione". Ma l'8 settembre implica la legittimita' della responsabilita' politica dell'individuo che si impossessa - o meglio si reimpossessa - della possibilita' di scegliere. E dunque di riconoscere non allo Stato astrattamente inteso - allo Stato Maggiore, o al detentore del contratto e del vincolo di protezione - la possibilita' di garantire e di sorvegliare la sua incolumita' e la sua liberta'. L'8 settembre sancisce in altri termini il diritto alla rivolta. * Perche' questo atto si accredita come la "morte della patria"? Quando la patria non e' morta? La patria non e' morta a Caporetto perche' non ci fu abbandono del fronte? E l'abbandono del fronte non ci fu perche' la retorica e la mitologia della reconquista, del "ritorno" entro i propri confini di territori "italiani" era ancora sentita come garanzia di scelta patriottica? Tutti i dati di ricerca sulle forme del sentimento collettivo di identita' durante la Prima guerra mondiale ci dicono il contrario e ci raccontano di una truppa stanca, demotivata, comunque non "scaldata" dal mito della reconquista. E tuttavia, allora, il sistema non crollo'. Perche' Caporetto non apre a un collettivo "tutti a casa!" come l'8 settembre? Come avviene l'incontro tra mobilitazione di massa e propaganda? Perche' la grande guerra riesce ad essere un'esperienza collettiva? In che cosa si misura la sua sensibilita'? E per converso perche' un regime che pure della Marcia su Roma ha fatto un mito, con quel mito non riesce a vivere, e anzi di fatto lo rimuove se non per celebrarlo solo come ricordo - mai come evento nazionale, come fondazione della nazione? In tutti e due i casi, in questione, non e' lo spessore coinvolgente o meno di un evento che sarebbe solo la spia indiziaria degli stati di sensibilita' pubblica, di qualcosa che viaggia per intermittenza. In questione, piuttosto e' la sua stessa solidita' o la superficialita': non tanto rispetto a un codice proprio quanto alla possibilita' di fondare un codice comune di riconoscimento. Se dunque l'8 settembre viene proposto come fine di un mondo e' perche' allora convergono nel suo accadere due eventi tra di loro non coincidenti nella storia d'Italia e nella sua costruzione iconografica: la dissoluzione di un sistema di comando e la percezione che non ci siano immediate soluzioni alternative di continuita' dello Stato a cui richiamarsi. Nella storia italiana solo in altre due occasioni si ripete lo stesso marchingegno: nel corso della costruzione delle repubbliche giacobine quando - a differenza del ceto nobiliare che pure per certi aspetti aveva espresso un'ipotesi di ricambio ma non di ridefinizione del rapporto tra sudditi e governo - si propone la questione di una forma di governo che prescinda dai quadri consolidati delle grandi famiglie di potere; e nel corso della discussione politica risorgimentale quando il confronto tra le riforme possibili implichera', a sua volta, una riflessione sulle forme dello sviluppo. Con le quali non sara' paradossalmente Cattaneo ("nome" piu' che "mito") a confrontarsi ma Cavour e Pisacane che proporranno un possibile processo di emancipazione politica ed economica. Se il primo vincera' sara' solo al prezzo di eliminare quel profilo di autoriforma che pure aveva caratterizzato una parte dei suoi scritti economici tra gli anni '30 e '40 (su cui non casualmente in Italia nessuno discute scegliendo e privilegiando un Cavour solo homo politicus) e grazie all'accantonamento della sua propensione per il modello industriale inglese, una propensione che gli avrebbe di certo alienato un ceto politico che era prima di tutto grande proprietario terriero. * Questo indipendentemente dal fatto che la Resistenza abbia avuto o meno il carattere di "secondo Risorgimento" (immagine su cui a lungo ha riflettuto criticamente Claudio Pavone, si veda il suo Alle origini della repubblica, Bollati Boringhieri). Se ieri nella Resistenza come "secondo Risorgimento" poteva essere respinta l'idea o l'immagine di costruzione nazionalistica, di espulsione dalla storia nazionale del fascismo (ovvero la richiesta implicita di non fare i conti con un prodotto proprio e originale della storia italiana moderna), oggi nella dimensione addomesticata dell'8 settembre, nel rifiuto di considerarlo un momento di dissoluzione, ma nel privilegiarne l'aspetto di continuita' e dunque di scelta "occidentale" a fronte del pericolo proveniente da est, torna per converso anche una messa in mora del Risorgimento, come scelta di cultura politica laica o comunque di tentativo di fondare una Italia laica, non confessionale, all'interno della quale la questione cattolica (nel gergo dei risorgimentali la "questione romana") non costituisce un vincolo o non inibisce un esito. In quel segno stava anche una scelta di rottura su cui non sarebbe errato riflettere e su cui si e' spesso meditato con un occhio tatticistico. Insomma, come a dire che l'8 settembre allude a una vicenda lunga: quella in cui soggetti a lungo espropriati della politica e marginali rispetto agli scenari della decisione tentano di entrare e di proporre alcune soluzioni o, almeno, alcuni atti che rendano obbligate delle decisioni. In breve dei disturbatori del manovratore. Esattamente il contrario di cio' che a lungo e' stato l'adagio della formula dell'italianita' come ricetta per il" buon governo". 5. MAESTRE. MARIA ZAMBRANO: MA L'ESSERE UMANO DOVREBBE [Da Maria Zambrano, Chiari del bosco, Feltrinelli, Milano 1991, p. 154. Maria Zambrano, insigne pensatrice spagnola (1904-1991), allieva di Ortega y Gasset, antifranchista, visse a lungo in esilio. Tra le sue opere tradotte in italiano cfr. almeno Spagna: pensiero, poesia e una citta', Vallecchi, Firenze 1964; I sogni e il tempo, De Luca, Roma 1964; Chiari del bosco, Feltrinelli, Milano 1991; I beati, Feltrinelli, Milano 1992; La tomba di Antigone. Diotima di Mantinea, La Tartaruga, Milano 1995; Verso un sapere dell'anima, Cortina, Milano 1996; La confessione come genere letterario, Bruno Mondadori, Milano 1997; All'ombra del dio sconosciuto, Pratiche, Milano 1997. Opere su Maria Zambrano: un buon punto di partenza e' il fascicolo monografico Maria Zambrano, pensatrice in esilio, "Aut aut" n. 279, maggio-giugno 1997] La ragione razionalista, schematizzata - e nel suo uso strumentale piu' ancora che nei testi originari della corrispondente filosofia - fornisce un unico mezzo di conoscenza. Un mezzo adeguato a cio' che gia' e' o che ad essere si avvia con certezza; alle "cose" insomma, tali come appaiono e noi riteniamo che siano. Ma l'essere umano dovrebbe recuperare altri mezzi di visibilita' che la sua mente e i suoi stessi sensi reclamano per averli gia' posseduti una volta poeticamente, o liturgicamente, o metafisicamente. 6. MAESTRE. SIMONE DE BEAUVOIR: DUE MANIERE DI ABDICARE [Da Simone de Beauvoir, Memorie di una ragazza perbene, Einaudi, Torino 1960, 1994, p. 300. Simone de Beauvoir e' nata a Parigi nel 1908; e' stata protagonista, insieme con Jean-Paul Sartre, dell'esistenzialismo e delle vicende della cultura, della vita civile, delle lotte politiche francesi e mondiali dagli anni trenta fino alla scomparsa (Sartre e' morto nel 1980, Simone de Beauvoir nel 1986). Antifascista, femminista, impegnata nei movimenti per i diritti civili, la liberazione dei popoli, di contestazione e di solidarieta', e' stata anche lucida testimone delle vicende e degli ambienti intellettuali di cui e' stata partecipe e protagonista. Opere di Simone de Beauvoir: pressoche' tutti i suoi scritti sono stati tradotti in italiano e piu' volte ristampati; tra i romanzi si vedano particolarmente: Il sangue degli altri (Mondadori), Tutti gli uomini sono mortali (Mondadori), I mandarini (Einaudi); tra i saggi: Il secondo sesso (Il Saggiatore e Mondadori), La terza eta' (Einaudi), e la raccolta Quando tutte le donne del mondo... (Einaudi). La minuziosa autobiografia (che e' anche un grande affresco sulla vita culturale e le lotte politiche e sociali in Francia, e non solo in Francia, attraverso il secolo) si compone di Memorie d'una ragazza perbene, L'eta' forte, La forza delle cose, A conti fatti, cui vanno aggiunti i libri sulla scomparsa della madre, Una morte dolcissima, e sulla scomparsa di Sartre, La cerimonia degli addii, tutti presso Einaudi. Opere su Simone de Beauvoir: Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova Italia, Firenze 1982 (cui si rinvia per una bibliografia critica ragionata)] Amavo le lacrime, la speranza, il timore. Quando Clairaut, il giorno dopo, fissandomi negli occhi mi disse: - Voi farete una tesi su Spinoza; non c'e' che questo nella vita: sposarsi e fare una tesi -, m'inalberai. Far carriera, andare a letto: due maniere di abdicare. 7. GIUSTIZIA. PRESENTATA OPPOSIZIONE ALLA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE DELL'ESPOSTO SUI "TRENI DELLA MORTE" [Pubblichiamo il testo del comunicato diffuso ieri dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo. Il testo dell'opposizione, quello dell'esposto e vari documenti collegati abbiamo gia' pubblicato nei giorni scorsi] Il direttore del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo ha depositato presso il Tribunale di Pisa atto di opposizione alla richiesta di archiviazione dell'esposto che denunciava l'illegalita' dei trasporti di armi americane in territorio italiano avvenuti in preparazione della guerra illegale, criminale e stragista tuttora in corso in Iraq. Il responsabile della struttura viterbese chiede che si effettuino adeguate indagini fin qui non svolte, e si giunga alla formulazione dei capi d'imputazione nei confronti dei responsabili di quei trasporti finalizzati alla commissione di un crimine esplicitamente proibito sia dalla Costituzione della Repubblica Italiana, sia dal diritto internazionale. Nell'atto di opposizione Il direttore del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo sottolinea anche che la cooperazione italiana a una guerra illegale, criminale e stragista, prima con le dissennate e golpiste dichiarazioni di avallo di autorevoli esponenti governativi; poi col favoreggiamento all'invio attraverso il territorio italiano di armi utili alla guerra illegale ed alla commissione di crimini di guerra e crimini contro l'umanita' di cui essa e' consistita; infine con l'invio di militari italiani nell'Iraq in cui la guerra e' tuttora in corso (ennesima flagrante violazione della Carta Costituzionale), espone altresi' l'Italia a divenire oggetto sia di atti di guerra sia di attentati terroristici. A seguito della presentazione dell'atto di opposizione la magistratura pisana dovra' valutare se far proseguire il procedimento avviato dall'esposto presentato il 24 febbraio 2003 dal direttore del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. * Il direttore del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo ha dichiarato: "Possa la magistratura italiana far piena luce sull'accaduto, possa far valere la forza del diritto di contro al crimine. Possa la magistratura italiana applicando rigorosamente le leggi italiane far prevalere le ragioni del diritto, della civilta' e dell'umanita'. Possa la magistratura italiana secondo le competenze attribuitele dall'ordinamento esprimere nitido un giudizio di condanna nei confronti del crimine piu' grande che possa darsi: la commissione di stragi di cui la guerra consiste, la violazione del diritto italiano ed internazionale di cui la guerra in corso e' ignobile esempio, la preparazione ed il favoreggiamento di stragi, preparazione e favoreggiamento che quel trasporto di armi avvenuto in Italia mesi fa con tutta evidenza configura. Possa la magistratura italiana difendere la legalita' costituzionale e perseguire coloro che per favoreggiare il crimine della guerra l'hanno proditoriamente violata e ne hanno consentito la violazione. Possa la magistratura italiana difendere il diritto ad esistere di tutti gli esseri umani esprimendo un cogente giudizio di condanna nei confronti di chi vite umane ha criminalmente soppresso e di chi ha contribuito a preparare quella soppressione di vite umane. Prevalga la legge, sia sconfitta la barbarie". 8. DOCUMENTAZIONE. APPELLO PER IL FORUM E LA MANIFESTAZIONE A ROMA IL 3-4 NOVEMBRE [Riceviamo e diffondiamo questo appello delle organizzazioni e i movimenti italiani del Forum sociale europeo. Al di la' della retorica e del politicantese tipici di questo genere di scritture, tra varie cose ragionevoli e qualcuna scarsamente meditata, dispiace ed e' sintomatico che ancora una volta manchi il benche' minimo riferimento alla scelta della nonviolenza: e questo silenzio su una scelta logico-assiologica, ermeneutica e metodologica, operativa e programmatica semplicemente fondamentale, purtroppo la dice lunga sui limiti, le ambiguita', le contraddizioni e gli errori che ancora offuscano, indeboliscono e rendono poco credibile e ancor meno efficace tanta parte del movimento per la pace e la giustizia] Il 4 ottobre si apre a Roma la conferenza Intergovernativa. I capi di stato e di governo dell'Unione Europea, capitanati da Silvio Berlusconi, proveranno a tradurre in trattati costituzionali il risultato della Convenzione. All'Europa liberista e del patto di stabilita', all'Europa che alza i muri contro i migranti e che, senza assumere il ripudio della guerra, lavora invece alla costituzione dell'esercito europeo, il 4 ottobre noi opporremo un'altra Europa: quella dei popoli e della pace, l'Europa del Forum sociale europeo e del 15 febbraio. La nostra Europa si basa su alcuni semplici principi: e' antiliberista, ripudia la guerra e tutti i razzismi, fa della democrazia e della partecipazione valori fondanti. E' l'Europa che difende i beni e i servizi pubblici, lo stato sociale, il lavoro. E dunque si batte contro gli attacchi alle pensioni, la mercificazione della scuola, della salute, della cultura, e contro la progressiva precarizzazione della vita intera. La nostra Europa e' l'Europa dei diritti sociali, a partire dal diritto al lavoro, al reddito e a una esistenza dignitosa. E' una Europa che privilegia la costruzione di spazi pubblici, in cui la societa' sostenibile e il rispetto dell'ambiente siano punti inaggirabili e dove le differenze di genere, le identita' sessuali e le liberta' civili non siano negoziabili. E' l'Europa che ripudia le guerre senza se e senza ma. Contraria all'aumento delle spese militari e all'ipotesi di un esercito europeo, la nostra Europa lavora per la pace nei luoghi di conflitto, con le missioni civili e la solidarieta' internazionale. La nostra Europa lavora per la pace anche qui, dove la guerra viene alimentata: per questo abbiamo manifestato il 15 febbraio, per questo teniamo appese ai balconi le bandiere della pace. Per questo vogliamo la fine dell'occupazione militare in Iraq e il ritiro delle truppe italiane, cosi' come da tempo chiediamo la fine dell'occupazione della Palestina. La nostra e' l'Europa della cittadinanza universale. Dove non esistono discriminazioni di razza, di religione e di sesso. Una Europa aperta, accogliente, senza centri di detenzione e in cui nessuno e nessuna e' straniero o straniera. La nostra e' l'Europa della partecipazione: locale, nazionale, sopranazionale. L'esperienza della democrazia partecipativa non ha nulla a che vedere con il metodo oligarchico adottato dalla Convenzione presieduta da Giscard d'Estaing. Dopo Firenze, dopo il 15 febbraio e il 12 aprile, mentre ci avviciniamo al forum sociale europeo di Parigi, il 4 ottobre daremo un nuovo impulso a un processo costituente per un'altra Europa. Un processo aperto, comprensivo delle forme piu' articolate del conflitto sociale, delle diverse soggettivita' e dei tanti movimenti che compongono il nostro movimento. Un processo che valorizzi le resistenze sociali e i progetti alternativi. Un processo che culmini nel 2004 con la convocazione degli stati generali dell'altra Europa. Facciamo appello alla molteplicita' della societa' civile, alle forze sociali e politiche, con cui in questi anni abbiamo incrociato strade e percorsi, a costruire insieme questo appuntamento: ci rivolgiamo a coloro che hanno realizzato il forum sociale europeo di Firenze e il 15 febbraio, per avviare un confronto perche' il 4 ottobre sia una giornata fondativa dell'altra Europa. Appuntamento a Roma: venerdi' 3 ottobre: forum internazionale dell'altra Europa; sabato 4 ottobre: manifestazione nazionale. Questo impegno vivra' anche in altre mobilitazioni. Ci sono infatti altri appuntamenti, eventi, scadenze di lotta, percorsi diversi che intendiamo promuovere, sostenere e attraversare, dopo le giornate di mobilitazione di Riva del Garda e la mobilitazione internazionale di Cancun per fermare il Wto: le mobilitazioni in occasione dei tanti vertici europei che si svolgeranno quest'anno in Italia, da quello di Roma per le politiche abitative del 30 e 31 ottobre a di San Patrignano il 5 e 6 ottobre in occasione del vertice dei ministri dell'Istruzione e degli affari sociali; le mobilitazioni che fanno vivere questi contenuti: la marcia Perugia-Assisi del 12 ottobre; la giornata di mobilitazione sulla scuola contro la riforma Moratti il 26 settembre; lo sciopero generale della Fiom il 17 ottobre; gli appuntamenti del movimento internazionale: il forum sociale europeo di Parigi a novembre; il forum sociale mondiale a Mumbai in India nel gennaio 2004. Le organizzazioni e i movimenti italiani del Forum sociale europeo. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 672 del 13 settembre 2003
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