La nonviolenza e' in cammino. 672



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 672 del 13 settembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Toni Maraini: frammenti d'anima e di terra
2. Benito D'Ippolito: Agli amici della Rete Radie' Resch in occasione della
decima marcia per la giustizia da Agliana a Quarrata
3. Per una cultura antimafia: l'esempio di Giuseppe Puglisi (con testi di
Umberto Santino, Saverio Lodato, Luigi Ciotti)
4. David Bidussa: una riflessione sull'otto settembre
5. Maria Zambrano: ma l'essere umano dovrebbe
6. Simone de Beauvoir: due maniere di abdicare
7. Presentata opposizione alla richiesta di archiviazione dell'esposto sui
"treni della morte"
8. Appello per il forum e la manifestazione a Roma il 3-4 novembre
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. TONI MARAINI: FRAMMENTI D'ANIMA E DI TERRA
[Dal saggio-testimonianza, bellissimo, di Toni Maraini, Scena postmoderna
per Gilgamesh, in "Quaderni" del Fondo Moravia, n. 1, 2003, p. 215. Toni
Maraini, scrittrice, poetessa, storica dell'arte, promotrice dell'incontro
tra le culture e costruttrice di pace, e' autrice di molte opere e dirige
gli eccellenti "Quaderni" del Fondo Moravia; tra i suoi libri segnaliamo
particolarmente il recente Diario di viaggio in America. Tra fondamentalismo
e guerra, La mongolfiera, Cassano Jonio (Cs) 2003]
Ad ognuna di queste guerre devastanti e menzognere della post-moderna
spettacolarita' sono frammenti d'anima e di terra, parte dell'avventura
umana tout court che vengono devastati. Guai a non capirlo.

2. INCONTRI. BENITO D'IPPOLITO: AGLI AMICI DELLA RETE RADIE' RESCH IN
OCCASIONE DELLA DECIMA MARCIA PER LA GIUSTIZIA DA AGLIANA A QUARRATA
[Riportiamo questi versi improvvisati dal nostro amico Benito D'Ippolito in
guisa di saluto ai partecipanti alla decima marcia per la giustizia da
Agliana a Quarrata che si svolge oggi, 13 settembre 2003]

Lunga e' la via che mena alla giustizia
che reca in dono comprensione e pace,
e questa e' una buonissima ragione
per subito intraprenderla, gia l'ora
e' tarda, presto giungera' la sera.

Ma questo viaggio reca incanti tali
che tutta sanno illuminar la stanca
vita, e recare rorido un ristoro
quando si apre il cuore e incontri il volto
dell'altro che e' gia' qui e che ti attendeva.

3. PER UNA CULTURA ANTIMAFIA: L'ESEMPIO DI GIUSEPPE PUGLISI (CON TESTI DI
UMBERTO SANTINO, SAVERIO LODATO, LUIGI CIOTTI)
[Riproponiamo di seguito senza modifiche una scheda che redigemmo e
diffondemmo nel 2000 e che ripubblicammo nel 2001 su questo foglio.
Giuseppe Puglisi, sacerdote cattolico, dal 1990 alla guida della parrocchia
di san Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo, un quartiere dominato
dal potere mafioso; dal 1990 al 1993 un impegno sereno e inflessibile per i
diritti e la dignita', per aiutare chi ha bisogno e promuovere la civile
convivenza; la sera del 15 settembre 1993, mentre rincasava, con un colpo di
pistola alla tempia un killer mafioso lo uccide. Opere su Giuseppe Puglisi:
F. Anfossi, Puglisi. Un piccolo prete tra i grandi boss, Edizioni Paoline,
Milano 1994; F. Deliziosi, "3 P". Padre Pino Puglisi. La vita e la pastorale
del prete ucciso dalla mafia, Edizioni Paoline, Milano 1994; Bianca
Stancanelli, A testa alta. Don Giuseppe Puglisi: storia di un eroe
siciliano, Einaudi, Torino 2003; cfr. anche Saverio Lodato, Dall'altare
contro la mafia. Inchiesta sulle chiese di frontiera, Rizzoli, Milano 1994;
segnaliamo anche i contributi (molto interessanti) pubblicati in "Una citta'
per l'uomo", nel fascicolo 4/5 dell'ottobre 1994 e nel fascicolo 1/2
dell'aprile 1995.
Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici
piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi
studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri
criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e
criminalita'. Il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato"
(via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax 091348997,
e-mail: csdgi at tin.it, sito internet: www.centroimpastato.it) e' un istituto
di ricerca tra i piu' accreditati in campo internazionale, particolarmente
specializzato su mafia e poteri criminali; operante dal 1977, e' stato
successivamente intitolato a Giuseppe Impastato, militante della nuova
sinistra assassinato dalla mafia nel 1978; una sintetica ma esauriente
scheda di autopresentazione, di quattro pagine, e' richiedibile presso il
Centro Impastato. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia
difficile,  Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e
guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano
1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia
agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto
Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio
a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda
edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di
sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto
politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia
interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la
democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella
della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in
terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di
Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e
il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000. Scritti su Umberto Santino: Peppe Sini, Una rassegna
bibliografica di alcuni lavori di Umberto Santino. La borghesia mafiosa tra
violenza programmata, "doppio Stato" e capitalismo finanziario, Centro di
ricerca per la pace, Viterbo 1998, 2003 (ripubblicata in aprile su questo
stesso notiziario).
Savero Lodato, giornalsta impegnato contro la mafia, nato nel 1951 a Reggio
Emilia, vive e lavora a Palermo dove e' inviato de "L'Unita'". Opere di
Saverio Lodato: Dieci anni di mafia, Rizzoli, Milano 1990 (successivamente
piu' volte aggiornato, attualmente: Venti anni di mafia, ibidem 2000);
Potenti, Garzanti, Milano 1992; Vademecum per l'aspirante detenuto,
Garzanti, Milano 1993; Dall'altare contro la mafia, Rizzoli, Milano 1994;
con Attilio Bolzoni, C'era una vlta la lotta alla mafia, Garzanti, Milano
1998; ha inoltre curato il libro-intervista di Antonino Caponnetto, I miei
giorni a Palermo, Garzanti, Milano 1992; ha inoltre raccolto la
testimonianza di Giovanni Brusca in Ho ucciso Giovanni Falcone, Mondadori,
Milano 1999, e di Tommaso Buscetta in La mafia ha vinto, Mondadori, Milano
1999; con Piero Grasso ha scritto La mafia invisibile, Mondadori, Milano
2001.
Luigi Ciotti e' nato a Pieve di Cadore nel 1945, sacerdote, animatore a
Torino del Gruppo Abele; impegnato contro l'emarginazione, per la pace,
contro i poteri criminali; ha promosso numerosissime iniziative. Riportiamo
la seguente piu' ampia scheda biografica dalla Enciclopedia multimediale
delle scienze filosofiche: "Luigi Ciotti nasce il 10 settembre 1945 a Pieve
di Cadore (Bl), emigra con la famiglia a Torino nel 1950. Nel 1966 promuove
un gruppo di impegno giovanile, che prendera' in seguito il nome di Gruppo
Abele, costituendosi in associazione di volontariato e intervenendo su
numerose realta' segnate dall'emarginazione. Fin dall'inizio, caratteristica
peculiare del gruppo e' l'intreccio dell'impegno nell'accompagnare e
accogliere le persone in difficolta' con l'azione educativa, la dimensione
sociale e politica, la proposta culturale. Nel 1968 comincia un intervento
all'interno degli istituti di pena minorili: l'esperienza si articola in
seguito all'esterno, sul territorio, attraverso la costituzione delle prime
comunita' per adolescenti alternative al carcere. Terminati gli studi presso
il seminario di Rivoli (To), Ciotti nel 1972 viene ordinato sacerdote dal
cardinale Michele Pellegrino: come parrocchia, gli viene affidata "la
strada". Sulla quale, in quegli anni, affronta l'irruzione improvvisa e
diffusa della droga: apre un Centro di accoglienza e ascolto e, nel 1974, la
prima comunita'. Partecipa attivamente al dibattito e ai lavori che portano
all'entrata in vigore, nel 1975, della legge n. 685 sulle tossicodipendenze.
Da allora, la sua opera sul terreno della prevenzione e del recupero
rispetto alle tossicodipendenze e all'alcolismo non si e' mai interrotta. E'
invitato in vari Paesi (Gran Bretagna, Usa, Giappone, Svizzera, Spagna,
Grecia, ex Jugoslavia) per tenere relazioni e condurre seminari sul tema ed
e' chiamato per audizioni presso il Parlamento europeo. Nei primi anni
Ottanta segue un progetto promosso dall'Unione internazionale per l'infanzia
in Vietnam. Sempre sul piano internazionale, promuove programmi di
cooperazione sul disagio giovanile e per gli ex detenuti in alcuni Paesi in
via di sviluppo. Nel 1982, contribuisce alla costituzione del Coordinamento
nazionale delle comunita' di accoglienza (Cnca), presiedendolo per dieci
anni: al coordinamento, oggi, aderiscono oltre 200 gruppi, comunita' e
associazioni. Nel 1986 partecipa alla fondazione della Lega italiana per la
lotta all'aids (Lila), nata per difendere i diritti delle persone
sieropositive, di cui e' il primo presidente. Nel marzo 1991 e' nominato
Garante alla Conferenza mondiale sull'aids di Firenze, alla quale per la
prima volta riescono a partecipare le associazioni e le organizzazioni non
governative impegnate nell'aiuto e nel sostegno ai malati. Nel marzo 1995
presiede a Firenze la IV Conferenza mondiale sulle politiche di riduzione
del danno in materia di droghe, tra i cui promotori vi e' il Gruppo Abele.
Nel corso degli anni Novanta intensifica l'opera di denuncia e di contrasto
al potere mafioso dando vita al periodico mensile "Narcomafie", di cui e'
direttore responsabile. A coronamento di questo impegno, dalle sinergie tra
diverse realta' di volontariato e di un costante lavoro di rete, nasce nel
1995 "Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie", un network che
coordina oggi nell'impegno antimafia oltre 700 associazioni e gruppi sia
locali che nazionali. Sin dalla fondazione, "Libera" e' presieduta da Luigi
Ciotti. Il primo luglio 1998 riceve all'Universita' di Bologna la laurea
honoris causa in Scienze dell'educazione; Ciotti accoglie il conferimento
del titolo accademico come un riconoscimento significativo dell'opera di
tutto il Gruppo Abele. Alle attivita' del Gruppo Abele, di cui Ciotti e'
tuttora presidente, attendono oltre trecentocinquanta persone che si
occupano di: accoglienza, articolata in due servizi di pronto intervento a
Torino; in otto comunita' che ospitano persone con problemi di
tossicodipendenza, di alcolismo o malate di aids; in un servizio di
accoglienza notturno per persone senza fissa dimora. Il gruppo Abele ha
anche promosso e gestito l'esperienza di una "Unita' di strada" a Torino, la
seconda attivata in Italia; lavori di tipo artigianale, informatico,
agricolo, condotti attraverso la costituzione di cooperative sociali e di
uno specifico progetto Carcere e lavoro; interventi di cooperazione
internazionale in Costa d'Avorio, Guatemala, Messico; iniziative culturali,
informative, educative, di prevenzione e formazione, che si svolgono
attraverso l'Universita' della Strada, l'Universita' Internazionale della
Strada, il Centro Studi, documentazione e ricerche, l'Ufficio Stampa e
comunicazione, la casa editrice Edizioni Gruppo Abele, la libreria Torre di
Abele, le riviste "Animazione sociale" e "Narcomafie", l'Ufficio scuola.
Luigi Ciotti e' stato piu' volte membro del Consiglio Presbiteriale ed e'
attualmente membro del Consiglio Pastorale della Diocesi di Torino. Da
alcuni anni tiene corsi di formazione presso la Scuola per vigili urbani di
Torino e provincia. Nei primi anni Ottanta e' stato docente presso la Scuola
superiore di polizia del ministero dell'Interno. Giornalista pubblicista dal
1988, Ciotti e' editorialista e collabora con vari quotidiani e periodici
(tra cui: La Stampa, L'Avvenire, L'Unita', Il Manifesto, Il Sole-24 Ore, il
Mattino, Famiglia Cristiana, Messaggero di Sant'Antonio, Nuovo Consumo),
scrive su riviste specializzate per operatori sociali e insegnanti,
interviene su testate locali". Opere di Luigi Ciotti: e' autore di vari
libri a carattere educativo, di impegno sociale, di riflessione spirituale;
tra le sue pubblicazioni segnaliamo: Genitori, figli e droga, Edizioni
gruppo Abele, Torino 1993; Chi ha paura delle mele marce?, Edizioni gruppo
Abele - Sei, Torino 1992; Persone, non problemi, Edizioni gruppo Abele,
Torino 1994; Terra e cielo, Mondadori, Milano 1998; naturalmente ha anche
contribuito con propri interventi a numerosi testi collettanei.
Per contattare l'Associazione intercondominiale Brancaccio e la Rete
interculturale di solidarieta' "Ali per volare" di Palermo che tengono viva
l'eredita' e proseguono il lavoro di padre Puglisi, si puo' inviare una
e-mail a Pino e a Rino Martinez: rinomartinez1 at tin.it]
Tra l'8 e il 10 maggio 1993 il papa visita la Sicilia occidentale: ad
Agrigento, dinanzi a centomila fedeli, tiene un forte discorso contro la
mafia.
Vi era gia' stato undici anni prima, nel novembre 1982, dopo le uccisioni di
Pio La Torre in aprile e di Carlo Alberto dalla Chiesa in settembre; dopo
l'omelia "di Sagunto" del cardinal Pappalardo che divenne quasi una bandiera
e un grido di battaglia: ma allora nei discorsi effettivamente pronunciati
da Giovanni Paolo II la parola "mafia" non comparve mai; i brani del testo
diffuso alla stampa in cui si faceva riferimento alla mafia non vennero
letti, ufficialmente per motivi di tempo.
Ma il 9 maggio 1993, sotto il tempio della Concordia nella Valle dei templi
di Agrigento, la voce di Wojtyla risuono' alta e forte: "Dio ha detto: non
uccidere! L'uomo, qualsiasi agglomerazione umana o la mafia, non puo'
calpestare questo diritto santissimo di Dio. Nel nome di questo Cristo
crocifisso e risorto, di questo Cristo che e' vita, lo dico ai responsabili,
lo dico ai responsabili: convertitevi! Per amore di Dio. Mafiosi
convertitevi. Un giorno verra' il giudizio di Dio e dovrete rendere conto
delle vostre malefatte".
Don Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio, che giorno per giorno
contendeva alla mafia quel lembo di terra, quel pezzo di societa', le anime
(sia consentito a noi laici usare tal termine per intendere: la dignita' e i
diritti) e le vite  della gente, della sua gente, si', don Pino Puglisi si
sara' sentito confortato ed orgoglioso per le parole del papa.
La mafia, invece, non ama le parole, soprattutto non ama quella parola che
la designa e l'accusa. Anche la Chiesa, avra' ruminato qualcuno, non era
piu' quella di una volta. Quella di una volta era quella dell'eminenza
reverendissima il cardinal Ruffini e della sua lettera pastorale  del 1964
dal titolo Il vero volto della Sicilia.
Ma c'era, c'era sempre stata, anche un'altra chiesa: anzi, altre chiese, che
per affermare i valori attestati dalla loro religione contro la mafia si
erano battute ed avrebbero continuato a farlo, a costo del martirio. E
questa altra tradizione ora emergeva e trovava ad un tempo ascolto e voce
nelle parole del pontefice cattolico.
(E sia detto qui solo per inciso, non essendo questo il luogo per sviluppare
un cosi' impegnativo tema: nella chiesa cattolica avrebbero naturalmente
continuato a scontrarsi culture diverse e posizioni fin opposte: il costante
sostegno vaticano ad Andreotti, ad esempio, pare a noi confliggere
flagrantemente con la testimonianza dei cristiani impegnati contro la
mafia).
*
Don Pino Puglisi era parroco di san Gaetano, a Brancaccio, dal 1990. Ed
aveva fatto la sua scelta. L'aveva fatta con naturalezza, per coerenza, per
convinzione, perche' era un prete, ed era naturale che un prete facesse
certe cose e non altre: che cercasse di alleviare le sofferenze della gente
intorno a lui, che si impegnasse per realizzare servizi educativi e sociali;
che indirizzasse al vero ed al bene; che si prendesse cura degli ultimi. E
che denunciasse il male; che contrastasse il male; che non scendesse a patti
col male. Una persona normale, un prete come si deve. Ma era a Brancaccio.
Perche' Brancaccio e' la borgata in cui quando lo Stato decide di aprire un
commissariato di pubblica sicurezza, a quarantott'ore dall'inaugurazione la
mafia lo fa saltare in aria. Perche' a Brancaccio, ottomila abitanti, non ci
deve essere ne' la scuola media ne' il cinema ne' la palestra, perche' a
Brancaccio sia chiaro a tutti: qui e' la mafia che comanda, qui essa
esercita la sua signoria territoriale.
E questo piccolo parroco cosa fa? Proprio quella le contende: contende alla
mafia la signoria territoriale, contende alla mafia la risorsa decisiva,
contrasta alla mafia il territorio, si pone nei fatti come contropotere,
organizza la vita civile. Facendo le cose semplici, le cose logiche, le cose
normali, fa la rivoluzione. A Gomorra don Pino Puglisi porta la Sierra
Maestra. Tre anni di insurrezione evangelica, tre anni di rivoluzione delle
coscienze, tre anni di lotta per la scuola e per l'assistenza, per i bisogni
e per i servizi, per i diritti e per la luce, per il pane e le rose. La
dittatura mafiosa lo ferma il 15 settembre 1993.
*
E' uno dei tanti paradossi di questa vicenda pirandelliana e kafkiana che e'
la lotta per la vita e per la morte tra la mafia e l'umanita', il fatto che
da assassinato don Pino Puglisi venga riconosciuto: la sua morte lumeggia
(certo: di tragica, gelida luce) la sua vita e la sua azione: si capisce
adesso quanto efficace fosse quella tenace costante testarda lotta fatta di
piccole cose semplici, di quotidiani gesti netti, di sollecitudine per gli
altri, di attenzione ai bisogni concreti; si capisce adesso la vittoria
grande che Pino Puglisi aveva costruito giorno per giorno senza impettite
parate, senza proclami e senza spot, senza le arti del truccatore e dei
tecnici del suono e delle luci; si capisce adesso che nel quartiere
Brancaccio un uomo, senza parere, facendo le cose ovvie e minute, stava
rompendo il consenso alla mafia, stava organizzando la Resistenza, ogni
giorno una barricata, ogni giorno un Gavroche. Il 15 settembre uccisero don
Pino Puglisi e ci fecero conoscere la sua lotta e la sua strategia, ci
fecero sapere che un prete li aveva sconfitti e umiliati proprio li', sul
piazzale dell'appello. Uccidendolo ci rivelarono un segreto: che saranno gli
uomini di pace, quelli del discorso della montagna, che spezzeranno la
dittatura mafiosa.
*
Un estratto da: Umberto Santino, Storia del movimento antimafia
Il 15 settembre 1993 nel quartiere Brancaccio, roccaforte storica della
mafia, veniva ucciso il parroco della chiesa di San Gaetano, Giuseppe
Puglisi. L'omicidio arriva dopo una serie di intimidazioni, di minacce per
telefono e attentati incendiari. Alla fine di maggio era stato incendiato un
furgone dell'impresa Balistreri di Bagheria che aveva vinto l'appalto per la
ristrutturazione della chiesa (i mafiosi considerano l'imprenditore un
intruso). Alla fine di giugno era stato appiccato il fuoco alle porte delle
case di abitazione di tre rappresentanti del comitato intercondominiale del
quartiere. Alle minacce padre Puglisi aveva risposto con serenita' nelle sue
prediche in chiesa: "Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e sapere i
motivi che vi spingono a ostacolare chi tenta di aiutare ed educare i vostri
bambini alla legalita', al rispetto reciproco, ai valori della cultura e
dello studio". La sua azione nel quartiere era discreta ma decisa, senza
scoop ma continua. "Questa e' la borgata piu' dimenticata della citta' -
diceva -. Non ha una scuola media, niente asilo e nemmeno consultorio o
centro sociale comunale" e si dava da fare per dotare il quartiere di quei
servizi elementari, formando un comitato, scontrandosi con la burocrazia
comunale. Aveva creato il Centro sociale "Padre nostro", in cui operavano
alcune suore e dei volontari. Questo impegno quotidiano, poco appariscente
ma instancabile, lo ha portato a scontrarsi con il dominio mafioso, che si
e' sentito messo in discussione, scalzato, e per imporsi ha fatto ricorso
all'assassinio.
Padre Puglisi, rispetto ai cosiddetti "preti antimafia", si potrebbe
definire un moderato, un prete all'antica che per la serieta' del suo
impegno si e' trovato in prima linea e davanti agli ostacoli piu' pericolosi
non e' retrocesso di un millimetro. Una figura simile a quella di monsignor
Romero, il vescovo salvadoregno inizialmente spoliticizzato che poi si e'
opposto con tutto se stesso alle violenze degli squadroni della morte fino
al sacrificio della vita.
La reazione suscitata dall'omicidio di padre Puglisi e' stata intensa ma
tutto sommato inadeguata. Alcuni preti hanno scritto al papa chiedendogli
"un forte segno della sua presenza tra noi come conferma e guida in questo
cammino difficile ed ogni giorno piu' rischioso", ma il papa non e'
ritornato, se non due anni dopo per il convegno nazionale delle chiese
tenutosi a Palermo nel novembre del 1995.
Si puo' dire che, al di la' dell'emozione del momento, non si e' colta la
valenza del delitto, che era rivolto contro quel tipo d'impegno, vissuto
quotidianamente in contatto con il territorio, quindi non solo contro gli
uomini di Chiesa piu' attivi ma contro tutta la societa' civile. La Curia
non si e' costituita parte civile al processo, e non lo hanno fatto neppure
la parrocchia e il Centro "Padre nostro". Hanno tentato di costituirsi parti
civili alcune associazioni ma la loro richiesta e' stata respinta.
[Estratto da Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Editori
Riuniti, Roma 2000, pp. 307-308. L'autore, fondatore e direttore del Centro
Impastato di Palermo, e' il piu' importante studioso della mafia ed uno dei
principali protagonisti del movimento antimafia. Segnaliamo che la
"Associazione intercondominiale quartiere Brancaccio" ha annunciato la sua
costituzione come parte civile in occasione del dibattimento fissato per il
23 ottobre prossimo; cfr. l'articolo di Pino Martinez in "La nonviolenza e'
in cammino" n. 219 del 5 settembre scorso].
*
Un estratto da: Saverio Lodato, Dall'altare contro la mafia
Sembrava (...) che nessun potere avrebbe mai avuto il coraggio di sfidare i
clan di Brancaccio, sin quando nella parrocchia di san Gaetano, al centro
della borgata, non giunse un parroco apparentemente piccolo piccolo. Si
chiamava Pino Puglisi.
Don Pino e' stato l'unica autentica spina nel fianco, per boss che non
avevano mai incontrato sul loro cammino un oppositore vero, uno che avesse
il coraggio di guardarli negli occhi. Ho gia' avuto modo di dirlo: per noi
giornalisti, sino al giorno della sua tragica scomparsa, don Pino Puglisi
era un illustre sconosciuto. Non avevamo idea di quanto fosse prezioso il
lavoro sotterraneo che stava conducendo in una delle borgate a piu' alta
densita' mafiosa di tutta la citta'. Non lo tenevamo d'occhio perche'
raramente aveva fatto parlare di se' e mai aveva fatto notizia. (...) Chi
era veramente quel prete apparentemente piccolo piccolo?
Testimonianze ne ho raccolte tante, e sono concordanti. Tutti quelli che lo
hanno conosciuto lo descrivono come umile, dolcissimo, ma anche capace di
usare il pugno di ferro. Non accettava imposizioni. Rifiutava le situazioni
ambigue giustificate da una lunga pressi che nessuno, prima di lui, aveva
osato mettere in discussione. Si ribellava, con lo stesso spirito
combattivo, sia alle spaventose condizioni di vita degli abitanti della sua
parrocchia, sia a tutti quei gruppi organizzati che, a vario titolo, avevano
interesse al mantenimento della palude. Era giunto a Brancaccio nel 1990.
Nei tre anni trascorsi alla guida di san Gaetano non fece mai nulla per
mantenere le vecchie regole del gioco. Fece di tutto per sovvertirle.
[Brani estratti da Saverio Lodato, Dall'altare contro la mafia, Rizzoli,
Milano 1994, pp. 133-135. Questo libro e' opera di uno dei giornalisti che
piu' hanno contribuito ad una informazione corretta ed alla lotta contro il
potere mafioso; Lodato e' autore tra l'altro di un libro molto noto, cronaca
giornalistica che si avvicina alla storiografia, che nella sua piu' recente
edizione aggiornata si intitola Venti anni di mafia, Rizzoli, Milano 2000.
Nell'introduzione di Dall'altare contro la mafia, Lodato scrive (alle pp.
12-13): "Questo libro che avete appena cominciato a leggere parlera' solo di
un delitto: l'uccisione di padre Pino Puglisi, parroco della borgata
Brancaccio a Palermo"].
*
Luigi Ciotti: La parabola di don Pino
"Entrato nella città di Gerico, Gesu' la stava attraversando" (Lc 19, 1).
Gesu' percorreva quelle strade attento non soltanto a incontrare la folla
che gli era attorno, ma anche a chi, a causa della ressa, non riusciva a
vederlo: Zaccheo. Un Gesu' che attraversa le strade del suo tempo e',
probabilmente, il piu' bel ricordo di don Giuseppe Puglisi ucciso a Palermo
esattamente un anno fa, nel giorno del suo compleanno.
Lo hanno ucciso in "strada". Dove viveva, dove incontrava i "piccoli", gli
adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la
propria condotta, si rendevano responsabili di illegalita', soprusi e
violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perche' un modo cosi'
radicale di abitare la "strada" e di esercitare il ministero del parroco e'
scomodo. Lo hanno ucciso nell'illusione di spegnere una presenza fatta di
ascolto, di denuncia, di condivisione. Ricordare quel momento significa non
soltanto "celebrare", ma prima di tutto alzare lo sguardo, far nostro
l'impegno di don Giuseppe, raccogliere quell'eredita' con la stessa
determinazione, con identica passione e uguale umilta'.
Cosa ci ha consegnato don Giuseppe? Innanzitutto il suo modo di intendere e
di vivere la parrocchia, di essere parroco. Non ha pensato, infatti, la
parrocchia unicamente come la "sua" comunita' di fedeli, come comunita' di
credenti slegata dal contesto storico e geografico in cui e' inserita. L'ha
vissuta, prima di tutto, come territorio, cioe' come persone chiamate a
condividere uno spazio, dei tempi e dei luoghi di vita. Per partecipare alla
vita di chi gli era vicino ha accettato di percorrere e ripercorrere le
strade del rione Brancaccio. Ha vissuto la strada - quella strada che Gesu'
ha fatto sua - come luogo di poverta', di bisogni, di linguaggi, di
relazioni e di domande in continua trasformazione. L'ha abitata cosi' e ha
tentato, a ogni costo, di restarvi fedele. In altre parole, ha incarnato
pienamente la poverta', la fatica, la liberta' e la gioia del vivere, come
preti, in parrocchia. Con la sua testimonianza don Pino ci sprona a
sostenere quanti vivono questa stessa realta' con impegno e silenzio. Non il
silenzio di chi rinuncia a parlare e denunciare, ma quello di chi, per la
scelta dello "stare" nel suo territorio, rifiuta le passerelle o gli inutili
proclami.
"Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi e' il Regno dei
cieli" (Mt 5, 10). Anche questo ci ha consegnato don Giuseppe: una grande
passione per la giustizia, una direzione e un senso per il nostro essere
Chiesa e soprattutto un invito per le nostre parrocchie ad alzare lo
sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi per perseguire quella
giustizia e quella legalita' che tutti, a parole, desideriamo. Per questo
don Giuseppe e' morto: perche' con l'ostinata volonta' del cercare giustizia
e' andato oltre i confini della sua stessa comunita' di credenti.
"Entrato in casa di uno dei capi dei farisei, Gesu'..." (Lc 14, 1). Ecco un
altro aspetto ricco di significati. Al di la' dei princìpi o delle roboanti
dichiarazioni cio' che conta e' la capacita' di viverli e di praticarli
nella quotidianita'. Don Puglisi non e' stato ucciso perche' dal pulpito
della sua chiesa annunciava princìpi astratti, ma perche' ha voluto uscire
dalla loro genericita' per testimoniarli nella vita quotidiana, dove le
relazioni e i problemi assumono la dimensione piu' vera.
Tre dimensioni, tre consegne e tre aspetti che rendono questa ricorrenza
estremamente ricca e significativa. Tre messaggi perche' le nostre
parrocchie e quanti in esse lavorano possano essere sostenuti con gli
strumenti necessari.
[Questo testo e' apparso dapprima nel quotidiano "Avvenire" il 15 settembre
1994, poi e' stato ristampato in Luigi Ciotti, Persone, non problemi,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994, pp. 72-73; da li' lo abbiamo ripreso.
Don Luigi Ciotti, come e' noto, e' il fondatore del Gruppo Abele di Torino,
ed il presidente di "Libera", l'associazione di associazioni impegnate
contro la mafia].

4. RIFLESSIONE. DAVID BIDUSSA: UNA RIFLESSIONE SULL'OTTO SETTEMBRE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 settembre 2003. David Bidussa, studioso
e saggista di grande finezza e rigore, e' direttore della biblioteca della
Fondazione Feltrinelli di Milano. Opere di David Bidussa: Ebrei moderni,
Bollati Boringhieri, Torino 1989; Oltre il ghetto, Morcelliana, Brescia
1992; Il sionismo politico, Unicopli, Milano 1993; Il mito del bravo
italiano, Il Saggiatore, Milano 1994; La France de Vichy, Feltrinelli,
Milano 1996; Identita' e storia degli ebrei, Franco Angeli, Milano 2000]
Da circa un quindicennio, l'8 settembre - in particolare e simbolicamente a
partire dal discorso con cui l'onorevole Luciano Violante ha inaugurato,
l'11 maggio del 1996, la sua presidenza alla camera dei deputati - ha
assunto una rilevanza che per molto tempo non ha avuto e un ruolo che per
lungo tempo non ha ricoperto. Non sarebbe inutile chiedersi perche'. Magari
riusciremmo ad individuare un paradigma capace di spiegare le regolarita' -
e dunque le costanti - del nostro quadro nazionale: un paese diviso, senza
una guida precisa, complessivamente allo sbando, che si trova per mille
traversie a riscoprire o a ritrovare un senso collettivo di appartenenza.
In questo senso collettivo da ritrovare - da ritrovare e non da rifondare
come invece sarebbe appropriato dire per definire tutti quegli eventi in cui
la soggettivita' degli attori in campo decide e pesa sulle fisionomie
future - molte delle ipotesi successive sono gia' precostituite: gli attori
o i moventi sociali e culturali che lavorano per la ricostruzione di
un'appartenenza nazionale altrimenti "priva di radici"; il ritrovamento di
un senso di pieta' e di solidarieta'; la ridefinizione di un'identita'
collettiva.
L'8 settembre appare piu' come una data da riconnettere all'interno di una
scelta di lunga durata che si conclude con il 18 aprile 1948 - una lunga
traversia in cui si consuma una definizione di "guerra civile" possibilmente
non cruenta - e che sancisce la divisione strutturale in due di un paese che
surrettiziamente il fascismo aveva unificato e che, altrettanto
surrettiziamente, aveva mandato all'opposizione. Un paese che doveva
ritrovare la sua identita'.
L'8 settembre sarebbe dunque questo: il lento passaggio verso una forma
canonica di democrazia politica che ritrova il senso della propria
tradizione e che per questo deve consumare alcune rotture. La prima con la
cultura politica della dittatura che ha retto il paese per venti anni; la
seconda con una parte di quello schieramento che rese possibile quella
rottura ma che non fu legittimato o autorizzato a governarla.
In questo quadro, tuttavia, molte cose non tornano o rischiano di essere
costruite solo a posteriori.
*
Gran parte della storia nazionale italiana del Novecento si regge su figure
e su date mitogeniche. L'8 settembre rientra tra queste. Tuttavia per
spiegarle o almeno per tentare di comprenderle noi oggi disponiamo di ben
pochi strumenti. Soprattutto se ci limitiamo a considerarle nella loro
assolutezza evenemenziale, ovvero nel loro puro accadimento fattuale.
Dobbiamo allora cercare di comprenderle dentro un quadro afferente la sfera
della mentalita'.
All'indomani del discorso di Violante in parlamento (un testo che trova
molte parti politiche concordi e che viene assunto come luogo retorico che
"ricompone" quella divisione sotterranea della societa' politica italiana
ancora post-resistenziale, luogo retorico-politico che sancisce un
metamorfosi o permette una mutazione), Luigi Pintor scriveva a proposito di
coloro che avevano fatto la scelta di Salo' come figure incomprensibile da
spiegare: "Erano miei compagni di scuola, i ragazzi e le ragazze di Salo'.
Non erano misteriosi, erano figli del fascismo e hanno continuato a fare
cio' che gli era stato insegnato. Oppure erano coscritti, dopo l'8 settembre
non c'erano le truppe americane ma le accoglienti divisioni tedesche. Di
fronte al Senato ho rivisto per caso alzando gli occhi la lapide che ricorda
Persichetti, un ragazzo di Porta S. Paolo. Questo si' che e' un mistero,
come gli sara' venuto in mente di andare a morire da solo contro un intero
esercito? Tutto era perduto per lui in quei giorni, come avra' fatto a
ritrovare l'identita'?" (Luigi Pintor, I ragazzi di Salo', ne "Il manifesto"
del 14 maggio 1996).
Noi sappiamo oggi che parte di quel possibile percorso era anche un
travaglio personale di Luigi Pintor e della sua maturazione e nelle pagine
di Servabo (Bollati Boringhieri, 1991) quel senso della identita' trovava
nella forma della narrazione una sorta di rendiconto tardivo.
E tuttavia quella domanda rimane sul tappeto. Se l'8 settembre non e' la
morte della patria allora cos'e'? E se non e' solo la somma di storie
individuali (che pure spiegano o contribuiscono a spiegare un paese nei suoi
luoghi profondi) che cos'e' allora l' 8 settembre? E perche' fa paura?
C'e' una storia prima dell'8 settembre che noi dovremmo interrogare e che
non e' determinata o segnata solo da cio' che si viene a determinare dopo.
Chi ragiona sull'8 settembre come paradigma del sentimento nazionale svolge
un ragionamento bifronte e bifunzionale: se da un lato legge l'esito finale
della guerra civile come la conferma di un paradigma nazionale e cosi'
facendo allude a un 8 settembre scontato e indolore, dall'altro - di fronte
agli strappi e ai violenti eventi di cui fu costellata la Resistenza - non
puo' che considerare quella stessa data come "una disgrazia", un punto
oscuro della storia.
Che cosa si cela e si accredita intorno a quella data e che valore ha cio'
che si manifesta in forma non casuale ne' marginale, intorno a quei giorni?
Che cosa non e' qualificabile come un mero incidente di percorso in quella
data?
*
Chi si precipita in piazza il 26 luglio e' la' per ascoltare delle parole
che allora nessuno pronuncia e che saranno concretamente vere solo l'8
settembre. Gli uomini e le donne che scendono per le strade e che abbattono
i simboli del regime si aspettano, il 26 luglio, solo una parola:
"Armistizio". Ma questa parola non viene mai pronunciata (al suo posto
verra' detto: "La guerra continua"). Perche' pronunciare questa parola
avrebbe voluto dire, l'8 settembre, uccidere la patria? L'8 settembre non
muore la patria: muore lo Stato, inteso come luogo e come simbolo che
vincola individui e che li rende sudditi, luogo e simbolo che garantisce
sicurezza in cambio di limiti alla liberta' individuale. L'8 settembre muore
il vincolo tra cittadino e Stato, tra suddito e governo. Un governo che non
protegge e che - non solo fugge e si dissolve - ma diserta il proprio ruolo
preparando furbescamente la sua stessa fuga.
Molti indizi indicano come quel rapporto si fosse consumato da tempo -
almeno da un anno - e certamente la vicenda bellica non permise al regime
alcun recupero di consenso. E tuttavia l'8 settembre non e' tanto la fine
della fiducia da parte dei sudditi, e' la presa d'atto che una nuova chance
si apre e che quella chance include la percezione della rottura del vincolo
di sudditanza.
In altre parole cio' che si consuma l'8 settembre e' l'eclissi dello Stato.
Tra il 3 e l'8 settembre si dissolve quel paradigma su cui - con Hobbes
nelle pagine del Leviatano - si era espresso il vincolo tra cittadino e
Stato. E, con esso, la garanzia di una sfera di liberta' per il cittadino.
Nella struttura dell'argomentazione della liberta' proposta da Hobbes nel
Leviatano, l'idea di liberta' che e' possibile rintracciare parte dall'idea
che l'obbedienza, fondata sulla meccanica della paura, permette agli
individui non solo di riconoscere un potere da cui discendono, ma anche di
riconoscere la legittimita' del patto sottoscritto a propria difesa. Sono i
temi che Hobbes sottolinea nel capitolo dedicato alle forme del contratto.
Ora questo aspetto include che si possa scegliere e dunque si possa
considerare il proprio patto di fedelta' rispetto allo Stato dissolto. Cio'
significa la possibilita' di cercare altre fedelta', di costruire altre
solidarieta', di organizzare diverse e differenti reti di lealta'.
Niente impedisce che l'8 settembre alcuni vadano sui monti, altri a Salo' e
altri - la maggioranza - decidano di rimanere in disparte e cosi' di
maturare una dimensione di resistenza civile o di indifferenza. Vera e
propria "zona grigia", secondo una distinzione che con acume ha proposto
Claudio Pavone. Da un lato, dunque, un atteggiamento che implica una rivolta
non contrassegnata da scelta militarmente combattente ma che non concede
all'avversario alcuna sponda e zona grigia. Dall'altro coloro che "non
vollero essere ribelli all'oppressione e alla persecuzione".
Ma l'8 settembre implica la legittimita' della responsabilita' politica
dell'individuo che si impossessa - o meglio si reimpossessa - della
possibilita' di scegliere. E dunque di riconoscere non allo Stato
astrattamente inteso - allo Stato Maggiore, o al detentore del contratto e
del vincolo di protezione - la possibilita' di garantire e di sorvegliare la
sua incolumita' e la sua liberta'.
L'8 settembre sancisce in altri termini il diritto alla rivolta.
*
Perche' questo atto si accredita come la "morte della patria"? Quando la
patria non e' morta? La patria non e' morta a Caporetto perche' non ci fu
abbandono del fronte? E l'abbandono del fronte non ci fu perche' la retorica
e la mitologia della reconquista, del "ritorno" entro i propri confini di
territori "italiani" era ancora sentita come garanzia di scelta patriottica?
Tutti i dati di ricerca sulle forme del sentimento collettivo di identita'
durante la Prima guerra mondiale ci dicono il contrario e ci raccontano di
una truppa stanca, demotivata, comunque non "scaldata" dal mito della
reconquista. E tuttavia, allora, il sistema non crollo'.
Perche' Caporetto non apre a un collettivo "tutti a casa!" come l'8
settembre? Come avviene l'incontro tra mobilitazione di massa e propaganda?
Perche' la grande guerra riesce ad essere un'esperienza collettiva? In che
cosa si misura la sua sensibilita'? E per converso perche' un regime che
pure della Marcia su Roma ha fatto un mito, con quel mito non riesce a
vivere, e anzi di fatto lo rimuove se non per celebrarlo solo come ricordo -
mai come evento nazionale, come fondazione della nazione? In tutti e due i
casi, in questione, non e' lo spessore coinvolgente o meno di un evento che
sarebbe solo la spia indiziaria degli stati di sensibilita' pubblica, di
qualcosa che viaggia per intermittenza. In questione, piuttosto e' la sua
stessa solidita' o la superficialita': non tanto rispetto a un codice
proprio quanto alla possibilita' di fondare un codice comune di
riconoscimento.
Se dunque l'8 settembre viene proposto come fine di un mondo e' perche'
allora convergono nel suo accadere due eventi tra di loro non coincidenti
nella storia d'Italia e nella sua costruzione iconografica: la dissoluzione
di un sistema di comando e la percezione che non ci siano immediate
soluzioni alternative di continuita' dello Stato a cui richiamarsi. Nella
storia italiana solo in altre due occasioni si ripete lo stesso
marchingegno: nel corso della costruzione delle repubbliche giacobine
quando - a differenza del ceto nobiliare che pure per certi aspetti aveva
espresso un'ipotesi di ricambio ma non di ridefinizione del rapporto tra
sudditi e governo - si propone la questione di una forma di governo che
prescinda dai quadri consolidati delle grandi famiglie di potere; e nel
corso della discussione politica risorgimentale quando il confronto tra le
riforme possibili implichera', a sua volta, una riflessione sulle forme
dello sviluppo. Con le quali non sara' paradossalmente Cattaneo ("nome" piu'
che "mito") a confrontarsi ma Cavour e Pisacane che proporranno un possibile
processo di emancipazione politica ed economica. Se il primo vincera' sara'
solo al prezzo di eliminare quel profilo di autoriforma che pure aveva
caratterizzato una parte dei suoi scritti economici tra gli anni '30 e '40
(su cui non casualmente in Italia nessuno discute scegliendo e privilegiando
un Cavour solo homo politicus) e grazie all'accantonamento della sua
propensione per il modello industriale inglese, una propensione che gli
avrebbe di certo alienato un ceto politico che era prima di tutto grande
proprietario terriero.
*
Questo indipendentemente dal fatto che la Resistenza abbia avuto o meno il
carattere di "secondo Risorgimento" (immagine su cui a lungo ha riflettuto
criticamente Claudio Pavone, si veda il suo Alle origini della repubblica,
Bollati Boringhieri).
Se ieri nella Resistenza come "secondo Risorgimento" poteva essere respinta
l'idea o l'immagine di costruzione nazionalistica, di espulsione dalla
storia nazionale del fascismo (ovvero la richiesta implicita di non fare i
conti con un prodotto proprio e originale della storia italiana moderna),
oggi nella dimensione addomesticata dell'8 settembre, nel rifiuto di
considerarlo un momento di dissoluzione, ma nel privilegiarne l'aspetto di
continuita' e dunque di scelta "occidentale" a fronte del pericolo
proveniente da est, torna per converso anche una messa in mora del
Risorgimento, come scelta di cultura politica laica o comunque di tentativo
di fondare una Italia laica, non confessionale, all'interno della quale la
questione cattolica (nel gergo dei risorgimentali la "questione romana") non
costituisce un vincolo o non inibisce un esito. In quel segno stava anche
una scelta di rottura su cui non sarebbe errato riflettere e su cui si e'
spesso meditato con un occhio tatticistico.
Insomma, come a dire che l'8 settembre allude a una vicenda lunga: quella in
cui soggetti a lungo espropriati della politica e marginali rispetto agli
scenari della decisione tentano di entrare e di proporre alcune soluzioni o,
almeno, alcuni atti che rendano obbligate delle decisioni. In breve dei
disturbatori del manovratore. Esattamente il contrario di cio' che a lungo
e' stato l'adagio della formula dell'italianita' come ricetta per il" buon
governo".

5. MAESTRE. MARIA ZAMBRANO: MA L'ESSERE UMANO DOVREBBE
[Da Maria Zambrano, Chiari del bosco, Feltrinelli, Milano 1991, p. 154.
Maria Zambrano, insigne pensatrice spagnola (1904-1991), allieva di Ortega y
Gasset, antifranchista, visse a lungo in esilio. Tra le sue opere tradotte
in italiano cfr. almeno Spagna: pensiero, poesia e una citta', Vallecchi,
Firenze 1964; I sogni e il tempo, De Luca, Roma 1964; Chiari del bosco,
Feltrinelli, Milano 1991; I beati, Feltrinelli, Milano 1992; La tomba di
Antigone. Diotima di Mantinea, La Tartaruga, Milano 1995; Verso un sapere
dell'anima, Cortina, Milano 1996; La confessione come genere letterario,
Bruno Mondadori, Milano 1997; All'ombra del dio sconosciuto, Pratiche,
Milano 1997. Opere su Maria Zambrano: un buon punto di partenza e' il
fascicolo monografico Maria Zambrano, pensatrice in esilio, "Aut aut" n.
279, maggio-giugno 1997]
La ragione razionalista, schematizzata - e nel suo uso strumentale piu'
ancora che nei testi originari della corrispondente filosofia - fornisce un
unico mezzo di conoscenza. Un mezzo adeguato a cio' che gia' e' o che ad
essere si avvia con certezza; alle "cose" insomma, tali come appaiono e noi
riteniamo che siano. Ma l'essere umano dovrebbe recuperare altri mezzi di
visibilita' che la sua mente e i suoi stessi sensi reclamano per averli gia'
posseduti una volta poeticamente, o liturgicamente, o metafisicamente.

6. MAESTRE. SIMONE DE BEAUVOIR: DUE MANIERE DI ABDICARE
[Da Simone de Beauvoir, Memorie di una ragazza perbene, Einaudi, Torino
1960, 1994, p. 300. Simone de Beauvoir e' nata a Parigi nel 1908; e' stata
protagonista, insieme con Jean-Paul Sartre, dell'esistenzialismo e delle
vicende della cultura, della vita civile, delle lotte politiche francesi e
mondiali dagli anni trenta fino alla scomparsa (Sartre e' morto nel 1980,
Simone de Beauvoir nel 1986). Antifascista, femminista, impegnata nei
movimenti per i diritti civili, la liberazione dei popoli, di contestazione
e di solidarieta', e' stata anche lucida testimone delle vicende e degli
ambienti intellettuali di cui e' stata partecipe e protagonista. Opere di
Simone de Beauvoir: pressoche' tutti i suoi scritti sono stati tradotti in
italiano e piu' volte ristampati; tra i romanzi si vedano particolarmente:
Il sangue degli altri (Mondadori), Tutti gli uomini sono mortali
(Mondadori), I mandarini (Einaudi); tra i saggi: Il secondo sesso (Il
Saggiatore e Mondadori), La terza eta' (Einaudi), e la raccolta Quando tutte
le donne del mondo... (Einaudi). La minuziosa autobiografia (che e' anche un
grande affresco sulla vita culturale e le lotte politiche e sociali in
Francia, e non solo in Francia, attraverso il secolo) si compone di Memorie
d'una ragazza perbene, L'eta' forte, La forza delle cose, A conti fatti, cui
vanno aggiunti i libri sulla scomparsa della madre, Una morte dolcissima, e
sulla scomparsa di Sartre, La cerimonia degli addii, tutti presso Einaudi.
Opere su Simone de Beauvoir: Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova
Italia, Firenze 1982 (cui si rinvia per una bibliografia critica ragionata)]
Amavo le lacrime, la speranza, il timore. Quando Clairaut, il giorno dopo,
fissandomi negli occhi mi disse: - Voi farete una tesi su Spinoza; non c'e'
che questo nella vita: sposarsi e fare una tesi -, m'inalberai. Far
carriera, andare a letto: due maniere di abdicare.

7. GIUSTIZIA. PRESENTATA OPPOSIZIONE ALLA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE
DELL'ESPOSTO SUI "TRENI DELLA MORTE"
[Pubblichiamo il testo del comunicato diffuso ieri dal Centro di ricerca per
la pace di Viterbo. Il testo dell'opposizione, quello dell'esposto e vari
documenti collegati abbiamo gia' pubblicato nei giorni scorsi]
Il direttore del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo ha depositato
presso il Tribunale di Pisa atto di opposizione alla richiesta di
archiviazione dell'esposto che denunciava l'illegalita' dei trasporti di
armi americane in territorio italiano avvenuti in preparazione della guerra
illegale, criminale e stragista tuttora in corso in Iraq.
Il responsabile della struttura viterbese chiede che si effettuino adeguate
indagini fin qui non svolte, e si giunga alla formulazione dei capi
d'imputazione nei confronti dei responsabili di quei trasporti finalizzati
alla commissione di un crimine esplicitamente proibito sia dalla
Costituzione della Repubblica Italiana, sia dal diritto internazionale.
Nell'atto di opposizione Il direttore del "Centro di ricerca per la pace" di
Viterbo sottolinea anche che la cooperazione italiana a una guerra illegale,
criminale e stragista, prima con le dissennate e golpiste dichiarazioni di
avallo di autorevoli esponenti governativi; poi col favoreggiamento
all'invio attraverso il territorio italiano di armi utili alla guerra
illegale ed alla commissione di crimini di guerra e crimini contro
l'umanita' di cui essa e' consistita; infine con l'invio di militari
italiani nell'Iraq in cui la guerra e' tuttora in corso (ennesima flagrante
violazione della Carta Costituzionale), espone altresi' l'Italia a divenire
oggetto sia di atti di guerra sia di attentati terroristici.
A seguito della presentazione dell'atto di opposizione la magistratura
pisana dovra' valutare se far proseguire il procedimento avviato
dall'esposto presentato il 24 febbraio 2003 dal direttore del "Centro di
ricerca per la pace" di Viterbo.
*
Il direttore del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo ha dichiarato:
"Possa la magistratura italiana far piena luce sull'accaduto, possa far
valere la forza del diritto di contro al crimine.
Possa la magistratura italiana applicando rigorosamente le leggi italiane
far prevalere le ragioni del diritto, della civilta' e dell'umanita'.
Possa la magistratura italiana secondo le competenze attribuitele
dall'ordinamento esprimere nitido un giudizio di condanna nei confronti del
crimine piu' grande che possa darsi: la commissione di stragi di cui la
guerra consiste, la violazione del diritto italiano ed internazionale di cui
la guerra in corso e' ignobile esempio, la preparazione ed il
favoreggiamento di stragi, preparazione e favoreggiamento che quel trasporto
di armi avvenuto in Italia mesi fa con tutta evidenza configura.
Possa la magistratura italiana difendere la legalita' costituzionale e
perseguire coloro che per favoreggiare il crimine della guerra l'hanno
proditoriamente violata e ne hanno consentito la violazione.
Possa la magistratura italiana difendere il diritto ad esistere di tutti gli
esseri umani esprimendo un cogente giudizio di condanna nei confronti di chi
vite umane ha criminalmente soppresso e di chi ha contribuito a preparare
quella soppressione di vite umane.
Prevalga la legge, sia sconfitta la barbarie".

8. DOCUMENTAZIONE. APPELLO PER IL FORUM E LA MANIFESTAZIONE A ROMA IL 3-4
NOVEMBRE
[Riceviamo e diffondiamo questo appello delle organizzazioni e i movimenti
italiani del Forum sociale europeo. Al di la' della retorica e del
politicantese tipici di questo genere di scritture, tra varie cose
ragionevoli e qualcuna scarsamente meditata, dispiace ed e' sintomatico che
ancora una volta manchi il benche' minimo riferimento alla scelta della
nonviolenza: e questo silenzio su una scelta logico-assiologica, ermeneutica
e metodologica, operativa e programmatica semplicemente fondamentale,
purtroppo la dice lunga sui limiti, le ambiguita', le contraddizioni e gli
errori che ancora offuscano, indeboliscono e rendono poco credibile e ancor
meno efficace tanta parte del movimento per la pace e la giustizia]
Il 4 ottobre si apre a Roma la conferenza Intergovernativa. I capi di stato
e di governo dell'Unione Europea, capitanati da Silvio Berlusconi,
proveranno a tradurre in trattati costituzionali il risultato della
Convenzione.
All'Europa liberista e del patto di stabilita', all'Europa che alza i muri
contro i migranti e che, senza assumere il ripudio della guerra, lavora
invece alla costituzione dell'esercito europeo, il 4 ottobre noi opporremo
un'altra Europa: quella dei popoli e della pace, l'Europa del Forum sociale
europeo e del 15 febbraio.
La nostra Europa si basa su alcuni semplici principi: e' antiliberista,
ripudia la guerra e tutti i razzismi, fa della democrazia e della
partecipazione valori fondanti.
E' l'Europa che difende i beni e i servizi pubblici, lo stato sociale, il
lavoro. E dunque si batte contro gli attacchi alle pensioni, la
mercificazione della scuola, della salute, della cultura, e contro la
progressiva precarizzazione della vita intera. La nostra Europa e' l'Europa
dei diritti sociali, a partire dal diritto al lavoro, al reddito e a una
esistenza dignitosa.
E' una Europa che privilegia la costruzione di spazi pubblici, in cui la
societa' sostenibile e il rispetto dell'ambiente siano punti inaggirabili e
dove le differenze di genere, le identita' sessuali e le liberta' civili non
siano negoziabili.
E' l'Europa che ripudia le guerre senza se e senza ma.
Contraria all'aumento delle spese militari e all'ipotesi di un esercito
europeo, la nostra Europa lavora per la pace nei luoghi di conflitto, con le
missioni civili e la solidarieta' internazionale. La nostra Europa lavora
per la pace anche qui, dove la guerra viene alimentata: per questo abbiamo
manifestato il 15 febbraio, per questo teniamo appese ai balconi le bandiere
della pace.
Per questo vogliamo la fine dell'occupazione militare in Iraq e il ritiro
delle truppe italiane, cosi' come da tempo chiediamo la fine
dell'occupazione della Palestina.
La nostra e' l'Europa della cittadinanza universale. Dove non esistono
discriminazioni di razza, di religione e di sesso. Una Europa aperta,
accogliente, senza centri di detenzione e in cui nessuno e nessuna e'
straniero o straniera.
La nostra e' l'Europa della partecipazione: locale, nazionale,
sopranazionale. L'esperienza della democrazia partecipativa non ha nulla a
che vedere con il metodo oligarchico adottato dalla Convenzione presieduta
da Giscard d'Estaing.
Dopo Firenze, dopo il 15 febbraio e il 12 aprile, mentre ci avviciniamo al
forum sociale europeo di Parigi, il 4 ottobre daremo un nuovo impulso a un
processo costituente per un'altra Europa. Un processo aperto, comprensivo
delle forme piu' articolate del conflitto sociale, delle diverse
soggettivita' e dei tanti movimenti che compongono il nostro movimento. Un
processo che valorizzi le resistenze sociali e i progetti alternativi. Un
processo che culmini nel 2004 con la convocazione degli stati generali
dell'altra Europa.
Facciamo appello alla molteplicita' della societa' civile, alle forze
sociali e politiche, con cui in questi anni abbiamo incrociato strade e
percorsi, a costruire insieme questo appuntamento: ci rivolgiamo a coloro
che hanno realizzato il forum sociale europeo di Firenze e il 15 febbraio,
per avviare un confronto perche' il 4 ottobre sia una giornata fondativa
dell'altra Europa.
Appuntamento a Roma: venerdi' 3 ottobre: forum internazionale dell'altra
Europa; sabato 4 ottobre: manifestazione nazionale.
Questo impegno vivra' anche in altre mobilitazioni. Ci sono infatti altri
appuntamenti, eventi, scadenze di lotta, percorsi diversi che intendiamo
promuovere, sostenere e attraversare, dopo le giornate di mobilitazione di
Riva del Garda e la mobilitazione internazionale di Cancun per fermare il
Wto: le mobilitazioni in occasione dei tanti vertici europei che si
svolgeranno quest'anno in Italia, da quello di Roma per le politiche
abitative del 30 e 31 ottobre a di San Patrignano il 5 e 6 ottobre in
occasione del vertice dei ministri dell'Istruzione e degli affari sociali;
le mobilitazioni che fanno vivere questi contenuti: la marcia Perugia-Assisi
del 12 ottobre; la giornata di mobilitazione sulla scuola contro la riforma
Moratti il 26 settembre; lo sciopero generale della Fiom il 17 ottobre; gli
appuntamenti del movimento internazionale: il forum sociale europeo di
Parigi a novembre; il forum sociale mondiale a Mumbai in India nel gennaio
2004.
Le organizzazioni e i movimenti italiani del Forum sociale europeo.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
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LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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Numero 672 del 13 settembre 2003