[RECENSIONE] Buongiorno, notte



Sono andata a vedere

Buongiorno, notte
regia di Marco Bellocchio - con Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Pier Giorgio
Bellocchio, Giovanni Calcagno, Paolo Briguglia

Lo ammetto, sono entrata al cinema prevenuta.
Non e' un atteggiamento onesto nell'avvicinarsi a un film, ma tant'e'...
alla televisione ho ascoltato con fastidio le dichiarazioni di Bellocchio
e dello staff di RaiCinema dopo il Leone d'Oro di Venezia, mi ha lasciato
l'amaro in bocca sentire le minacce di boicottaggio della Mostra per la
mancata premiazione, mi e' sembrata una mancanza di stile non banale.

E non nascondo che mi ha stupito vedere l'entusiasmo con cui questo film
e' stato promosso e pubblicizzato.
Mi dico che c'e' qualcosa che non funziona. "Buongiorno, notte" esce a
pochi mesi da un'altra pellicola sul caso Moro, molto meno pubblicizzata e
presto uscita dalle sale, "Piazza delle cinque lune"
www.piazzadellecinquelune.it, del regista Renzo Martinelli (quello di
Porzus e Vajont, tanto per intenderci...) che ha dedicato piu' di due anni
alla realizzazione di un lavoro minuzioso e documentato sul caso Moro, le
persone coinvolte, le ipotesi fatte, i fatti, le dichiarazioni, le
organizzazioni.
Un lavoro, quest'ultimo, che presenta una tesi, un intreccio di relazioni
che offre una interpretazione del caso Moro tutt'altro che banale. Dal
coinvolgimento della CIA all'abbandono dell'onorevole da parte del suo
Partito, dalla partecipazione all'operazione di personaggi estranei alle
BR nell'agguato di via Fani al coinvolgimento dei servizi segreti italiani
nei depistaggi, alle organizzazioni parastatali, Gladio, la destra
eversiva, la P2, la morte di altre persone ricondotta al caso Moro, il
Generale Dalla Chiesa...

Ecco, "Buongiorno, notte" non e' nulla di tutto questo.
Bellocchio afferma di aver girato un sogno, ispirato dal libro "Il
prigioniero" di Anna Laura Braghetti, carceriera di Moro.

E in effetti realta' e sogno, immaginazione, ricordi... sono un tutt'uno
nella mente di Chiara, giovane brigatista ventitreenne che vive
nell'appartamento in cui e' tenuto prigioniero l'onorevole Moro.
E' Chiara a vivere con sofferenza la sentenza di condanna a morte che
viene pronunciata per l'imputato da parte del tribunale del popolo, a
cercare di opporsi, a rivivere in sogno scene della Resistenza in cui i
fascisti mandano a morte i partigiani e ad avvicinarle alla realta' che
sta vivendo. E' Chiara a vedere in Aldo Moro innanzi tutto un uomo, e poi
un politico.
Il contesto anche psicologico in cui il personaggio di Chiara tenta di
essere sviluppato, pero', non mi pare molto convincente.
Bellocchio dice di non aver voluto un film politico o storico: ha voluto
soffermarsi su una duplice tragedia umana, quella di Moro e quella dei
suoi carcerieri. Il caso Moro e' innanzi tutto la storia di un uomo, ed e'
fondamentale tenere sempre a mente che si tratta di una persona: il fatto
che egli fosse soggetto politico non ci autorizza a trattare questa
vicenda con meno compassione e umanita'. Allo stesso tempo questa non e'
solo la storia di un uomo o di un politico, ma di un paese intero: la sua
classe politica, i suoi interessi, i rapporti con le Grandi Potenze, le
ipotesi di infiltrati esterni alle BR, le organizzazioni parastatali, i
dubbi sulla impossibilita' di salvare il rapito...
Come pensare di affrontare una vicenda complessa come questa con una
riflessione romantica che ricorda una sindrome di Stoccolma al contrario?
D'accordo non insistere sulla ricostruzione dei fatti e delle ipotesi,
pero' tradire la realta' dei fatti non e' mai un'operazione meritoria. E
di inesattezze ce ne sono tante.
Non aver letto "Il prigioniero" e' un limite, non riesco a capire dove
termina il racconto della Braghetti e dove inizia l'immaginazione di
Bellocchio. Leggere le riflessioni di una protagonista e ripercorrerle
puo' avere un senso, mentre la pura invenzione/immaginazione di un regista
ne ha un altro.
Non mi convince fino in fondo nemmeno il dramma umano della giovane
vivandiera con le crisi di coscienza, perlomeno non mi convince per come
e' raccontato nel film, sapendo poi che quella stessa sognatrice avra' la
freddezza di uccidere ancora, due anni dopo, e di suo pugno.

Il mio atteggiamento prevenuto, forse, deriva anche da qualche articolo
letto qua e la', in cui ho trovato l'aggettivo "pacificatore" per
descriverlo. In effetti una pellicola sul caso Moro che non scomoda
nessuno, che non tira in ballo alcuna responsabilita' politica o quasi: un
modo molto soft per ricordare l'uomo e la sua tragedia. Un filmone
politically correct, che getta anche una luce di umanita' sui carcerieri,
davvero un film che ha una parola buona per i cattivi e nessuna parola di
rimprovero per i cosiddetti buoni.
Meglio di cosi' cosa si poteva chiedere a Mamma Rai?

Certamente il sequestro Moro e' stato un dramma umano, oltre che politico.
Non riesco a togliermi dalla mente, pero', che tutta la vicenda - in tutte
le sue sfumature - ha un carattere assolutamente politico e dimenticarlo
non rende giustizia all'uomo, oltre che all'onorevole, Aldo Moro.

Anna