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RossoNotizie n. 39 - 27 agosto 2003
- Subject: RossoNotizie n. 39 - 27 agosto 2003
- From: "associazione culturale punto rosso" <puntorosso at puntorosso.it>
- Date: Sat, 30 Aug 2003 16:31:19 +0200
ROSSONotizieNet numero 39 - 27 agosto 2003 periodico elettronico dell'Associazione Culturale Punto Rosso Sommario Forum e manifestazione nazionale a Riva del Garda contro il Wto per una Europa sociale (4-5-6 settembre 2003) Libera Università Popolare: prossimi corsi - Primo ciclo di corsi monografici sulla democrazia (settembre 2003-febbraio 2004) - Altri corsi del primo semestre (settembre 2003-febbraio 2004) Materiali: - Diario da Ankara: cronaca della quinta e della sesta udienza del processo a Leyla Zana e agli altri deputiati curdi incarcerati in Turchia (a cura di Silvana Barbieri) - Novità Edizioni Punto Rosso 6 settembre 2003 - Manifestazione nazionale "FERMIAMO IL WTO, COSTRUIAMO L'EUROPA SOCIALE!" a Riva del Garda (TN). Siete tutti invititati! Tutte le informazioni e il programma si trovano sul sito: http://www.stopwtoriva2003.org 6 SETTEMBRE 2003 - RIVA DEL GARDA (TN) FERMIAMO IL WTO, COSTRUIAMO L'EUROPA SOCIALE! MANIFESTAZIONE NAZIONALE! Nel prossimo mese di settembre, a Cancun (Messico), l'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) terrà il nuovo vertice. In quella riunione cercherà di far fare un decisivo passo avanti alle politiche neoliberiste per giungere alla totale mercificazione dei beni comuni, alla liberalizzazione dei servizi pubblici, alla riduzione degli spazi e dei diritti collettivi. Il sistema di accordi in corso (Gats sui servizi pubblici,AoA sull'agricoltura, Trips sui brevetti e i farmaci, le new issues sugli investimenti, gli accordi per aree e/o bilaterali), si prefigge la consegna nelle mani delle grandi multinazionali e del capitale finanziario dei servizi essenziali, dall'acqua all'agricoltura, dall'energia ai trasporti, dalla scuola alla sanità. E' l'altra faccia della guerra infinita: da una parte si esercita il dominio militare sui popoli, dall'altra si sottrae loro ricchezza sociale e diritti collettivi. La guerra non è solo militare: vita, diritti e beni comuni sono quotidianamente minacciati dalle politiche neoliberiste che le grandi istituzioni finanziarie (Fondo Monetario, Banca Mondiale, WTO, G8) portano avanti, trasformando beni e servizi collettivi in merci sottoposte alle leggi di mercato, al fine di perpetuare un modello iniquo, fondato sul dominio delle grandi multinazionali e sulla sottrazione di diritti e democrazia per tutti. Ma beni comuni e servizi pubblici sono sotto attacco anche a livello europeo. Vent'anni di "pensiero unico del mercato", la consegna della politica economica comunitaria nelle mani monetariste della Banca Centrale Europea, le politiche di deregulation dei settori di pubblica utilità promosse dai Trattati comunitari di Maastricht, Amsterdam e Cardiff disegnano il volto di un'Europa mercantile e monetaria. Non a caso,è proprio l'Unione Europea a spingere, in seno alle trattative WTO, per la completa liberalizzazione dei beni e servizi pubblici, in particolare dei Paesi poveri (102 richieste presentate in questo senso). Tutto questo va fermato. Dal 4 al 6 settembre, a Riva del Garda (TN), nell'ambito del semestre di presidenza italiana, si terrà il vertice dei Ministri degli Esteri dell'Unione Europea, proprio per mettere a punto la posizione dell'Europa in seno al nuovo round di trattative del WTO, che pochi giorni dopo si aprirà, il 10 settembre, a Cancun in Messico. Come riteniamo illeggittimo il round del WTO di Cancun, che pretende di imporre all'intero pianeta il modello neoliberista, incompatibile con un mondo di pace e di giustizia sociale, riteniamo altrettanto illeggittimo che i Ministri dell'Unione Europea discutano la mercificazione dei beni comuni e la liberalizzazione dei servizi pubblici senza alcuna consultazione dei parlamenti nazionali, senza ascoltare la voce della società civile e dei movimenti. Per questo, a Riva del Garda ci saremo anche noi. Come milioni di persone nel mondo, siamo permanentemente mobilitati per fermare la guerra infinita e per riaffermare i diritti dei popoli ad una vita dignitosa per tutti. Allo stesso modo, come organizzazioni della società civile e dei lavoratori, reti ed associazioni, social forum e comitati popolari lanciamo, in contemporanea con la settimana di mobilitazione internazionale contro il vertice di Cancun, UNA GRANDE MANIFESTAZIONE NAZIONALE SABATO 6 SETTEMBRE A RIVA DEL GARDA (TN) CONTRO IL WTO E PER UN'EUROPA SOCIALE. Nello spirito del Forum Sociale Europeo di Firenze parteciperemo al forum alternativo indetto il 4 e 5 settembre dal Tavolo trentino "Per un'Europa sociale, Riva 2003". Il 6 settembre riempiremo le strade del Trentino con le tinte della pace e della solidarietà e, nel pieno rispetto delle pratiche di movimento, porteremo un pacifico "assedio" al vertice dei Ministri dell'Unione Europea. Perchè un'altra Europa e un altro mondo sono possibili solo a partire dalla non negoziabilità dei beni comuni e dei servizi pubblici, unica garanzia per costruzione di una democrazia sostanziale, fondata su un nuovo concetto di economia pubblica, partecipata e solidale. FERMIAMO IL WTO, PER L'EUROPA SOCIALE! BENI COMUNI, DIRITTI DI TUTTI! TUTTI A RIVA DEL GARDA IL 6 SETTEMBRE! LUP - LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE Riprendono i Corsi della Libera Università popolare, l'università per tutti. La Lup - Libera Università Popolare è completamente autofinanziata. Tutti i nostri relatori (dai giovani studiosi ai professori universitari) insegnano gratuitamente, fatto salvo il rimborso delle spese. Per questo i corsi, riservati agli associati (3 Euro per la tessera annuale che vale da settembre 2003 a giugno 2004), hanno una minima quota di iscrizione (15-20 Euro per i blocchi da 4 lezioni; 25-35 Euro per i blocchi da otto lezioni). è comunque nostra ferma intenzione non respingere nessuno per motivi economici. Ci appelliamo alla responsabilità etica di ognuno in merito alla propria quota: chi è impossibilitato a pagare potrà comunque seguire i corsi. La Lup è ospitata dall'Associazione Culturale Punto Rosso PROSSIMI CORSI (PRIMO SEMESTRE 2003-2004) PRIMO CICLO MONOGRAFICO: LA DEMOCRAZIA Da quest'anno la Lup sperimenta la formula dei cicli monografici. Un singolo tema, che nel primo semestre 2003-2004 sarà quello della democrazia, verrà approfondito da diversi punti di vista: politico, storico, filosofico. L'intenzione è quella di fare un vero lavoro di analisi e di ricerca sulle grandi trasformazioni in corso. Per il primo semestre abbiamo così scelto di affrontare la crisi dell'ordine politico moderno, ricostruendone la storia e provando ad immaginare quali potrebbero esserne gli esiti. Ferma restando la possibilità di iscriversi solo ad i singoli corsi, si potrà anche fare un'iscrizione che consente di seguire tutto il ciclo monografico, al costo di 75 euro. Primo corso LA GLOBALIZZAZIONE NEOLIBERISTA, LA CRISI DELLE DEMOCRAZIE E LO SPAZIO DELLA POLITICA. PARTE I: GLOBALIZZAZIONE E CRISI DELLA POLITICA Durata: 4 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di iscrizione: 15 Euro Giovedì 25 Settembre 2003 Globalizzazione e Stato-Nazione: i poteri internazionali, il rapporto tra dinamiche economiche internazionali e politiche nazionali, luoghi e processi decisionali esterni allo Stato, la divaricazione tra il territorio (fondamento dello Stato) e l'economia globale (transnazionali, finanziarizzazione) sganciata dalla "responsabilità" sul territorio. Relatori: Umberto Allegretti (Università di Firenze), Jayan Nayar (Fondazione Lelio Basso) Giovedì 2 Ottobre 2003 La crisi della democrazia rappresentativa: il declino dei partiti di massa, nuovi modelli di partito (il partito "pigliatutto", il partito patrimoniale), lo svuotamento delle istituzioni rappresentative (parlamenti) a favore degli organi esecutivi, l'apatia politica, l'astensionismo e il disimpegno come obiettivi volontariamente perseguiti, il legame tra partiti e lobby economiche. Relatore: Mimmo Porcaro (studioso della politica, saggista) Giovedi' 9 Ottobre 2003 Da cittadini a consumatori: la ridefinizione "postmoderna" della cittadinanza, la cittadinanza esclusiva della società dei 2/3, l'individualizzazione, la fine dell'universalismo giuridico, il cittadino-consumatore ed il ruolo della televisione, l'ideologia della "libertà individuale" al posto della sicurezza sociale e del progetto politico collettivo di lunga durata. Relatore: Romano Madera (Università di Milano), da confermare Giovedi' 16 Ottobre 2003 Verso la fine della modernità politica? Cosa resta e cosa è in crisi della filosofia politica della modernità, la frammentazione della sovranità, il concetto di popolo e quello di moltitudine, la fine dell'ordine politico moderno. Relatore: Vittorio Morfino (Università di Milano) PARTE II: LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA Durata: 3 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30. Quota di iscrizione: 10 Euro Giovedì 23 Ottobre 2003 Esiti autoritari alla crisi della rappresentanza: la guerra come nuova forma della politica, lo Stato come puro garante dell'ordine pubblico, l'ideologia della sicurezza, il razzismo istituzionalizzato. Relatrice: Monica Quirico (Università di Torino) Giovedì 30 Ottobre 2003 Alternative progressive alla crisi della rappresentanza: il movimento dei movimenti come nuovo campo della politica, la democrazia partecipativa, "i beni pubblici compartecipati", le condizioni ed i vincoli della partecipazione. Relatori: Guido Milani, Giorgio Riolo, Roberto Mapelli Giovedì 6 Novembre 2003 (luogo da definire) Dibattito: "Il movimento e la politica tra ordine istituzionale ed autorganizzazione". Relatori: Danilo Zolo (Università di Firenze), Mimmo Porcaro (studioso della politica, saggista), Vittorio Agnoletto (FSM), Marco Bersani (Attac) Secondo corso LE TRASFORMAZIONI DEL LAVORO E IL CONFLITTO CAPITALE-LAVORO NELL'ITALIA POSTFORDISTA. Durata: 5 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di iscrizione: 20 Euro Giovedì 20 Novembre 2003 Le origini della flessibilità. Il legame tra flessibilità del lavoro, globalizzazione e accumulazione flessibile : una ricostruzione storica del periodo '68-'73, del perché il capitale ha bisogno di frammentare il lavoro. Quanto è ancora centrale la compressione di diritti e salari ai fini del profitto (cioè, c'è ancora una centralità del lavoro nei processi di accumulazione)? E' ancora il lavoro la chiave di volta dei processi economici? Relatore: Andrea Fumagalli (Università di Pavia) Giovedì 27 Novembre 2003 La precarietà e le sue conseguenze sulle persone (e sulla società) Ricognizione statistico-analitica della flessibilità in Italia. La relazione tra flessibilità e occupazione. Il modello di sviluppo italiano, il lavoro cognitivo e la flessibilità. Le conseguenze sociali della precarietà: povertà, insicurezza, instabilità. Relatore: Roberto Romano (centro studi Cgil Lombardia) Giovedì 4 Dicembre 2003 Postfordismo e lavoro immateriale Che cos'è il lavoro linguistico-cognitivo e quali potenzialità apre: cooperazione, condivisione dei saperi, creatività, possibilità di riappropriazione del proprio lavoro. Quali spazi reali per queste opportunità? Quanto sono realmente diffuse queste forme di lavoro? Quanto pesano, quanto determinano? Che possibilità hanno di tradursi in alternativa? Relatore: Andrea Fumagalli (Università di Pavia) Giovedì 11 Dicembre 2003 Postfordismo e precarietà L'individualizzazione del rapporto di lavoro. Alienazione, lavoro cognitivo ed appropriazione capitalistica delle conoscenze collettive. L'irrigidimento autoritario del comando d'impresa. Il rapporto tra lavoro e consumo, tempo di lavoro e tempo di vita. Relatore: Andrea Fumagalli (Università di Pavia) Giovedì 18 Dicembre 2003 Il lavoro, la società, le alternative Quale ruolo del lavoro nella costruzione di un'alternativa di società? Quali rapporti tra conflittualità del lavoro e movimenti sociali? Relatori: Mario Agostinelli (Punto Rosso-Fma), Maurizio Zipponi (Fiom Lombardia), Christian Marazzi (Università di Bellinzona, da confermare) Terzo corso STORIA DEL PENSIERO POLITICO. I GRANDI MODELLI DELLA DEMOCRAZIA OCCIDENTALE: TEORIA E STORIA. I PARTE Durata: 4 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di iscrizione: 15 Euro Mercoledì 26 Novembre 2003 Platone, Aristotele e la polis greca Relatore: Mario Vegetti (Università di Milano) Mercoledì 3 Dicembre 2003 Machiavelli e la Repubblica Relatore: Filippo Del Lucchese (Università di Pisa) Mercoledì 10 Dicembre 2003 Spinoza e lo Stato ebraico Relatore: Vittorio Morfino (Università di Milano) Mercoledì 17 Dicembre 2003 Rousseau e la Rivoluzione francese Relatore: da definire STORIA DEL PENSIERO POLITICO. I GRANDI MODELLI DELLA DEMOCRAZIA OCCIDENTALE: TEORIA E STORIA. II PARTE Durata: 4 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di iscrizione: 15 Euro Giovedì 15 Gennaio La filosofia del diritto di Hegel e la critica di Marx Relatori: Giorgio Riolo e Roberto Mapelli (Punto Rosso) Giovedì 22 Gennaio 2004 Lenin, Kautsky e Rosa Luxemburg Relatore: Vittorio Morfino (Università di Milano) Giovedì 29 Gennaio 2004 Tocqueville e la democrazia in America Relatrice: Monica Quirico (Università di Torino) Giovedì 5 Febbraio 2004 Stuart Mill e il liberalismo Relatrice: Antonella Besussi (Università di Milano) Quarto corso LA NASCITA DELLA DEMOCRAZIA MODERNA. I PARTE: 1750-1850 Durata: 3 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di iscrizione: 10 Euro Mercoledì 3 Dicembre 2003 Gli Stati Uniti Relatore: Bruno Cartosio (Università di Bergamo) Mercoledì 10 Dicembre 2003 La Francia Relatrice: Loredana Scalcon (insegnante) Mercoledì 17 Dicembre 2003 L'Inghilterra Relatore: Giorgio Giovannetti (storico) LA NASCITA DELLA DEMOCRAZIA MODERNA. II PARTE: 1850-1945 Durata: 3 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di iscrizione: 10 Euro Mercoledì 21 Gennaio 2004 Gli Stati Uniti Relatore: Bruno Cartosio (Università di Bergamo) Mercoledì 28 Gennaio 2004 La Francia Relatrice: Loredana Scalcon (insegnante) Mercoledì 4 Febbraio 2004 L'Inghilterra Relatore: Giorgio Giovannetti (storico) ----------------------------------------------------------------------------------------------- ALTRI CORSI DEL PRIMO SEMESTRE 2003-2004 Dipartimento di studi internazionali "Patrice Lumumba" DOPO CANCUN: L'ALCA E IL FUTURO DELL'AMERICA LATINA Durata: 5 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di partecipazione: 20 Euro Mercoledì 17 Settembre Dopo Cancun: il futuro delle lotte contro l'Alca e il neoliberismo Relatore: Marco Bersani (Attac) Mercoledì 26 Settembre Il neoliberismo in America latina Relatore: Gian Carlo Costadoni (Icei) Mercoledì 1 Ottobre Le nuove speranze del "laboratorio latinoamericano": i governi di Brasile, Venezuela, Argentina Relatori: Josè Luiz Del Roio (FSM), Alfredo Somoza (Icei) Mercoledì 8 Ottobre I movimenti politici latinoamericani e l'opposizione all'Alca: i partiti ed i sindacati, e le alleanze continentali Relatore: Josè Luis Tagliaferro (Cespi), Angelo Miotto (giornalista Radio Popolare) Venerdì 17 Ottobre I movimenti politici latinoamericani e l'opposizione all'Alca: i nuovi movimenti autorganizzati ed indigeni e la repressione militare Relatori: Martin Iglesias (Selvas), Carlos Tablada (Università de l'Havana) *** IL MEDIO ORIENTE: DAL MEDITERRANEO AL KASHMIR Durata: 4 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di partecipazione: 15 Euro Relatore: Fabrizio Eva Lunedì 29 Settembre Israele/Palestina. Dall'indifferenza alla guerra (dalla fine dell'Ottocento alla guerra del Kippur, 1973). Il sionismo di fine ottocento; la dichiarazione Balfour. Cresce l'insofferenza araba; la crisi del '36-'37. Il flusso migratorio generato dal nazismo. La pressione migratoria post-bellica. Bombe, tensioni e scontri alla fine del Mandato Britannico. La proposta di spartizione dell'ONU; i palestinesi non "pensano" allo stato. La fondazione dello stato di Israele (la Nakba: il disastro). 1947-49: il conflitto armato per la terra; i profughi. L'ambiguo ruolo della Giordania. La crisi di Suez del '56. La nascita e gli scopi di Al Fatah. La guerra dei sei giorni (1967). L'occupazione della Cisgiordania, di Gaza e del Sinai; la bandiera israeliana sventola su tutta Gerusalemme. La guerra del Kippur (1973). Colonie e insediamenti nei Territori Occupati. Il terrorismo palestinese. Il Settembre Nero e la crisi libanese. Lunedì 6 Ottobre Israele/Palestina. Una soluzione possibile? (dal 1973 ad oggi) L'Egitto di Sadat cerca la pace. L'occupazione israeliana del Libano fino a Beirut (1982) per "risolvere" la questione del terrorismo palestinese. La prima Intifada (1987). Gli accordi di pace di Oslo: i palestinesi "pensano" ad uno stato. Un percorso di pace lento e tormentato: zone A, B e C. Un territorio che è già diviso; come sarebbe facile condividere Gerusalemme/ Al Quds. L'uccisione di Rabin (1995) segna una svolta; destra e partiti religiosi contro Oslo. Gli incontri a Camp David e Taba nel 2000 (quali "offerte", quali "rifiuti"). La passeggiata di Sharon sulla spianata del Tempio (Al-Haram al-Sharif): segni e simboli. La seconda Intifada. La destra israeliana prende il sopravvento. La "sicurezza" di Israele e gli attentati suicidi palestinesi. La militarizzazione dei Territori. Il problema degli insediamenti e il "non contatto" tra due popoli. Nuove idee e nuovi protagonisti per un nuovo processo di pace. Lunedì 13 Ottobre La Turchia (bastione della NATO) e la questione curda. Siria e Libano. La difficile posizione delle Giordania. La penisola arabica e la sua rilevanza strategica e petrolifera. L'Arabia Saudita, garante dei luoghi sacri dell'Islam, maggior produttore al mondo di petrolio: partner affidabile?. Il Golfo Persico: un mare piccolo e chiuso. La centralità geo-strategica dell'Iraq. Sciiti e Sunniti. Lunedì 20 Ottobre Il petrolio del Caspio. L'Iran dello Scià e quello di Khomeini; la battaglia odierna tra riformisti e tradizionalisti. I conti non ancora chiusi degli Usa con l'Iran. L'Afghanistan: un mosaico di etnie. L'Asia centrale ex sovietica e la questione afgana. I Pashtun a cavallo tra Afghanistan e Pakistan. I difficili equilibri interni pakistani. India e Pakistan: cordiali nemici dal 1947. La questione del Kashmir. La Cina: "dragone accovacciato". Il ridispiegamento strategico degli USA nel Medio Oriente. Dipartimento di storia della filosofia "Ernst Bloch" LA FILOSOFIA ATTRAVERSO LE GRANDI OPERE: ESSERE E TEMPO DI MARTIN HEIDEGGER Durata: tre incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di partecipazione: 10 Euro Martedì 30 Settembre Introduzione al pensiero di Heidegger Relatore: Vittorio Morfino (Università di Milano) Martedì 7 ottobre Essere e Tempo (I) Relatore: Roberto Mapelli Martedì 14 Ottobre Essere e Tempo (II) Relatore: Roberto Mapelli Dipartimento di economia politica e teoria critica della società "Rosa Luxemburg" LA PUBBLICITA' E LA SOCIETA' DEI CONSUMI Durata: 4 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di partecipazione: 20 Euro Mercoledì 22 Ottobre. I soggetti del mondo pubblicitario. Le agenzie, i consulenti psicologici, il rapporto con i media( ruolo degli inserzionisti nella costruzione dei palinsesti televisivi), le grandi società di raccolta pubblicitaria. Relatore: Antonio dalle Rive (Dir. clienti e Mediaplanner agenzia Anyway) Mercoledì 29 Ottobre. La pubblicità e la religione dei consumi. La rivoluzione dei consumi nell'epoca dell' "accumulazione flessibile", la costruzione del "soggetto desiderante", la creazione dell' immaginario collettivo, la diffusione di modelli comportamentali. Relatore: Clelia Pallotta (docente Politecnico) Mercoledì 5 Novembre Strategie pubblicitarie: teoria. Le dinamiche psichiche sollecitate, la costruzione del messaggio, il linguaggio, la codificazione e la struttura del testo pubblicitario. Relatore: Clelia Pallotta (docente Politecnico) Mercoledì 12 Novembre. Strategie pubblicitarie: esempi pratici. Relatore: Barbara Pietrasanta (Direttore creativo agenzia Anyway) *** L'IMMAGINARIO TELEVISIVO CONTEMPORANEO Durata: 5 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di partecipazione: 20 Euro Mercoledì 14 Gennaio 2004 L'INFORMAZIONE. Presentazione della ricerca sui telegiornali: la costruzione dell'attualità. Una relazione su: il modo di parlare della politica; la rimozione dei problemi sociali; la cancellazione del "paese reale"; il populismo dei telegiornali. Relatore: da definire Mercoledì 21 Gennaio 2004 L'APPROFONDIMENTO. Presentazione della ricerca sulle trasmissioni di attualità (in particolarte, magari, focalizzata su Porta a Porta): la costruzione dell'immaginario politico. Relazione su: rapporto tra "chiacchera" sulla realtà e realtà in televisione; i valori veicolati; l'imposizione dell'agenda politica; quali concetti ci vogliono "insegnare"? Com'è possibile una costruzione alternativa dell'attualità? Relatore: da definire Mercoledì 28 Gennaio 2004 LA TELEVISIONE "MOBILITATIVA". Presentazione della ricerca sui "reality show" (De Filippi, Grande fratello, veline e quant'altro): la televisione come mobilitazione. Relazione su: perchè la tv deve "incorporare la realtà"; le relazioni con la pubblicità; le relazioni con il progetto politico dominante; i valori comunicati Relatore: da definire Mercoledì 4 Febbraio 2004 GLI EFFETTI: IL PUBBLICO TELEVISIVO TRA PASSIVITA' E DISINCANTO Relazione/i su: gli effetti di lungo periodo della televisione sulla percezione della realtà, sull'immaginario e sulla politica. Gli effetti: gli spettatori come "spugne" o come rielaboratori del messaggio televisivo? Dibattito a più voci Relatori: da definire Mercoledì 11 Febbraio 2004 IL PESO DELLA TELEVISIONE NELLA COSTRUZIONE DELL'IMMAGINARIO Dibattito finale a più voci. Relatori: da definire Materiali Diario da Ankara: cronaca della quinta e della sesta udienza del processo a Leyla Zana e agli altri deputiati curdi incarcerati in Turchia (a cura di Silvana Barbieri) La quinta udienza si è caratterizzata per lo smantellamento dell'accusa da parte dei testimoni che la difesa è nuovamente riuscita ad imporre e per l'intervento di Leyla Zana, dedicato alle sofferenze della Turchia e alla necessita di una riconciliazione tra curdi e turchi. Ankara: diario della quinta udienza. 17 luglio 2003 Ankara, 17 luglio 2003 Diario della quinta udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi colleghi Selim Sadak, Hatip Dicle, Orhan Dogan Le nuove testimonianze della difesa e cioè la demolizione delle testimonianze dell'accusa A quest'udienza sono presenti ancor più delegazioni del solito. C'è un consistente insieme di rappresentanze italiane: due deputate italiane, Elettra Deiana di Rifondazione Comunista e Silvana Pisa dei Democratici di Sinistra, una delegazione delle Donne in Nero, composta dall'europarlamentare Luisa Morgantini e da Nadia Cervoni, la sottoscritta per Punto Rosso. Ci sono Luigi Vinci, di Rifondazione Comunista, Feleknas Uca, del partito tedesco del Socialismo Democratico, e Ozan Ceyhun, del partito socialdemocratico tedesco, in qualità di rappresentanti ufficiali del Parlamento Europeo. Ci sono una rappresentanza, attraverso una compagna francese, dell'Associazione Internazionale delle Donne, due compagne di un'associazione di giuristi democratici svedesi di cui non afferro il nome, una rappresentante olandese di Amnesty International, scandalizzata perché nell'atrio prospiciente all'aula del processo c'è gente che fuma, genti della polizia compresi, nonostante i cartelli che lo proibiscono e che minacciano multe gigantesche, c'è un giudice maltese anch'egli in rappresentanza di una qualche associazione di giuristi democratici. Ci sono i rappresentanti della Commissione Europea, quelli di almeno due Ambasciate dell'Unione Europea, l'italiana, anche in rappresentanza del Consiglio, e l'olandese. Ci sono alcuni parlamentari turchi, sia del partito islamista di governo che del partito di opposizione, il Repubblicano del Popolo. Ci sono infine i rappresentanti delle associazioni turche per i diritti umani, quelli di DEHAP, i parenti e gli amici degli imputati. Nelle chiacchiere nell'atrio in attesa dell'inizio siamo moderatamente ottimisti: per la prima volta fuori dal tribunale non solo non c'è il filtro della polizia e della gendarmeria ma polizia e gendarmeria non sono presenti. Ma correggere subito l'ottimismo arriva da una compagna dell'Associazione per i Diritti Umani l'informazione che il Presidente della Corte era stato Presidente del Tribunale per la Sicurezza dello Stato a Diyarbakžr negli anni dell'insurrezione curda guidata dal PKK e che lì si era contraddistinto per la disinvoltura estrema e la ferocia delle sue condanne. L'ottimismo riprenderà un po' di quota quando, entrati nell'aula del processo, constateremo che i gendarmi armati tra gli imputati e il pubblico sono calati a quattro e ce n'è solo uno con il fucile d'assalto rivolto verso il pubblico. Vero è che gli agenti di polizia armati di pistola continuano a essere numerosi ma insomma ci si sente meglio se non si ha davanti una quantità di gendarmi armati ma uno solo. Ci si attacca davvero a tutto in questo processo, anche a cose che non significano niente. Uno dei due giudici a latere è cambiato ed è cambiato il Procuratore. Probabilmente i titolari sono in ferie, rassicurati che invece gli imputati non possono andarci e che quindi la Turchia non corre rischi di sovversione armata. Si comincia. Il testimone dell'accusa residuo da ascoltare, comunica il Presidente della Corte, risulta irreperibile, non si riesce ad averne l'indirizzo. Compare però un secondo testimone dell'accusa, del quale alle precedenti udienze non era stata fatta menzione alcuna: si tratta, mi spiegano, della dentista che aveva curato quella persona, poi risultata facente parte del PKK, che si era rivolta a Orhan Dogan per averne ospitalità, e che il segretario di Orhan Dogan aveva deciso, in assenza di Orhan Dogan, di ospitare e alla quale aveva poi pagato le cure dentistiche delle quali necessitava. Attraverso le domande del Presidente della Corte la testimone ricostruisce l'episodio; attraverso una domanda posta dall'avvocato Alatas¸ e, come sempre, rielaborata dal Presidente la testimone inoltre precisa che non fu Orhan Dogan ma il suo segretario a prendere l'appuntamento per conto del paziente. Fine dei testimoni dell'accusa. Prende dunque la parola Alatas¸ e chiede che, come nella precedente udienza, siano ascoltati quei testimoni che sono presenti fuori dall'aula. Questa volta sono sette. Il Procuratore non si oppone, i giudici neppure. Si controlla che questi testimoni siano effettivamente fuori, ci sono. Interessante: la svolta della quarta udienza sembra consolidarsi. Che cosa significa, che cosa porteranno nel processo questi testimoni? La trepidazione nel pubblico è alle stelle. Il primo dei testimoni è un avvocato. Dichiara che fu tra quanti si recarono in macchina alla prima riunione nel villaggio di Medinan per la conciliazione tra due tribù che si combattevano, tra le quali la tribù Babak (il cui capo, rammento, Mehmet Serif Temelli, è tuttora un comandante di parecchie centinaia di guardie del villaggio e, soprattutto, è il principale testimone dell'accusa. Si tratta, rammento ancora, dell'episodio principale del processo, quello, in parte collocato sul finire del 1991in parte alla metà del 1992, nel corso del quale secondo l'accusa Leyla Zana, Hatip Dicle e Selim Sadak, in due consecutive riunioni, nella casa di Temelli, si sarebbero compromessi andandovi accompagnati da sedici membri del PKK e facendovi propaganda per questo partito, la rivolta armata dei curdi e la separazione del Sud-est curdo dalla Turchia. Questo testimone sarebbe perciò uno dei sedici indicati dai testimoni dell'accusa come membri a quel tempo del PKK). Il testimone inoltre dichiara che già si era dato da fare in precedenza per la conciliazione di tribù in lotta, tra le quali sempre quella di Temelli, e che era stato Temelli a volerlo nella conciliazione in questione. Risponde in modo molto netto al Presidente che né Leyla Zana né Hatip Dicle parlarono del PKK, di rivolte armate o di separazioni del Sud-est. Risponde in modo molto netto che egli si era recato alla riunione assieme a Leyla Zana e a Hatip Dicle, cioè che non è vero che essi si fossero recati alla riunione per proprio conto e prima di lui. Inoltre risponde che tornò dalla riunione assieme a loro. Perciò lui è al corrente di tutto quanto Leyla Zana e Hatip Dicle dissero in questa riunione. La riunione andò in modo interlocutorio, tant'è che ne dovrà essere fatta un'altra, ma fu anche soddisfacente. Fu infatti invitato da Temelli a prendere parte alla cena, sarebbe stato sommamente scortese non farlo, perse così l'udienza di un processo nel quale era tra gli avvocati della difesa. Non sarà poi presente alla seconda riunione di conciliazione. Il tentativo di conciliazione, precisa infine, fallirà: Temelli, il cui fratello nell'intervallo tra le due riunioni era stato ucciso, dichiarerà che ne portava la responsabilità la tribù nemica e perciò che la conciliazione era fallita. Il secondo testimone dichiara che lui pure era di quei sedici che andarono in macchina alla prima riunione alla casa di Temelli assieme a Leyla Zana e a Hatip Dicle. Precisa che questa riunione si era tenuta a cinque o sei mesi dalle elezioni del 1991. Afferma che andò e tornò dalla riunione assieme al precedente testimone e assieme ai due imputati e che nessuno dei due imputati disse alcunché a proposito del PKK o di quant'altro secondo le testimonianze dell'accusa. Fu invece Temelli a parlare del PKK, però né Leyla Zana né Hatip Dicle reagirono. Andarono alla riunione anche numerosi presidenti di organizzazioni del partito DEP (il partito cioè degli imputati), un rappresentante dell'Associazione per i Diritti Umani, un dirigente sindacale, in tutto si trattò di 15-20 persone. In una stanza a lato di quella della riunione ce ne fu una più ristretta, alla quale egli prese parte, nella quale furono discussi i termini in dettaglio della conciliazione. Temelli inoltre aveva riferito a latere ai suoi di questi termini. Il testimone si era associato al tentativo di conciliazione in questione su richiesta del padre, che era presidente del DEP a Diyarbakžr. Egli invece aveva partecipato alle elezioni come candidato del partito di Ecevit, ed era stato eletto. Il terzo testimone dichiara che invece prese parte alla seconda riunione di conciliazione. Si trattava del maggio o del giugno del 1992. Andò e tornò in macchina, erano in 15-20, assieme agli imputati Leyla Zana e Selim Sadak. Non ci fu nessun discorso né da parte dei due imputati né di alcun altro a proposito del PKK ecc. Lui fa parte della tribù che era nemica di quella di Temelli e alla riunione era stato mandato dal suo capo. Di Temelli sapeva solo che era l'uomo più importante della tribù nemica. Dichiara che alla fine questi decise di non accettare la riconciliazione. Il quarto testimone prese parte lui pure alla seconda riunione di conciliazione e vi andò e ne tornò lui pure in macchina assieme a Leyla Zana e a Selim Sadak. Vi andarono in 15-20 persone. E' della stessa tribù del precedente testimone, la sua famiglia aveva perso due membri nella faida, voleva la riconciliazione della sua tribù con quella di Temelli. Nessuno parlò di PKK ecc. Temelli sembrava convinto all'inizio della conciliazione, poi la rifiuterà. Questo testimone era ai tempi un dirigente dell'Associazione per i Diritti Umani. Il quinto testimone prese parte invece ad ambedue le riunioni di conciliazione. Alle due riunioni andarono varie figure di rappresentanti di associazioni, di sindacati, di partiti, membri delle due tribù nemiche, parlamentari. Inoltre alla prima riunione erano pure rappresentanti delle forze di sicurezza. In essa non ci fu un risultato preciso. Neanche nella seconda, gli pare di ricordare. In nessuna delle due riunioni si parlò di PKK ecc. Egli infine dichiara che ai tempi era il presidente a Diyarbakžr del Partito della Retta Via della Tansu Ciller. Il sesto testimone andò alla prima riunione, nel dicembre del 1991. Il tentativo di conciliazione non diede risultati ma fu lo stesso apprezzato, tant'è che Temelli volle invitarne i vari partecipanti a cena. Non si parlò per niente del PKK bensì si parlò delle faide tra le tribù. Egli era stato eletto qualche mese prima in Parlamento nelle liste del DEP. Il settimo ed ultimo testimone fa un'evidente fatica a capire il turco e a parlarlo. Dichiara che era stato arrestato e torturato, assieme ad un altro uomo. Erano ambedue militanti del DEP. L'accusa era di essere militanti del PKK. Ci fu un'ispezione di parlamentari, tra i quali Selim Sadak, nel commissariato di polizia, presso il palazzo di giustizia, dov'erano in stato di arresto. Nel contesto di questa visita Selim Sadak rimproverò gli agenti per le torture, chiese loro "come può un essere umano fare questo ad un altro essere umano?". Non è vero, come gli agenti hanno poi testimoniato, che Selim Sadak li abbia insultati e abbia parlato a favore del PKK. (Rammento come si tratti di un altro episodio del processo, nel corso del quale secondo appunto le testimonianze dell'accusa Selim Sadak avrebbe insultato gli agenti e giustificato con il fatto delle torture da parte delle forze di sicurezza l'adesione dei curdi al PKK e alla lotta armata). La vicenda dei due umini del DEP arrestati e torturati fu anche oggetto di un'interrogazione parlamentare. In tutto essi rimasero trenta giorni incarcerati presso le forze di sicurezza. Dopo l'incontro con i parlamentari furono pesantemente minacciati dagli agenti. Al processo furono assolti. Pausa pranzo. Investiamo tutto sulla pacificazione e sulla democrazia. L'intervento di Leyla Zana Interviene degli imputati in quest'udienza solo Leyla Zana. In parecchi paesi - inizia così - sono in corso importanti cambiamenti in senso democratico. In alcuni paesi vengono accettati, in altri no. Vari gruppi di potere e gli schiavi della tradizione, come i militari e la burocrazia statale, tendono a impedire i cambiamenti. Quando costoro ce la fanno i loro paesi deviano dal percorso del cambiamento o rallentano e questo a sua volta produce tensione nella società. La Corte europea di Strasburgo ha deciso, il 17 luglio del 2001, che il nostro processo andava rifatto. Ad un anno e mezzo da questa data il governo ha promosso una legge che consente il rifacimento dei processi passati in giudicato. A due anni da questa data il processo viene dunque rifatto. Tuttavia, come dimostra l'andamento di questo processo, la strada della democratizzazione della Turchia non per questo è spianata. Il sesto pacchetto di riforme ha subito il veto su un punto importante relativo al diritto dei curdi a usare la loro lingua da parte del Presidente della Repubblica. Il settimo pacchetto, che sta seguendo il suo iter parlamentare, subirà analoghe resistenze. In questi giorni ci sono arrivate molte notizie di torture e di brutalità da parte delle forze di sicurezza e di altre violazioni da parte di queste forze sul terreno dei diritti umani. Ci sono arrivate notizie di manifestazioni pacifiche di carattere politico o di carattere culturale attaccate nel Sud-est e non solo nel Sud-est dalla polizia. Ci sono arrivate notizie che nel Sud-est sono nuovamente in corso operazioni militari e che vi è ripreso in molte zone l'impedimento ai contadini di portare i loro animali al pascolo. Da alcune città di questa regione, come Diyarbakžr e Bingol, ci sono arrivate notizie di persone scomparse e di assassini extragiudiziari. Molte persone della nostra regione per porre termine a questo susseguirsi infinito di oppressione e di violenze vorrebbero fuggire in Iraq. Continua quindi in Turchia una lotta accanita tra il vecchio e il nuovo, tra il male e il bene. E a volte vince il bene, a volte vince il male. In conclusione siamo a metà guado. La situazione è quella di un parto che fa soffrire. Ci sono molte resistenze al cambiamento, ma malgrado queste resistenze in Turchia sono molte le cose che stanno cambiando. Il cambiamento chiede che i pregiudizi e le paure tradizionali vengano abbandonati, e questo non è facile, ma i pregiudizi e le paure tradizionali stanno perdendo terreno. L'esercito accetta solo cambiamenti minori, però oggi è possibile discutere liberamente in Turchia dell'esistenza di una questione curda. La Turchia ha quindi due strade possibili davanti a sé. Una è la strada luminosa delle riforme in senso democratico. L'altra è quella nera del ritorno al passato. Noi quattro imputati non abbiamo nulla da perdere e nessun privilegio da difendere. La nostra scelta è quella delle riforme. Nel nostro paese sono molte le persone che vivono sulla linea di confine con la miseria e con la fame. Ci sono più di dieci milioni di disoccupati, più di diecimila bambini di strada, metà delle donne subisce durissimi rapporti di oppressione. Queste condizioni non possiamo considerarle naturali, ovvie, sono invece reversibili. Anzi non dobbiamo più portare pazienza, continuare a sopportare. Non si può continuare a sperare in soluzioni magiche, cambiare dipende invece da noi. Dobbiamo perciò tutti quanti imporci di cambiare. Il cambiamento più importante riguarda il rapporto tra il popolo curdo e quello turco. Il conflitto tra i due popoli deve cessare. Noi curdi ci siamo sempre considerati in passato fratelli dei turchi. Dobbiamo ricostruire e dobbiamo rendere più forte la fratellanza che c'era tra i due popoli. Se ci daremo la mano troveremo le soluzioni per cambiare, per trovare le soluzioni ai nostri problemi, ai problemi della Turchia e a quelli della sua gente immiserita. Il governo ha recentemente parlato di pace sociale e di reinserimento dei prigionieri politici, poi invece ha fatto una legge che incoraggia il pentimento e la delazione. E' il rifacimento con l'aggiunta di un po' di cosmetico di una vecchia legge. La pace sociale dovrebbe avere lo scopo di proteggere la dignità delle persone, mentre costringere i prigionieri politici a dichiararsi pentiti e a fare le spie è immorale e crea solo sofferenza. Le forze negative della nostra società insistono quindi sulla loro strada. In Turchia ci sono infatti forze potenti che vogliono che la guerra interna riprenda, che riprenda lo scontro armato tra turchi e curdi. Queste forze infatti traggono il loro alimento e il loro potere dal sangue dei due popoli. E in questi giorni esse si sono rifatte molto attive. Queste forze non solo ignorano il bisogno di pace dei due popoli ma stanno tentando di farvi tacere le voci che in crescendo affermano la necessità della pace. Noi imputati non vogliamo la guerra. Non vogliamo che i curdi siano sterminati dalla Turchia, non vogliamo la morte di nessun turco. Ma l'identità curda deve essere riconosciuta, altrimenti la pace non sarà possibile. I curdi non accetteranno mai il disconoscimento della loro identità. In Turchia come in Iraq i curdi cercano la sicurezza e i loro diritti. Se la Turchia sarà attiva sul versante della pace con i curdi questo potrebbe anche essere un buon esempio per gli altri popoli del Medio Oriente. Noi imputati sentiamo tutta quanta la nostra responsabilità dinanzi al compito storico di pacificare e di cambiare la nostra società. Se in tanti sentiremo questa responsabilità la Turchia potrà cambiare. Le condizioni oggi di un cambiamento in Turchia ci sono, perché nella gente c'è stato un grande cambiamento: l'80% della popolazione della Turchia si è schierato contro la guerra all'Iraq, e questa persentuale tra i curdi è stata del 95%. Inoltre oggi i curdi non vogliono separarsi dalla Turchia ma vogliono contribuire a una Turchia democratica. Tutti quanti siamo a favore dell'entrata nell'Unione Europea, e questo garantisce l'unità della Turchia. La Turchia non è solo, poi, Ankara e Diyarbakžr: sono molte le sue popolazioni, e con l'entrata nell'Unione Europea tutte quante potranno vivere bene insieme. Il contributo della Turchia all'Unione Europea sarà importante anche perché vi porterà questa sua grande ricchezza. Un mese fa a Mardin è stata lapidata una donna curda. Per alcune settimane ha agonizzato in un ospedale. Le associazioni delle donne sono state accanto a lei fino a che è morta. Il suo funerale si è trasformato in una grande manifestazione di donne. Questa manifestazione non solo ha sepolto nel cimitero il corpo di Semse ma la tradizione primitiva che l'ha uccisa. La sua morte, la brutale aggressione contro le donne che manifestavano a Istanbul per i diritti umani, contro gli stupri fatti dalle forze di sicurezza e per Gulbakar (si tratta della militante di DEHAP rapita e stuprata due mesi fa a Istanbul da quattro agenti della polizia in borghese) documentano più di ogni altro fatto quanta resistenza c'è al cambiamento. Ma se non avremo il coraggio del cambiamento resteremo un paese povero e infelice. Dobbiamo abbandonare tutti i nostri pregiudizi e tutte le nostre paure. Nessuno vuole dividere la Turchia. Dobbiamo realizzare in noi una rivoluzione intellettuale orientata alla pace e alla democrazia. Occorre che il sistema della giustizia cambi. Solo quando la giustizia incontrerà i cuori sarà una giustizia equa, e non ci saranno più sentenze in Europa a definire non equi i processi qui da noi. Dobbiamo investire sugli esseri umani. Abbiamo subito profonde ferite in passato, ma ormai queste ferite si sono rimarginate. Non dobbiamo riaprirle, non dobbiamo rifarle sanguinare. Dobbiamo costruirci una nostra fortezza collettiva fatta di amicizia. Le fortezze di pietra possono crollare, quelle fatte di amicizia resistono. Che la Corte almeno rispetti la legge turca. Gli interventi della difesa In quest'udienza per la prima volta intervengono tutti quanti gli avvocati della difesa. Molti di loro tuttavia si limitano ad affermare di concordare con quanto appena detto dai loro colleghi. Intervento dell'avvocato Yusuf Alatas¸. Questo processo è importante, argomenta Alatas¸, e le decisioni che prenderà la Corte saranno importanti. In Turchia si stanno facendo molte leggi positive che però non vengono applicate dagli organi dello Stato. Questa Corte rispetterà queste leggi? Questo processo è ora chiamato a verificare non solo se avete cambiato mentalità e posizione rispetto al 1994 ma se intendete applicare le nuove leggi. Quando dico se avete cambiato mentalità e posizione intendo dire se invece di continuare a guardare agli imputati come a presunti colpevoli oggi li guardate come presunti innocenti. Il diritto democratico si basa sul principio della presunzione di innocenza degli imputati sino a che non ne sia stata dimostrata la colpa, non sulla validità a priori dell'accusa. Il diritto democratico afferma che quando un processo è rifatto occorre analizzare nuovamente le prove del precedente processo, quindi afferma la possibilità di un esito differente. Finora purtroppo non abbiamo visto cambiamenti sostanziali rispetto al 1994 nella conduzione del processo. I nostri clienti sono nove anni e cinque mesi che sono in carcere. Si tratta dell'esecuzione della condanna del 1994. Ma allora non si può dire che si sta rifacendo il processo, come è stato richiesto alla Turchia da parte della Corte di Strasburgo. Il rifacimento per davvero del processo richiede infatti che gli imputati siano liberi. Voi dunque continuate a credere che gli imputati siano colpevoli, che la sentenza del 1994 sia stata giusta. Il testimone Fethi Gumus, che era l'avvocato di Temelli, il capo dei guardiani del villaggio di Metinan, ha appena testimoniato che era con gli imputati quando ci fu la prima riunione di conciliazione e che gli imputati non nominarono mai il PKK. Quindi o voi credete ai testimoni dell'accusa o a quelli, che ci è possibile ascoltare solo ora, solo in questo processo, ben più attendibili, perché palesemente obiettivi, della difesa - i testimoni dell'accusa erano invece quasi sempre guardiani del villaggio, in qualche caso agenti di polizia, quindi figure ostili agli imputati. La condanna degli imputati fu dichiarata a tutela della società contro individui pericolosi. Ma gli imputati non hanno mai fatto uso di armi né hanno mai partecipato alla lotta armata guidata dal PKK, sono stati invece dei combattenti politici. Non c'era nessuna necessità di prendere la precauzione di incarcerarli, ancor meno questa precauzione necessita oggi. Anche stando, infine, alle riforme degli ultimi due anni e al cambiamenti conseguenti negli articoli del codice penale gli imputati dovrebbero essere liberati. Tra due anni la detenzione degli imputati cesserà (rammento come in Turchia la legge preveda sconti di un quarto della pena per condanne quali quelle subite da Leyla Zana e dagli altri tre parlamentari del DEP). Ora questo processo, stando a come si sta svolgendo, durerà a lungo. Ci saranno ancora varie udienze, poi si andrà in Cassazione, anche lì ci saranno varie udienze, passeranno quindi probabilmente degli anni. E se gli imputati risulteranno infine condannati, in ipotesi, a meno di dieci anni, come li si risarcirà degli anni passati ingiustamente in carcere? Intervento dell'avvocato Mustafa Özer. Il processo del 1994, sottolinea Özer, avvenne fuori da ogni principio di giustizia, soprattutto vi fu violato il principio dell'eguaglianza tra difesa e accusa. Se i testimoni che avete ascoltato stamani fossero stati ascoltati anche nel 1994 questi imputati non sarebbero stati condannati, non sarebbero stati prelevati brutalmente nell'aula del Parlamento per essere messi in carcere. Secondo i principi della giustizia i processi devono basarsi su norme e non su valutazioni di tipo politico. Il processo del 1994 fu condotto a partire dalle valutazioni del governo Ciller. In più le prove che vi furono portate erano false. Oggi la Turchia, costretta dalla Corte di Strasburgo, sta rifacendo il processo del 1994. Ma continuerà a rifarlo come fu fatto allora? Il testimone Temelli ci ha ridetto in questo processo che i partecipanti agli incontri di conciliazione erano tutti del PKK. Invece non ci ha mai parlato del testimone che abbiamo ascoltato questa mattina, il suo avvocato di allora, o di altri testimoni, palesemente estranei al PKK. Il testimone Hasan fu trattenuto in arresto nella sede della gendarmeria per trenta giorni, accusato di essere del PKK, torturato, e quando finalmente finì davanti al giudice fu assolto. Da questo come da moltissimi altri episodi che hanno colpito militanti curdi emerge che la Turchia condannava, come tuttora condanna, tutte quelle persone che lottano per una democrazia vera. Infatti i nostri clienti pur avendo lottato per la democrazia nel quadro della legge hanno dovuto scontare a oggi nove anni e mezzo di carcere. E' proprio per una Turchia migliore che dovere fare il passo della liberazione degli imputati. Intervento dell'avvocato Sezgin Tanrikulu. Ho esaminato con attenzione gli articoli del codice di procedura penale, attacca Tanrikulu, e nessun articolo afferma che siete tenuti a far proseguire la condanna del 1994 mentre state conducendo un nuovo processo per i medesimi fatti: mentre è da ben cinque udienze che voi continuate a far scontare agli imputati la condanna del precedente processo. Dovete invece prendere atto della cancellazione della precedente condanna, per il fatto stesso del nuovo processo, e lasciare liberi gli imputati. Intervento dell'avvocato Ismail Aslan. Questi, codice penale alla mano, constata come, dopo l'abolizione dell'art. 8 della legge antiterrorismo qualora la Corte applicasse nella sentenza l'art. 168 del codice penale la pena massima sarebbe di nove anni, qualora invece applicasse l'art. 169 la pena massima sarebbe di tre anni. Gli imputati hanno già scontato nove anni e mezzo di carcere: perché allora non vengono scarcerati? Non c'è alcuna ragione giuridica del proseguimento della loro incarcerazione. Le decisioni della Corte Il Procuratore obietta alle richieste di scarcerazione degli avvocati della difesa e chiede inoltre l'escussione di altri due testimoni. La Corte si ritira in camera di consiglio, come sempre assieme al Procuratore. Vi rimane qualche minuto. I due nuovi testimoni dell'accusa sono accettati. Le richieste della difesa di scarcerazione degli imputati sono respinte. La prossima udienza si terrà il 15 agosto. Governanti turchi e farisei europei, vergogna, datevi da fare! Tutte le volte che per seguire questo processo siamo partiti da Malpensa per Istanbul, dove abbiamo preso il primo aereo disponibile per Ankara, ci scambiavamo la speranza che i quattro imputati venissero liberati, e tutte le volte questa nostra speranza era intrecciata a note razionali di pessimismo. Ormai qualcosa capiamo della mentalità proterva della Giuria di questo processo e anche dei contorti bizantinismi della politica ufficiale turca. Tutte le volte inoltre nel corso dell'udienza la speranza si smorzava, ferita dall'arroganza della Corte, dalla sua dipendenza dall'accusa, dal suo rifiuto di accogliere il complesso dei testimoni della difesa, insomma dalla sua intenzione di confermare, se le riuscirà, la condanna degli imputati. Quest'udienza ha avuto però un andamento tale che la speranza della scarcerazione degli imputati è invece cresciuta mano a mano che se ne avvicinava la conclusione. Persino le compagne delle associazioni per i diritti umani e i dirigenti di DEHAP si guardavano tra loro e ci guardavano incerti e quando gli chiedevamo come questa volta andava a finire ci rispondevano che non era chiaro o, addirittura, che non erano del tutto pessimisti. Non solo, infatti, i testimoni che la difesa è ancora riuscita a far ascoltare hanno smantellato le testimonianze dell'accusa, con la forza che gli viene dal fatto che tra essi vi erano ex candidati al Parlamento o addirittura ex parlamentari del Partito della Retta Via della Tansu Ciller o del Partito dei Democratici di Sinistra di Bulent Ecevit, cioè di due tra i peggiori partiti prodotti dal kemalismo degenerato di questi decenni: ma le stesse riforme del sesto pacchetto, recentissimamente approvate dal Parlamento turco, nel momento in cui aboliscono l'art. 8 della legge antiterrorismo significano che anche nell'ipotesi che gli imputati vengano nuovamente condannati la loro condanna non potrà superare i nove anni: ed essi ne hanno già scontati nove e mezzo. Continuando a decidere l'incarcerazione degli imputati la Corte non solo ha continuato imperterrita nella sua violazione degli obblighi a cui la Turchia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo ma ha pure violato la legge del suo paese. Tuttavia il Ministro della Giustizia Çiçek continuerà, temiamo, a non avere nulla da dire. La magistratura in Turchia non è indipendente? Quindi lui, tacendo, non rispetta a pieno i principi democratici dello stato di diritto, su cui si fonda ogni sistema della giustizia che si rispetti, e come richiesto dall'Unione Europea? Analoga risposta nei prossimi tempi daranno, immagino, i vari sepolcri imbiancati dei governi europei e delle istituzioni europee. Ma da che cosa è indipendente tutta questa tragica buffonata fascista, se non da ogni principio di democrazia e di giustizia? --------------------------------------------------------------------------------------- La sesta udienza si è caratterizzata per la protesta da parte degli avvocati della difesa che hanno dichiarato la loro intenzione di non partecipare più al dibattimento. Alla fine abbiamo chiesto un'intervista ad Eren Keskin sull'andamento del processo. Ankara: diario della sesta udienza. 15 agosto 2003 Ankara, 15 agosto 2003 Diario della sesta udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi colleghi Selim Sadak, Hatip Dicle, Orhan Dogan Un'udienza brevissima Eravamo stanchi morti alle otto di sera del 14 agosto, appena giunti ad Ankara dopo una giornata di viaggio caldissima, code affollate negli aeroporti e ritardi prolungati dei voli. A Malpensa ci eravamo ritrovati in mattinata con Stefano Squarcina, proveniente da Bruxelles e in piedi dalle quattro e mezza. Domani allora ci sarà la sesta udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi tre compagni di carcere. Niente doccia per rifarci un po', avevamo appuntamento a cena con i compagni che dirigono DEHAP, con Feleknas Uca, con Luisa Morgantini e con la nostra amica e interprete Lerzan. Per fortuna Ankara è su un altopiano e alla sera c'è sempre fresco. Luigi uscirà dalla discussione con il giovane presidente di DEHAP molto contento: un uomo intelligente e colto e una cultura politica assai moderna, ci dirà. La mattina dopo, ci siamo ormai abituati, partenza con un paio di taxi per il Tribunale, palazzaccio massiccio in stile fascista come d'altronde tutti i tribunali in tutto il mondo. Incontriamo prima di entrare nell'edificio l'avvocato della difesa Mustafa Özer, gli chiediamo una previsione, ci risponde che se la giustizia in Turchia funzionasse secondo criteri non necessariamente democratici ma almeno razionali i quattro imputati dovrebbero già essere stati liberati, dato che con il settimo pacchetto di riforme, approvato poco più di un mese fa, parte dei capi di imputazione è venuto a cadere quindi anche se gli imputati saranno nuovamente condannati la pena non potrebbe superare i nove anni, e loro ne hanno già scontati più di nove e mezzo, quasi dieci. Un po' più del solito ci pare oggi sperare Özer: è passato un po' più di mese, ci spiega, da quando la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato l'abolizione dell'art. 8 della legge antiterrorismo, dell'articolo cioè su cui si basò nel 1994 la condanna a 15 anni degli imputati, la Corte potrebbe finalmente accorgersene. Ma Özer sarà costretto a cambiare idea prima che passino due ore. Per quanto invece ci riguarda dopo cinque udienze trascorse tutte quante all'insegna della più assoluta protervia da parte della Corte e dell'accusa non ce la sentiamo più di sperare. Nel frattempo è arrivato il pullman della gendarmeria con gli imputati: e come sempre c'è una piccola folla di curdi, molte le donne, in attesa, che quando il pullman arriva fanno una piccola manifestazione di solidarietà agli imputati, applaudono, alzano due dita a V, le donne emettono un grido ritmato e prolungato. Polizia e gendarmeria come al solito poi si interpongono. E come sempre io e Lerzan ci uniamo a questa folla, sotto lo sguardo un po' accigliato e un po' preoccupato di Luigi e di Stefano, i quali poi, come sempre, ci fanno venir via. Entriamo nel Tribunale, e dopo poco nell'aula del processo. Come da qualche udienza a questa parte le barriere di polizia all'entrata del Tribunale sono scomparse, o ridotte a un modesto residuo, inoltre la presenza di gendarmi armati in aula è ridotta. Stavolta però assieme ai gendarmi sono mescolati dei soldati: forse una parte dei gendarmi è in ferie? L'aula rapidamente si riempie: oltre a noi, parenti e amici degli imputati, rappresentanti di DEHAP e delle associazioni per i diritti umani, rappresentanti di associazioni internazionali di giuristi democratici, provenienti, in quest'udienza, dalla Francia, dalla Germania e dalla Gran Bretagna, rappresentanti infine dell'Ambasciata italiana, anche a nome del Consiglio Europeo, e della Commissione Europea. Ci salutiamo con tutti quanti, ormai ci conosciamo e di molti siamo diventati amici. Entrano gli imputati, salutano con larghi gesti parenti e amici, salutano anche noi, anche loro ci riconoscono. Leyla Zana oggi ha un volto pallido e tirato. Entrano infine Corte e accusa. Il Procuratore è tornato quello di sempre, ha una bella abbronzatura e sembra più arcigno che mai; presiede uno dei due giudici a latere, anch'egli abbronzato, e gli altri due giudici sono facce mai viste. Evidentemente il Presidente della Corte e un giudice a latere sono in ferie. Tutti insomma si fanno le loro ferie anche in Turchia, salvo ovviamente chi sta in galera. La Turchia però è speciale in questo: che quel pezzo della sua giustizia che fa capo ai Tribunali per la sicurezza dello Stato in ferie invece, che diamine, non ci va, vigila come d'uopo sulla sicurezza dello Stato dodici mesi all'anno su dodici. Paese, debbo dire, davvero sfortunato. Si comincia. Il Presidente fa presente che tre testimoni dell'accusa non sono ancora stati trovati, se ne sarebbero andati da dove vivevano senza comunicare i nuovi recapiti. Ci saranno quindi solo due testimoni dell'accusa - e nessuno invece della difesa. Essa, ci diranno i suoi avvocati al termine dell'udienza, ha rinunciato a continuare a portare i suoi testimoni, per sottolineare più efficacemente il fatto che comunque le violazioni dei suoi diritti hanno caratterizzato l'intero processo. Insomma, ma lo vedremo anche in quest'udienza, la difesa ha deciso di alzare il tiro, di attaccare a fondo cioè la conduzione stessa del processo. Il primo dei testimoni è la segretaria dell'oculista che aveva visitato quel militante del PKK che si era rivolto al segretario di Orhan Dogan per essere aiutato a curarsi gli occhi. Nel 1993 a questa donna erano state mostrate delle fotografie e in una di esse aveva riconosciuto il militante del PKK in questione. Ora però, a dieci anni, non ricorda nulla. Né ricorda se il militante del PKK era stato accompagnato dall'oculista da qualcuno. Il secondo dei testimoni è il commesso che nel 1994 lavorava per il negozio di ottica che aveva prodotto gli occhiali prescritti dall'oculista al militante del PKK. Qualcuno, dichiara, venne al negozio a ritirare questi occhiali esibendo una tessera sanitaria intestata a Orhan Dogan, però non era Orhan Dogan (rammento che la fattura degli occhiali fu intestata a Orhan Dogan e che il Parlamento turco rimborsò Orhan Dogan del prezzo degli occhiali). Era normale, chiede l'avvocato Alatas¸, consegnare degli occhiali a chi presentava una tessera sanitaria non sua e spiccare la relativa fattura all'intestatario di questa tessera? No, risponde il teste, attraverso il "controllo della firma" ci dovevamo accertare che il portatore della tessera ne fosse effettivamente l'intestatario. Quindi, chiede Alatas¸, solo Orhan Dogan avrebbe potuto ritirare gli occhiali? Perché allora li avete dati ad uno che non era Orhan Dogan? Mi pare di ricordare, risponde il teste, che consegnammo gli occhiali ad un figlio di Orhan Dogan e che questi firmò con il nome del padre. Questo tipo di sostituzione a volte accade. Interviene Orhan Dogan: mio figlio ai tempi aveva dieci anni, il militante in questione del PKK ne aveva 23, gli occhiali erano per un adulto: come può un bambino di dieci anni aver imitato la mia firma, come potete aver confuso mio figlio con un adulto? Alatas¸: il testimone ci ha detto che a ritirare gli occhiali non fu Orhan Dogan, e ora sappiamo anche che gli occhiali non poterono essere ritirati da suo figlio. Chi li ritirò? Ma il povero testimone a questo punto è in tutta evidenza nel pallone e si rifugia in un "non ricordo". Fine dei testimoni. E' difficile capire perché mai l'accusa ne abbia voluto l'ascolto: non avevano palesemente niente da dire. Gli interventi della difesa Interviene per primo il Presidente del collegio dei difensori Yusuf Alatas¸. Quest'udienza, esordisce, è la sesta di questo processo, e siamo estremamente frustrati. I nostri clienti sono da dieci anni in carcere, dal 1994. Dopo otto anni, a seguito dei nostri ricorsi, c'è stata la sentenza della Corte di Strasburgo che dichiara che il processo del 1994 ai nostri clienti non fu equo, che in esso le norme definite nella Convenzione Europea sui Diritti Umani non erano state rispettate, quindi che doveva essere rifatto. Rifatto: cioè che occorreva fare un processo totalmente nuovo, non ripetere quello del 1994, con le sue caratteristiche di illegittimità. A due anni da questa sentenza la Turchia ha deciso di rifare il processo, ed eccoci qua. All'inizio abbiamo molto sperato che fosse davvero un nuovo processo: quindi che alla fine ci sarebbe stata una nuova sentenza, a partire da uno studio obiettivo da parte della Corte di tutti gli elementi di prova, perciò anche di quelli che nel 1994 non erano stati accettati, che poi erano tutti quelli portati dalla difesa. Abbiamo inoltre sperato che gli imputati fossero immediatamente scarcerati: altrimenti la continuazione della loro detenzione avrebbe significato che si stava ripetendo il vecchio processo. Ma per cinque udienze e ancora in questa la Corte ha solo mostrato di non voler rifare il processo bensì di voler ripetere quello vecchio; e in quest'ottica ha continuato a rendere valida la sentenza di condanna del vecchio processo cioè non ha voluto la scarcerazione degli imputati. Vi siete solamente preoccupati di confermare la validità di questa sentenza: e la conclusione che si trae da questo è che non avete mostrato nessun interesse per la legalità del nuovo processo. Altrimenti, appunto, come ha affermato la Corte di Strasburgo, avreste dovuto scarcerare e subito gli imputati. Ribadisco: la Corte di Strasburgo ha emesso una sentenza che, nel momento in cui afferma l'illegittimità del processo del 1994, quindi della sua sentenza, comporta la scarcerazione degli imputati. Inoltre l'illegittimità del vecchio processo consiste soprattutto nella violazione dei diritti della difesa, a partire dall'ineguaglianza stridente delle condizioni in cui operarono accusa e difesa. Questo vi avrebbe obbligati alla ricerca da capo dei fatti, in particolare ad ascoltare i testimoni della difesa. Ma non avete mai accolto le richieste della difesa, salvo quando i testimoni si sono presentati sulla porta di quest'aula, invece avete sempre accolto le pregiudiziali dell'accusa. Così anche in questo processo accusa e difesa non sono stati posti in condizioni di parità. Il fatto sostanziale, allora, è che voi siete convinti sin dall'inizio di questo processo che la sentenza del precedente processo fu giusta. Avete iniziato questo processo pensando che il precedente processo fu giusto. Il fatto sostanziale perciò è che il rifacimento del processo è solo un rifacimento di facciata, per poter dire alla Corte di Strasburgo che ne avete rispettato la sentenza. Prendiamo per esempio la testimonianza resa dall'avvocato Fethi Gümüs¸: questi ha affermato che né Leyla Zana né gli altri imputati hanno fatto propaganda per il PKK nelle due riunioni di Medinan. La Corte tuttavia non ha preso in alcun conto la sua deposizione. I testimoni dell'accusa e quelli della difesa non sono stati messi a confronto. Non avete mostrato alcun interesse per le argomentazioni che abbiamo portato a proposito delle recenti modificazioni degli articoli del codice penale relativi al terrorismo. Ogni qual volta abbiamo proposto qualcosa avete guardato dalla parte dell'accusa prima di esprimere la vostra decisione. Non vogliamo perciò più prestarci a questo gioco, continuate il processo con la partecipazione soltanto dell'accusa. Interviene ora l'avvocato Mustafa Özer. E' la prima volta nella storia della Turchia, argomenta, che viene rifatto un processo perché quello precedente non è stato considerato equo dalla Corte di Strasburgo. Ma anche l'attuale processo non è basato sui principi universali della giustizia. Voi lo state rifacendo come se fosse un vostro problema di onore: per dimostrare alla Corte di Strasburgo che i giudici in Turchia non fanno errori, che non sbagliano mai, che le loro sentenze sono sempre giuste. Quindi questo è solo un processo di facciata, e se si concluderà con la stessa condanna del 1994 dimostrerete solo di non essere oggettivi e di essere lontani dalla stessa legge turca. Özer poi consegna alla Corte un rapporto dell'Associazione degli Avvocati e dei Giuristi Indipendenti, un'associazione internazionale la cui sede è a Ginevra, sulle udienze di maggio, giugno e luglio. In questo rapporto si afferma che il nuovo processo è in realtà una "farsa giudiziaria" nel cui contesto è violato ogni diritto della difesa e degli imputati ed è inoltre violata la stessa legge turca. Interviene poi l'avvocato Hasip Kaplan. Noi abbiamo inviato a Strasburgo quattro ricorsi per illegittimità relativi ad altrettanti processi e tutt'e quattro i ricorsi sono stati accolti, in tutt'e quattro i casi la Corte di Strasburgo ci ha dato ragione. Il processo che qui ora si sta svolgendo è molto importante per la democrazia parlamentare in Turchia, per l'affermazione in questo Paese dei diritti umani e di una giustizia equa. Ma purtroppo voi continuate con i soliti metodi, come se cioè non ci fosse stata una sentenza della Corte di Strasburgo e non ci fossero stati da parte del nostro Parlamento sette pacchetti di riforme. Voi così continuate a negare i diritti fondamentali dei nostri cittadini, primo fra tutti quello alla libertà. Appunto questo dimostra il fatto che gli imputati continuano a rimanere in carcere. Interviene infine l'avvocato Sezgin Tanrikulu. Noi non abbiamo altre richieste da farvi, dichiara, perché abbiamo constatato che state semplicemente proteggendo la sentenza del 1994 e che la vostra intenzione è di riconfermarla. Questo è il senso del vostro comportamento. Ci chiediamo scandalizzati a che cosa serva fare da parte nostra in questo processo delle richieste, a cosa serva perciò rifare il processo del 1994, e a cosa servano le stesse riforme giuridiche del Parlamento, dato che qui poi non vengono applicate. Il Presidente della Corte informa che l'accusa gli ha appena consegnato gli indirizzi di due di quei suoi testimoni che sinora non si erano presentati al processo perché irreperibili. Essi verranno contattati perché siano presenti alla prossima udienza. Quindi la Corte si ritira - come sempre assieme all'accusa. Torna dopo cinque minuti. Queste le sue decisioni: gli imputati restano in carcere, il processo è aggiornato al 15 settembre. In tutto quest'udienza è durata un'ora e mezza, sono appena le undici del mattino. Un'intervista a Eren Keskin Eren Keskin è una bella donna, occhi dolcissimi, di una quarantina d'anni. E' curda ma ha una nonna circassa. E' una delle figure eroiche della lotta in Turchia per i diritti umani: ha a suo carico qualcosa come un 150 denunce e non so quanti processi in corso. E' stata sospesa per un anno dall'albo degli avvocati per aver dichiarato che i colpevoli degli stupri di massa che si susseguono nel sud-est sono membri delle forze di sicurezza. E' una materia che purtroppo conosce bene: è stata minacciata parecchie volte, anche con articoli su giornali, di stupro, e ha adottato alcuni mesi fa una bimba curda violentata proprio da membri delle forze di sicurezza. E' presidente della sede di Istanbul dell'Associazione per i Diritti Umani - una di quelle sedi che esprimono le posizioni più radicali, nel quadro di una dialettica complessa e interessante. Approfitto a tambur battente della brevità dell'udienza per proporle un'intervista. Eccola. Cosa pensi dell'andamento di questo processo, è la mia prima domanda. Lo Stato turco, mi risponde, e l'esercito in particolare hanno bisogno della guerra, volendo continuare a negare, di fatto, la democrazia e i diritti delle minoranze. Fino a oggi tutto quello che è stato fatto aveva l'obiettivo di dar da intendere all'Unione Europea che un processo di riforme sostanziali in senso democratico e di implementazione dei diritti umani è stato avviato: di fatto, invece, sul terreno non c'è stato nessun cambiamento sostanziale, come dimostra anche l'andamento di questo processo. Ma che cosa si dovrebbe fare, allora, per modificare realmente la situazione? Il fatto è che manca quasi totalmente nella parte turca della popolazione una società civile. Il potere militare è tuttora troppo forte e condiziona tutta la vita sociale, non solo la politica. E' molto forte anche sul piano economico. Non ha mai avuto una crisi interna, una crisi che ne intaccasse la compattezza. Quindi tutta la società turca subisce un forte condizionamento, in tutti i sensi, su tutti i piani fondamentali della sua esistenza. Noi perciò vorremmo dall'Unione Europea un intervento forte sulla Turchia, un intervento con l'obiettivo di togliere il potere ai militari. Le riforme in corso (con il settimo pacchetto) che riducono la presenza dei militari nel Comitato per la Sicurezza dello Stato sono sostanzialmente inutili, questo l'Unione Europea lo deve capire. L'Unione Europea deve dire che questo Comitato va abolito. Se non viene meno questa struttura dello Stato, che poi è il centro reale del potere politico, la strada delle riforme democratiche in Turchia resta chiusa. Finora, ripeto, siamo a poco meno della presa in giro dell'Unione Europea. Ti ricordo che sono già stati approvati sette pacchetti di riforme e che non è cambiato sostanzialmente niente. Non si vede nel governo attuale, inoltre, una volontà politica ferma di fare di questo paese una democrazia: è un governo che si muove facendo del piccolo cabotaggio, che fa operazioni di facciata, ma non c'è sostanza. Berlusconi secondo te può contribuire, con le sue recenti dichiarazioni, a che ci sia in Turchia l'illusione di entrare così com'è, più o meno, nell'Unione Europea? Non so, quello che per ora vedo è che anche in questo caso sta accadendo che le persone che hanno lo stesso modo di pensare finiscono per avvicinarsi. Berlusconi è diventato amico di Erdogan perché i due sono molto simili; è per questo che adesso continuano a dirsi tra loro cose piacevoli, quello che ciascuno di loro vuol sentirsi dire dall'altro. L'Unione europea è davvero rappresentata da Berlusconi? Spero di no. E se l'Unione Europea non è Berlusconi, o non è solo Berlusconi, dovrà registrare, prima o poi, che questo è un paese assai difficile da cambiare, che ha una struttura dello stato solida come la pietra, e che è questa la questione da affrontare. E' però anche vero che fino a oggi quello che l'Unione Europea ha fatto sul versante della Turchia è stato del tutto insufficiente. E il rischio, andando avanti così, è che la Turchia riesca a entrare nell'Unione Europea con la sua struttura militare, con il suo potere militare, insomma com'è attualmente. Sia i militari che gli altri apparati statali che lo stesso governo è questo che sperano. In fondo alla costruzione di questa struttura militare hanno partecipato a suo tempo anche alcuni stati europei. L'intervista finisce qui: nell'atrio del Tribunale siamo rimaste solo Eren Keskin, un compagno della sede di Istanbul dell'Associazione per i Diritti Umani, Lerzan e io, e un agente della polizia ci fa segni impazienti che dobbiamo uscire. In attesa all'aeroporto, un paio di storie di ordinaria Turchia Corriamo all'aeroporto nella speranza di imbarcarci rapidamente per Istanbul, purtroppo non andrà a finire così, e nel pomeriggio che passiamo all'aeroporto Lerzan e io prima mettiamo a posto gli appunti di quest'udienza del processo e poi ci mettiamo a chiacchierare sulla manifestazione di protesta contro la possibilità che vengano inviati in Irak 10.000 soldati turchi. Infatti, la Turchia probabilmente invierà 10.000 soldati in Iraq a sostituirvi più o meno altrettanti soldati degli Stati Uniti stufi di farsi sparare. Nel giorno del matrimonio del figlio di Erdogan - a cui Berlusconi, com'è noto, è stato testimone - i giovani del Partito EMEP - uno dei due partiti della sinistra turca - hanno manifestato, nei pressi del palazzo dove il matrimonio veniva celebrato, contro l'invio in Iraq di questi soldati. Tra i loro slogan c'era, giustamente, "Erdogan manda tuo figlio in Iraq". I 5 mila agenti di polizia che presidiavano il palazzo hanno caricato e picchiato selvaggiamente i manifestanti; poi delle cariche e dei pestaggi è stato dato ampio ragguaglio in televisione, a monito ai giovani della Turchia che contro le decisioni del governo Erdogan è inopportuno manifestare. In contemporanea, Berlusconi elogiava gli intendimenti democratici del governo Erdogan, i suoi pacchetti di riforme, e ribadiva come a suo avviso la Turchia debba essere fatta entrare rapidamente nell'Unione Europea. Lerzan mi fa notare un articolo del quotidiano Cumhuriyet - uno dei principali quotidiani turchi, legato al Partito Repubblicano del Popolo, cioè all'attuale opposizione parlamentare - all'interno del quale è pubblicata la fotografia di una vecchietta. L'articolo era intitolato "scarcerate le quattro nonne di Malatya" ed è talmente esemplificativo della situazione turca che abbiamo deciso di inserirlo in questo diario. Quattro nonne, spiega, sono state condannate nel 2001 dal Tribunale per la Sicurezza dello Stato di Malatya a tre anni e nove mesi di carcere, accusate di aver fiancheggiato il PKK. Le prove a loro carico consistevano nel fatto che i loro nomi erano scritti su un foglio trovato nella tasca di un militante del PKK ucciso nel 2000 e nelle dichiarazioni di un loro legame con il PKK da parte di un delatore. A queste nonne è stato imposto, inoltre, il carcere duro, ciò che significa, tra l'altro, l'impossibilità di incontrare i parenti e gli amici nel contesto delle cosiddette "visite aperte", dove condannati e parenti si incontrano in una sala del carcere. Di conseguenza queste nonne potevano avere solo un incontro alla settimana e solo con un parente, inoltre non entrando a contatto diretto ma comunicando, separati da una vetrata, con un telefono. Queste nonne, continua l'articolo, sono state rilasciate alcuni giorni fa, quindi in anticipo rispetto al compimento della pena, perché hanno potuto usufruire della legge sul reinserimento dei detenuti nella società. Proprio così, non ridete. Emine Kiyançiçek, la nonna della fotografia, che ufficialmente ha 81 anni, ma che sostiene di averne 90, perché le diedero il primo documento che dichiarava che era appena nata che aveva già più di dieci anni, e che è la più anziana delle quattro, perché le altre nonne sono tra i 70 e gli 80 anni, ora grazie alla legge per il reinserimento dei detenuti nella società è tornata al suo villaggio, Uzuntarla, che è su un altopiano, vicino a Tumceli. Ha dichiarato, scrive l'articolo, che lo Stato turco non ha mostrato nei riguardi delle nonne né coscienza né pietà, per averle messe in carcere così anziane, in più per avere impedito a lei di poter incontrare e abbracciare i nipoti. La povera donna, scrive ancora l'articolo, non ha ancora capito perché è stata arrestata, processata, condannata ad una pena carceraria e sottoposta a carcere duro. Al Procuratore della Repubblica aveva dichiarato di non avere aiutato nessuno e che nessuno che non fosse del villaggio era stato a casa sua, e che se c'era qualcuno che necessitava di essere aiutato era lei. Al Procuratore ha anche detto che lo Stato è di tutti, anche suo, perché viviamo tutti sotto la stessa bandiera. Il Procuratore però non ha avuto dubbi e l'ha incriminata e fatta condannare. Io sono molto vecchia, ha aggiunto, ho venti nipoti, ho visto anche il figlio di un mio nipote, ma lo Stato non ha avuto pietà della mia età e così ho fatto più di due anni di carcere. Il carcere non mi faceva paura ma ero molto triste perché avevo paura di morire senza riuscire a rivedere i miei nipoti. Non dimenticherò mai questa ingiustizia e non perdonerò mai chi me l'ha fatta. Emine ora non fa che muoversi nel suo villaggio e guardare le montagne che lo circondano. Il suo desiderio è di morire in pace e con intorno i suoi nipoti in questo villaggio e tra queste montagne. Novità Edizioni Punto Rosso Forum Mondiale delle Alternative a cura di F. Houtart, S. Amin La globalizzazione delle resistenze Lo stato delle lotte 2002/2003 Il libro raccoglie i contributi di diversi autori da tutte le parti del mondo sullo stato delle lotte nei diversi continenti e alcuni saggi sui temi principali della resistenza alla globalizzazione capitalistica e sulle sue alternative. Collana Libri FMA/8, pp. 420, 15 Euro. Pubblicato in collaborazione con Terre Des Hommes Indice 1. Lo stato dei Luoghi - Lo stato delle lotte 1. L'Asia dell'Est. 2. La Cina. 3. Il Sudest asiatico. 4. L'india. 5. Il Mondo Arabo e il Medio Oriente. 6. L'Africa Subsahariana. 7. L'America Latina. 8. L'America del Nord. 9. L'Europa dell'Est. 10. L'Europa Occidentale 2. Le poste in gioco globali delle lotte contemporanee 1. Il petrolio chiave del dominio economico. 2. L'acqua, sfida globale dell'avvenire, tra privatizzazione e bene comune dell'umanità. 3. Il debito estero, meccanismo di estrazione delle ricchezze. 4. La lotta contro la povertà, utilità politica di un argomento nel nuovo ordine mondiale. 5. I movimenti delle donne per un'altra globalizzazione. 6. La militarizzazione del mondo e le nuove condizioni della pace 3. L'ampiezza delle sfide, riflessioni sulle origini e i percorsi delle resistenze e delle lotte 1. La dimensione economica. 2. La dimensione sociale. 3. La dimensione culturale. 4. La dimensione politica 4. La ricerca delle alternative 1. Il paradigma dello sviluppo. 2. Progetti e livelli delle alternativie -------------------------------------------------------------------- Atilio A. Boron IMPERO & IMPERIALISMO Una lettura critica di Michael Hardt e Antonio Negri L'imperialismo attuale non è lo stesso di trent'anni fa. E' cambiato, ma non è diventato il suo contrario, come ci propina la mistificazione neoliberista. Esso continua ad opprimere i popoli e le nazioni, seminando ad ogni passo dolore, distruzione e morte. Nonostante i cambiamenti conserva la sua identità e struttura e continua a perpetuare la sua funzione storica nella logica dell'accomulazione mondiale del capitale. Le sue mutazioni, la sua volatile e pericolosa compresenza di tradizione e innovazione, richiede la costruzione di un nuovo approccio che ci permetta di capire la natura attuale dell'imperialismo. Questa continuità dei paradigmi fondamentali dell'imperialismo - non necessariamente della sua fenomenologia - viene ignorata nell'opera di Hardt e Negri, tanto che in nome di tale negazione essi definiscono l'Impero. Cercheremo, con questo libro, di dimostrare che, come le Mura di Gerico non crollarono di fronte al suono delle tronbe di Giusuè e dei suoi sacerdoti, così nemmeno la realtà dell'imperialismo svanisce davanti alla fantasia dei filosofi. Atilio A. Boron è docente di Teoria politica e sociale all'Università di Buenos Aires (UBA) ed è segretario della CLACSO (Consiglio latinoamericano di scienze sociali) Collana Libri Varia, pp. 160, 10 Euro. ------------------------------------------------------------------- ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO puntorosso at puntorosso.it FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE fma at puntorosso.it LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE lup at puntorosso.it EDIZIONI PUNTO ROSSO edizioni at puntorosso.it VIA MORIGI 8 - 20123 MILANO - ITALIA TEL. 02-874324 e 02-875045 (anche fax) www.puntorosso.it
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