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La nonviolenza e' in cammino. 658
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 658
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 29 Aug 2003 20:04:30 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 658 del 30 agosto 2003 Sommario di questo numero: 1. Annalisa Frisina: se ascoltiamo seriamente 2. Stephen Funk: la mia obiezione di coscienza 3. Da Arusha un appello 4. Marcella Boccia: una lettera aperta al Dalai Lama 5. Gianfranco Monaca: la bandiera della pace, dichiarazione permanente di "guerra alla guerra" 6. Alessandro Rossi: differenza come ricchezza, anche nelle forme organizzative 7. Luisa Morgantini: Donne in nero, insieme per osare la pace 8. Due incontri a Montegiove 9. Enrico Peyretti presenta "Obiezione alla violenza, servizio all'uomo" a cura della Caritas italiana 10. Gianni Vattimo presenta cinque libri di Antonio Scurati, Irene Bignardi, Giorgio Agamben, Serge Latouche, Antonio Scivoletto 11. Ottavio Raimondo presenta "Riscoprirsi persone responsabili" 12. Riletture: Laurana Lajolo, Gramsci. Un uomo sconfitto 13. Riletture: Marina Paladini Musitelli, Introduzione a Gramsci 14. Riletture: Mimma Paulesu Quercioli, Gramsci vivo nelle testimonianze dei suoi contemporanei 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. IN GUISA DI EDITORIALE. ANNALISA FRISINA: SE ASCOLTIAMO SERIAMENTE [Da AA. VV., Donne e religioni. Il valore delle differenze, Emi, Bologna 2002, p. 44. Annalisa Frisina e' docente all'universita' di Padova] Se ascoltiamo seriamente le critiche che ci vengono dalle donne del sud del mondo, dobbiamo riconoscere che non e' possibile difendere i loro diritti (e i nostri) all'interno dell'attuale modello neoliberista. 2. TESTIMONIANZE. STEPHEN FUNK: LA MIA OBIEZIONE DI COSCIENZA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 agosto 2003. Stephen Funk e' un riservista del corpo dei Marines, si e' rifiutato di andare in Iraq e rischia una dura condanna; il processo e' previsto per il prossimo 4 settembre; all'indirizzo www.notinourname.net/funk/index.html c'e` un appello per inviare messaggi di solidarieta` che chiedano che Funk non sia condannato a causa delle sue convinzioni: i messaggi vanno inviati ai seguenti indirizzi: Commandant of the Marine Corps, Headquarters, U.S. Marine Corps, Washington, DC 20380-1775; Commanding Officer, Headquarters, 4th FSSG, 4400 Dauphine Street, New Orleans, LA 70146-5400; inviandone una copia a: stephenfunk at objector.org] Mi chiamo Stephen Funk. Sono un riservista del corpo dei Marines che ha parlato apertamente contro l'invasione dell'Iraq. Adesso sono accusato di diserzione, anche se sono ritornato alla mia unita' dopo aver compilato una domanda per essere congedato come obiettore di coscienza. La mia udienza al tribunale militare e' fissata per il 4 settembre a New Orleans, e posso essere condannato a due anni di prigione. Oppormi alla guerra dalla mia posizione e' stato estremamente difficile e sono molto orgoglioso di aver preso pubblicamente quella decisione. Sono nato e cresciuto a Seattle dove ho preso parte alle proteste contro la globalizzazione in occasione del vertice del Wto. Mi sono poi trasferito a Los Angeles per andare al college. Mi sono sempre considerato un attivista e sono dalla parte dei popoli oppressi del mondo. Fin dalla scuola superiore ho lavorato in numerose campagne in favore degli oppressi, dei prigionieri politici, per la pace e per la giustizia nelle nostre comunita'. Sono andato via da Los Angeles perche' pensavo che la scuola che frequentavo fosse politicamente troppo apatica e mi sono trasferito nella zona di San Francisco, sperando di entrare all'Universita' della California di Berkeley. Nonostante questo, mi sono fatto convincere a entrare nei Marines. Per la prima volta fuori da scuola, depresso per la mancanza di direzione e per la confusione nella mia vita, mi sono fatto convincere da uno che reclutava per l'esercito perche' speravo di imparare qualche specializzazione di base. Quello che mi ha persuaso sono state la leadership, il lavoro di squadra, la disciplina e soprattutto un senso di direzione e di stabilita'. Fu una decisione che presi a 19 anni in uno stato di confusione mentale. L'esperienza del campo di addestramento mi riporto' velocemente alla realta', ma a quel punto sembrava troppo tardi per fare qualcosa. Lo scopo dell'addestramento militare e' produrre macchine che uccidano senza pensare. Tutti gli esseri umani nutrono un'avversione naturale a uccidere, ed essere costretto a gridare ogni giorno e' un grande stress per il corpo, la mente e lo spirito. Per adattarsi alla vita innaturale che i militari ti insegnano ci si deve trasformare. Io pero' ho resistito e di conseguenza le mie convinzioni morali contro la violenza si sono rafforzate. Un istruttore di tiro mi disse che avevo un "cattivo atteggiamento", che in una situazione reale avrei fatto la cosa peggiore. Senza pensare risposi che aveva ragione, perche' uccidere la gente e' sbagliato. Fu come se avessi respirato a fondo dopo aver trattenuto il fiato per due mesi, e non c'era modo che potessi tornare a "continuare con il programma". Avevo scoperto che la guerra in se stessa e' immorale e non puo' essere giustificata. Ma tutti mi dicevano che era inutile tentare di uscire dall'esercito. Eravamo addestrati a essere subordinati nei nostri pensieri, nelle nostre parole e nelle nostre azioni. Andare contro tutto questo e' difficile, anche se uno sa che ha ragione. In febbraio la mia unita', di base a San Jose', venne chiamata a sostegno dell'attacco in Iraq. Non potevo piu' obbedire e basta. Per le sei settimane successive rimasi in contatto con il mio comando, spiegando perche' non mi ero ancora presentato a rapporto. Completai i documenti di obiettore di coscienza che avevo incominciato in precedenza e partecipai alle manifestazioni contro la guerra con centinaia di migliaia di altre persone. Davanti a questa guerra ingiusta, basata sulle menzogne dei nostri leader, non potevo stare zitto. Secondo me avere la possibilita' di fare qualcosa di buono e invece andare sul sicuro sarebbe veramente stata vigliaccheria. Il primo aprile, dopo una conferenza stampa di fronte alla mia base, mi sono costituito. Ho parlato pubblicamente in modo che altri militari capissero che anche loro hanno una possibilita' di scelta e il dovere di resistere davanti a ordini immorali e illegittimi. Non si e' obbligati a essere un ingranaggio nella macchina della guerra. Tutti abbiamo l'insopprimibile potere del libero arbitrio. Volevo che quelli che magari pensavano di arruolarsi ascoltassero e imparassero dalle mie esperienze. Data l'attenzione dei media, inizialmente i militari dichiararono che la mia domanda di congedo sarebbe stata trattata velocemente ed equamente, e che probabilmente avrei ricevuto solo una punizione extragiudiziale per un'assenza non autorizzata. Ora che l'attenzione del pubblico e' diminuita, i militari dicono che merito di essere condannato. Sono convinto che mi si punisce semplicemente perche' affermo i miei diritti secondo il primo emendamento, e che cercano di darmi una punizione ingiusta per dissuadere altri da diventare obiettori di coscienza. Nella base sono stato un po' di volte oggetto di vessazioni. Certi mi hanno detto che sono un traditore, un vigliacco e che non sono patriottico. Ho ricevuto anche qualche minaccia di morte. Ma ho avuto anche una reazione positiva assolutamente fantastica, anche da parte di chi era gia' arruolato. Come il mio comandante ha detto alla stampa: "Il corpo dei Marines si rende conto che ci sono dei membri che sono contro la guerra". Certamente non sono solo. Quando ho scritto la mia domanda di congedo, sono stato completamente onesto sulla mia identita'. Questo ha voluto anche dire ammettere che sono gay. Penso che gli omosessuali devono essere in grado di prestare servizio militare se cosi' vogliono, e che la politica di "Non chiedere, non dire" sia orribile e che serva soltanto ai militari per perpetuare i sentimenti anti-gay nei loro ranghi. 3. APPELLI. DA ARUSHA UN APPELLO [Dall'"Associazione per i popoli minacciati / Gesellschaft fuer bedrohte Voelker" (per contatti: e-mail: info at gfbv.it; sito: www.gfbv.it) riceviamo e diffondiamo] L'Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (Iucn) terra' dall'8 al 17 settembre il quinto congresso sui parchi naturali nel mondo (World Parks Congress) a Durban in Sudafrica. L'evento ospitera' persone da tutto il mondo: oltre 2.700 rappresentanti di territori protetti e/o di associazioni, fondazioni, governi ma anche esponenti dell'economia privata parteciperanno al congresso per fissare i punti di svolta strategici per il futuro sviluppo dei parchi protetti. Per l'occasione i rappresentanti dei popoli indigeni africani si sono riuniti dal 10 al 22 agosto ad Arusha in Tanzania ed hanno elaborato la "Dichiarazione di Arusha", la quale e' fortemente sostenuta dall'Associazione per i Popoli Minacciati (Apm). "Noi popoli indigeni dell'Africa Orientale e del Sud chiediamo il riconoscimento, l'accettazione e la tutela della nostra identita' culturale, della nostra lingua, dei modi di vita tradizionali e dei nostri diritti fondamentali. Chiediamo inoltre l'uso senza limitazioni della nostra terra, delle nostre proprieta' e di prati e boschi nei quali viviamo da generazioni secondo le nostre tradizioni", si legge nella dichiarazione. La terra su cui vivono i popoli indigeni e' spesso ricca di risorse naturali. I popoli indigeni sanno usare queste risorse, come ad esempio legno, acqua, animali selvatici, con grande accortezza e per gli scopi piu' diversi. Opposto e' invece il comportamento delle multinazionali e dei governi che penetrano senza riguardi nell'habitat dei popoli indigeni, depredano la natura con le miniere e la pesca eccessiva, mettendo a serio rischio sia le popolazioni che vivono nei territori interessati sia gli stessi ecosistemi. Ad Arusha i popoli indigeni della Tanzania, dell'Uganda, Kenia, Sudan, Botswana, Namibia e dell'Etiopia hanno chiesto l'immediata sospensione di questo sfruttamento selvaggio. In concreto protestano contro le persecuzioni e i dislocamenti forzati dei Boscimani nelle riserve del Kalahari Centrale. Un destino simile tocca anche ai Batwa, la cui sopravvivenza e' messa in serio pericolo poiche' devono lasciare i parchi nazionali di Mbwindi e Mgahinga senza ricevere una qualche forma di compensazione per la perdita della loro terra. "Chiediamo al governo dell'Uganda che i Batwa siano riconosciuti come cittadini del paese. In questo modo i loro diritti alla terra, alla lingua e alla propria cultura non potrebbero piu' essere ignorati in modo cosi' arbitrario". Anche i Masai in Tanzania sono minacciati. Dopo essere stati cacciati dal parco nazionale del Serengeti e dislocati forzatamente dalla riserva di Mkomazi essi dovrebbero ora lasciare anche la zona protetta di Ngorongoro. Nella dichiarazione di Arusha i popoli indigeni chiedono che il governo fermi gli sfollamenti, restituisca ai Masai le loro terre originarie oppure che li risarcisca in modo adeguato per la perdita della terra. Per comprendere meglio le richieste dei popoli indigeni, tutti i governi africani sono esortati a partecipare alle diverse tavole di discussione degli indigeni. Inoltre viene loro chiesto di firmare finalmente la Convenzione Ilo 169 (Ilo: International Labour Organisation - Organizzazione Internazionale del Lavoro, una organizzazione dell'Onu con sede a Ginevra). Questa convenzione e' finora l'accordo sul diritto dei popoli piu' completo per la tutela dei popoli indigeni. In 44 articoli sono fissati non solo la parita' di trattamento dei popoli indigeni nel mondo del lavoro ma anche il loro diritto ad un proprio territorio, stile di vita, lingua e cultura. I popoli indigeni dell'Africa infine esortano le Nazioni Unite a convocare una Conferenza mondiale dei popoli indigeni, nella quale scambiare informazioni sui problemi e gli sviluppi della situazione dei diversi popoli e grazie alla quale sensibilizzare l'opinione pubblica sulle richieste avanzate dai popoli indigeni. 4. TESTIMONIANZE. MARCELLA BOCCIA: UNA LETTERA APERTA AL DALAI LAMA [Ringraziamo Marcella Boccia (per contatti: nextage at sfairos.it) per questa appassionato lettera, scritta nell'urgenza della commozione e nel candore del sentimento. Marcella Boccia, nata nel 1974, e' musicista e poetessa, dirige la rivista "New age e dintorni"] Caro Dalai Lama, Guruji, come ti chiamano da queste parti, mi chiamo Marcella Boccia e sono una giornalista italiana, autrice di canzoni, ragion per cui mi trovo qui a Mc Leod Ganj da un mese, ossia per raccogliere materiale informativo per una canzone che sto scrivendo in favore di un Tibet libero (Free Tibet). Ho incontrato le donne della Tibetan Women's Association, e sono state davvero gentili a darmi tutte le informazioni di cui avevo bisogno. Da alcuni anni dirigo una rivista telematica che si occupa di numerose campagne di solidarieta', ed ho spesso dedicato spazio alla questione tibetana. Non ti nego che mi sarebbe piaciuto incontrarti sin da subito, per intervistarti, ma non volevo rubare tempo alle tue questioni di certo piu' importanti, cosi' non ho chiesto un colloquio privato. Stamattina, tuttavia, una mia amica inglese mi ha comunicato: "Se lo desideri, sabato prossimo il Dalai Lama concedera' un'udienza pubblica; devi solo andare all'ufficio della sicurezza, col passaporto, e compilare un modulo". Ne ero felice, entusiasta, tanto da decidere di posticipare la data della mia partenza che sarebbe dovuta avvenire domani. Con il mio compagno di viaggio, che mi accompagna sempre ed ovunque, e gliene sono grata, soprattuto per le interviste in cui mi fa da interprete, perche' parla pefettamente hindi, panjabi ed inglese, mi sono recata a quell'ufficio, colmo di turisti dalla faccia pallida, ed in cui tre signori, piu' scuri, visibilmente annoiati, sedevano dietro a due scrivanie. Il mio compagno di viaggio mi precedeva, come sempre; dopo aver chiesto ad un'amica americana quale fosse la procedura da seguire, si e' avvicinato alla scrivania centrale, senza parlare, solo allungando una mano per ritirare il modulo da compilare, e che tutti gli altri si accingevano a riempire. Il "gentile signore", degnandolo di un fugace sguardo, gli ha sottratto il modulo dalle mani, esclamando, con arroganza: "No, tu no!". Il tuo funzionario, caro Guruji, non ha chiesto nulla al mio compagno di viaggio, e non vi erano precedenti che potessero spiegare un simile comportamento. Semplicemente, alla tua "guardia" non e' piaciuta la faccia del mio compagno di viaggio, una faccia indiana. Si', il mio compagno di viaggio e' indiano, ed il funzionario dell'Ufficio Sicurezza non gli ha chiesto i documenti, non ha chiesto se avesse un passaporto, non gli ha dato spiegazioni, ha detto "no" e basta. Quando, indignata ed incredula, mi sono avvicinata per chiedere: "Why?", la risposta e' stata: "He is local". Ho piu' volte ripetuto la domanda, insistendo nel voler capire cosa intendesse dire con quel "lui e' local": 'lui e' indiano"? Il signore, pero', continuava a rispondermi, in maniera davvero sgarbata ed infastidita, "He is local". Cosi' ho restituito il mio modulo, dicendo che ormai non ne avevo piu' bisogno, e dichiarando che, visto che lui non rispondeva alla mia domanda, avrei scritto a te per aver risposta. L'altro signore mi ha risposto: "Si', si', scrivi pure una lettera al Dalai Lama", con l'atteggiamento di chi sa che, tanto, non servita' a nulla. E allora? Il mio compagno di viaggio e' "local". Percio'? Dimmi... Oltre ad essere "local", lui e' un docente universitario plurilaureato, con un master in filosofia, uno in scienze ed un altro in yoga, ma anche se fosse "l'ultimo" degli indiani (espressione che non mi piace, ma che chiarisce il concetto), perche' mai tu non gli concedi di incontrarti per una tua benedizione? Credo che i tuoi funzionari siano, in quell'ufficio, tuoi portavoce. Mi auguro, tuttavia, con tutto il cuore, che non sia cosi'. Mi dispiace, ma ho preferito rinunciare anch'io all'udienza di sabato, a cui tenevo davvero tanto, perche' sono molto delusa. Mi sono detta: non voglio incontrare Sua Santita' il XIV Dalai Lama, premio Nobel per la pace, se lui incontra solo i ricchi occidentali che vengono qui per turismo, molti dei quali interessati solo a scattargli qualche fotografia da mostrare, orgogliosi, agli amici al ritorno nel proprio paese. Me ne andro', cosi', da questo incantevole luogo con una tale amarezza nel cuore che non so spiegarti. Come fai a parlare di pace nel mondo, se non c'e' pace neanche nella tua piccola, piccolissima comunita', in cui gli indiani ti hanno ospitato, e ti ospitano, dopo esser stato malamente e brutalmente cacciato dai cinesi dal tuo meraviglioso Tibet? Cosa hanno pensato, mi chiedo, tutti quei turisti dalla faccia pallida che hanno assistito alla penosa scena nell'ufficio? Ah, io posso immaginarlo: molti di loro si saranno di certo dispiaciuti, altri non hanno capito cosa stesse accadendo e perche' vi fosse una discussione in un luogo di pace, ed altri avranno trovato conferma al loro orgoglio di essere "superiori" perche' loro potevano ed un indiano no. Ai turisti, che si trovano in casa altrui, ospiti, e' concesso tutto, e gli indiani, quelli onesti, ospitali, educati ed umili, rinunciano anche al solo pensiero di dover chiedere. E pensare che il mio compagno di viaggio, dal cuore d'oro, non voleva venirci in quell'ufficio, presagendo, probabilmente, quello che sarebbe accaduto, ed io, testarda come buona parte degli occidentali, l'ho convinto; osservando l'ufficio dalla finestra del ristorante italiano, impaziente, gli dicevo: 'Sbrigati, andiamo, non vorrei che non ci fosse piu' posto per noi". Ed infatti non c'era posto, ma il posto che ci e' stato negato non e' fisico... Abbiamo lavorato tanto nel mondo e continuiamo a lavorare affinche' i cittadini dei paesi poveri, colpevoli solo di nascere gia' con un debito verso i paesi ricchi, non si sentano dei "diversi", e guarda cosa accade qui. Io mi sono vergognata, non riuscivo a guardare il mio compagno di viaggio negli occhi, e mi sono arrabbiata, poi, con lui per la sua passivita', per il fatto che non se la sia presa affatto, dicendomi, amorevolmente: "Non ti preoccupare, e' normale, io me lo aspettavo, ci sono abituato. Vai tu, ti aspettero' fuori". No, io non andro' in alcun luogo in cui a qualcun altro, chiunque esso sia, venga negato l'accesso, ed esigo una spiegazione, o, meglio, te ne sarei riconoscente. Sono nauseata dai soprusi, dalle dichiarazioni di "diversita'", da chi dice "tu puoi, tu invece no". Come facciamo a cancellare il debito dei Paesi poveri (e se sono poveri, la responsabilita' e' soprattutto occidentale), a convincere il mondo che tutti abbiamo gli stessi diritti, se neanche per te, ambasciatore della pace nel mondo, e' cosi'? Qui ho conosciuto gente che ti ama, che ti chiama, affettuosamente, Guruji, che si commuove al solo tuo pensiero; ma ho anche assistito alla scena di una turista svizzera che, sentendosi infastidita dalla stessa persona che da molti giorni le chiedeva soldi in strada, ha esclamato: "Perche' non te li fai dare dal Dalai Lama? Perche' il Dalai Lama non offre soldi a questa gente che ha fame?". Questa frase mi ha costretto a riflettere su una verita'. Ho incontrato molte persone amorevoli, oneste, spirituali, e molte altre disoneste ed egoiste nella tua Comunita', anche tra quelli che indossano il tuo stesso abito. Uno dei tuoi monaci, vestito proprio come te, mi ha salutata simpaticamente ogni giorno, sin dal mio arrivo; l'ultimo giorno in cui mi ha concesso un sorriso, l'ha fatto mostrandomi un biglietto in cui mi chiedeva, in uno strano inglese, soldi per studiare. In quel momento ero presa da altro e, poiche' quel biglietto non mi convinceva, non ho dato mano al portafogli, come invece ho fatto in altre occasioni, ma, dominata dal dubbio, l'ho ringraziato e salutato.Ebbene, da quel momento il tuo monaco mi ha tolto il saluto. Saro' una romantica, cosi' attaccata alle emozioni, ma certi eventi mi turbano, segnano la mia sensibilita' e so che me li trascinero' dietro per sempre. Come la delusione di scoprire, inaspettatamente, che la tua comunita' buddhista non e' vegetariana. Io ti ho sempre stimato per il tuo buon cuore e per cio' che fai non solo per il Tibet, ma per l'intera umanita', ed il mio amore per te e' gratuito, spontaneo, non certo dettato dai dogmi della tua religione che ti crede Dio in terra oppure dal fatto che potresti essere il mio Guruji: per me sei solo una grande anima, in un piccolo corpo, ed a capo di una piccola comunita' che, con il suo esempio di compassione, con i suoi discorsi pubblicati nei libri, tradotti in tutte le lingue, stampati sulle t-shirt che i turisti indossano, sulle tele che appendiamo nelle nostre case, sa giungere al cuore dell'umanita' ed accendervi una fiammella di speranza in un futuro migliore, in cui il mondo possa avere come unica legge il rispetto per tutto cioo' che vive. Ma questo rispetto che tu vai predicando deve venire prima da te e dai tuoi collaboratori, altrimenti non sei credibile e cio' che dici in quei libri diventa solo belle parole e basta. Come queste: "Quando incontro delle persone nelle diverse parti del mondo, questo mi ricorda sempre quanto siamo sostanzialmente uguali: tutti esseri umani; forse vestiti in modo diverso, con la pelle di colore diverso, che parlano lingue differenti. Ma questo e' solo cio' che appare in superficie, fondamentalmente siamo gli stessi esseri umani e questo e' cio' che ci lega l'uno all'altro. Questo e' cio' che ci consente di comprenderci l'un l'altro, di fare amicizia e sentirci vicini" (XIV Dalai Lama, discorso per il premio Nobel per la pace, Oslo, 10 dicembre 1989). Con affetto e sincera stima, Marcella Boccia (piccola anima in cerca di verita'). 5. APPELLI. GIANFRANCO MONACA: LA BANDIERA DELLA PACE, DICHIARAZIONE PERMANENTE DI "GUERRA ALLA GUERRA" [Ringraziamo Gianfranco Monaca (per contatti: giamo at everyday.com) per questo intervento. Gianfranco Monaca, costruttore di pace, collabora alla bella rivista "Tempi di fraternita'" (sito: www.tempidifraternita.it); un suo profilo biografico e' nel sito www.astilibri.com] Partecipero' alla marcia per la giustizia di Agliana-Quarrata promossa dalla Rete Radie' Resch il 13 settembre. Propongo che ad Assisi (io lo faro' in qualche modo a Quarrata) si promuova un rilancio della campagna per raddoppiare il numero delle bandiere della pace ai nostri balconi. Non solo la bandiera della pace non si ammaina, ma diventa una dichiarazione permanente di "guerra alla guerra"... 6. RIFLESSIONE. ALESSANDRO ROSSI: DIFFERENZA COME RICCHEZZA, ANCHE NELLE FORME ORGANIZZATIVE [Ringraziamo Alessandro Rossi (per contatti: rssale at flashnet.it) per questo intervento. Alessandro Rossi e' un ricercatore e formatore del Centro studi dIfesa civile e dell'Associazione per la pace] Anche la differenza nelle forme organizzative d'azione e' una ricchezza. In pratica, io cittadino attivo ho bisogno sia di un partito strutturato (magari sempre piu' trasparente) sia di associazioni (tematiche e non, forse piu' flessibili ma di sicuro piu' riconoscibili e affidabili anche legalmente ed economicamente), sia di soggetti economici (una banca etica, una serie di produttori sostenibili e commercianti equi e solidali, etc.) sia dei "luoghi per discutere-ascoltare-proporre-etc." (che a seconda delle fasi sono essi stessi soggetti, ma lasciano comunque utili tracce di una cultura solidale, come le bandiere ai balconi). In pratica tutti questi soggetti/spazi sociali possono essere funzionali alla cittadinanza attiva, e forse eliminare uno o piu' anelli non farebbeche indebolire la catena. Piu' che rifondarsi ancora, mi sembra giunta l'ora di coordinare gli sforzi (nel rispetto reciproco, of course). E poi, le opere di Bateson, Galtung, Capitini, Dolci, etc. non stanno li' a dirci che la nonviolenza puo' trasformare le forme sociali senza distruggerle? 7. INCONTRI. LUISA MORGANTINI: DONNE IN NERO, INSIEME PER OSARE LA PACE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 agosto 2003. Il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo, eletta come indipendente nelle liste del Prc e aderente al gruppo Gue-Ngl. Presiede la delegazione parlamentare per i rapporti con il consiglio legislativo palestinese, oltre ad essere membro titolare nella commissioni diritti della donna e pari opportunita' ed in quella per lo sviluppo e la cooperazione, membro della delegazione per le relazioni con il Sud Asia e membro sostituto della commissione industria, commercio esterno, ricerca ed energia. In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la pace"] Piu di quattrocento donne, determinate e testarde, piu' di quattrocento donne che non accettano che i conflitti siano agiti dalle guerre e dalla violenza, donne che varcano confini e barriere per ritrovarsi insieme in un progetto che le vede protagoniste di un processo di liberta' e liberazione per ciascuna e per altre/i. Donne che per amore del mondo e provenienti da ogni parte del mondo si incontrano in questi giorni a Marina di Massa per parlare di militarizzazione degli Stati e delle menti, per analizzare gli avvenimenti della guerra e del dopoguerra, discutere del senso e dei limiti della cooper azione internazionale e della solidarieta', di come costruire relazioni tra donne in luoghi di conflitto, di come superare la concezione del nemico, di come rendere le differenze ricchezza di articolazione di pensiero e di vivere sociale, di come essere radicate nella propria identita' e capaci allo stesso tempo di spostarsi cambiando insieme agli altri, di come rifiutare le dicotomie agendo le e nelle contraddizioni, di come non rimuovere o negare il conflitto ma operare perche' vi sia un superamento nonviolento. Centrale sara' il tema dei fondamentalismi, quelli religiosi e quelli laici, e il rifiuto di lasciarsi incatenare nella logica di Bush o di Bin Laden. Non sono confronti astratti, le donne che si ritrovano insieme a Marina di Massa, sono la rete Internazionale delle Donne in nero, protagoniste attive nel costruire ponti di pace tra donne delle diverse etnie o nazionalita'. Questo e' il nostro undicesimo incontro internazionale, il primo che si tiene in Italia. A partire dal 1992, gli incontri si sono tenuti in Vojvodina ed hanno avuto come tema centrale la guerra nei Balcani, con donne serbe, croate, bosniache, albanesi kosovare, animatrici le Donne in nero di Belgrado. Noi donne in nero italiane abbiamo appreso la modalita' del nero e del silenzio dalle donne israeliane che dal 1988 manifestano contro l'occupazione militare dei territori autonomi palestinesi, da li' ha preso avvio la nostra esperienza e la nostra rete. Nell'agosto 1988 in piena Intifada in 69 donne siamo andate a Gerusalemme, con una grande sfida, costruire relazioni tra parti in conflitto e una politica internazionale di donne per un percorso femminista e pacifista indicato da Christa Wolf nella sua Cassandra: "tra uccidere e morire c'e' una terza via, vivere". In tutti questi anni le nostre modalita' sono state contagiose, il nero, il silenzio, la nostra presenza nei luoghi dei conflitti, dalla Palestina a Israele, ai Balcani, all'Algeria, con le curde e le turche, le donne irachene, le donne contro la mafia, le donne dell'Afghanistan, ha reso possibile l'incontro di questi giorni. Tra le quattrocento donne presenti oltre a quelle gia' citate vi sono colombiane, statunitensi, australiane, europee, indiane, giapponesi, africane del Congo, della Nigeria, del Camerun, del Sud-Africa. Alcune palestinesi non potranno essere presenti, le autorita' israeliane hanno chiuso i confini, ma le tante donne israeliane parleranno anche con le loro voci. E' un evento straordinario, da ogni parte del mondo con le nostre mani e menti unite contro le mani armate degli Stati e dei regimi delle guerre infinite, noi donne abbiamo assunto le nostre responsabilita' individuali e collettive per cacciare la guerra fuori dalla storia. Compito difficile, ma noi stiamo cercando di farcela. Per contatti: Luisa Morgantini: 3483921465. 8. INCONTRI. DUE INCONTRI A MONTEGIOVE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 agosto 2003] Dopo "Le immagine violente di dio" - incontro cui avevano partecipato, tra gli altri, Rossana Rossanda, Clara Gallini, Khaled Fouad Allam - l'eremo di Montegiove riapre le sue porte. Dal 29 al 31 agosto, si parlera' del passaggio "Da Gesu' al cristianesimo", ovvero di quella transizione epocale avvenuta col trasformarsi di un piccolo movimento carismatico interno al giudaismo del tempo a una nuova religione diffusasi ben presto in tutto l'Occidente e non solo. Transizione che e' anche passaggio dal carisma all'istituzione, non poli opposti ma valori determinanti. E ancora: il Cristo come figura storica o meno, il chiedersi come sia potuto avvenire - in quella temperia ribollente di attese messianiche e predicatori vaganti - che quel galileo diventasse fonte della piu' importante religione occidentale. Una religione che, oggi, la cultura della pluralita' sfida nel suo stesso divenire e nella sua sopravvivenza. All'incontro - coordinato da Rossana Rossanda - parteciperanno Giuseppe Barbaglio, Emanuele Bargellini, Riccardo Calimani, Francesco P. Casavola, Sergio Givone, Michele Ranchetti, Giuseppe Ruggieri, Rosetta Stella, Gianni Vattimo e Vincenzo Vitiello. * All'"Assenza e presenza della donna nella storia", sara' poi dedicato l'ultimo incontro del ciclo "Itinerari e incontri" che si terra' dal 24 al 26 ottobre sempre a Montegiove. Tra i temi che verranno trattati, l'idea che esista una storicita' originale delle donne non confinata nella cronologia e nella visibilita' dei fatti codificati. Una idea sulla quale molto ha lavorato la comunita' filosofica femminile di Diotima che da anni ha avviato una riflessione sull'eredita' culturale e sulla tradizione storica, sulle genealogie femminili, quelle da riscoprire e quelle da reimpiantare. Insomma, dall'"´approfittare della differenza" di Carla Lonzi all'"approfittare dell'assenza". Perche' la domanda resta: "Quanta mancanza c'e' stata nella storia, quanta perdita, quanta eccedenza?". A collocare questi temi all'interno dell'esperienza di Montegiove - anch'esso luogo di riflessione e di relazione - saranno Maria Luisa Boccia, Gabriella Bonacchi, Annarosa Buttarelli, Ida Dominijanni, Manuela Fraire, Luisa Muraro, Marinella Perroni, Angela Putino, Diana Sartori, Paola Ricci Sindoni, Wanda Tommasi e Chiara Zamboni. Coordinera' Mario Tronti. Per informazioni: 0721809496 oppure 3408651177 dalle 10 alle 12. 9. LIBRI. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "OBIEZIONE ALLA VIOLENZA, SERVIZIO ALL'UOMO" A CURA DELLA CARITAS ITALIANA [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 477 del 15 gennaio 2003 di questo notiziario] Autori Vari, "Obiezione alla violenza. Servizio all'uomo", a cura della Caritas Italiana, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003, pp. 127, euro 9. Il volume, curato da Diego Cipriani, raccoglie studi storici e bilanci meditati presentati ad un convegno sui 30 anni di obiezione di coscienza in Italia e 25 di servizio civile della Caritas. Il ministro Giovanardi, parlando del nuovo servizio civile, compie un errore madornale col dire che la legge del 1972 riconosceva l'obiezione di coscienza come diritto. Era, invece, una "concessione da parte del ministro della difesa" (Venditti, p. 36; Bettazzi e Pax Christi, p. 114). Monsignor Giovanni Nervo, primo presidente della Caritas italiana, dopo aver affermato che certamente la Caritas ha educato decine di migliaia di giovani ai valori del servizio, chiede: "ma li abbiamo educati egualmente, e ancor prima, ai valori della nonviolenza, del rifiuto della guerra, e della pace?". Questo e' il problema che serpeggia nel libro, e Nervo lo pone nel modo piu' chiaro. Egli poi elenca sei precise forme di obiezione che oggi la coscienza morale ha da opporre alla mentalita' e prassi dominante riguardo al mercato, al lavoro, alla discriminazione, alla guerra preventiva. Dunque, l'obiezione di coscienza e' piu' attuale che mai. Non e' piu' obiezione del militare di leva (che oggi diventa volontario ben pagato e privilegiato, cioe' mercenario), ma obiezione del cittadino. La violenza e' da rifiutare e superare, non da amministrare, come fa ancora la politica corrente, da destra a sinistra. L'attuale direttore della Caritas, mons. Vittorio Nozza, indica nel "no alla violenza, soprattutto a quella strutturale (...) l'impegno per una visione piu' ampia di difesa", e deplora che la difesa popolare nonviolenta, presente nella legge 230/'98 (riforma dell'obiezione di coscienza), sia rimasta totalmente inapplicata da tutti i governi succedutisi, mentre questo punto e' il "nocciolo del futuro dell'obiezione di coscienza". Pace e nonviolenza, assenti nelle indicazioni dei vescovi alla Caritas, sono invece evidenziate da Nozza tra gli obiettivi di questo ufficio ecclesiale. Andrea Riccardi (presidente della Comunita' di S. Egidio) propone un'ampia storia politica e culturale, prima e dopo la legalizzazione del 1972, da cui ricaviamo che non solo cresce oggi nella societa' la non-rassegnazione alla violenza abituale dei poteri, ma cresce anche il versante positivo: le alternative civili, sebbene ancora allo stato germinale. Noi possiamo dire che hanno difeso l'Italia gli obiettori di coscienza piu' dei militari, che hanno portato pace nelle zone di conflitto i molti volontari, a loro spese e rischio, piu' dei "militari di pace" pagati a suon di milioni. Anche Riccardi osserva che la chiesa italiana ha sostenuto piu' il servizio civile che l'obiezione di coscienza, ma l'obiezione di coscienza ha spostato "quell'asse privilegiato di rapporto tra Chiesa ed esercito" verso un nuovo asse tra solidarieta' e pace. "Perche' la Chiesa non [ha] condannato ogni forma di violenza e fatto obbligo a tutti i cristiani di essere obiettori di coscienza?", chiede padre Joblin (Universita' Gregoriana), e nota che sia Pio XI che Pio XII non escludevano la difesa violenta da criminali e tiranni. Joblin indica nella teoria del principe-schiavo (che non opera per il bene della comunita', ma e' soggetto ad un occupante) il fondamento morale del rifiuto di obbedire al governo. Non e' un po' poco? Tante volte il principe e' schiavo di interessi e mentalita' violente, anti-umane, offensive del bene di qualche altro popolo che non e' il nostro particolare, e dunque e' tiranno, da non obbedire. * Per Enrico Trevisi (Studio teologico di Cremona), "la categoria obiezione di coscienza rimane pressoche' poco rielaborata e approfondita in teologia morale". Nella "societa' dell'incertezza" la domanda sulla giustizia "quid justum?" viene ridotta alla domanda sulla legge "quid juris?". Trevisi abbozza una teoria per riconnettere l'ordinamento giuridico con l'etica, per vedere quale etica sta alla base del diritto, e quale ethos puo' mantenere un legame tra etica e diritto. Una teoria della coscienza e' necessaria per sottrarla alla deformazione che la riduce all'opinabile, all'arbitrio relativista. La coscienza e' discernimento del bene e del male, e' sinonimo di persona in prospettiva etica. Rimanda alla verita' intimamente cercata. Esplicitando Trevisi, potremmo dire che la coscienza e' la voce propria di Dio nel cuore di ognuno, che lo impegna all'ascolto intimo, laborioso, intelligente, responsabile. Quando affronta l'obiezione di coscienza al militare come superamento della teoria della guerra giusta e apertura di nuovi percorsi di pace, lo scritto di Trevisi si fa piu' profetico che morale. L'obiezione di coscienza contesta gli attuali sistemi difensivi, tutti distruttivi, e la sistematica ingiustizia globale, che e' guerra. Scrivendo che la riflessione sulla nonviolenza promossa da una esigua minoranza deve essere incentivata, Trevisi cita brani luminosi dal Tu non uccidere di Primo Mazzolari, uscito anonimo nel 1955. Il credente incontra "questioni assai complesse" su violenza e guerra nell'Antico Testamento, ma se guarda al Cristo ucciso e risorto "deve cercare una modalita' propria per arginare la violenza (...) senza mai infliggerla". Il pacifismo assoluto, il rifiuto della difesa violenta, sono parte minoritaria del pensiero cristiano, ma profezia sempre presente e novita' evangelica irrinunciabile, ad ogni costo. Prima che un comando etico sono una possibilita' offerta dalla fede alla storia umana, mortificata dalle violenze. Il nemico, il violento, sono sempre amati da Dio, dunque e' possibile andare a superare ogni ideologia punitiva. Rimane all'obiettore il dovere di non giudicare chi in coscienza (non e' il caso del mercenario) fa scelte diverse. L'obiezione di coscienza contesta una legge in nome di una verita' che la precede. Ma nella democrazia postmoderna, proceduralistica, rischia di venire semplicemente tollerata come un'opinione. Tuttavia, anche nell'ispirazione laica e non evangelica, l'obiezione di coscienza ha reintrodotto istanze etiche che sembravano dimenticate nelle democrazie liberali: la persona ha il primato sulle istituzioni, che non possono forzarla ad agire contro coscienza; la maggioranza non sempre vede e sceglie la verita' e il bene; l'obbedienza politica non puo' essere acritica. L'obiezione di coscienza connessa al servizio civile esprime "vita votata agli altri", e non narcisismo morale; eppure non e' solo produttiva di servizi, ma espressiva del valore profondo e alto della persona, del mistero superiore che essa contiene e rivela. Come atto politico, l'obiezione di coscienza contesta senza violenza disvalori della comunita' e propone valori che testimonia e paga. La giusta legalizzazione dell'obiezione di coscienza al militare, rischia tuttavia di ridurla ad uno dei tanti metodi di lotta politica e di far decadere la testimonianza ad opinione o opzione. L'obiezione di coscienza al militare contesta l'ideologia della guerra che si estende ad "obiettivi sempre piu' ambigui e inaccettabili". Mentre l'esercito professionale naturalizza la guerra da sciagura a funzione normale, e sottrae la difesa ai cittadini, l'obiezione di coscienza alla guerra richiede l'educazione alla difesa popolare nonviolenta, presente nella storia piu' di quanto l'informazione corrente consente di sapere. Se va rispettato chi, di fronte al male, si sente obbligato in coscienza ad opporsi anche con le armi, si deve pero' far crescere la conoscenza dei metodi nonviolenti efficaci, e si deve sviluppare la valenza politica del perdono, delle procedure di riconciliazione nella verita', sperimentate in Sudafrica in un modo indicativo di nuove vie. Primo Mazzolari, nel 1955 (ma in privato gia' nel 1952) scriveva: "La nonviolenza e' la cosa piu' nuova e piu' antica: la piu' tradizionale e la piu' sovversiva; la piu' santa e la piu' umile; la piu' sottile e difficile e la piu' semplice, la piu' dolce e la piu' esigente; la piu' audace e la piu' savia, la piu' profonda e la piu' ingenua". * Rodolfo Venditti (magistrato, studioso di diritto militare) presenta, in uno dei suoi interventi piu' lucidi e appassionati, la storia giuridica e istituzionale dell'obiezione di coscienza dal dopoguerra alla legge del 1972 - della quale elenca i meriti e i forti limiti - e alla sua applicazione. L'obiezione di coscienza ha camminato nella societa' italiana sviluppando la cultura della nonviolenza. Ma Parlamento e governo si sono dimostrati piu' insensibili, fino spesso all'ottusita' ostile. Venditti racconta suoi interventi in lettere e dibattiti, negli anni '80, con esponenti di governo chiusi e intolleranti. "Ci si scontrava con un muro, che nonostante l'avvicendarsi dei governi restava inesorabilmente fermo e immutabile, quasi obbedendo a un orientamento di fondo che non dipendeva dal colore dei singoli governi e della loro composizione". Persino il governo Prodi "deluse profondamente le attese", avallando il "nuovo modello di difesa", sostanzialmente aggressivo, e professionalizzando le Forze Armate. Cio' dice molto sul tragico ritardo culturale della classe politica in generale, schiava del dogma militare, ignara della cultura civile del conflitto e della difesa. Molto positivo e' invece il bilancio, che Venditti documenta con cura, dell'atteggiamento della magistratura, a tutti i livelli, nei confronti dell'obiezione di coscienza come indicativa di un diritto e di una cultura di pace, le cui basi sono inscritte, piu' implicite o piu' esplicite, nella nostra Costituzione, basi che i giudici contribuirono per la loro parte ad esplicitare. "Perche' i giudici sono stati all'avanguardia nel capire cio' che Parlamento e governo non hanno capito o hanno capito in forte ritardo?ª. Venditti risponde che, mentre "i giudici sono meno condizionati da preoccupazioni politiche e cio' consente loro di muoversi con liberta' e indipendenza molto maggiori e di maturare una sensibilita' molto piu' viva alle acquisizioni piu' recenti del pensiero giuridico", Parlamento e governo, invece, dipendendo dalla maggioranza politica, "risentono dei ritardi con cui l'opinione pubblica fatica a seguire i progressi della cultura e si attarda su schemi mentali tradizionali e superati". Molti enti locali si sono dimostrati piu' sensibili degli organi statuali, grazie al loro radicamento territoriale e al contatto piu' diretto con le esigenze piu' consapevoli della popolazione, sicche' hanno sostenuto meglio, nonostante i limiti, l'educazione alla pace. * Il volume e' completato da una rassegna sulla gestione di obiezione di coscienza e obiezione di coscienza da parte di altri enti cattolici. Agesci e Salesiani hanno cercato di formare alla pace e nonviolenza. L'Azione cattolica parla di pace ma non di nonviolenza. Nella relazione della Compagnia delle Opere (CL), neppure un cenno a pace e nonviolenza. Il rapporto delle Acli e' autocritico (come i Salesiani) e positivo, piu' sulla frontiera del sociale che della pace. Pax Christi e', anche tra tutte le associazioni pacifiste, sulle posizioni piu' mature e avanzate della cultura di pace e della nonviolenza. 10. LIBRI. GIANNI VATTIMO PRESENTA CINQUE LIBRI DI ANTONIO SCURATI, IRENE BIGNARDI, GIORGIO AGAMBEN, SERGE LATOUCHE, ANGELO SCIVOLETTO [Dal sito di Gianni Vattimo (www.giannivattimo.it) riprendiamo queste cinque brevi segnalazioni bibliografiche gia' apparse sul settimanale "L'Espresso". GIanni Vattimo, filosofo italiano, nato nel 1936 a Torino, docente universitario, parlamentare europeo, e' da sempre impegnato nei movimenti per i diritti civili; tra le molte sue opere segnaliamo almeno: Il soggetto e la maschera (1974); Le avventure della differenza (1980); (a cura di, con Pier Aldo Rovatti), Il pensiero debole (1983); La fine della modernita' (1985); La societa' trasparente (1989); Etica dell'interpretazione (1990); Oltre l'interpretazione (1994)] Da "L'Espresso" del 26 giugno 2003 Antonio Scurati, Guerra, Donzelli, pp. 260, 24 euro. C'e' sicuramente una linea di continuita' tra la popolarita' di cui ha goduto negli anni recenti il pensiero di Carl Schmitt, il "realismo" della sua famosa coppia amico-nemico, e la nuova ondata di bellicismo, bellicosita' o, anche qui, visione realistica e virile della violenza, che si e' manifestata nelle discussioni intorno all'invasione dell'Iraq. Le cose piu' truci che abbiamo letto sui giornali di destra, o ascoltato nei tanti interventi televisivi di Giuliano Ferrara, trasudavano umanitario (!) entusiasmo per una politica che aveva finalmente riscoperto la guerra come mezzo per costruire un mondo piu' sicuro e giusto. Ora un notevole libro di Antonio Scurati, bell'esempio di storia delle idee, offre materiali di riflessione a cui dovrebbero pensare i tanti neobellicisti che infuriano sui nostri media. Tutti abbiamo percepito uno strano effetto paradossale nella rappresentazione in tempo reale delle guerre recenti, Golfo e Iraq: ci sembrava di non averne mai saputo cosi' poco, nonostante il martellamento di notizie e immagini. Scurati ci spiega tutto cio' a partire da analisi letterarie, muovendo dall'archetipo del duello tra eroi che domina la visione classica della guerra; che va in crisi con la guerra moderna, di masse e artiglierie; e che oggi, sembra di dover concludere, e' solo ormai un appello ideologico dietro cui si cela la radicale irrappresentabilita' della guerra, il vero tratto di essa chiaramente visibile, e che mostra, piu' in profondo, la sua impossibilita' etica nel nostro mondo. Altro che ritrovarne "virilmente" la tragica necessita' identica con la stessa "condizione umana"! * Da "L'Espresso" del 10 luglio 2003 Irene Bignardi, Le piccole utopie, Feltrinelli, pp. 155, 12,50 euro. Lo spirito soffia dove vuole, si e' tentati di dire dopo la lettura del bel libro di Irene Bignardi su "alcune idee del Novecento" chiamate impropriamente utopie, giacche' ognuna, nel suo "piccolo", ha invece dato luogo a significative realizzazioni. Non e' esagerato evocare qui la Sacra Scrittura; un po' perche' questo e' un libro sinceramente edificante, una lettura che, per gli esempi di vita che presenta, fa ritrovare fiducia e voglia di impegno. In questo senso, un buon antidoto alla ragionevolezza riformista pericolosamente dilagante. Dunque un libro rivoluzionario? Nemmeno, perche' le utopie sono "piccole", nessuna o quasi si e' pensata come progetto di trasformazione ultima e totale-totalitaria. Qui l'autrice esplora e descrive esperimenti politico-esistenziali come la comunita'-scuola fondata in India all'inizio del Novecento da Tagore, il grande poeta premio Nobel del 1913; la Nomadelfia di don Zeno Saltini; e poi la comunita' del Monte Verita' presso Ascona; il "rifugio" per artisti di Yaddo, nello stato di New York; la citta' di Arcosanti, progettata e solo in parte finora costruita nel deserto dell'Arizona dall'architetto italiano Paolo Soleri; la Costa Rica, il primo stato al mondo ad aver rinunciato a possedere un esercito; e il progetto dell'esperanto come lingua universale. Alla base di tutte queste realta' ancora vitali sta un progetto utopico che riesce a realizzarsi come nelle pieghe dell'ordine esistente, spesso utilizzando risorse che ne provengono, e che vive in queste pieghe; fessure attraverso cui lo spirito soffia e ci permette di respirare una boccata d'aria. * Da "L'Espresso" del 24 luglio 2003 Giorgio Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, pp. 120, euro 12. Il titolo dell'ultimo libro di Giorgio Agamben, sullo "stato di eccezione", puo' intendersi come emblematico di tutto il suo lavoro; che trova nell'eredita' di Carl Schmitt, di Heidegger e di Derrida da un lato, e nella situazione politico-sociale del mondo globalizzato sotto egemonia dall'altro, il terreno su cui esercitare la sua passione per le domande radicali. Di fatto, lo stato di eccezione e' quello che si instaura in certi momenti di crisi in cui l'ordine giuridico consueto viene sospeso (una dittatura di guerra; una rivoluzione mirante a costituire un ordine diverso). La sua eccezionalita' ne fa qualcosa di estraneo al diritto, anche se mira a valere o a fondare nuove leggi. Filosoficamente, questo richiama alla ineludibile connessione tra fondatezza (la razionalita' di affermazioni, leggi, ecc.) e infondatezza originaria (i primi principi non si dimostrano mai, ovviamente). Un pensiero che ha un suo sicuro risvolto politico: nel mondo in cui, non solo dopo l'11 settembre, lo stato di eccezione sta diventando una regola motivata dalla lotta al terrorismo, proporne un'analisi radicale puo' aiutare a ricostruire relazioni meno violente tra la vita e le forme del diritto. * Da "L'Espresso" del 31 luglio 2003 Serge Latouche, Giustizia senza limiti, Bollati Boringhieri, pp. 281, euro 22. Conciliare il mercato, lo sviluppo del Pil, con la solidarieta' e la giustizia sociale e' il sogno di tutti i riformismi, compresi molti che si richiamano al socialismo. Ma e' un sogno sempre piu' irrealizzabile, nelle condizioni della concorrenza internazionale che si sono irrigidite sempre di piu' negli anni recenti. Di questo parla, in termini radicalmente critici, Serge Latouche, nel nuovo libro ora tradotto in italiano. Latouche e' un esponente del Mauss, il movimento anti-utilitarista che ha adottato come suo acronimo il nome del grande teorico del dono, appunto Marcel Mauss. I fallimenti clamorosi delle politiche "sociali" ispirate alla compatibilita' economica (produrre sviluppo senza disoccupazione e devastazione del pianeta) sono sotto gli occhi di tutti. Cosi', e' molto cresciuto il divario tra ricchi e poveri negli ultimi anni dell'economia globale; sono drammaticamente diminuite le iscrizioni alle scuole elementari, proprio nei Paesi che hanno applicato le ricette economiche del Fondo Monetario Internazionale. L'economia, dice Latouche, e' naturalmente nemica della giustizia: la crescita del Pil richiede competizione e infine darwinismo sociale piu' o meno mascherato. La giustizia esige invece il rispetto, e anzi l'amicizia (la "philia" di Aristotele), verso gli altri. E' possibile una societa' giusta, dove si realizzi uno scambio eguale, senza gli errori e gli orrori delle societa' sovietiche? Latouche ne mostra alcuni tratti realistici e concreti, a cominciare da un diverso modo di calcolare il Pil, che diventa Gpi, Genuine Progress Indicator, proposto di recente da alcuni studiosi. Non sara' ora di riscoprire un po' di utopia? * Da "L'Espresso" del 7 agosto 2003 Angelo Scivoletto, Giorgio La Pira. La politica come arte della pace, Ed. Studium, pp. 288, euro 24. Non sappiamo se nei cortei per la pace dei mesi scorsi ci fossero anche, e quanto numerose, magliette con l'immagine di Giorgio La Pira; lo spirito della Firenze degli anni Cinquanta e Sessanta, quando La Pira, sindaco della citta' dal 1951 al '57 e poi dal 1961 al '65, ne fece una vera e propria capitale degli ideali di distensione e del pacifismo mondiale, era certamente tra gli elementi ispiratori del movimento di questi mesi, specialmente delle numerose e vivaci componenti cattoliche di esso. E' quindi estremamente tempestiva la pubblicazione del bel libro di Angelo Scivoletto - sociologo dell'universita' di Parma, uno tra i piu' stretti discepoli e collaboratori di La Pira - che ricostruisce gli elementi essenziali del suo pensiero e offre una illuminante antologia dei suoi testi. Viene ancora una volta sfatata qui la leggenda di un La Pira ingenuo amante dei poveri e pazzerello evangelico, cosi' cara ai cattolici reazionari, cautamente riformisti, e ai moderati di ogni specie. La Pira si era formato come studioso di diritto romano, allievo di Emilio Betti e di Pugliatti, e alla base delle sue imprese "cattocomuniste" - come il viaggio ad Hanoi in piena guerra del Vietnam, o la vicenda del Nuovo Pignone, le requisizioni di case sfitte per i senzatetto fiorentini - c'era quello sforzo, anche intensamente teorico, di sintesi tra moderna conquista dei diritti e visione cristiana del mondo che ispiro' la migliore politica dei cattolici in Italia nel dopoguerra e nella scrittura della Costituzione. Chi oggi bolla quella costituzione come sovietica puo' avere qui l'occasione di un buon ripasso. 11. STRUMENTI. OTTAVIO RAIMONDO PRESENTA "RISCOPRIRSI PERSONE RESPONSABILI" [Ringraziamo padre Ottavio Raimondo (per contatti: sermis at emi.it) per questa segnalazione. Ottavio Raimondo e' direttore editoriale della Emi, l'Editrice Missionaria Italiana che ha pubbllicato innumerevoli utilissimi libri] "Riscoprirsi persone responsabili", percorso missionario sulla Pacem in terris. E' in sussidio che verra' utilizzato durante la carovana della pace 2003 organizzata dal Gim (Giovani di impegno missionario) dei missionari comboniani. La carovana della pace e' un itinerario attraverso l'Italia, nel tentativo di inserirsi nelle periferie delle grandi citta' e a fianco di altre marce in cerca di liberta'. La marcia iniziera' ad Assisi il 4 settembre e terminera' il giorno 15 settembre a Limone sul Garda dove e' nato Daniele Comboni. Il sussidio puo' essere richiesto alla Emi (tel. 051326027 oppure e-mail: ordini at emi.it). Ulterioi informazioni sul sussidio "Riscoprirsi persone responsabili" e sulla carovana si trovano sul sito della Emi (www.emi.it). 12. RILETTURE. LAURANA LAJOLO: GRAMSCI. UN UOMO SCONFITTO Laurana Lajolo, Gramsci. Un uomo sconfitto, Rizzoli, Milano 1980, 1981, pp. 224. E' ancora uno dei libri piu' belli ed acuti su Gramsci. 13. RILETTURE. MARINA PALADINI MUSITELLI: INTRODUZIONE A GRAMSCI Marina Paladini Musitelli, Introduzione a Gramsci, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 222, lire 18.000. Una recente nitida e precisa introduzione, nella benemerita collana laterziana de "Gli scrittori". 14. RILETTURE. MIMMA PAULESU QUERCIOLI: GRAMSCI VIVO NELLE TESTIMONIANZE DEI SUOI CONTEMPORANEI Mimma Paulesu Quercioli, Gramsci vivo nelle testimonianze dei suoi contemporanei, Feltrinelli, Milano 1977 (terza edizione nel medesimo anno), pp. 320. Una lettura di grande commozione che vivamente raccomandiamo. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 658 del 30 agosto 2003
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