La nonviolenza e' in cammino. 658



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 658 del 30 agosto 2003

Sommario di questo numero:
1. Annalisa Frisina: se ascoltiamo seriamente
2. Stephen Funk: la mia obiezione di coscienza
3. Da Arusha un appello
4. Marcella Boccia: una lettera aperta al Dalai Lama
5. Gianfranco Monaca: la bandiera della pace, dichiarazione permanente di
"guerra alla guerra"
6. Alessandro Rossi: differenza come ricchezza, anche nelle forme
organizzative
7. Luisa Morgantini: Donne in nero, insieme per osare la pace
8. Due incontri a Montegiove
9. Enrico Peyretti presenta "Obiezione alla violenza, servizio all'uomo" a
cura della Caritas italiana
10. Gianni Vattimo presenta cinque libri di Antonio Scurati, Irene Bignardi,
Giorgio Agamben, Serge Latouche, Antonio Scivoletto
11. Ottavio Raimondo presenta "Riscoprirsi persone responsabili"
12. Riletture: Laurana Lajolo, Gramsci. Un uomo sconfitto
13. Riletture: Marina Paladini Musitelli, Introduzione a Gramsci
14. Riletture: Mimma Paulesu Quercioli, Gramsci vivo nelle testimonianze dei
suoi contemporanei
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. IN GUISA DI EDITORIALE. ANNALISA FRISINA: SE ASCOLTIAMO SERIAMENTE
[Da AA. VV., Donne e religioni. Il valore delle differenze, Emi, Bologna
2002, p. 44. Annalisa Frisina e' docente all'universita' di Padova]
Se ascoltiamo seriamente le critiche che ci vengono dalle donne del sud del
mondo, dobbiamo riconoscere che non e' possibile difendere i loro diritti (e
i nostri) all'interno dell'attuale modello neoliberista.

2. TESTIMONIANZE. STEPHEN FUNK: LA MIA OBIEZIONE DI COSCIENZA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 agosto 2003. Stephen Funk e' un
riservista del corpo dei Marines, si e' rifiutato di andare in Iraq e
rischia una dura condanna; il processo e' previsto per il prossimo 4
settembre; all'indirizzo www.notinourname.net/funk/index.html c'e` un
appello per inviare messaggi di solidarieta` che chiedano che Funk non sia
condannato a causa delle sue convinzioni: i messaggi vanno inviati ai
seguenti indirizzi: Commandant of the Marine Corps, Headquarters, U.S.
Marine Corps, Washington, DC 20380-1775; Commanding Officer, Headquarters,
4th FSSG, 4400 Dauphine Street, New Orleans, LA 70146-5400; inviandone una
copia a: stephenfunk at objector.org]
Mi chiamo Stephen Funk. Sono un riservista del corpo dei Marines che ha
parlato apertamente contro l'invasione dell'Iraq. Adesso sono accusato di
diserzione, anche se sono ritornato alla mia unita' dopo aver compilato una
domanda per essere congedato come obiettore di coscienza.
La mia udienza al tribunale militare e' fissata per il 4 settembre a New
Orleans, e posso essere condannato a due anni di prigione.
Oppormi alla guerra dalla mia posizione e' stato estremamente difficile e
sono molto orgoglioso di aver preso pubblicamente quella decisione.
Sono nato e cresciuto a Seattle dove ho preso parte alle proteste contro la
globalizzazione in occasione del vertice del Wto. Mi sono poi trasferito a
Los Angeles per andare al college. Mi sono sempre considerato un attivista e
sono dalla parte dei popoli oppressi del mondo. Fin dalla scuola superiore
ho lavorato in numerose campagne in favore degli oppressi, dei prigionieri
politici, per la pace e per la giustizia nelle nostre comunita'. Sono andato
via da Los Angeles perche' pensavo che la scuola che frequentavo fosse
politicamente troppo apatica e mi sono trasferito nella zona di San
Francisco, sperando di entrare all'Universita' della California di Berkeley.
Nonostante questo, mi sono fatto convincere a entrare nei Marines. Per la
prima volta fuori da scuola, depresso per la mancanza di direzione e per la
confusione nella mia vita, mi sono fatto convincere da uno che reclutava per
l'esercito perche' speravo di imparare qualche specializzazione di base.
Quello che mi ha persuaso sono state la leadership, il lavoro di squadra, la
disciplina e soprattutto un senso di direzione e di stabilita'. Fu una
decisione che presi a 19 anni in uno stato di confusione mentale.
L'esperienza del campo di addestramento mi riporto' velocemente alla
realta', ma a quel punto sembrava troppo tardi per fare qualcosa.
Lo scopo dell'addestramento militare e' produrre macchine che uccidano senza
pensare. Tutti gli esseri umani nutrono un'avversione naturale a uccidere,
ed essere costretto a gridare ogni giorno e' un grande stress per il corpo,
la mente e lo spirito. Per adattarsi alla vita innaturale che i militari ti
insegnano ci si deve trasformare. Io pero' ho resistito e di conseguenza le
mie convinzioni morali contro la violenza si sono rafforzate. Un istruttore
di tiro mi disse che avevo un "cattivo atteggiamento", che in una situazione
reale avrei fatto la cosa peggiore. Senza pensare risposi che aveva ragione,
perche' uccidere la gente e' sbagliato. Fu come se avessi respirato a fondo
dopo aver trattenuto il fiato per due mesi, e non c'era modo che potessi
tornare a "continuare con il programma".
Avevo scoperto che la guerra in se stessa e' immorale e non puo' essere
giustificata. Ma tutti mi dicevano che era inutile tentare di uscire
dall'esercito. Eravamo addestrati a essere subordinati nei nostri pensieri,
nelle nostre parole e nelle nostre azioni. Andare contro tutto questo e'
difficile, anche se uno sa che ha ragione.
In febbraio la mia unita', di base a San Jose', venne chiamata a sostegno
dell'attacco in Iraq. Non potevo piu' obbedire e basta. Per le sei settimane
successive rimasi in contatto con il mio comando, spiegando perche' non mi
ero ancora presentato a rapporto. Completai i documenti di obiettore di
coscienza che avevo incominciato in precedenza e partecipai alle
manifestazioni contro la guerra con centinaia di migliaia di altre persone.
Davanti a questa guerra ingiusta, basata sulle menzogne dei nostri leader,
non potevo stare zitto. Secondo me avere la possibilita' di fare qualcosa di
buono e invece andare sul sicuro sarebbe veramente stata vigliaccheria.
Il primo aprile, dopo una conferenza stampa di fronte alla mia base, mi sono
costituito. Ho parlato pubblicamente in modo che altri militari capissero
che anche loro hanno una possibilita' di scelta e il dovere di resistere
davanti a ordini immorali e illegittimi. Non si e' obbligati a essere un
ingranaggio nella macchina della guerra. Tutti abbiamo l'insopprimibile
potere del libero arbitrio. Volevo che quelli che magari pensavano di
arruolarsi ascoltassero e imparassero dalle mie esperienze. Data
l'attenzione dei media, inizialmente i militari dichiararono che la mia
domanda di congedo sarebbe stata trattata velocemente ed equamente, e che
probabilmente avrei ricevuto solo una punizione extragiudiziale per
un'assenza non autorizzata. Ora che l'attenzione del pubblico e' diminuita,
i militari dicono che merito di essere condannato.
Sono convinto che mi si punisce semplicemente perche' affermo i miei diritti
secondo il primo emendamento, e che cercano di darmi una punizione ingiusta
per dissuadere altri da diventare obiettori di coscienza. Nella base sono
stato un po' di volte oggetto di vessazioni. Certi mi hanno detto che sono
un traditore, un vigliacco e che non sono patriottico. Ho ricevuto anche
qualche minaccia di morte. Ma ho avuto anche una reazione positiva
assolutamente fantastica, anche da parte di chi era gia' arruolato. Come il
mio comandante ha detto alla stampa: "Il corpo dei Marines si rende conto
che ci sono dei membri che sono contro la guerra". Certamente non sono solo.
Quando ho scritto la mia domanda di congedo, sono stato completamente onesto
sulla mia identita'. Questo ha voluto anche dire ammettere che sono gay.
Penso che gli omosessuali devono essere in grado di prestare servizio
militare se cosi' vogliono, e che la politica di "Non chiedere, non dire"
sia orribile e che serva soltanto ai militari per perpetuare i sentimenti
anti-gay nei loro ranghi.

3. APPELLI. DA ARUSHA UN APPELLO
[Dall'"Associazione per i popoli minacciati / Gesellschaft fuer bedrohte
Voelker" (per contatti: e-mail: info at gfbv.it; sito: www.gfbv.it) riceviamo e
diffondiamo]
L'Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (Iucn) terra' dall'8 al
17 settembre il quinto congresso sui parchi naturali nel mondo (World Parks
Congress) a Durban in Sudafrica. L'evento ospitera' persone da tutto il
mondo: oltre 2.700 rappresentanti di territori protetti e/o di associazioni,
fondazioni, governi ma anche esponenti dell'economia privata parteciperanno
al congresso per fissare i punti di svolta strategici per il futuro sviluppo
dei parchi protetti.
Per l'occasione i rappresentanti dei popoli indigeni africani si sono
riuniti dal 10 al 22 agosto ad Arusha in Tanzania ed hanno elaborato la
"Dichiarazione di Arusha", la quale e' fortemente sostenuta
dall'Associazione per i Popoli Minacciati (Apm).
"Noi popoli indigeni dell'Africa Orientale e del Sud chiediamo il
riconoscimento, l'accettazione e la tutela della nostra identita' culturale,
della nostra lingua, dei modi di vita tradizionali e dei nostri diritti
fondamentali. Chiediamo inoltre l'uso senza limitazioni della nostra terra,
delle nostre proprieta' e di prati e boschi nei quali viviamo da generazioni
secondo le nostre tradizioni", si legge nella dichiarazione.
La terra su cui vivono i popoli indigeni e' spesso ricca di risorse
naturali. I popoli indigeni sanno usare queste risorse, come ad esempio
legno, acqua, animali selvatici, con grande accortezza e per gli scopi piu'
diversi. Opposto e' invece il comportamento delle multinazionali e dei
governi che penetrano senza riguardi nell'habitat dei popoli indigeni,
depredano la natura con le miniere e la pesca eccessiva, mettendo a serio
rischio sia le popolazioni che vivono nei territori interessati sia gli
stessi ecosistemi.
Ad Arusha i popoli indigeni della Tanzania, dell'Uganda, Kenia, Sudan,
Botswana, Namibia e dell'Etiopia hanno chiesto l'immediata sospensione di
questo sfruttamento selvaggio.
In concreto protestano contro le persecuzioni e i dislocamenti forzati dei
Boscimani nelle riserve del Kalahari Centrale. Un destino simile tocca anche
ai Batwa, la cui sopravvivenza e' messa in serio pericolo poiche' devono
lasciare i parchi nazionali di Mbwindi e Mgahinga senza ricevere una qualche
forma di compensazione per la perdita della loro terra. "Chiediamo al
governo dell'Uganda che i Batwa siano riconosciuti come cittadini del paese.
In questo modo i loro diritti alla terra, alla lingua e alla propria cultura
non potrebbero piu' essere ignorati in modo cosi' arbitrario". Anche i Masai
in Tanzania sono minacciati. Dopo essere stati cacciati dal parco nazionale
del Serengeti e dislocati forzatamente dalla riserva di Mkomazi essi
dovrebbero ora lasciare anche la zona protetta di Ngorongoro. Nella
dichiarazione di Arusha i popoli indigeni chiedono che il governo fermi gli
sfollamenti, restituisca ai Masai le loro terre originarie oppure che li
risarcisca in modo adeguato per la perdita della terra.
Per comprendere meglio le richieste dei popoli indigeni, tutti i governi
africani sono esortati a partecipare alle diverse tavole di discussione
degli indigeni.
Inoltre viene loro chiesto di firmare finalmente la Convenzione Ilo 169
(Ilo: International Labour Organisation - Organizzazione Internazionale del
Lavoro, una organizzazione dell'Onu con sede a Ginevra). Questa convenzione
e' finora l'accordo sul diritto dei popoli piu' completo per la tutela dei
popoli indigeni. In 44 articoli sono fissati non solo la parita' di
trattamento dei popoli indigeni nel mondo del lavoro ma anche il loro
diritto ad un proprio territorio, stile di vita, lingua e cultura.
I popoli indigeni dell'Africa infine esortano le Nazioni Unite a convocare
una Conferenza mondiale dei popoli indigeni, nella quale scambiare
informazioni sui problemi e gli sviluppi della situazione dei diversi popoli
e grazie alla quale sensibilizzare l'opinione pubblica sulle richieste
avanzate dai popoli indigeni.

4. TESTIMONIANZE. MARCELLA BOCCIA: UNA LETTERA APERTA AL DALAI LAMA
[Ringraziamo Marcella Boccia (per contatti: nextage at sfairos.it) per questa
appassionato lettera, scritta nell'urgenza della commozione e nel candore
del sentimento. Marcella Boccia, nata nel 1974, e' musicista e poetessa,
dirige la rivista "New age e dintorni"]
Caro Dalai Lama, Guruji, come ti chiamano da queste parti,
mi chiamo Marcella Boccia e sono una giornalista italiana, autrice di
canzoni, ragion per cui mi trovo qui a Mc Leod Ganj da un mese, ossia per
raccogliere materiale informativo per una canzone che sto scrivendo in
favore di un Tibet libero (Free Tibet).
Ho incontrato le donne della Tibetan Women's Association, e sono state
davvero gentili a darmi tutte le informazioni di cui avevo bisogno.
Da alcuni anni dirigo una rivista telematica che si occupa di numerose
campagne di solidarieta', ed ho spesso dedicato spazio alla questione
tibetana.
Non ti nego che mi sarebbe piaciuto incontrarti sin da subito, per
intervistarti, ma non volevo rubare tempo alle tue questioni di certo piu'
importanti, cosi' non ho chiesto un colloquio privato.
Stamattina, tuttavia, una mia amica inglese mi ha comunicato: "Se lo
desideri, sabato prossimo il Dalai Lama concedera' un'udienza pubblica; devi
solo andare all'ufficio della sicurezza, col passaporto, e compilare un
modulo".
Ne ero felice, entusiasta, tanto da decidere di posticipare la data della
mia partenza che sarebbe dovuta avvenire domani.
Con il mio compagno di viaggio, che mi accompagna sempre ed ovunque, e
gliene sono grata, soprattuto per le interviste in cui mi fa da interprete,
perche' parla pefettamente hindi, panjabi ed inglese, mi sono recata a
quell'ufficio, colmo di turisti dalla faccia pallida, ed in cui tre signori,
piu' scuri, visibilmente annoiati, sedevano dietro a due scrivanie. Il mio
compagno di viaggio mi precedeva, come sempre; dopo aver chiesto ad un'amica
americana quale fosse la procedura da seguire, si e' avvicinato alla
scrivania centrale, senza parlare, solo allungando una mano per ritirare il
modulo da compilare, e che tutti gli altri si accingevano a riempire. Il
"gentile signore", degnandolo di un fugace sguardo, gli ha sottratto il
modulo dalle mani, esclamando, con arroganza: "No, tu no!".
Il tuo funzionario, caro Guruji, non ha chiesto nulla al mio compagno di
viaggio, e non vi erano precedenti che potessero spiegare un simile
comportamento. Semplicemente, alla tua "guardia" non e' piaciuta la faccia
del mio compagno di viaggio, una faccia indiana.
Si', il mio compagno di viaggio e' indiano, ed il funzionario dell'Ufficio
Sicurezza non gli ha chiesto i documenti, non ha chiesto se avesse un
passaporto, non gli ha dato spiegazioni, ha detto "no" e basta.
Quando, indignata ed incredula, mi sono avvicinata per chiedere: "Why?", la
risposta e' stata: "He is local".
Ho piu' volte ripetuto la domanda, insistendo nel voler capire cosa
intendesse dire con quel "lui e' local": 'lui e' indiano"? Il signore,
pero', continuava a rispondermi, in maniera davvero sgarbata ed infastidita,
"He is local".
Cosi' ho restituito il mio modulo, dicendo che ormai non ne avevo piu'
bisogno, e dichiarando che, visto che lui non rispondeva alla mia domanda,
avrei scritto a te per aver risposta.
L'altro signore mi ha risposto: "Si', si', scrivi pure una lettera al Dalai
Lama", con l'atteggiamento di chi sa che, tanto, non servita' a nulla.
E allora? Il mio compagno di viaggio e' "local". Percio'? Dimmi...
Oltre ad essere "local", lui e' un docente universitario plurilaureato, con
un master in filosofia, uno in scienze ed un altro in yoga, ma anche se
fosse "l'ultimo" degli indiani (espressione che non mi piace, ma che
chiarisce il concetto), perche' mai tu non gli concedi di incontrarti per
una tua benedizione?
Credo che i tuoi funzionari siano, in quell'ufficio, tuoi portavoce. Mi
auguro, tuttavia, con tutto il cuore, che non sia cosi'.
Mi dispiace, ma ho preferito rinunciare anch'io all'udienza di sabato, a cui
tenevo davvero tanto, perche' sono molto delusa.
Mi sono detta: non voglio incontrare Sua Santita' il XIV Dalai Lama, premio
Nobel per la pace, se lui incontra solo i ricchi occidentali che vengono qui
per turismo, molti dei quali interessati solo a scattargli qualche
fotografia da mostrare, orgogliosi, agli amici al ritorno nel proprio paese.
Me ne andro', cosi', da questo incantevole luogo con una tale amarezza nel
cuore che non so spiegarti.
Come fai a parlare di pace nel mondo, se non c'e' pace neanche nella tua
piccola, piccolissima comunita', in cui gli indiani ti hanno ospitato, e ti
ospitano, dopo esser stato malamente e brutalmente cacciato dai cinesi dal
tuo meraviglioso Tibet?
Cosa hanno pensato, mi chiedo, tutti quei turisti dalla faccia pallida che
hanno assistito alla penosa scena nell'ufficio? Ah, io posso immaginarlo:
molti di loro si saranno di certo dispiaciuti, altri non hanno capito cosa
stesse accadendo e perche' vi fosse una discussione in un luogo di pace, ed
altri avranno trovato conferma al loro orgoglio di essere "superiori"
perche' loro potevano ed un indiano no.
Ai turisti, che si trovano in casa altrui, ospiti, e' concesso tutto, e gli
indiani, quelli onesti, ospitali, educati ed umili, rinunciano anche al solo
pensiero di dover chiedere. E pensare che il mio compagno di viaggio, dal
cuore d'oro, non voleva venirci in quell'ufficio, presagendo, probabilmente,
quello che sarebbe accaduto, ed io, testarda come buona parte degli
occidentali, l'ho convinto; osservando l'ufficio dalla finestra del
ristorante italiano, impaziente, gli dicevo: 'Sbrigati, andiamo, non vorrei
che non ci fosse piu' posto per noi". Ed infatti non c'era posto, ma il
posto che ci e' stato negato non e' fisico...
Abbiamo lavorato tanto nel mondo e continuiamo a lavorare affinche' i
cittadini dei paesi poveri, colpevoli solo di nascere gia' con un debito
verso i paesi ricchi, non si sentano dei "diversi", e guarda cosa accade
qui.
Io mi sono vergognata, non riuscivo a guardare il mio compagno di viaggio
negli occhi, e mi sono arrabbiata, poi, con lui per la sua passivita', per
il fatto che non se la sia presa affatto, dicendomi, amorevolmente: "Non ti
preoccupare, e' normale, io me lo aspettavo, ci sono abituato. Vai tu, ti
aspettero' fuori".
No, io non andro' in alcun luogo in cui a qualcun altro, chiunque esso sia,
venga negato l'accesso, ed esigo una spiegazione, o, meglio, te ne sarei
riconoscente.
Sono nauseata dai soprusi, dalle dichiarazioni di "diversita'", da chi dice
"tu puoi, tu invece no".
Come facciamo a cancellare il debito dei Paesi poveri (e se sono poveri, la
responsabilita' e' soprattutto occidentale), a convincere il mondo che tutti
abbiamo gli stessi diritti, se neanche per te, ambasciatore della pace nel
mondo, e' cosi'?
Qui ho conosciuto gente che ti ama, che ti chiama, affettuosamente, Guruji,
che si commuove al solo tuo pensiero; ma ho anche assistito alla scena di
una turista svizzera che, sentendosi infastidita dalla stessa persona che da
molti giorni le chiedeva soldi in strada, ha esclamato: "Perche' non te li
fai dare dal Dalai Lama? Perche' il Dalai Lama non offre soldi a questa
gente che ha fame?".
Questa frase mi ha costretto a riflettere su una verita'.
Ho incontrato molte persone amorevoli, oneste, spirituali, e molte altre
disoneste ed egoiste nella tua Comunita', anche tra quelli che indossano il
tuo stesso abito.
Uno dei tuoi monaci, vestito proprio come te, mi ha salutata simpaticamente
ogni giorno, sin dal mio arrivo; l'ultimo giorno in cui mi ha concesso un
sorriso, l'ha fatto mostrandomi un biglietto in cui mi chiedeva, in uno
strano inglese, soldi per studiare. In quel momento ero presa da altro e,
poiche' quel biglietto non mi convinceva, non ho dato mano al portafogli,
come invece ho fatto in altre occasioni, ma, dominata dal dubbio, l'ho
ringraziato e salutato.Ebbene, da quel momento il tuo monaco mi ha tolto il
saluto. Saro' una romantica, cosi' attaccata alle emozioni, ma certi eventi
mi turbano, segnano la mia sensibilita' e so che me li trascinero' dietro
per sempre.
Come la delusione di scoprire, inaspettatamente, che la tua comunita'
buddhista non e' vegetariana.
Io ti ho sempre stimato per il tuo buon cuore e per cio' che fai non solo
per il Tibet, ma per l'intera umanita', ed il mio amore per te e' gratuito,
spontaneo, non certo dettato dai dogmi della tua religione che ti crede Dio
in terra oppure dal fatto che potresti essere il mio Guruji: per me sei solo
una grande anima, in un piccolo corpo, ed a capo di una piccola comunita'
che, con il suo esempio di compassione, con i suoi discorsi pubblicati nei
libri, tradotti in tutte le lingue, stampati sulle t-shirt che i turisti
indossano, sulle tele che appendiamo nelle nostre case, sa giungere al cuore
dell'umanita' ed accendervi una fiammella di speranza in un futuro migliore,
in cui il mondo possa avere come unica legge il rispetto per tutto cioo' che
vive.
Ma questo rispetto che tu vai predicando deve venire prima da te e dai tuoi
collaboratori, altrimenti non sei credibile e cio' che dici in quei libri
diventa solo belle parole e basta.
Come queste: "Quando incontro delle persone nelle diverse parti del mondo,
questo mi ricorda sempre quanto siamo sostanzialmente uguali: tutti esseri
umani; forse vestiti in modo diverso, con la pelle di colore diverso, che
parlano lingue differenti. Ma questo e' solo cio' che appare in superficie,
fondamentalmente siamo gli stessi esseri umani e questo e' cio' che ci lega
l'uno all'altro. Questo e' cio' che ci consente di comprenderci l'un
l'altro, di fare amicizia e sentirci vicini" (XIV Dalai Lama, discorso per
il premio Nobel per la pace, Oslo, 10 dicembre 1989).
Con affetto e sincera stima,
Marcella Boccia (piccola anima in cerca di verita').

5. APPELLI. GIANFRANCO MONACA: LA BANDIERA DELLA PACE, DICHIARAZIONE
PERMANENTE DI "GUERRA ALLA GUERRA"
[Ringraziamo Gianfranco Monaca (per contatti: giamo at everyday.com) per questo
intervento. Gianfranco Monaca, costruttore di pace, collabora alla bella
rivista "Tempi di fraternita'" (sito: www.tempidifraternita.it); un suo
profilo biografico e' nel sito www.astilibri.com]
Partecipero' alla marcia per la giustizia di Agliana-Quarrata promossa dalla
Rete Radie' Resch il 13 settembre. Propongo che ad Assisi (io lo faro' in
qualche modo a Quarrata) si promuova un rilancio della campagna per
raddoppiare il numero delle bandiere della pace ai nostri balconi.
Non solo la bandiera della pace non si ammaina, ma diventa una dichiarazione
permanente di "guerra alla guerra"...

6. RIFLESSIONE. ALESSANDRO ROSSI: DIFFERENZA COME RICCHEZZA, ANCHE NELLE
FORME ORGANIZZATIVE
[Ringraziamo Alessandro Rossi (per contatti: rssale at flashnet.it) per questo
intervento. Alessandro Rossi e' un ricercatore e formatore del Centro studi
dIfesa civile e dell'Associazione per la pace]
Anche la differenza nelle forme organizzative d'azione e' una ricchezza.
In pratica, io cittadino attivo ho bisogno sia di un partito strutturato
(magari sempre piu' trasparente) sia di associazioni (tematiche e non, forse
piu' flessibili ma di sicuro piu' riconoscibili e affidabili anche
legalmente ed economicamente), sia di soggetti  economici (una banca etica,
una serie di produttori sostenibili e commercianti equi e solidali, etc.)
sia dei "luoghi per discutere-ascoltare-proporre-etc." (che a seconda delle
fasi sono essi stessi soggetti, ma lasciano comunque utili tracce di una
cultura solidale, come le bandiere ai balconi).
In pratica tutti questi soggetti/spazi sociali possono essere funzionali
alla cittadinanza attiva, e forse eliminare uno o piu' anelli non farebbeche
indebolire la catena.
Piu' che rifondarsi ancora, mi sembra giunta l'ora di coordinare gli sforzi
(nel rispetto reciproco, of course). E poi, le opere di Bateson, Galtung,
Capitini, Dolci, etc. non stanno li' a dirci che la nonviolenza puo'
trasformare le forme sociali senza distruggerle?

7. INCONTRI. LUISA MORGANTINI: DONNE IN NERO, INSIEME PER OSARE LA PACE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 agosto 2003. Il seguente profilo di
Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa
Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966
ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi
di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in
Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia,
relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la
societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal
1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel
sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima
donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione
sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni,
impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento
relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha
rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea
dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale
mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del
1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato,
ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha
fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La
meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti
progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra
cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina,
Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e
oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere
donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle
rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid
in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto
dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con
il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti
della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la
cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei
diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria,
e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni
riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto
Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e
networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con
associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del
Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel
dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e
dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la
nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le
fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne
contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo, eletta come
indipendente nelle liste del Prc e aderente al gruppo Gue-Ngl. Presiede la
delegazione parlamentare per i rapporti con il consiglio legislativo
palestinese, oltre ad essere membro titolare nella commissioni diritti della
donna e pari opportunita' ed in quella per lo sviluppo e la cooperazione,
membro della delegazione per le relazioni con il Sud Asia e membro sostituto
della commissione industria, commercio esterno, ricerca ed energia. In
Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione
per la pace"]
Piu di quattrocento donne, determinate e testarde, piu' di quattrocento
donne che non accettano che i conflitti siano agiti dalle guerre e dalla
violenza, donne che varcano confini e barriere per ritrovarsi insieme in un
progetto che le vede protagoniste di un processo di liberta' e liberazione
per ciascuna e per altre/i.
Donne che per amore del mondo e provenienti da ogni parte del mondo si
incontrano in questi giorni a Marina di Massa per parlare di
militarizzazione degli Stati e delle menti, per analizzare gli avvenimenti
della guerra e del dopoguerra, discutere del senso e dei limiti della cooper
azione internazionale e della solidarieta', di come costruire relazioni tra
donne in luoghi di conflitto, di come superare la concezione del nemico, di
come rendere le differenze ricchezza di articolazione di pensiero e di
vivere sociale, di come essere radicate nella propria identita' e capaci
allo stesso tempo di spostarsi cambiando insieme agli altri, di come
rifiutare le dicotomie agendo le e nelle contraddizioni, di come non
rimuovere o negare il conflitto ma operare perche' vi sia un superamento
nonviolento.
Centrale sara' il tema dei fondamentalismi, quelli religiosi e quelli laici,
e il rifiuto di lasciarsi incatenare nella logica di Bush o di Bin Laden.
Non sono confronti astratti, le donne che si ritrovano insieme a Marina di
Massa, sono la rete Internazionale delle Donne in nero, protagoniste attive
nel costruire ponti di pace tra donne delle diverse etnie o nazionalita'.
Questo e' il nostro undicesimo incontro internazionale, il primo che si
tiene in Italia. A partire dal 1992, gli incontri si sono tenuti in
Vojvodina ed hanno avuto come tema centrale la guerra nei Balcani, con donne
serbe, croate, bosniache, albanesi kosovare, animatrici le Donne in nero di
Belgrado.
Noi donne in nero italiane abbiamo appreso la modalita' del nero e del
silenzio dalle donne israeliane che dal 1988 manifestano contro
l'occupazione militare dei territori autonomi palestinesi, da li' ha preso
avvio la nostra esperienza e la nostra rete.
Nell'agosto 1988 in piena Intifada in 69 donne siamo andate a Gerusalemme,
con una grande sfida, costruire relazioni tra parti in conflitto e una
politica internazionale di donne per un percorso femminista e pacifista
indicato da Christa Wolf nella sua Cassandra: "tra uccidere e morire c'e'
una terza via, vivere".
In tutti questi anni le nostre modalita' sono state contagiose, il nero, il
silenzio, la nostra presenza nei luoghi dei conflitti, dalla Palestina a
Israele, ai Balcani, all'Algeria, con le curde e le turche, le donne
irachene, le donne contro la mafia, le donne dell'Afghanistan, ha reso
possibile l'incontro di questi giorni.
Tra le quattrocento donne presenti oltre a quelle gia' citate vi sono
colombiane, statunitensi, australiane, europee, indiane, giapponesi,
africane del Congo, della Nigeria, del Camerun, del Sud-Africa.
Alcune palestinesi non potranno essere presenti, le autorita' israeliane
hanno chiuso i confini, ma le tante donne israeliane parleranno anche con le
loro voci.
E' un evento straordinario, da ogni parte del mondo con le nostre mani e
menti unite contro le mani armate degli Stati e dei regimi delle guerre
infinite, noi donne abbiamo assunto le nostre responsabilita' individuali e
collettive per cacciare la guerra fuori dalla storia. Compito difficile, ma
noi stiamo cercando di farcela.
Per contatti: Luisa Morgantini: 3483921465.

8. INCONTRI. DUE INCONTRI A MONTEGIOVE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 agosto 2003]
Dopo "Le immagine violente di dio" - incontro cui avevano partecipato, tra
gli altri, Rossana Rossanda, Clara Gallini, Khaled Fouad Allam - l'eremo di
Montegiove riapre le sue porte.
Dal 29 al 31 agosto, si parlera' del passaggio "Da Gesu' al cristianesimo",
ovvero di quella transizione epocale avvenuta col trasformarsi di un piccolo
movimento carismatico interno al giudaismo del tempo a una nuova religione
diffusasi ben presto in tutto l'Occidente e non solo. Transizione che e'
anche passaggio dal carisma all'istituzione, non poli opposti ma valori
determinanti. E ancora: il Cristo come figura storica o meno, il chiedersi
come sia potuto avvenire - in quella temperia ribollente di attese
messianiche e predicatori vaganti - che quel galileo diventasse fonte della
piu' importante religione occidentale. Una religione che, oggi, la cultura
della pluralita' sfida nel suo stesso divenire e nella sua sopravvivenza.
All'incontro - coordinato da Rossana Rossanda - parteciperanno Giuseppe
Barbaglio, Emanuele Bargellini, Riccardo Calimani, Francesco P. Casavola,
Sergio Givone, Michele Ranchetti, Giuseppe Ruggieri, Rosetta Stella, Gianni
Vattimo e Vincenzo Vitiello.
*
All'"Assenza e presenza della donna nella storia", sara' poi dedicato
l'ultimo incontro del ciclo "Itinerari e incontri" che si terra' dal 24 al
26 ottobre sempre a Montegiove.
Tra i temi che verranno trattati, l'idea che esista una storicita' originale
delle donne non confinata nella cronologia e nella visibilita' dei fatti
codificati. Una idea sulla quale molto ha lavorato la comunita' filosofica
femminile di Diotima che da anni ha avviato una riflessione sull'eredita'
culturale e sulla tradizione storica, sulle genealogie femminili, quelle da
riscoprire e quelle da reimpiantare. Insomma, dall'"´approfittare della
differenza" di Carla Lonzi all'"approfittare dell'assenza". Perche' la
domanda resta: "Quanta mancanza c'e' stata nella storia, quanta perdita,
quanta eccedenza?".
A collocare questi temi all'interno dell'esperienza di Montegiove -
anch'esso luogo di riflessione e di relazione - saranno Maria Luisa Boccia,
Gabriella Bonacchi, Annarosa Buttarelli, Ida Dominijanni, Manuela Fraire,
Luisa Muraro, Marinella Perroni, Angela Putino, Diana Sartori, Paola Ricci
Sindoni, Wanda Tommasi e Chiara Zamboni. Coordinera' Mario Tronti.
Per informazioni: 0721809496 oppure 3408651177 dalle 10 alle 12.

9. LIBRI. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "OBIEZIONE ALLA VIOLENZA, SERVIZIO
ALL'UOMO" A CURA DELLA CARITAS ITALIANA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica
(ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate  e nonviolente. Una piu' ampia bibliografia dei
principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 477 del 15 gennaio 2003 di
questo notiziario]
Autori Vari, "Obiezione alla violenza. Servizio all'uomo", a cura della
Caritas Italiana, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003, pp. 127, euro 9.
Il volume, curato da Diego Cipriani, raccoglie studi storici e bilanci
meditati presentati ad un convegno sui 30 anni di obiezione di coscienza in
Italia e 25 di servizio civile della Caritas.
Il ministro Giovanardi, parlando del nuovo servizio civile, compie un errore
madornale col dire che la legge del 1972 riconosceva l'obiezione di
coscienza come diritto. Era, invece, una "concessione da parte del ministro
della difesa" (Venditti, p. 36; Bettazzi e Pax Christi, p. 114).
Monsignor Giovanni Nervo, primo presidente della Caritas italiana, dopo aver
affermato che certamente la Caritas ha educato decine di migliaia di giovani
ai valori del servizio, chiede: "ma li abbiamo educati egualmente, e ancor
prima, ai valori della nonviolenza, del rifiuto della guerra, e della
pace?". Questo e' il problema che serpeggia nel libro, e Nervo lo pone nel
modo piu' chiaro. Egli poi elenca sei precise forme di obiezione che oggi la
coscienza morale ha da opporre alla mentalita' e prassi dominante riguardo
al mercato, al lavoro, alla discriminazione, alla guerra preventiva.
Dunque, l'obiezione di coscienza e' piu' attuale che mai. Non e' piu'
obiezione del militare di leva (che oggi diventa volontario ben pagato e
privilegiato, cioe' mercenario), ma obiezione del cittadino. La violenza e'
da rifiutare e superare, non da amministrare, come fa ancora la politica
corrente, da destra a sinistra.
L'attuale direttore della Caritas, mons. Vittorio Nozza,  indica nel "no
alla violenza, soprattutto a quella strutturale (...) l'impegno per una
visione piu' ampia di difesa", e deplora che la difesa popolare nonviolenta,
presente nella legge 230/'98 (riforma dell'obiezione di coscienza), sia
rimasta totalmente inapplicata da tutti i governi succedutisi, mentre questo
punto e' il "nocciolo del futuro dell'obiezione di coscienza".
Pace e nonviolenza, assenti nelle indicazioni dei vescovi alla Caritas, sono
invece evidenziate da Nozza tra gli obiettivi di questo ufficio ecclesiale.
Andrea Riccardi (presidente della Comunita' di S. Egidio) propone un'ampia
storia politica e culturale, prima e dopo la legalizzazione del 1972, da cui
ricaviamo che non solo cresce oggi nella societa' la non-rassegnazione alla
violenza abituale dei poteri, ma cresce anche il versante positivo: le
alternative civili, sebbene ancora allo stato germinale. Noi possiamo dire
che hanno difeso l'Italia gli obiettori di coscienza piu' dei militari, che
hanno portato pace nelle zone di conflitto i molti volontari, a loro spese e
rischio, piu' dei "militari di pace" pagati a suon di milioni. Anche
Riccardi osserva che la chiesa italiana ha sostenuto piu' il servizio civile
che l'obiezione di coscienza, ma l'obiezione di coscienza ha spostato
"quell'asse privilegiato di rapporto tra Chiesa ed esercito" verso un nuovo
asse tra solidarieta' e pace.
"Perche' la Chiesa non [ha] condannato ogni forma di violenza e fatto
obbligo a tutti i cristiani di essere obiettori di coscienza?", chiede padre
Joblin (Universita' Gregoriana), e nota che sia Pio XI che Pio XII non
escludevano la difesa violenta da criminali e tiranni. Joblin indica nella
teoria del principe-schiavo (che non opera per il bene della comunita', ma
e' soggetto ad un occupante) il fondamento morale del rifiuto di obbedire al
governo. Non e' un po' poco? Tante volte il principe e' schiavo di interessi
e mentalita' violente, anti-umane, offensive del bene di qualche altro
popolo che non e' il nostro particolare, e dunque e' tiranno, da non
obbedire.
*
Per Enrico Trevisi (Studio teologico di Cremona), "la categoria obiezione di
coscienza rimane pressoche' poco rielaborata e approfondita in teologia
morale". Nella "societa' dell'incertezza" la domanda sulla giustizia "quid
justum?" viene ridotta alla domanda sulla legge "quid juris?". Trevisi
abbozza una teoria per riconnettere l'ordinamento giuridico con l'etica, per
vedere quale etica sta alla base del diritto, e quale ethos puo' mantenere
un legame tra etica e diritto. Una teoria della coscienza e' necessaria per
sottrarla alla deformazione che la riduce all'opinabile, all'arbitrio
relativista. La coscienza e' discernimento del bene e del male, e' sinonimo
di persona in prospettiva etica. Rimanda alla verita' intimamente cercata.
Esplicitando Trevisi, potremmo dire che la coscienza e' la voce propria di
Dio nel cuore di ognuno, che lo impegna all'ascolto intimo, laborioso,
intelligente, responsabile. Quando affronta l'obiezione di coscienza al
militare come superamento della teoria della guerra giusta e apertura di
nuovi percorsi di pace, lo scritto di Trevisi si fa piu' profetico che
morale. L'obiezione di coscienza contesta gli attuali sistemi difensivi,
tutti distruttivi, e la sistematica ingiustizia globale, che e' guerra.
Scrivendo che la riflessione sulla nonviolenza promossa da una esigua
minoranza deve essere incentivata, Trevisi cita brani luminosi dal Tu non
uccidere di Primo Mazzolari, uscito anonimo nel 1955.
Il credente incontra "questioni assai complesse" su violenza e guerra
nell'Antico Testamento, ma se guarda al Cristo ucciso e risorto "deve
cercare una modalita' propria per arginare la violenza (...) senza mai
infliggerla". Il pacifismo assoluto, il rifiuto della difesa violenta, sono
parte minoritaria del pensiero cristiano, ma profezia sempre presente e
novita' evangelica irrinunciabile, ad ogni costo. Prima che un comando etico
sono una possibilita' offerta dalla fede alla storia umana, mortificata
dalle violenze. Il nemico, il violento, sono sempre amati da Dio, dunque e'
possibile andare a superare ogni ideologia punitiva. Rimane all'obiettore il
dovere di non giudicare chi in coscienza (non e' il caso del mercenario) fa
scelte diverse.
L'obiezione di coscienza contesta una legge in nome di una verita' che la
precede. Ma nella democrazia postmoderna, proceduralistica, rischia di
venire semplicemente tollerata come un'opinione. Tuttavia, anche
nell'ispirazione laica e non evangelica, l'obiezione di coscienza ha
reintrodotto istanze etiche che sembravano dimenticate nelle democrazie
liberali: la persona ha il primato sulle istituzioni, che non possono
forzarla ad agire contro coscienza; la maggioranza non sempre vede e sceglie
la verita' e il bene; l'obbedienza politica non puo' essere acritica.
L'obiezione di coscienza connessa al servizio civile esprime "vita votata
agli altri", e non narcisismo morale; eppure non e' solo produttiva di
servizi, ma espressiva del valore profondo e alto della persona, del mistero
superiore che essa contiene e rivela.
Come atto politico, l'obiezione di coscienza contesta senza violenza
disvalori della comunita' e propone valori che testimonia e paga. La giusta
legalizzazione dell'obiezione di coscienza al militare, rischia tuttavia di
ridurla ad uno dei tanti metodi di lotta politica e di far decadere la
testimonianza ad opinione o opzione. L'obiezione di coscienza al militare
contesta l'ideologia della guerra che si estende ad "obiettivi sempre piu'
ambigui e inaccettabili". Mentre l'esercito professionale naturalizza la
guerra da sciagura a funzione normale, e sottrae la difesa ai cittadini,
l'obiezione di coscienza alla guerra richiede l'educazione alla difesa
popolare nonviolenta, presente nella storia piu' di quanto l'informazione
corrente consente di sapere. Se va rispettato chi, di fronte al male, si
sente obbligato in coscienza ad opporsi anche con le armi, si deve pero' far
crescere la conoscenza dei metodi nonviolenti efficaci, e si deve sviluppare
la valenza politica del perdono, delle procedure di riconciliazione nella
verita', sperimentate in Sudafrica in un modo indicativo di nuove vie.
Primo Mazzolari, nel 1955 (ma in privato gia' nel 1952) scriveva: "La
nonviolenza e' la cosa piu' nuova e piu' antica: la piu' tradizionale e la
piu' sovversiva; la piu' santa e la piu' umile; la piu' sottile e difficile
e la piu' semplice, la piu' dolce e la piu' esigente; la piu' audace e la
piu' savia, la piu' profonda e la piu' ingenua".
*
Rodolfo Venditti (magistrato, studioso di diritto militare) presenta, in uno
dei suoi interventi piu' lucidi e appassionati, la storia giuridica e
istituzionale dell'obiezione di coscienza dal dopoguerra alla legge del
1972 - della quale elenca i meriti e i forti limiti - e alla sua
applicazione. L'obiezione di coscienza ha camminato nella societa' italiana
sviluppando la cultura della nonviolenza.
Ma Parlamento e governo si sono dimostrati piu' insensibili, fino spesso
all'ottusita' ostile. Venditti racconta suoi interventi in lettere e
dibattiti, negli anni '80, con esponenti di governo chiusi e intolleranti.
"Ci si scontrava con un muro, che nonostante l'avvicendarsi dei governi
restava inesorabilmente fermo e immutabile, quasi obbedendo a un
orientamento di fondo che non dipendeva dal colore dei singoli governi e
della loro composizione". Persino il governo Prodi "deluse profondamente le
attese", avallando il "nuovo modello di difesa", sostanzialmente aggressivo,
e professionalizzando le Forze Armate. Cio' dice molto sul tragico ritardo
culturale della classe politica in generale, schiava del dogma militare,
ignara della cultura civile del conflitto e della difesa.
Molto positivo e' invece il bilancio, che Venditti documenta con cura,
dell'atteggiamento della magistratura, a tutti i livelli, nei confronti
dell'obiezione di coscienza come indicativa di un diritto e di una cultura
di pace, le cui basi sono inscritte, piu' implicite o piu' esplicite, nella
nostra Costituzione, basi che i giudici contribuirono per la loro parte ad
esplicitare. "Perche' i giudici sono stati all'avanguardia nel capire cio'
che Parlamento e governo non hanno capito o hanno capito in forte ritardo?ª.
Venditti risponde che, mentre "i giudici sono meno condizionati da
preoccupazioni politiche e cio' consente loro di muoversi con liberta' e
indipendenza molto maggiori e di maturare una sensibilita' molto piu' viva
alle acquisizioni piu' recenti del pensiero giuridico", Parlamento e
governo, invece, dipendendo dalla maggioranza politica, "risentono dei
ritardi con cui l'opinione pubblica fatica a seguire i progressi della
cultura e si attarda su schemi mentali tradizionali e superati".
Molti enti locali si sono dimostrati piu' sensibili degli organi statuali,
grazie al loro radicamento territoriale e al contatto piu' diretto con le
esigenze piu' consapevoli della popolazione, sicche' hanno sostenuto meglio,
nonostante i limiti, l'educazione alla pace.
*
Il volume e' completato da una rassegna sulla gestione di obiezione di
coscienza e obiezione di coscienza da parte di altri enti cattolici. Agesci
e Salesiani hanno cercato di formare alla pace e nonviolenza. L'Azione
cattolica parla di pace ma non di nonviolenza. Nella relazione della
Compagnia delle Opere (CL), neppure un cenno a pace e nonviolenza. Il
rapporto delle Acli e' autocritico (come i Salesiani) e positivo, piu' sulla
frontiera del sociale che della pace. Pax Christi e', anche tra tutte le
associazioni pacifiste, sulle posizioni piu' mature e avanzate della cultura
di pace e della nonviolenza.

10. LIBRI. GIANNI VATTIMO PRESENTA CINQUE LIBRI DI ANTONIO SCURATI, IRENE
BIGNARDI, GIORGIO AGAMBEN, SERGE LATOUCHE, ANGELO SCIVOLETTO
[Dal sito di Gianni Vattimo (www.giannivattimo.it) riprendiamo queste cinque
brevi segnalazioni bibliografiche gia' apparse sul settimanale "L'Espresso".
GIanni Vattimo, filosofo italiano, nato nel 1936 a Torino, docente
universitario, parlamentare europeo, e' da sempre impegnato nei movimenti
per i diritti civili; tra le molte sue opere segnaliamo almeno: Il soggetto
e la maschera (1974); Le avventure della differenza (1980); (a cura di, con
Pier Aldo Rovatti), Il pensiero debole (1983); La fine della modernita'
(1985); La societa' trasparente (1989); Etica dell'interpretazione (1990);
Oltre l'interpretazione (1994)]
Da "L'Espresso" del 26 giugno 2003
Antonio Scurati, Guerra, Donzelli, pp. 260, 24 euro.
C'e' sicuramente una linea di continuita' tra la popolarita' di cui ha
goduto negli anni recenti il pensiero di Carl Schmitt, il "realismo" della
sua famosa coppia amico-nemico, e la nuova ondata di bellicismo,
bellicosita' o, anche qui, visione realistica e virile della violenza, che
si e' manifestata nelle discussioni intorno all'invasione dell'Iraq. Le cose
piu' truci che abbiamo letto sui giornali di destra, o ascoltato nei tanti
interventi televisivi di Giuliano Ferrara, trasudavano umanitario (!)
entusiasmo per una politica che aveva finalmente riscoperto la guerra come
mezzo per costruire un mondo piu' sicuro e giusto. Ora un notevole libro di
Antonio Scurati, bell'esempio di storia delle idee, offre materiali di
riflessione a cui dovrebbero pensare i tanti neobellicisti che infuriano sui
nostri media. Tutti abbiamo percepito uno strano effetto paradossale nella
rappresentazione in tempo reale delle guerre recenti, Golfo e Iraq: ci
sembrava di non averne mai saputo cosi' poco, nonostante il martellamento di
notizie e immagini. Scurati ci spiega tutto cio' a partire da analisi
letterarie, muovendo dall'archetipo del duello tra eroi che domina la
visione classica della guerra; che va in crisi con la guerra moderna, di
masse e artiglierie; e che oggi, sembra di dover concludere, e' solo ormai
un appello ideologico dietro cui si cela la radicale irrappresentabilita'
della guerra, il vero tratto di essa chiaramente visibile, e che mostra,
piu' in profondo, la sua impossibilita' etica nel nostro mondo. Altro che
ritrovarne "virilmente" la tragica necessita' identica con la stessa
"condizione umana"!
*
Da "L'Espresso" del 10 luglio 2003
Irene Bignardi, Le piccole utopie, Feltrinelli, pp. 155, 12,50 euro.
Lo spirito soffia dove vuole, si e' tentati di dire dopo la lettura del bel
libro di Irene Bignardi su "alcune idee del Novecento" chiamate
impropriamente utopie, giacche' ognuna, nel suo "piccolo", ha invece dato
luogo a significative realizzazioni. Non e' esagerato evocare qui la Sacra
Scrittura; un po' perche' questo e' un libro sinceramente edificante, una
lettura che, per gli esempi di vita che presenta, fa ritrovare fiducia e
voglia di impegno. In questo senso, un buon antidoto alla ragionevolezza
riformista pericolosamente dilagante. Dunque un libro rivoluzionario?
Nemmeno, perche' le utopie sono "piccole", nessuna o quasi si e' pensata
come progetto di trasformazione ultima e totale-totalitaria. Qui l'autrice
esplora e descrive esperimenti politico-esistenziali come la
comunita'-scuola fondata in India all'inizio del Novecento da Tagore, il
grande poeta premio Nobel del 1913; la Nomadelfia di don Zeno Saltini; e poi
la comunita' del Monte Verita' presso Ascona; il "rifugio" per artisti di
Yaddo, nello stato di New York; la citta' di Arcosanti, progettata e solo in
parte finora costruita nel deserto dell'Arizona dall'architetto italiano
Paolo Soleri; la Costa Rica, il primo stato al mondo ad aver rinunciato a
possedere un esercito; e il progetto dell'esperanto come lingua universale.
Alla base di tutte queste realta' ancora vitali sta un progetto utopico che
riesce a realizzarsi come nelle pieghe dell'ordine esistente, spesso
utilizzando risorse che ne provengono, e che vive in queste pieghe; fessure
attraverso cui lo spirito soffia e ci permette di respirare una boccata
d'aria.
*
Da "L'Espresso" del 24 luglio 2003
Giorgio Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, pp. 120, euro 12.
Il titolo dell'ultimo libro di Giorgio Agamben, sullo "stato di eccezione",
puo' intendersi come emblematico di tutto il suo lavoro; che trova
nell'eredita' di Carl Schmitt, di Heidegger e di Derrida da un lato, e nella
situazione politico-sociale del mondo globalizzato sotto egemonia
dall'altro, il terreno su cui esercitare la sua passione per le domande
radicali. Di fatto, lo stato di eccezione e' quello che si instaura in certi
momenti di crisi in cui l'ordine giuridico consueto viene sospeso (una
dittatura di guerra; una rivoluzione mirante a costituire un ordine
diverso). La sua eccezionalita' ne fa qualcosa di estraneo al diritto, anche
se mira a valere o a fondare nuove leggi. Filosoficamente, questo richiama
alla ineludibile connessione tra fondatezza (la razionalita' di
affermazioni, leggi, ecc.) e infondatezza originaria (i primi principi non
si dimostrano mai, ovviamente). Un pensiero che ha un suo sicuro risvolto
politico: nel mondo in cui, non solo dopo l'11 settembre, lo stato di
eccezione sta diventando una regola motivata dalla lotta al terrorismo,
proporne un'analisi radicale puo' aiutare a ricostruire relazioni meno
violente tra la vita e le forme del diritto.
*
Da "L'Espresso" del 31 luglio 2003
Serge Latouche, Giustizia senza limiti, Bollati Boringhieri, pp. 281, euro
22.
Conciliare il mercato, lo sviluppo del Pil, con la solidarieta' e la
giustizia sociale e' il sogno di tutti i riformismi, compresi molti che si
richiamano al socialismo. Ma e' un sogno sempre piu' irrealizzabile, nelle
condizioni della concorrenza internazionale che si sono irrigidite sempre di
piu' negli anni recenti. Di questo parla, in termini radicalmente critici,
Serge Latouche, nel nuovo libro ora tradotto in italiano. Latouche e' un
esponente del Mauss, il movimento anti-utilitarista che ha adottato come suo
acronimo il nome del grande teorico del dono, appunto Marcel Mauss. I
fallimenti clamorosi delle politiche "sociali" ispirate alla compatibilita'
economica (produrre sviluppo senza disoccupazione e devastazione del
pianeta) sono sotto gli occhi di tutti. Cosi', e' molto cresciuto il divario
tra ricchi e poveri negli ultimi anni dell'economia globale; sono
drammaticamente diminuite le iscrizioni alle scuole elementari, proprio nei
Paesi che hanno applicato le ricette economiche del Fondo Monetario
Internazionale. L'economia, dice Latouche, e' naturalmente nemica della
giustizia: la crescita del Pil richiede competizione e infine darwinismo
sociale piu' o meno mascherato. La giustizia esige invece il rispetto, e
anzi l'amicizia (la "philia" di Aristotele), verso gli altri. E' possibile
una societa' giusta, dove si realizzi uno scambio eguale, senza gli errori e
gli orrori delle societa' sovietiche? Latouche ne mostra alcuni tratti
realistici e concreti, a cominciare da un diverso modo di calcolare il Pil,
che diventa Gpi, Genuine Progress Indicator, proposto di recente da alcuni
studiosi. Non sara' ora di riscoprire un po' di utopia?
*
Da "L'Espresso" del 7 agosto 2003
Angelo Scivoletto, Giorgio La Pira. La politica come arte della pace, Ed.
Studium, pp. 288, euro 24.
Non sappiamo se nei cortei per la pace dei mesi scorsi ci fossero anche, e
quanto numerose, magliette con l'immagine di Giorgio La Pira; lo spirito
della Firenze degli anni Cinquanta e Sessanta, quando La Pira, sindaco della
citta' dal 1951 al '57 e poi dal 1961 al '65, ne fece una vera e propria
capitale degli ideali di distensione e del pacifismo mondiale, era
certamente tra gli elementi ispiratori del movimento di questi mesi,
specialmente delle numerose e vivaci componenti cattoliche di esso. E'
quindi estremamente tempestiva la pubblicazione del bel libro di Angelo
Scivoletto - sociologo dell'universita' di Parma, uno tra i piu' stretti
discepoli e collaboratori di La Pira - che ricostruisce gli elementi
essenziali del suo pensiero e offre una illuminante antologia dei suoi
testi. Viene ancora una volta sfatata qui la leggenda di un La Pira ingenuo
amante dei poveri e pazzerello evangelico, cosi' cara ai cattolici
reazionari, cautamente riformisti, e ai moderati di ogni specie. La Pira si
era formato come studioso di diritto romano, allievo di Emilio Betti e di
Pugliatti, e alla base delle sue imprese "cattocomuniste" - come il viaggio
ad Hanoi in piena guerra del Vietnam, o la vicenda del Nuovo Pignone, le
requisizioni di case sfitte per i senzatetto fiorentini - c'era quello
sforzo, anche intensamente teorico, di sintesi tra moderna conquista dei
diritti e visione cristiana del mondo che ispiro' la migliore politica dei
cattolici in Italia nel dopoguerra e nella scrittura della Costituzione. Chi
oggi bolla quella costituzione come sovietica puo' avere qui l'occasione di
un buon ripasso.

11. STRUMENTI. OTTAVIO RAIMONDO PRESENTA "RISCOPRIRSI PERSONE RESPONSABILI"
[Ringraziamo padre Ottavio Raimondo (per contatti: sermis at emi.it) per questa
segnalazione. Ottavio Raimondo e' direttore editoriale della Emi, l'Editrice
Missionaria Italiana che ha pubbllicato innumerevoli utilissimi libri]
"Riscoprirsi persone responsabili", percorso missionario sulla Pacem in
terris.
E' in sussidio che verra' utilizzato durante la carovana della pace 2003
organizzata dal Gim (Giovani di impegno missionario) dei missionari
comboniani.
La carovana della pace e' un itinerario attraverso l'Italia, nel tentativo
di inserirsi nelle periferie delle grandi citta' e a fianco di altre marce
in cerca di liberta'.
La marcia iniziera' ad Assisi il 4 settembre e terminera' il giorno 15
settembre a Limone sul Garda dove e' nato Daniele Comboni.
Il sussidio puo' essere richiesto alla Emi (tel. 051326027 oppure e-mail:
ordini at emi.it). Ulterioi informazioni sul sussidio "Riscoprirsi persone
responsabili" e sulla carovana si trovano sul sito della Emi (www.emi.it).

12. RILETTURE. LAURANA LAJOLO: GRAMSCI. UN UOMO SCONFITTO
Laurana Lajolo, Gramsci. Un uomo sconfitto, Rizzoli, Milano 1980, 1981, pp.
224. E' ancora uno dei libri piu' belli ed acuti su Gramsci.

13. RILETTURE. MARINA PALADINI MUSITELLI: INTRODUZIONE A GRAMSCI
Marina Paladini Musitelli, Introduzione a Gramsci, Laterza, Roma-Bari 1996,
pp. 222, lire 18.000. Una recente nitida e precisa introduzione, nella
benemerita collana laterziana de "Gli scrittori".

14. RILETTURE. MIMMA PAULESU QUERCIOLI: GRAMSCI VIVO NELLE TESTIMONIANZE DEI
SUOI CONTEMPORANEI
Mimma Paulesu Quercioli, Gramsci vivo nelle testimonianze dei suoi
contemporanei, Feltrinelli, Milano 1977 (terza edizione nel medesimo anno),
pp. 320. Una lettura di grande commozione che vivamente raccomandiamo.

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 658 del 30 agosto 2003