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La nonviolenza e' in cammino. 654
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 654
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 25 Aug 2003 18:45:16 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 654 del 26 agosto 2003 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: il 4 settembre a Viterbo la scelta della nonviolenza 2. Aldo Capitini: l'inizio del nostro programma 3. La tigre moribonda di Emily Dickinson 4. Angelo Gandolfi: Baghdad, un laboratorio per la nonviolenza 5. Lalla Romano: le strade 6. Giuseppe Campione: i conflitti e la cultura 7. Maria Luisa Spaziani: l'impossibile scommessa 8. Luca Salvi: il silenzio sull'Uganda 9. Elsa Morante: una cosa vista da Edipo ed Antigone 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: IL 4 SETTEMBRE A VITERBO LA SCELTA DELLA NONVIOLENZA Il 4 settembre a Viterbo si terra' un incontro dei ministri delle telecomunicazioni di alcuni paesi europei. Ed e' assai probabile che, perlomeno per quanto concerne lo stato ospitante, l'iniziativa rischiera' di essere l'apoteosi ipocrita, ridicola e scandalosa, di uno status quo caratterizzato da una gestione dell'informazione e delle comunicazioni di massa omologa alla violenza planetaria del pensiero unico e del comando imperial-coloniale, devastatore e consumista, ovvero atta alla manipolazione ideologica e alla narcosi intellettuale e morale, ed efficiente a cooperare alla violenza e alla menzogna tragicamente dominanti. Particolarmente per quanto concerne il nostro paese, infatti, il potere mediale e' stato ed e' luogo di pratiche illegali e criminali, di sistematica violazione delle leggi e devastazione dello stato di diritto; e' stato ed e' la testa di ponte e lo strumento di corruzione di massa alla base del trionfo politico e culturale della coalizione organizzata da un piduista di successo unendo razzisti neopagani, residui neofascisti, rottami vari del regime della corruzione di lungo corso, personaggi apprezzati dai poteri criminali, ed una famelica orda di seguaci senza scrupoli dell'indecente motto della Nep: "arricchitevi". Ma il 4 settembre a Viterbo e' anche un giorno di festa, di festa grande: e' infatti la festa patronale, la festa di quella giovinetta, Rosa, che al cuore del popolo viterbese e' cara sopra ogni altra persona e cosa (e duplice festa e' per chi scrive queste righe: poiche' per avventura e' anche il mio compleanno). Il 4 settembre a Viterbo si terranno anche alcuni incontri di riflessione e di sensibilizzazione promossi dal movimento per la globalizzazione dei diritti con la partecipazione di persone di volonta' buona che in umilta' e onesta', in rigore e dignita', in buona fede e piena coscienza, in solidarieta' e testimonianza, si oppongono al "disordine costituito" (per usare l'acuta espressione di Emmanuel Mounier) in nome della dignita' umana e del diritto alla vita di ogni essere umano, in nome dei principi della ragion pratica di Immanuel Kant, in nome di quei convincimenti profondi che legano tante e diverse tradizioni di pensiero e che affermano il principio del rispetto dell'altro, della civile convivenza, della solidarieta'. Una cosa deve essere chiara, e va detta prima che i soliti provocatori che non mancano mai possano elaborare, organizzare e mettere in atto le loro scempiaggini e scelleraggini: che le iniziative di quante e quanti si oppongono ai poteri della violenza e della menzogna organizzata, devono essere e saranno rigorosamente nonviolente e nonmenzognere, cioe' intese al dialogo, alla riflessione critica, alla coscientizzazione di tutti, alla promozione della democrazia e dei diritti umani, all'impegno per un'umanita' di donne e uomini liberi ed eguali, all'impegno contro tutte le guerre e le uccisioni, contro tutte le lesioni e le oppressioni, contro tutte le umiliazioni e le aggressioni, contro tutte le devastazioni e le corruzioni, contro tutti gli inquinamenti e contro tutte le menzogne, contro ogni barbarie. Devono essere e saranno iniziative di pace, per la pace, con metodi di pace. Questo deve essere chiaro, questo nessuno deve ignorare. 2. MAESTRI. ALDO CAPITINI: L'INIZIO DEL NOSTRO PROGRAMMA [Da Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, p. 351. E' l'inizio dell'articolo intitolato "Il nostro programma" apparso come editoriale sul primo numero di "Azione nonviolenta" nel gennaio 1964. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.cosinrete.it] Nonviolenza e' non opprimere, non tormentare, non distruggere, nemmeno gli avversari; cioe': apertura all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo di tutti. Questo puo' essere il programma e la tensione di persone isolate, e puo' diventare il metodo di lotta di grandi moltitudini. 3. MAESTRE. LA TIGRE MORIBONDA DI EMILY DICKINSON ["A Dying Tiger" e' una delle grandi, enigmatiche poesie di Emily Dickinson sulle quali non si cessa di meditare. La riproponiamo nel testo originale e nelle traduzioni (per meditare anche sul tradurre, il risuonare, il tramandare, l'esecuzione-interpretazione e la cooperazione nell'opera d'arte, nel comunicare e con-sentire che e' proprio degli esseri umani) rispettivamente di Massimo Bacigalupo (Emily Dickinson, Poesie, Mondadori, Milano 1995, 2000, p. 209), di Guido Errante (Emily Dickinson, Poesie, Guanda, Parma 1975, Bompiani, Milano 1978, vol. I, p. 167), di Barbara Lanati (Emily Dickinson, Poesie, Savelli, Roma 1976, p. 53). Emily Dickinson (Amherst, Massachusetts, 1830-1886) e' una delle piu' grandi voci poetiche che l'umanita' abbia avuto; molte le edizioni delle sue poesie disponibili in italiano con testo a fronte (tra cui una integrale, diretta da Marisa Bulgheroni, apparsa nei Meridiani Mondadori alcuni anni fa); per un accostamento alla sua figura e alla sua opera: Barbara Lanati, Vita di Emily Dickinson. L'alfabeto dell'estasi, Feltrinelli, Milano 1998, 2000; Marisa Bulgheroni, Nei sobborghi di un segreto. Vita di Emily Dickinson, Mondadori, Milano 2002] A Dying Tiger - moaned for Drink - I hunted all the Sand - I caught the Dripping of a Rock And bore it in my Hand - His Mighty Balls - in death were thick - But searching - I could see A Vision on the Retina of Water - and of me - 'Twas not my blame - who sped too slow - 'Twas not his blame - who died While I was reaching him - But 'twas - the fact that He was dead - * Una tigre morente - rantolava assetata - Io cercai per tutta la sabbia - colsi il gocciolare di una roccia e glielo portai in mano - I suoi grandi occhi - erano opachi nella morte - ma cercando in essi - intravidi una visione sulla retina dell'acqua - e di me - Non fu colpa mia - che corsi troppo piano - non fu colpa sua - che mori' mentre io stavo arrivando - era - il fatto che fosse morta - [Traduzione di Massimo Bacigalupo] * Una tigre mribonda - gemeva per la sete - Frugai tutta la sabbia, Raccolsi poche goccie da una roccia, Le portai nella mia mano. Le possenti pupille erano spesse Nella morte - ma io scrutando vidi Sulla retina l'immagine Dell'acqua e di me. Non ebbi colpa io - che corsi troppo piano - Non ebbe colpa lei, Che mori' mentre stavo per raggiungerla - Ma il fatto ch'era morta. [Traduzione di Guido Errante] * Chiedeva da bere, una Tigre, in agonia Filtrai il deserto - dalla roccia, una goccia raccolsi e la portai nella mano. Le pupille regali, nella morte offuscate scrutai, per trovare nella retina, un'unica visione dell'acqua e di me. Non era colpa mia: che ero corsa piano. Non era colpa sua: che era morta quando stavo per raggiungerla, ormai, ma perche', era un fatto, essa era gia' morta. [Traduzione di Barbara Lanati] 4. TESTIMONIANZE. ANGELO GANDOLFI: BAGHDAD, UN LABORATORIO PER LA NONVIOLENZA [Ringraziamo Angelo Gandolfi (per contatti: angelo.gan at libero.it) per questo ampio intervento che alla testimonianza personale unisce la volonta' di un'analisi acutamente consapevole delle molte contraddizioni presenti in una realta' non semplificabile, e delle difficolta' implicate da una proposta operativa nonviolenta - ma anche della sua necessita' e urgenza. Angelo Gandolfi e' impegnato nell'esperienza dei "Berretti bianchi", organizzazione umanitaria di intervento nonviolento in aree di conflitto, e nella promozione dei Corpi civili di pace; e' stato recentemente in Iraq per verificare la possibita' di realizzare a Baghdad una "ambasciata di pace" nonviolenta] Sono stato a Baghdad nell'ultima decade di luglio. Per la precisione, Al-Aadhamiyah, Al-Mansoor e Al-Karrada soprattutto, in quanto la citta' e' talmente grande che non si puo' dire di essere stati, se poi materialmente si e' rimasti addirittura soltanto sull'ansa del Dijah (che noi chiamiamo Tigri) ben distanti, per esempio, da quella mini-ansa del fiume al di la' della quale si stende il formicaio di At-Tawra meglio noto come Saddam City un tempo e Al-Sadr oggi. Sono andato anche a Nassiriya, dove ho fatto una breve visita al reparto militare italiano della coalizione, e a Baquba. Preciso "reparto militare italiano della coalizaone" in quanto a Nassiriya sono presenti truppe di varie nazionalita'. Mentre eravamo nell'ufficio del portavoce del reparto italiano, magg. Vincenzo Lauro, si e' addirittura presentato il comandante del contingente di 150 soldati rumeni, appena arrivato ad aggiungersi agli sloveni, e ai coreani che nei pressi di Nassiriya gestiscono un attrezzatissimo (pare) ospedale da campo. Mi pare opportuno precisare che non sono andato a Nassiriya nel programma del mio viaggio come Berretto Bianco, ma mi sono aggregato ad un amico medico di Trieste, che andava la' per prendere contatti per il proprio lavoro. Mi interessava "mettere un po' il naso" in quella situazione... * Credo che, con un'azione veramente riprovevole e vergognosa, i mezzi che dovrebbero essere d'informazione, stiano facendo veramente qualcosa di disgustoso nello stracciarsi le vesti dopo essere stati complici. La mia netta sensazione e' che l'Iraq del 2003 sia in una situazione nient'affatto lontana dall'Italia del 1945. Intendiamoci bene. Dopo il terzo dei miei viaggi in Iraq sono abbastanza convinto che la figura di Saddam Hussein, ma soprattutto quello che e' il partito Baath dovranno essere rivisitati, ristudiati e ricollocati nei loro rispettivi ruoli e fortemente ridimensionati. Saddam Hussein non e' Adolf Hitler e il Baath non e' il partito nazionalsocialista. Anzi, credo che la questione stessa delle armi di distruzione di massa non sia stata probabilmente che originata dal timore degli americani che l'elevato livello della tecnologia militare irachena, che presumo nettamente superiore, per esempio, a quello italiano, li mettesse in condizione di trovarsi di fronte non tanto chi poteva utilizzarla contro di loro, ma chi poteva venderla a costi inferiori, entrando in concorrenza diretta con loro, e sottraendo un elemento centrale nel dominio del mondo. Soprattutto venderla ad un costo piu' accessibile agli "stati canaglia" che tanto li preoccupano, ma ancor piu' con la prospettiva di una possibile alleanza in questo senso con coloro da cui il governo americano continua a sentirsi ossessionato, Cina in primo luogo e, in prospettiva anche la Russia. E rivoluzionando tutto il sistema di potere legato a brevetti e quant'altro. In questo senso c'e' da chiedersi allora se Hans Blix e Mohammed El-Baradei sono stati davvero uomini che hanno lavorato contro la guerra, o pedine di cui il governo americano, usando l'Onu e il Consiglio di Sicurezza, si e' avvalso per accelerare la ripresa delle operazioni militari contro l'Iraq. Detto questo, preciso perche' ho scritto quel parallelo, anzi aggiungo un elemento in piu'. Precisando che la mia e' una sensazione, pur lavata nelle acque del Dijah, avendo imparato a riconoscere, ad esesempio, la differenza fra una raffica di kalashnikov ed una di un mitragliatore Browning a ripetizione o fra i danni provocati da schegge di bomba e da un missile. E questo nonostante l'infernale rumore di migliaia e migliaia di generatori accesi in tutta la citta' per fornire la corrente che la Cpa (Coalition Provisional Authority) benignamente nega agli iracheni "liberati". * E' assolutamente triste dirlo, ma non possiamo non tener conto che il risultato della seconda fase di operazioni militari della guerra del Golfo sia stato l'affrancamento dell'Iraq da un sistema di "repressione interiorizzata" provocato da un esercizio del potere nella maniera piu' autoritaria possibile da parte di gruppi di affaristi che esprimevano un personaggio decisamente inquietante come Saddam Hussein. Un volto da offrire alla folla, in quanto sufficientemente egocentrico e narcisista, mutevole nonostante una sostanziale inespressivita', da poter apparire un autocrate, all'ombra del quale realizzare solidissimi affari. Prova a salire su un taxi e la prima parola che ti viene detta e' "Saddam". Un artista ed intellettuale iracheno mi ha detto: "Vedi, oggi quel nome si fa, fino a qualche tempo fa si aveva perfino paura di pronunciarlo in pubblico". E mi ha anche detto: "Si', la guerra e' stata giusta, perche' noi da soli non ci saremmo mai liberati di Saddam". Parole che ti ghiacciano il sangue nelle vene, soprattutto se pronunciate da una persona che ha avuto un fratello ucciso e un nipote tuttora "disperso". Per quanto mi riguarda, rispetto il pensiero del mio interlocutore, anche se non lo condivido. Comunque questa e' la forza della "coalizione", specialmente in questo momento. L'aver ottenuto, comunque, questo risultato. E su questo fonda la sua credibilita', per chi gliela vuol riconoscere. E, comunque, per contestarla, e' necessario mettere in campo una solida alternativa. Altrimenti hanno i mass-media schierati in massa dalla loro parte. E li possono usare contro di noi quanto vogliono, anche perche' noi continuiamo ad accettare l'uso perverso di categorie che dovremmo mettere seriamente in discussione come quella del "terrorismo", specie se poi vi viene aggiunto l'aggettivo "internazionale". Non dovremmo dimenticarci che i primi ad usare quest'espressione sono stati proprio i fascisti, nell'"escalation" propagandistica che li ha visti passare dall'uso di un termine come "disfattisti" a "banditi" per arrivare a "terroristi", a seconda del consenso che incontravano i partigiani tra la popolazione... * Dal mio sia pur breve viaggio a Baghdad ho ricavato la convinzione dell'assoluta necessita' di mettere mano alla conoscenza della composizione di due realta', che sono in questo momento, centrali in Iraq: gli alibaba (che in arabo significa letteralmente "criminale"), che tanto terrorizzano la popolazione, e la resistenza irachena. I primi terrorizzano soprattutto la borghesia, al punto che vi e' chi non apre un negozio, per paura dell'incursione degli alibaba, anche perche', la Cpa non ha mostrato alcun interesse per questo fenomeno di criminalita', nonostante questo avrebbe potuto portare consenso, almeno fra gli strati benestanti della societa' irachena (ma da buoni affaristi hanno pensato piuttosto di dargli la possibilita' di usare la linea gsm che hanno attivato dopo aver distrutto la rete telefonica). Dalle descrizioni che arrivano, parlando con le persone, in particolare con i taxisti, son persone senza scrupoli, capaci di sgozzare per rubare un portafoglio. E' chiaro che le "leggende metropolitane" vanno in qualche modo ridimensionate, e questo sarebbe possibile soltanto nel lungo periodo, ma quello che ti viene raccontato e' questo. Ricordo, in particolare, il nervosismo di un taxista, in una strada, al crepuscolo, alle 20,30, che continuava a dirmi "Alibaba, alibaba" (in effetti le condizioni della sua Toyota erano piuttosto buone), in un momento in cui eravamo quasi fermi in una strada molto trafficata, soprattutto dopo che la mercanzia e' letteralmente esposta nelle strade dopo i bombardamenti dei suq, le cui macerie peraltro non sono ancora state rimosse. Di qui l'importanza di studiare un po' questo fenomeno, del resto riscontrato anche a Nassiriya, pur se da quel che ci e' stato raccontato, li' sarebbe soprattutto questione di contrabbando e di "tratte", in particolare soprattutto armi e droga. * La resistenza irachena e' invece pura resistenza all'occupazione... Resistenza che e' in realta' una costellazione di individualita', gruppi e quant'altro, espressione di popolo che lotta contro un'occupazione militare truce che non vuole. Anche chi mi ha detto che "la guerra e' stata giusta" ha subito aggiunto che, pero', gli americani adesso dovrebbero ritirarsi. Con alcune persone con cui ho parlato, per esempio con il fotografo di Al-Aadhamiyah, ho detto che in fondo noi italiani abbiamo accettato un'occupazione militare americana oltre cinquant'anni fa, se e' vero come e' vero che installazioni militari americane sono in dieci sulle venti regioni che compongono il nostro paese. E mi sono premurato di augurare loro un destino differente. La risposta e' stata: "Se gli americani rimarranno in Iraq noi li combatteremo e li sconfiggeremo". Detto da una persona molto simpatica, pacifica e conciliante... la Resistenza irachena e' essenzialmente lotta di popolo. Purtroppo, non e' lotta nonviolenta. Per questo ci troviamo di fronte al dilemma in cui ci siamo trovati con i kurdi, i saharawi, gli stessi palestinesi. In questa posizione ambigua della "simpatia", ma anche nella necessita' di trovare altri sbocchi, altre forme di lotta. Ma questa puo' diventare anche la nostra forza. In sostanza non sai mai, salendo su un taxi, se l'autista che ti accompagna, generalmente tranquillo e simpatico, universalmente direi ospitale (prima offerta, sigaretta o salvietta), tutt'al piu' dalla guida "nervosa", nella notte si arma del suo kalashnikov, quando non di un lanciafiamme, per andare a far fuori dei ragazzini di vent'anni o poco piu', terrorizzati da tutto e da tutti che sono la' per motivi presumibilmente di occupazione (in senso lavorativo), drogati da un bombardamento ideologico presumibilmente molto piu' pesante di quelli normalmente attuati con missili e bombe piu' o meno "intelligenti". * E ti stringe il cuore vedere questi ragazzini, in gran parte di colore, che vanno a morire come carne da macello per motivi presumibilmente ideologici inviati da criminali di guerra rispetto ai quali mi riesce oscuro comprendere come mai nessuno abbia ancora avviato una modesta raccolta di firme per l'incriminazione dinanzi alla cosiddetta Corte Penale Internazionale. Questi personaggi hanno tanti di quei morti sulla coscienza (posto che ne abbiano una) da fare invidia a Saddam Hussein. Protetti dall'infernale rumore dei generatori, persone che hanno combattuto per anni, molto facilmente riescono a tendere imboscate a dei ragazzini che piu' che dell'addestramento che ci viene mostrato nei film devono aver ricevuto un indottrinamento propagandistico con i fiocchi. Tristemente sono abbastanza convinto, anche per esperienza personale diretta, che sia vero quello che e' stato detto nel caso dell'operatore palestinese della Reuters ucciso, cioe' che il "soldatino" che lo ha assassinato abbia temuto che questi avesse in mano qualcosa che lo potesse uccidere. D'altronde, quando si rischia di morire come muoiono questi ragazzi, drogati e intrappolati da criminali senza scrupolo, non si puo' che aver paura di tutto e di tutti. Sebbene la razionalita' dovrebbe farti pensare che il primo di cui aver paura e' chi ti propone una bandiera come qualcosa per cui morire. Ma che ne sanno, in fondo, questi ragazzini presumibilmente cresciuti fra McDonald's e Coca Cola? Come ho scritto, stringe il cuore. D'altronde, pero', non puoi non pensare che comunque sono occupanti, il che non puo' attenuare la pieta', ma acuisce il risentimento nei confronti di coloro che li mandano a morire. E che hanno poi il cinismo e la sfrontatezza di non ammettere che una quantita' di morti molto inferiore al reale. Quindi di non riconoscerne neppure in sostanza la morte. * In questo momento cio' di cui ci sarebbe bisogno e' un corpo civile di pace, di gente che potesse sostituire i militari, per dar modo alla societa' irachena di ricostituirsi democraticamente. Una societa' irachena che e' gia' impegnata in questo sforzo perche' bene o male dall'organizzazione sociale gia' sperimentata con il partito Baath, molto forte, puo' venire fuori un tessuto sociale vivo e vitale, raddrizzando le storture connesse con il riferimento inevitabile ad un partito politico espressione di lobby di affari e di potere. Mi pare di poter considerare l'organizzazione sociale ai tempi del partito Baath segno concreto dell'impegno civile di ogni iracheno o comunque di una gran parte di cittadini iracheni al servizio di una collettivita', a partire dalla propria condizione, anche professionale. Un'organizzazione sociale cosi' articolata, svincolata da un'entita' come il partito-stato, lo potrebbe essere oggi ancor piu' efficacemente di ieri. E mi pare altresi' di poter leggere l'esistenza di un'opposizione come una conferma di questo. Ancorche' "minata" da quella dipendenza, quell'organizzazione sociale poteva contenere ben piu' elementi di sanita' di quelli che nei retaggi propagandistici di cui siamo un po' vittime anche noi siamo disposti a riconoscere. In fondo l'adesione all'islam, sia secondo lo stile sunnita che quello sciita, configura tutto questo, massicciamente, al di la' del nostro trasformare questo credo in radicalismo o peggio ancora fondamentalismo. Anche su questo nel mio viaggio ho avuto un'esperienza personale in parte diretta. Ho sperimentato in parte personalmente quanto il meglio dell'islam e del cristianesimo, due filosofie essenzialmente "perdoniste", se non usate "fondamentalisticamente" per fini di potere, possono approdare in un momento di sintesi, trasformando una brutta storia di minacce in una molto bella di riconciliazione. E non e' un caso che questo embrione di tessuto sociale in ricostruzione venga proprio da persone di cultura islamica, almeno questo e' quello che ho trovato. E senza la compartimentazione che da noi viene sottolineata, tra sciiti e sunniti. Il fatto che At-Thawra sia una concentrazione quasi esclusivamente sciita deriva dal fatto che essa pullula di rifugiati e di immigrati, parecchi dal subcontinente Indiano (sarebbe interessante, per esempio, andare a vedere quanti afghani fuggiti dalla guerra hanno trovato rifugio da quelle parti), e che il governo del Baath, a maggioranza sunnita e cristiana, abbia avuto buon gioco nella costruzione di un quartiere in cui queste persone sarebbero andare a vivere, anche cercando un'omogeneita' nel vicinato. Forse, alla luce di queste considerazioni, bisognerebbe incominciare anche a capire il perche' della rivolta e della persecuzione degli sciiti messa in atto da un partito soprattutto gestito da persone che si riconoscono in stili e culture religiose statisticamente "minoritarie" in Iraq. * Un corpo civile di pace, molto vicino alla popolazione, vivendo con essa una piena condivisione, quindi nei quartieri, in strutture differenti dalle caserme, senza luoghi separati del tipo spacci interni, strutture interne e quant'altro, potrebbe permettere, con un presidio, non tanto aiuti umanitari di cui gli iracheni stessi dicono di non aver bisogno, ma di svolgere elezioni realmente democratiche, la formazione di un'assemblea nazionale, di un governo, la normale ripresa di attivita' lavorative, culturali, artistiche, sportive, e di quello che e' la vita sociale di un paese che ha le potenzialita' per risorgere in breve tempo. Un paio d'anni potrebbero essere sufficienti. E soprattutto un corpo civile di pace in grado di portare un elemento molto forte come il disarmo. Non tanto inteso come consegna delle armi da parte della popolazione, magari con la mediazione di autorita' religiose e quant'altro, ma progressivo abbandono dell'armamento come orizzonte. Abbandono dell'imprescindibilita' dall'arma. Mi scuso dell'autocitazione, ma credo che il titolo del video sull'esperienza dei Volontari di pace in Medioriente "Un passo in piu' sulla via della pace? Ripartire da Baghdad", che avevo fortemente voluto nel 1992, sia piu' che mai attuale. * Oggi Baghdad dovrebbe essere il nostro laboratorio. Dove sperimentare, per esempio, progetti di educazione alla pace rivolti soprattutto alle nuove generazioni, che non vedono e non sentono altro che armi in tutte le salse. E' ben vero che anche noi siamo cresciuti con la guerra, dal Vietnam in poi, ma abbiamo avuto la possibilita' di vedere, toccare, respirare, immaginare e provare a costruire anche altro. I "Baghdad kids" non vedono altro. E allora puo' capitare che in pieno giorno un ragazzino che avra' 15 anni terrorizzi un quartiere (a 500 metri di distanza dall'Hotel Palestine, che oggi viene assunto come il centro di Baghdad) sparando in aria con un kalashnikov senza alcuna ragione che non sia quella presumibile che qualcuno si accorga di lui. Sparare? "It's normal". Questa risposta ti arriva dal taxista all'avventore di bar alla persona come il dr. Riyadh che ha dato vita ad uno di quei comitati di quartiere che sono l'embrione di tessuto sociale di cui scrivevo poc'anzi. Allora e' evidente che oltre all'azione di accompagnamento di un processo di ricostituzione di una democrazia sarebbe compito di un corpo civile di pace anche l'educazione alla pace semplicemente come introduzione di un elemento differente dalla monocultura armamentistica che vivono oggi i bambini e i ragazzi di Baghdad. Anche per evitare il rischio che, con il perdurare di un'occupazione, si diffonda l'orizzonte del "kamikaze" come senso della vita, come sta accadendo nei Territori occupati. * E ovviamente questa educazione alla pace andrebbe costruita anche cercando una sintesi fra la filosofia nonviolenta e la cultura islamica, non certo esportando "modelli" che pure da noi o in qualche parte del mondo possano anche essersi rivelati funzionanti. Non vorrei azzardare un'immagine, ma credo che il Dijah dovrebbe un po' diventare il nostro Gange. Credo che questo dovrebbe essere il nostro orizzonte. * In questo momento un territorio che va da Israele alla terra dei Sumeri e al Kurdistan, con la felice discontinuita' della minuscola Giordania, vale a dire probabilmente delle dimensioni della regione latina dell'Europa, dall'Atlantico al Mediterraneo, oltre ad esser il polmone del mercato delle armi, rischia di diventare il luogo in cui si consuma il paradosso della stabilizzazione di un ordine mondiale costruita sull'instabilita' locale. In questo senso probabilmente se gli americani riescono anche ad "incendiare" l'Iran potranno controllare una regione che va dall'Atlantico al Mediterraneo all'Oceano Indiano, sia in parte nella forma delle "alleanze" (vedi Egitto), sia nella forma della lotta contro il nemico (tutto il subcontinente medio e centro-orientale); e imporre nuovamente l'"equilibrio" del terrore, specialmente adesso che hanno praticamente distrutto l'Ono. Nonostante si straccino le vesti perche' qualcuno gli ha dato un chiaro segnale di dissenso rispetto al tentativo di utilizzare l'organizzazione internazionale per i propri scopi. Il cinismo statunitense e' tale da non accorgersi che probabilmente tutto questo colpire i loro "amici" e "complici", dai giordani all'Onu e' rivolto in realta' direttamente alla Cpa. Per isolarla. Ma tutto questo credo che a noi dovrebbe importare fino ad un certo punto. La pace e' altro. Non ha nulla a che fare con la geopolitica, che incomincio a considerare la piu' recente delle perverse invenzioni dell'uomo. Dopo la guerra e la burocrazia. Anzi l'abbandono alla geopolitica credo che ci crei problemi di cinismo che non portino nella direzione della costruzione della pace. Purtroppo non sono un teorico della nonviolenza, ma mi considero uomo di azione e di mediazione. * Un breve passaggio sull'Onu. Ci siamo mai chiesti chi ha gestito l'Onu? ... Per non parlare di quell'istituzione micidiale che e' il Consiglio di sicurezza, che andrebbe completamente abolito e sostituito con un'altra struttura piu' democratica, non certo riformato... * Il Dijah, fiume che nasce in Siria e sfocia nello Shatt-al Arab con una riva del laicissimo Iraq e l'altra dell'islamico Iran, non e' fiume sacro come l'Ordun (che noi chiamiamo Giordano), che bagna soltanto il religioso Israele e la laica monarchica Giordania. Quindi non ho lavato le mie convinzioni in un fiume sacro, e non so se e' meglio cosi'. Per questo credo piu' che mai che sia necessario introdurre elementi dialettici che permettano di strappare le nuove generazioni al rassegnarsi ad un futuro di guerra e di odio, e comunque ad un futuro "armato" a senso unico. Anche perche', prima del 1979, l'Iraq era terra di scienziati, di poeti, di artisti (e' il paese degli architetti e degli ingegneri), di gente dedita a tutt'altro che alle armi e alla guerra. Persone come il dr. Riyadh o il dr. Nazar, che hanno a cuore questa rinascita del tessuto sociale, nel dialogo confidenziale ti dicono questo, anelano all'Iraq di qualche decina d'anni fa. E allora e' giusto aiutare queste persone, che si pongono proprio il problema di strappare le nuove generazioni a un ingiusto destino, accompagnare questo tentativo di cui devono e vogliono essere protagonisti. hanno solo il bisogno di un aiuto, di qualcuno che materialmente li sostenga in questo, dopo di che il nuovo Iraq potra' riprendere il ruolo che ha avuto all'alba della storia dell'uomo. E chissa' che non diventi davvero una nazione democratica, un esempio di stato democratico quale incominciano forse ad essere alcuni stati sudamericani. E tutto questo, che non e' aiuto umanitario, anche se passera' anche per un po' di questo (il dr. Riyadh mi ha chiesto due containers di latte in polvere, dicendomi che per noi "sarebbe un buon biglietto da visita per stabilirci in Al-Aadhamiyah"), non puo' che venire, al momento, che da un'"ambasciata di pace" e da un corpo civile di pace, in una parola da strutture e articolazioni della societa' civile... * Non mi dimentico mai che quando vado in luogo di guerra sono innanzitutto ospite e non padrone, altrimenti rientrerei in qualche modo nella categoria degli occupanti, e questa e' la prima difficolta' nell'intervento civile nonviolento in luogo di guerra.. Ancor meno ritengo di dover andare ad insegnare qualcosa a qualcuno. Semplicemente cerco con umilta' di proporre un'alternativa, che qualcuno potra' ritenere valida, ne' piu' ne' meno. E poi di mettere una zeppa nel meccanismo della guerra. Mi scuso per aver un po' affastellato gli argomenti, ma sento il dovere visto che ho lavato le mie convinzioni nel Dijah, e questo mi ha impedito di andare, come avrei voluto, a prendere contatti con i Refusnik in Israele, di comunicare cio' che ho vissuto e presumo di aver capito. E poi questo scritto e' stato pesantemente modificato dalla triste realta'. Personalmente considero Baghdad il mio quarto luogo di nascita, pur non essendo tornato a Madina-tu-al-Aaras (l'isola su cui era il campo di pace). Ma forse non e' il momento delle nostalgie. E comunque ho avuto modo di confermare la mia considerazione di quella citta' come luogo da cui ripartire per un processo di pace che soprattutto impedisca alle nuove generazioni di finire preda dell'incapacita' di vivere che e' poi la base del ricorso alla guerra. E che noi che ci diciamo "adulti" rischiamo di tramandare a loro, chiamandola addirittura "educazione". Un augurio di pace, forza e gioia. 5. MAESTRE. LALLA ROMANO: LE STRADE [Da Lalla Romano, Poesie, Einaudi, Torino 2001, p. 150. Lalla Romano (1906-2001), pittrice, poetessa, scrittrice, e' stata una delle voci piu' vive della cultura italiana del Novecento. Varie sue opere sono state recentemente ristampate nella collana dei Tascabili Einaudi; una edizione complessiva delle opere letterarie (a cura di Cesare Segre) e' Opere, due volumi, Mondadori, Milano 1991 e 1992. Su Lalla Romano cfr. Fiora Vincenti, Lalla Romano, La Nuova Italia, Firenze 1974; A. Catalucci, Invito alla lettura di Lalla Romano, Mursia, Milano 1980; A. Ria (a cura di), Intorno a Lalla Romano. Saggi critici e testimonianze, Mondadori, Milano 1996] Inutilmente ti ho cercato, lungo le strade polverose, e sotto i dolci cieli dell'estate. 6. RIFLESSIONE. GIUSEPPE CAMPIONE: I CONFLITTI E LA CULTURA [Ringraziamo Giuseppe Campione (per contatti: pippo.campione at unime.it) per questo intervento. Giuseppe Campione e' ordinario di geografia politica all'Universita' di Messina, vicepresidente dei Geografi italiani, direttore responsabile della rivista dell'AGeI "Geotema"] Per dipanare le matasse aggrovigliate delle tensioni e dei conflitti che si accavallano disastrosamente nel pianeta non e' utile ne' producente liquidare fatti dirompenti solo con atteggiamenti moralistici, ne' sbarazzarsene in modo pregiudiziale. E allora perche' non dire che qui, come piu' in generale nelle aree del mondo a perdere, e' dalla marginalita', dalla poverta', dal degrado, che derivano l'accrescersi di vecchie enclaves e il proliferare di nuove? Per venirne a capo il punto-chiave sarebbe riuscire a innescare un circuito virtuoso che riduca tutto cio' che sta a monte, cioe' le situazioni di dispotismo o di illiberalismo, di chiusura e di rifiuto, di antico feroce territorialismo, per restringere cosi', in modo conseguente, le occasioni conflittuali. O e' piu' facile imboccare la strada dei processi sommari e dei luoghi comuni? Il prossimo futuro, e chissa' per quanto tempo, sara' quello delle guerre preventive totali e senza quartiere, non piu' territoriali. La guerra diffusa, che dissolve il principio di frontalita' negli scontri, non mette piu' di fronte due patrie e quindi non contano piu' le forme militari tradizionali: l'iniziativa, il successo, sara' soprattutto dei servizi e degli apparati informativi. Cosi' assieme alla nuova stagione di dolore e di lutti per intere popolazioni e' possibile immaginare l'insorgere di una criminalizzazione del dissenso, dal momento che il terrorismo, metafisica rappresentazione di un male assoluto, puo' diventare alibi. E possiamo aggiungere, con La Valle, che dopo secoli di dispute sulle dottrine della guerra giusta e sulle circostanze di fatto che la giustificano, la suprema giustificazione della guerra a cui il nostro tempo e' pervenuto e' che la guerra non ha bisogno di giustificazioni. E la geopolitica diviene sempre piu' pratica discorsiva del potere dominante, con una narrazione della realta' internazionale che essenzializza in categorie astratte i luoghi, in uno con la spettacolarizzazione televisiva e con l'enfasi sull'uso delle armi e sul loro alto contenuto tecnologico. Ed e' importante leggere tutto cio'. Non bisogna essere distaccati dalle cose quotidiane, ma al contrario essere costantemente di fronte alla "produzione del mondo" che c'inonda e ci sommerge... I fatti del mondo, lotte di minoranze, traffico delle risorse, emarginazione, terrorismo etc. sono altrettante relazioni di potere che appartengono ad una geografia immediata, scriveva Claude Raffestin. * La cultura, diceva Vittorini nel primo numero del "Politecnico", "ha predicato, ha insegnato, ha scoperto continenti e costruito macchine, ma non si e' identificata con la societa'", e se non fosse stata societa', non avrebbe fatto nulla per l'uomo. Avrebbe tutt'al piu' cercato di consolarlo. Ma fare la nuova cultura, significa mettere in piedi "una cultura che serva, invece di una cultura che consoli" soltanto, scriveva sulla stessa rivista nel numero 3 del 13 ottobre del '45, Felice Balbo. In un mondo che perde i suoi riferimenti possiamo allora ri-imboccare percorsi culturali per tentare di capire di piu', per fare di piu'. Ed anche per raccontare la Sicilia e il suo cuore, "con i nostri poveri eroi, morti per rendere gentile il destino della nostra terra" (Campione, Perriera). Per cogliere, piu' in generale, la lenta trama dei rapporti degli uomini e con gli uomini, e degli uomini con la natura, il come dei luoghi e il perche' degli avvenimenti, l'amaro della vita e il bello della sorte, come in un'epigrafe del II secolo a. C., conservata nel museo di Lipari. Cogliendo il senso degli eventi che si strutturano nel territorio, nelle dinamiche del loro incidere, in una intelaiatura poggiata sulle coordinate del territorio e del tempo. Complessi meccanismi da assemblare in una prospettiva di riflessione critica che riguardi al senso delle strutture. Le strutture sono, infatti, il telaio, o meglio le forze di fondo della storia sociale: quella dei destini collettivi, degli aggruppamenti umani coerenti, solidali e armonici; in una parola i complessi di una civilta'. Al di fuori dei perimetri di intelligenza critica, il visibile scompare in una oscurita' improvvisa: svanita la luce che contornava gli spazi, resta la notte senza tempo, senza suono, senza spazio, senza mondo. Come se, per non saper capire, si entrasse in una seconda infinita'. Dove nulla della tragedia del mondo potesse essere piu' ricordato. Tutto questo se non fosse pernicioso sarebbe stupido. Ma, chissa', forse ha ragione Dietrich Bonhoeffer, il teologo luterano assassinato dai nazisti il 9 aprile 1945, quando, nel suo "bilancio sul limitare del 1943", diceva che "la stupidita' e' un nemico piu' pericoloso della malvagita'" (Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1988, p. 64). Contro il male ci si puo' in qualche modo opporre, si puo' protestare, si puo' usare nei limiti estremi anche la forza, si puo' anche scendere a compromessi, sempre alla ricerca del danno minore, ma contro la stupidita' si e' indifesi. 7. POESIA E VERITA'. MARIA LUISA SPAZIANI: L'IMPOSSIBILE SCOMMESSA [Da Maria Luisa Spaziani, Poesie 1954-1996, Mondadori, Milano 2000, p. 220 (e' una stanza, di un distico soltanto, della suite "Il carnevale nero di Messina"). Maria Luisa Spaziani e' nata a Torino nel 1942 e vive a Roma da molti anni; docente universitaria di letteratura francese, presidente del "Premio internazionale Eugenio Montale", e' una delle piu' intense voci poetiche italiane del secondo Novecento] Vincere l'impossibile scommessa: con la scure tagliarsi le mani. 8. RIFLESSIONE. LUCA SALVI: IL SILENZIO SULL'UGANDA [Ringraziamo Luca Salvi (per contatti: lukesalvi at libero.it) per questo intervento. Luca Salvi fa parte del gruppo di iniziativa territoriale della Banca Etica a Verona; e' impegnato per la pace, la giustizia, i diritti umani] Dopo piu' di venti anni di esilio dorato in Arabia Saudita, e' morto Idi Amin Dada, uno dei piu' terribili e sanguinari dittatori africani di tutti i tempi, che resse l'Uganda dal 1971 al 1979. E' davvero vergognoso che sia riuscito a sfuggire al giudizio di un tribunale internazionale, ma ora non potra' sfuggire al giudizio della storia e di Dio. Ancora piu' vergognoso e tragico e' che gli orrori di quell'epoca, sotto altre forme, continuano anche adesso, nel silenzio e nel disinteresse delle grandi potenze e istituzioni internazionali. Da anni nel Nord-Uganda imperversa il Lord's Resistance Army, guidato da un pazzo visionario, Joseph Kony, che con poche migliaia di seguaci massacra la popolazione civile inerme e rapisce bambini e bambine per farne soldati e schiave sessuali. Molti missionari e medici che operano nelle zone limitrofe raccontano che i bambini vengono "reclutati" e trasformati in belve feroci drogandoli e facendo loro uccidere i loro stessi familiari o altri bambini, mentre coloro che non vengono massacrati spesso vengono mutilati e costretti a divorare le loro stesse membra. Il tutto viene tollerato o solo minimamente contrastato dal potente esercito ugandese del presidente Museveni, grande alleato dell'America e di Bush. Perche' questo silenzio sull'Uganda? Perche' nessuna iniziativa internazionale contro le violazioni dei diritti umani e l'infanzia violata? 9. MAESTRE. ELSA MORANTE: UNA COSA VISTA DA EDIPO ED ANTIGONE [Da Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, Einaudi, Torino 1968, 1981, p. 48 (e' un frammento da "La serata a Colono. Parodia"). Elsa Morante (1912-1985) e' stata una delle piu' grandi scrittrici italiane del Novecento. Opere di Elsa Morante: segnaliamo almeno Il gioco segreto, Garzanti, Milano 1941; Menzogna e sortilegio, Einaudi, Torino 1948; L'isola di Arturo, Einaudi, Torino 1957; Alibi, Longanesi, Milano 1958; Lo scialle andaluso Einaudi, Torino 1963; Il mondo salvato dai ragazzini, Einaudi, Torino 1968; La storia, Einaudi, Torino 1974; Aracoeli, Einaudi, Torino 1982. Si veda anche almeno Pro o contro la bomba atomica e altri scritti, Adelphi, Milano 1987; "Piccolo manifesto" e altri scritti, Linea d'ombra, Milano 1988; ed anche Le straordinarie avventure di Caterina, Einaudi, Torino 1959. Un'edizione in due volumi delle Opere e' apparsa presso Mondadori, Milano 1988. Opere su Elsa Morante: segnaliamo almeno Carlo Sgorlon, Invito alla lettura di Elsa Morante, Mursia, Milano 1972; Gianni Venturi, Elsa Morante, La Nuova Italia, Firenze 1977. La bibliografia sulla figura di Edipo, come ognun sa, e' sterminata. Sulla figura di Antigone vorremmo suggerire almeno: Cesare Molinari, Storia di Antigone, De Donato, Bari 1977; George Steiner, Le Antigoni, Garzanti, Milano 1990, 1995] Edipo: Che c'e' laggiu'? Che e' quella buca? Antigone: Quella...? Quella e' una bella funtana di statue con la illuminazione elettrica anniscosta che fa l'acqua di tanti belli colori! 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 654 del 26 agosto 2003
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